SENTENZA N. 135
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5-sexies, commi 1, 4, 5, 7 e 11, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del codice di procedura civile), introdotto dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con quindici ordinanze del 17 ottobre ed una del 15 novembre 2016, iscritte rispettivamente ai numeri da 5 a 15 e da 34 a 38 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 e n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di costituzione della SILVA sas di Sbragia Riccardo & C., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno e nella camera di consiglio del 6 giugno 2018 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di sedici (distinti) giudizi di ottemperanza promossi contro il Ministero della giustizia per l’attuazione di altrettanti provvedimenti giudiziari definitivi, con i quali era stato riconosciuto, ai rispettivi ricorrenti, il diritto all’equo indennizzo di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), l’adito Tribunale amministrativo regionale per la Liguria – al fine del decidere sulla questione pregiudiziale di improcedibilità (di ciascun ricorso), proposta dal Ministero resistente in ragione della denunciata omissione degli adempimenti e del mancato rispetto del termine dilatorio di cui al nuovo art. 5-sexies della legge stessa – ha ritenuto per ciò rilevante ed ha, quindi, sollevato, con le sedici ordinanze (di pressoché identico contenuto) indicate in epigrafe, questioni incidentali di legittimità costituzionale dei commi 1, 4, 5, 7 e 11 del predetto art. 5-sexies, introdotto nella legge n. 89 del 2001, dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
Secondo il Tribunale rimettente, le ulteriori «modalità di pagamento» dei crediti da equo indennizzo previste dalla normativa censurata – consistenti, appunto, nel condizionarlo al previo rilascio di una documentata dichiarazione attestante la mancata riscossione o proposizione di azione giudiziaria per il medesimo titolo e al decorso di un termine dilatorio di sei mesi decorrente dalla trasmissione, solo se regolare e completa, di tale dichiarazione e documentazione – si porrebbero, infatti, in contrasto, sia con l’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto irragionevolmente discriminatorie nei confronti dei creditori di somme per equo indennizzo da eccessiva durata dei processi rispetto alla generalità degli altri creditori di somme nei confronti della pubblica amministrazione; sia con l’art. 24, primo e secondo comma, Cost., poiché l’introdotto termine semestrale – ulteriore rispetto a quello di centoventi giorni prescritto, in via generale, dall’art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1997, n. 30 – si tradurrebbe in una ingiustificabile compressione del diritto di agire; sia, infine, anche con gli artt. 111, primo e secondo comma, 113, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, per violazione del principio del giusto processo, sotto il profilo della effettività della tutela del creditore nei confronti della pubblica amministrazione.
2.– Nel solo giudizio iscritto al n. 15 del registro ordinanze 2017, si è costituita – ed ha depositato memoria integrativa – la società ricorrente, la quale ha concluso, in via principale, per una declaratoria di inammissibilità, per irrilevanza, delle questioni (in quanto, a suo avviso, sollevate in relazione a normativa riferibile ai soli giudizi civili di esecuzione forzata e, comunque, inapplicabile, ratione temporis, nel giudizio di ottemperanza da essa intrapreso sulla base di titolo esecutivo formatosi prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 5-sexies legge n. 89 del 2001), e ne ha sostenuto, in subordine, la fondatezza, in adesione alle censure formulate dal giudice a quo.
3. – In tutti i sedici giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
In sua rappresentanza e difesa, l’Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente, a sua volta, eccepito l’inammissibilità delle questioni, per averle il rimettente sollevate prima ancora che con riguardo alle disposizioni denunciate si fosse formato un orientamento giurisprudenziale univoco, sia sulle ricadute processuali derivanti dall’omissione delle formalità prescritte dal medesimo art. 5-sexies legge n. 89 del 2001, sia sull’ambito applicativo della norma stessa, «in particolare in relazione al preesistente art. 14 d.l. n. 669 del 1996 (con il cui previsto termine non dovrebbe cumularsi quello contemplato dal medesimo art. 5-sexies), e all’eventuale rapporto di genere a specie astrattamente sussistente tra le due fattispecie solutorie concepite ad hoc per i debiti della pubblica Amministrazione»; e senza, comunque, verificarne la possibilità di una interpretazione costituzionalmente adeguata.
In subordine, ha chiesto dichiararsi le questioni manifestamente infondate, in linea con quanto già stabilito da questa Corte con la sentenza n. 142 del 1998 in relazione alla ravvisata legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.l. n. 669 del 1996, poiché, al pari della disciplina recata da tale norma, anche quella ora in esame non violerebbe il diritto di credito dei privati, ma solo eventualmente lo posticiperebbe al momento del pagamento. E ciò al fine di tutelare l’interesse generale, «facilitando l’esecuzione dei pagamenti a coloro che dimostrino di averne pieno diritto», evitando il ripetersi dei non pochi casi in cui «sono stati emessi titoli esecutivi costituenti duplicazione di pagamento», con conseguenti difficoltà per il correlativo recupero.
Considerato in diritto
1.– L’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ha aggiunto nel testo della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), il nuovo art. 5-sexies, contenente la disciplina sulle «[m]odalità di pagamento» degli indennizzi per irragionevole durata del processo.
Con le sedici ordinanze in epigrafe – che, per la identità del rispettivo contenuto, possono riunirsi per essere congiuntamente esaminate e decise – il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria prospetta l’illegittimità costituzionale, sotto più profili, del predetto art. 5-sexies, con specifico riferimento al comma 1, laddove prevede che «[a]l fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della presente legge, il creditore rilascia all’amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo, nonché a trasmettere la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3»; al comma 4, il quale stabilisce che «[n]el caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso»; al comma 5, ove risulta sancito che «[l’] amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti. Il termine di cui al periodo precedente non inizia a decorrere in caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione ovvero della documentazione di cui ai commi precedenti»; al comma 7, in cui è disposto che «[p]rima che sia decorso il termine di cui al comma 5, i creditori non possono procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento», e al comma 11, laddove è previsto che «[n]el processo di esecuzione forzata, anche in corso, non può essere disposto il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al pagamento compiuto dal commissario ad acta».
2.– Il TAR rimettente dubita, infatti, che il denunciato articolato normativo violi, in primo luogo, l’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, comportando un aggravio procedimentale, «ingiustificatamente favorevole all’Amministrazione debitrice di somme ex L. n. 89/2001», la cui irragionevolezza discenderebbe dalla «insussistenza di qualsivoglia presupposto legittimante un regime procedimentale deteriore per il pagamento e l’esecuzione di tali crediti, i quali – oltretutto - trovano titolo proprio nel protrarsi nel tempo di un processo oltre il limite ragionevole, cioè in un colpevole ritardo dell’amministrazione della Giustizia […] già “certificato” dalla Corte di appello».
Evidenzia, inoltre, un possibile vulnus all’art. 24, primo e secondo comma, Cost., sul presupposto che la previsione di un termine semestrale – ulteriore rispetto a quello di 120 giorni contemplato dall’art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1997, n. 30, e che decorre solo dalla data di adempimento degli obblighi comunicativi di cui al primo comma del medesimo art. 5-sexies – si traduca nell’impossibilità per il cittadino di agire in via immediata e diretta per il soddisfacimento del proprio credito, pur essendo egli in possesso di un titolo esecutivo perfetto.
Ravvisa, infine, profili di contrasto, dei denunciati commi dell’art. 5-sexies legge n. 89 del 2001, con gli artt. 111, primo e secondo comma, 113, secondo comma, e 117, primo comma, Cost. – quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo – in ragione dell’ostacolo che le introdotte «modalità di pagamento» porrebbero ad una tutela piena ed effettiva dei crediti in questione e, quindi, ad un «giusto processo» in relazione agli stessi.
Dal che, conclusivamente, il sospetto che tali nuove condizioni di proponibilità del ricorso per ottemperanza vengano a configurare un ingiustificato privilegio per la pubblica amministrazione inadempiente, risolventesi, sul piano della tutela giurisdizionale, in una rilevante discriminazione tra situazioni soggettive sostanzialmente analoghe ed in un apprezzabile ostacolo processuale per il soddisfacimento del credito del cittadino.
3.– È preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità delle questioni, per omesso esperimento di un previo tentativo di interpretazione adeguatrice delle disposizioni censurate, formulata dall’Avvocatura generale dello Stato in tutti i giudizi a quibus.
3.3.– L’eccezione non è condivisibile.
Il TAR rimettente ha, infatti, non già omesso, bensì risolto con esito negativo la verifica di praticabilità di una esegesi costituzionalmente orientata dalla normativa denunciata, per l’ostacolo che ha, non immotivatamente, ravvisato nella lettera della stessa. E ciò consente di superare il vaglio di ammissibilità delle questioni conseguentemente sollevate, la correttezza, o meno, del cui presupposto interpretativo, attiene, invece, al merito e cioè alla successiva verifica di fondatezza o non delle questioni stesse (sentenze n. 255 e n. 254 del 2017 e n. 235 del 2014).
4.– Ancora in limine, ma con riguardo al solo giudizio iscritto al n. 15 del registro ordinanze del 2017, vengono all’esame le eccezioni di inammissibilità, sotto altri profili, formulate dalla società ivi ricorrente.
Secondo la difesa di detta parte, la disciplina di cui all’art. 5-sexies legge n. 89 del 2001 non sarebbe applicabile ai procedimenti esecutivi riguardanti il pagamento di somme già liquidate con provvedimenti ormai divenuti definitivi ed inoppugnabili anteriormente al 1° gennaio 2016; in ogni caso, la nuova condizione di proponibilità investirebbe esplicitamente soltanto l’esecuzione forzata e non anche il giudizio di ottemperanza, per il quale il rispetto dell’art. 6 CEDU avrebbe dovuto far propendere per l’immediato riconoscimento della pretesa di essa società in tal sede azionata.
4.1.– Nessuna di tali eccezioni è fondata.
Quanto alla prima, è agevole rilevare che il nuovo art. 5-sexies legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015 – disciplinando le modalità di pagamento dei titoli esecutivi formatisi all’esito dei procedimenti previsti dalla legge stessa con riferimento al riconoscimento, in via definitiva, degli indennizzi riconducibili all’accertata irragionevole durata dei processi presupposti – inequivocabilmente si applica a tutte le procedure di esecuzione che siano state, come nella specie, instaurate successivamente al 1° gennaio 2016 (data di entrata in vigore della predetta legge n. 208 del 2015), indipendentemente dalla formazione del titolo esecutivo “a monte”.
L’assunto di cui alla seconda eccezione è poi decisamente smentito dalla stessa norma censurata là dove questa, sub comma 7, testualmente dispone che, prima della decorrenza del termine semestrale, i creditori non possono neppure proporre «ricorso per l’ottemperanza del provvedimento» e, al successivo comma 11, ulteriormente precisa che la non disponibilità del pagamento in caso di incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione «si applica anche al pagamento compiuto dal commissario ad acta» e, cioè, appunto, anche nel giudizio amministrativo di ottemperanza.
5.– Nel merito, le questioni, che vengono ora in esame, muovono dalla premessa che il termine di sei mesi, di cui al comma 5 della disposizione denunciata, vada ad «aggiungersi» al termine di 120 giorni già previsto in via generale, per tutti i crediti vantati nei confronti di un’amministrazione dello Stato, dall’art. 14 d.l. n. 669 del 1996.
La «cumulabilità e non alternatività» di tali due termini − implicante che «il creditore non [possa] procedere all’esecuzione forzata, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento, prima che sia decorso un termine di dieci mesi» − si evincerebbe, secondo il rimettente, «dalla lettera dell’art. 5-sexies comma 11, il quale prevede che in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione di cui al primo comma, il pagamento non possa essere disposto neppure nell’ambito dei procedimenti esecutivi già in corso, cioè quelli per i quali il termine contemplato dal predetto art. 14 D.L. n. 669/1996 (120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo) costituiva già condizione per procedere ad esecuzione forzata».
Una tale (prima) esegesi del nuovo art. 5-sexies della cosiddetta “legge Pinto” (in ordine al quale effettivamente non si è ancora formato un diritto vivente) non può condividersi: sia perché pretende di desumere, per implicito, da una disposizione transitoria − non censurata come tale − ciò che la disciplina a regime non dice e (in coerenza a quanto emerge dalla relazione illustrativa alla legge di stabilità 2016) esplicitamente anzi smentisce (dacché per testuale dettato del comma 7 i creditori non possono procedere ad esecuzione «prima che sia decorso il termine di cui al comma 5» e cioè appunto, e solo, il termine dilatorio di «sei mesi dalla data in cui sono assolti gli obblighi previsti dai commi precedenti»); sia perché non tiene conto del chiaro carattere di specialità del regime di riscossione dei crediti ex lege n. 89 del 2001, di cui all’art. 5-sexies della legge stessa. Un regime dichiaratamente riferito, ed innegabilmente conformato, alle peculiarità, e attuali dimensioni, del corrispondente debito dell’amministrazione e delle procedure attivate per la sua esecuzione, che hanno finito con l’ingenerare una sorta di contenzioso parallelo a quello delle liti presupposte.
6.– Correttamente interpretata, la normativa denunciata si sottrae alle censure formulate dal rimettente.
6.1.– Non sussiste, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost.
La non cumulabilità del termine (di sei mesi), di cui alla disposizione impugnata, con quello (di quattro mesi) previsto dall’art. 14 d.l. n. 669 del 1996, già di per sé esclude, infatti, il principale profilo di disparità di trattamento articolato nell’ordinanza di rimessione.
La non coincidenza di tali due termini si giustifica, poi, in ragione della sottolineata specificità della procedura liquidatoria degli indennizzi per equa riparazione della non ragionevole durata del processo rispetto alle procedure di pagamento degli altri debiti della pubblica amministrazione.
Né l’onere di produrre la dichiarazione ed i documenti di cui al comma 1 dell’art. 5-sexies in esame (relativamente a dati che sono comunque in possesso del creditore) è tale da rendere la posizione del titolare di credito ex lege n. 89 del 2001 deteriore rispetto a quella del creditore “ordinario”, che deve pur sempre porre in essere gli adempimenti previsti dalle norme di contabilità di Stato.
La nuova procedura di pagamento, complessivamente disegnata dal legislatore del 2015 per i crediti per equa riparazione, attua, dunque, un ragionevole bilanciamento dell’interesse del creditore a realizzare il suo diritto (ciò che non è, appunto, in alcun modo impedito né reso eccessivamente gravoso) con l’interesse dell’amministrazione ad approntare un sistema di risposta, organico ed ordinato, con cui far fronte al flusso abnorme delle procedure relative ai crediti fondati su decreti ottenuti ai sensi della legge n. 89 del 2001. Obiettivo, questo, in vista del quale rileva anche l’effetto deflattivo riconducibile agli adempimenti preventivi sub comma 1, che possono consentire all’amministrazione di pagare quanto dovuto ex iudicato «entro» (ed eventualmente anche prima dello scadere del termine de)i sei mesi di cui al comma 5 dell’art. 5-sexies, così evitando successive procedure esecutive.
6.2.– Resta, di conseguenza, escluso anche l’asserito contrasto del nuovo art. 5-sexies legge n. 89 del 2001 con l’art. 24 Cost.
È risalente – ed è stata più volte, infatti, ribadita – nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione per cui deve «esclude[rsi] che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale implichi necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela […], essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri […] che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia» (sentenza n. 98 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 162 del 2016, n. 403 del 2007, n. 251 del 2003, n. 276 del 2000, n. 132 e n. 62 del 1998, n. 113 del 1997, n. 82 del 1992 e n. 130 del 1970).
Nella specie, ciò che la normativa denunciata ha introdotto è solo l’onere, per i creditori di indennizzi ex lege n. 89 del 2001, di collaborare con l’amministrazione, attraverso una dichiarazione (che può essere presentata congiuntamente o pedissequamente alla notifica del decreto che costituisce il titolo) completa delle informazioni relative alla situazione creditoria, al fine di ottenerne il pagamento entro i sei mesi successivi, trascorso inutilmente i quali essi potranno agire in sede esecutiva.
Si tratta, dunque, di un meccanismo procedimentale, non irragionevole, che non impedisce la tutela giurisdizionale, ma solo, appunto, la differisce (per un tempo non eccessivo) e la rende anzi eventuale, in coerenza con gli obiettivi generali di razionalizzazione e semplificazione dell’attività amministrativa.
6.3.– Nessun vulnus è, dunque, arrecato alla “pienezza ed effettività” dei crediti in questione. E ciò supera anche il residuo dubbio di violazione dei parametri costituzionali ed europei per tal profilo evocati in tema di «giusto processo».
6.4.– Le questioni sollevate sono, pertanto, non fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5-sexies, commi 1, 4, 5, 7 e 11, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), introdotto dall’art. 1, comma 777, lettera l), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», sollevate dal Tribunale regionale amministrativo per la Liguria – in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e secondo comma, 113, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo – con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2018.