SENTENZA N. 529
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nonché dell'art. 398, comma 5-bis, dello stesso codice, promosso con ordinanza in data 9 novembre 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un procedimento penale a carico di un’insegnante di scuola materna per abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 del codice penale) e per lesioni personali aggravate (artt. 582, 585, 576 del codice penale, in relazione all’art. 61, numeri 2 e 11, dello stesso codice), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze – richiesto dal pubblico ministero di procedere con incidente probatorio all’assunzione, con modalità protette, della testimonianza di alcuni bambini coinvolti come parti offese nei delitti ipotizzati – con ordinanza in data 9 novembre 2001, pervenuta a questa Corte il 19 febbraio 2002, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che si possa procedere con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di un minore di anni sedici – anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1 – qualora si proceda per delitti diversi da quelli ivi indicati, sempre che il teste sia anche la persona offesa dal reato; nonché dell'art. 398, comma 5-bis, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede che si possa assumere la testimonianza di persona minore di anni sedici con modalità "protette" e mediante mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva qualora si proceda per delitti diversi da quelli ivi indicati, sempre che il teste sia anche la persona offesa dal reato.
L’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. detta un’eccezione alla regola dell’assunzione in dibattimento delle prove che non abbiano carattere di non rinviabilità, consentendo il ricorso all’incidente probatorio quando si debba procedere all’assunzione della testimonianza di un minore infrasedicenne in procedimenti per i delitti sessuali di cui alle leggi 15 febbraio 1996, n. 66 e 3 agosto 1998, n. 269. L’art. 398, comma 5-bis, dello stesso codice, a sua volta, prevede che, nel caso di indagini riguardanti i medesimi reati, ove tra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, il giudice, quando le esigenze del minore lo rendano necessario o opportuno, stabilisce modalità particolari per procedere all’incidente probatorio, potendosi svolgere l’udienza anche in luoghi diversi dal tribunale con l’ausilio di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione del minore.
Ad avviso del remittente, le norme denunciate contrasterebbero in primo luogo con il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), che impone di trattare allo stesso modo situazioni identiche o sostanzialmente assimilabili, tali dovendosi ritenere tutte le ipotesi in cui si procede per reati in danno di persone minori di età, a prescindere dal tipo di reato ipotizzato: in quanto, là dove la vittima è un minore (o addirittura un bambino di pochissimi anni, come nel caso di specie), sussisterebbero tutte le condizioni che hanno indotto il legislatore a varare la recente legislazione protettiva, la quale tuttavia sarebbe stata irragionevolmente limitata alla sfera dei reati sessuali o a sfondo sessuale.
Queste condizioni risiederebbero nella inevitabile "difficoltà di approccio con questo specialissimo tipo di testimoni e parti offese": di qui la necessità di documentare l'atto istruttorio attraverso la videoregistrazione con telecamere nascoste, la sola modalità che, ad avviso del remittente, permette di apprezzare, in sede di valutazione della prova, qualsiasi sfumatura, non solo del linguaggio, ma anche dell'atteggiamento complessivo del bambino; e, prima ancora, di assumere la testimonianza all'interno di una struttura specializzata.
Premesso che il testimone minore di età che sia parte offesa è particolarmente vulnerabile ed è spinto a cercare di "rimuovere" psicologicamente l'accaduto, il giudice a quo osserva che le recenti modifiche normative di cui alle leggi n. 66 del 1996 e n. 269 del 1998 sono state varate per tutelare, non solo la dignità, il pudore e la personalità del teste parte offesa minorenne, ma anche la genuinità della prova. Attraverso il meccanismo processuale dell'incidente probatorio svincolato da situazioni oggettive di irripetibilità della prova, è stata introdotta, infatti, come regola generale, la possibilità di assumere la testimonianza di persona minore di anni sedici nella prima fase del procedimento penale e quindi nell'immediatezza del fatto, ossia prima che il minore abbia potuto attuare il naturale processo di "rimozione psicologica"; e siccome l'atto istruttorio raccolto dal giudice per le indagini preliminari con incidente probatorio conserva l'efficacia di prova piena anche nella successiva fase del processo, è salvaguardata l’esigenza di non dover ripetere più volte la testimonianza, evitando alla vittima il disagio di dover tornare a "rivivere" il proprio passato doloroso.
Orbene, a parere del Giudice per le indagini preliminari, nessuna seria considerazione logica spiegherebbe il motivo per cui queste fondamentali innovazioni processuali siano state dal legislatore introdotte solo in relazione ai procedimenti per i reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, anziché in ordine a qualsivoglia delitto nel quale sia parte offesa una persona minore di età, tanto più che molti dei delitti esclusi dal campo di applicazione della norma ben possono, in concreto, rivelarsi più gravi per la vittima rispetto ad uno qualsiasi dei reati sopra indicati.
Il contrasto degli articoli 392, comma 1-bis, e 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. con l’art. 2 della Costituzione, sotto il profilo della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, è motivato dal giudice a quo sulla base di un duplice rilievo.
Il processo penale deve essere governato da regole in grado di tutelare la personalità degli individui, siano essi imputati o testimoni, e deve quindi svolgersi in modo tale da garantire che siano il più possibile salvaguardate la dignità, il pudore e la riservatezza di costoro: ma ciò non avverrebbe allorché il testimone minorenne, non potendosi esperire l’incidente probatorio con modalità protette, sia esposto alla pubblicità del dibattimento e sia quindi esaminato (sebbene, eventualmente, con l'ausilio di un esperto di psicologia infantile) alla presenza di più persone. A tale riguardo il remittente osserva che l'art. 498, comma 4-ter, del codice di rito consente di esperire l'esame del minore vittima del reato mediante l'uso di vetro specchio unitamente ad impianto citofonico solo nel caso in cui si proceda per uno dei delitti sessuali o a sfondo sessuale.
Inoltre, prosegue il giudice a quo, l'impossibilità di escutere la parte offesa minorenne mediante incidente probatorio (ossia a breve distanza di tempo dai fatti ed una sola volta, ancorché nel pieno rispetto del diritto di difesa dell'indagato e del principio del contraddittorio processuale), impone a quest'ultima l'inutile sacrificio di ripetere di nuovo il proprio racconto, per di più in un momento in cui, generalmente, è già in atto o si è addirittura ormai concluso il naturale processo di rimozione psicologica del danno; e questa situazione contrasterebbe con il principio del rispetto e della tutela della personalità dell'individuo.
A sostegno dei dubbi di legittimità costituzionale prospettati, il Giudice per le indagini preliminari ricorda la decisione CE del 15 marzo 2001, n. 220 (Posizione della vittima nel procedimento penale), la quale, nell’enunciare una serie di principi generali in materia, ai quali tutti gli Stati membri della Comunità si devono conformare adottando le opportune disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, prevede in particolare la necessità di un trattamento processuale specifico, che prescinde dal titolo di reato per cui si procede, per le "vittime particolarmente vulnerabili" (art. 2, comma 2); indica l’esigenza di evitare successive ripetizioni dell’esame testimoniale della parte offesa (art. 3); sancisce che "ove sia necessario proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, ciascuno Stato membro garantisce alla vittima la facoltà, in base a una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento" (art. 8, ultimo comma). Al riguardo, pur ritenendo configurabile un conflitto tra le norme denunciate ed i principi generali sanciti dalla decisione comunitaria in materia di trattamento della vittima nel procedimento penale, il remittente esclude di poterlo risolvere disapplicando la normativa interna incompatibile, essendo la decisione quadro priva di efficacia diretta.
Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sarebbero quindi rilevanti. Le norme denunciate non consentirebbero di dar corso, nel caso di specie, all’incidente probatorio con modalità protette se non attraverso la richiesta pronuncia di incostituzionalità: difatti i reati per cui si procede non rientrano tra quelli indicati nell'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., né sussisterebbero le particolari condizioni di irripetibilità della prova previste dal comma 1, lettere a e b, dello stesso art. 392. E tuttavia l’incidente probatorio con modalità protette viene considerato dal remittente estremamente opportuno nel caso concreto: sia per la vulnerabilità dei numerosi testimoni e parti offese minorenni, sia per la gravità dei reati in contestazione.
2.– Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la non fondatezza delle questioni.
Osserva l’Avvocatura che le norme denunciate si pongono all’incrocio di due diverse esigenze: da un lato, l’accertamento processuale della verità, che si realizza principalmente con l’assunzione della prova nella fase dibattimentale e nel pieno contraddittorio tra le parti; dall’altro, la tutela del minore, la quale postula che la prova venga assunta tenendo conto delle sue particolari caratteristiche.
Nel bilanciamento di questi valori, il legislatore ha ritenuto che per limitare la prima esigenza non sia sufficiente il solo fatto che l’assunzione della testimonianza riguardi un minore, ma ha richiesto anche che il reato in accertamento attenti alla sua sessualità.
La scelta del legislatore sarebbe, ad avviso della difesa erariale, ragionevole. Né sarebbe direttamente influente sulla questione la circostanza che alcuni reati, come quelli di abuso di mezzi di correzione o di lesioni personali gravissime, possano essere in concreto ben più gravi di quelli concernenti la sessualità: e ciò sia perché "se si dovesse estendere la disciplina derogatoria a tutti i reati in danno di minori infrasedicenni, vi rientrerebbero non solo reati più gravi, ma anche meno gravi di quelli attinenti alla sessualità", sia perché il criterio della gravità del reato in accertamento potrebbe, come per gli adulti, "agire indirettamente sull’assunzione della prova e trovare un rimedio nel disposto dell’art. 392, comma 1, lettera b, cod. proc. pen., che consente l’incidente probatorio quando vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza o minaccia affinché non deponga o deponga il falso".
Né meritevole di maggior considerazione sarebbe il rilievo, di cui è cenno nell’ordinanza di rimessione, del possibile danno per il minore ove la deposizione, con efficacia di prova piena, venga assunta solo nel dibattimento, ossia a notevole distanza di tempo dal fatto di reato ed in pubblica udienza. Difatti, che il dibattimento avvenga a notevole distanza di tempo è circostanza che dipende dalle singole esperienze giudiziarie, e non potrebbe giustificare uno sbilanciamento generale del sistema normativo invertendo il rapporto fra eccezione (incidente probatorio) e regola (dibattimento). In dibattimento, del resto, vi sarebbero regole capaci di assicurare alle vittime particolarmente vulnerabili un trattamento processuale specifico: l’art. 472 cod. proc. pen. prevede che l’udienza dibattimentale possa svolgersi a porte chiuse; l’art. 498 cod. proc. pen., d’altra parte, dispone che l’esame del minorenne sia condotto dal presidente, avvalendosi eventualmente dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile: se poi una parte lo richiede ovvero se il presidente lo ritiene necessario, possono applicarsi proprio le modalità di cui all’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen.
Considerato in diritto
1.– Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, sia dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che si possa procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di un minore di sedici anni anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1, per delitti diversi da quelli ivi indicati, nel caso in cui il testimone sia anche parte offesa; sia dell’art. 398, comma 5-bis, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede che l’incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza di un minore di sedici anni possa avvenire con le particolari modalità ivi previste anche quando si procede per ipotesi di reato diverse da quelle ivi indicate, ed il testimone sia anche parte offesa dal reato.
In sostanza il remittente, il quale procede per reati di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e di lesioni personali, che sarebbero stati commessi a danno di minori di sedici anni, vorrebbe estendere ai procedimenti per qualsiasi reato le previsioni – introdotte nel codice di procedura penale dalle leggi 15 febbraio 1996, n. 66 e 3 agosto 1998, n. 269 per le ipotesi di reati sessuali – secondo cui il pubblico ministero o l’indagato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minore di sedici anni, anche al di fuori delle ipotesi nelle quali l’incidente probatorio è ammesso in generale (art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen.), e all’assunzione della testimonianza con incidente probatorio si procede con particolari modalità (art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen.): la richiesta di estensione riguarda però solo il caso in cui la testimonianza da assumere sia quella della persona offesa dal reato.
Secondo il giudice a quo, le norme impugnate violerebbero anzitutto l’art. 3 della Costituzione, in quanto le ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre tali norme con riguardo ai reati a sfondo sessuale sussisterebbero quale che sia il reato commesso a danno di minori di sedici anni. Tali ragioni consisterebbero, da un lato, nella difficoltà di approccio con questo "specialissimo tipo di testimoni e parti offese", che richiederebbe particolari modalità "protette" di assunzione della testimonianza, quelle appunto previste dall’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen.; dall’altro lato, nella particolare "vulnerabilità" della parte offesa minore, portata a cercare di rimuovere psicologicamente l’accaduto più di quanto non farebbe un adulto, onde l’assunzione della testimonianza con incidente probatorio sarebbe necessaria sia per garantire la genuinità della prova, sia per tutelare la personalità del minore, consentendo a questi di rendere la propria testimonianza una sola volta per tutte e a breve distanza di tempo dal fatto.
Analoghe ragioni sono addotte dal remittente a sostegno della denunciata violazione dell’art. 2 della Costituzione: solo l’adozione delle particolari modalità "protette" di assunzione della testimonianza, e l’esclusione della necessità di ripetere la testimonianza in dibattimento, per di più quando il processo di rimozione psicologica del fatto sia già in atto o concluso, garantirebbero la tutela della dignità, della riservatezza e del pudore dei minori, e in generale della loro personalità.
2.– La questione relativa all’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, denunciato nella parte in cui non estende la possibilità di far ricorso all’incidente probatorio per assumere la testimonianza di un minore di sedici anni, parte offesa di un reato diverso da quelli sessuali, non è fondata.
Non lo è, anzitutto, sotto il profilo della asserita violazione del principio di eguaglianza. Non rilevano a questo proposito le specifiche difficoltà enunciate dal remittente riguardo alla testimonianza dei minori, che richiederebbero il ricorso alle particolari modalità "protette" di assunzione della medesima, stabilite dall’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. Le modalità di assunzione della testimonianza non dipendono infatti, di per sé, dal ricorso o meno all’incidente probatorio, essendo ben possibili modalità speciali, idonee a proteggere la personalità del teste minorenne, anche nel dibattimento. Del resto è quello che accade secondo la legislazione vigente, in cui talune speciali modalità sono previste, indipendentemente dal tipo di reato per cui si procede (esame a porte chiuse: art. 472, comma 4, cod. proc. pen.; esame condotto dal giudicante, anche con l’ausilio di un familiare o di un esperto: art. 498, comma 4, cod. proc. pen.): e ciò anche a prescindere dalla questione, ancora controversa in sede interpretativa, se il comma 4-bis dello stesso art. 498 (che comporta l’applicabilità delle modalità di cui all’art. 398, comma 5-bis) si applichi, secondo la sua lettera, indipendentemente dal reato per cui si procede, come anche questa Corte ha ritenuto nella sentenza n. 114 del 2001, ovvero solo per i reati sessuali, cui si riferisce la legge n. 269 del 1998, che tale comma aggiuntivo ha introdotto.
Potrebbero rilevare, invece, le considerazioni svolte dal remittente circa le ragioni che stanno a base della scelta legislativa per l’ampliamento del ricorso all’incidente probatorio nel caso di reati sessuali. Ma anche da questo punto di vista la censura del giudice a quo non è condivisibile. Non solo o non tanto perché, nella specie, si richiede l’estensione di una norma speciale, dettata per una specifica categoria di reati (quella che consente, nel caso di reati a sfondo sessuale, il ricorso all’incidente probatorio per assumere la testimonianza di un minore di sedici anni – parte offesa o semplice testimone – fuori dalle ipotesi generalmente previste), mentre la norma generale è quella per cui la prova è assunta in dibattimento, salve le eccezioni espressamente contemplate; quanto, soprattutto, perché la scelta legislativa che sta a base della norma speciale invocata non è priva di giustificazione, trattandosi di reati rispetto ai quali si pone con maggiore intensità ed evidenza l’esigenza di proteggere la personalità del minore, nell’ambito del suo coinvolgimento processuale, e la genuinità della prova (cfr. sentenza n. 114 del 2001).
Non si può quindi dire che la norma speciale voluta dal legislatore sia riferita ad un oggetto non corrispondente e irragionevolmente più circoscritto di quanto non imponga la sua ratio, ciò che solo potrebbe condurre a ravvisare una violazione del principio costituzionale di eguaglianza.
3.– Quanto alla denunciata violazione dell’art. 2 della Costituzione, l’accoglimento della questione presupporrebbe che il ricorso all’incidente probatorio, per assumere la testimonianza della parte offesa che sia un minore infrasedicenne, rappresentasse non solo – come è – una scelta legittima del legislatore, ma una misura obbligata, costituzionalmente necessaria al fine di tutelare la personalità del minore.
Le considerazioni che il remittente svolge a proposito della opportunità di assumere la testimonianza a breve distanza di tempo dal fatto, e senza necessità di ripeterla, per di più quando già il minore potrebbe aver messo in atto o addirittura già concluso il naturale processo di rimozione psicologica di fatti traumatici, cui egli sarebbe portato più dell’adulto, non appaiono prive di rilievo dal punto di vista dell’opportunità legislativa. Ma, appunto, solo il legislatore potrebbe apprezzare tali ragioni: non può dirsi che esse esprimano una necessità costituzionale, tale da imporre una ulteriore deroga alle regole generali del processo, informate al principio per cui le prove si assumono nel dibattimento, mentre l’incidente probatorio è strumento eccezionale, previsto solo per le ipotesi stabilite dalla legge, in vista, principalmente, della necessità di assicurare una prova che potrebbe essere dispersa o alterata se si attende il dibattimento.
La sola circostanza che il legislatore abbia ritenuto di estendere tale eccezione al caso in cui si debba assumere la testimonianza di un minore di sedici anni in un procedimento per reati sessuali, differenziando le regole del rito in vista della specificità di tali reati, non può valere a dimostrare che l’eccezione sia costituzionalmente dovuta indipendentemente dal tipo di reato, sia pure solo ai fini della testimonianza della parte offesa.
Tutela della personalità del minore e genuinità della prova sono certo interessi costituzionalmente garantiti: non lo è però lo specifico strumento, consistente nell’anticipazione, con incidente probatorio, delle testimonianze in questione.
Si può aggiungere che l’esigenza di non dover ripetere più volte la testimonianza, per evitare il rinnovo di situazioni di tensione e disagio psicologico, non è di per sé assicurata dal ricorso all’incidente probatorio, che, da un lato, potrebbe sopravvenire – al pari dell’istruttoria dibattimentale – dopo che nel corso delle indagini preliminari il minore sia già stato sentito, e, dall’altro lato, non esclude la ripetizione della prova in dibattimento, posto che la regola speciale, sancita dall’art. 190-bis, comma 1-bis, del codice di procedura penale (che in questa sede non viene in considerazione), secondo cui l’esame testimoniale in dibattimento è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero se il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze, è dettata, testualmente, solo per il caso in cui si procede per i reati sessuali ivi indicati.
4.– Una volta esclusa la fondatezza della questione relativa all’art. 392, comma 1-bis, che avrebbe comportato la estensione del ricorso all’incidente probatorio, ne discende la irrilevanza, e dunque la inammissibilità, della questione sollevata con riguardo all’art. 398, comma 5-bis, che si riferisce alle speciali modalità di assunzione della testimonianza nell’incidente probatorio medesimo. La questione sarebbe infatti rilevante solo se il remittente ritenesse di poter procedere, sulla base della normativa applicabile, all’assunzione della testimonianza mediante incidente probatorio, ciò che invece il remittente stesso nella specie nega, allo stato della legislazione in vigore.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a. dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze con l’ordinanza in epigrafe;
b. dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, dallo stesso Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2002.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2002.