SENTENZA N. 227
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Mario Rosario MORELLI;
Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, 15, commi 2, lettere f), g) ed h), 3, lettera i), 16, comma 1, lettere b), f), e g), e 32 della legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 (Legge di stabilità regionale 2019), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso spedito per la notificazione il 12 luglio 2019, depositato in cancelleria il 17 luglio 2019, iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Molise;
udito nell’udienza pubblica dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Antonio Galasso e Claudia Angiolini per la Regione Molise;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.
Ritenuto in fatto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 12-17 luglio 2019 e depositato il medesimo 17 luglio, iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2019, ha impugnato gli artt. 10, 15, commi 2, lettere f), g) ed h) e 3, lettera i), 16, comma 1, lettere b), f), e g), e 32 della legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 (Legge di stabilità regionale 2019), in riferimento, nel complesso, agli artt. 81, terzo comma, 97, 117, secondo comma, lettere l) ed s), e terzo comma, e 120, primo comma, della Costituzione.
Il ricorrente esamina partitamente le norme impugnate ponendo in evidenza i profili di illegittimità costituzionale delle stesse.
2.− L’art. 10, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, ha sostituito il comma 1, e ha abrogato il comma 4, dell’art. 3-bis della legge della Regione Molise 26 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione dell’Agenzia regionale per lo sviluppo agricolo, rurale e della pesca (ARSARP) - Giacomo Sedati».
La disposizione impugnata, da un lato (lettera a), ha introdotto il principio secondo cui il trattamento economico dell’amministratore unico dell’ARSARP, che deve essere nominato tra i direttori di dipartimento della Giunta regionale, i dirigenti regionali ovvero i direttori di servizio dell’Agenzia, si conforma ai principi in materia di retribuzione del personale con qualifica dirigenziale; dall’altro (lettera b), ha abrogato la disposizione che stabiliva la corresponsione all’amministratore unico dell’ARSARP di un’indennità di funzione onnicomprensiva, determinata dalla Giunta regionale, non eccedente il 70 per cento della retribuzione dei dirigenti di servizio della Regione Molise.
3.− Per effetto delle suddette modifiche, ad avviso della difesa dello Stato, all’amministratore unico dell’ARSARP sarebbe stato attribuito un incremento del trattamento economico, senza prevedere la necessaria copertura finanziaria.
Pertanto, la norma impugnata violerebbe l’art. 81, terzo comma, Cost., non rinvenendosi nel testo della legge regionale una corrispondente norma di copertura finanziaria.
4.− L’art. 15 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, definisce un articolato progetto di riordino dell’assetto organizzativo del cosiddetto «Sistema Regione Molise», istituito con l’art. 7 della legge della Regione Molise 20 agosto 2010, n. 16 (Misure di razionalizzazione della spesa regionale), con particolare riferimento all’utilizzo delle risorse umane alle dipendenze degli enti e delle società partecipate elencate nelle Tabelle A1 e A2, allegate alla legge della Regione Molise 4 maggio 2016, n. 5 (Legge di stabilità regionale 2016).
Il progetto di riordino in questione prevede l’utilizzo condiviso del personale dipendente degli enti e delle società appartenenti al gruppo «Sistema Regione Molise», per il perseguimento di fini comuni, tramite l’istituto giuridico del distacco, da disciplinare con regolamento della Giunta regionale.
5.− Tale disposizione è impugnata dallo Stato nella parte in cui prevede, al comma 2, lettere f) e g), quale criterio a cui si deve attenere la Giunta regionale nel regolamentare il distacco, che gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica non dirigenziale e con qualifica dirigenziale siano a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza.
6.‒ La difesa dello Stato accomuna all’impugnazione delle suddette norme dell’art. 15, il dubbio di costituzionalità relativo al successivo art. 16, comma 1, lettere f) e g).
Tale ultimo articolo, reca «Accordi per lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune», e disciplina (comma 1) «[l’]istituto della utilizzazione in posizione di distacco di personale dagli Enti rientranti nel sistema sanitario regionale (ASREM e ARPA) verso le strutture della Giunta regionale […]», prevedendo alle lettere f) e g) che gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica non dirigenziale e dirigenziale siano a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza.
7.− Il ricorrente ritiene che l’art. 15, comma 2, lettere f) e g), e l’art. 16, comma 1, lettere f) e g), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, nel prevedere, di fatto, delle ipotesi di “comando”, violerebbero la potestà legislativa esclusiva nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e invaderebbero la sfera della potestà legislativa dello Stato nella materia concorrente «coordinamento della finanza pubblica», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
8.− Il ricorrente richiama, quale disciplina interposta, le norme sull’istituto del comando, contenute negli artt. 56 e 57 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), e pone in evidenza le differenze che sussistono tra tale istituto e le diverse ipotesi del distacco e dell’avvalimento, richiamando la giurisprudenza di legittimità e contabile in materia.
Nel comando, fermo restando il rapporto organico che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, si modifica il rapporto di servizio, atteso che il dipendente pubblico è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, che gerarchico-disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale presta la propria opera.
Diversamente, nel distacco vi è l’utilizzazione temporanea del dipendente presso un ufficio, che è diverso da quello che costituisce la propria sede di servizio, e che rientra comunque nella medesima amministrazione.
L’avvalimento, invece, si verifica quando l’amministrazione, anziché dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale degli uffici di altro ente, al quale non viene delegata la funzione stessa. In tal caso non si determina alcuna modifica del rapporto di impiego, perché il personale dell’ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest’ultimo a tutti gli effetti, e non si verifica scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.
La difesa dello Stato ricorda, quindi, che l’art. 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ha regolato il trattamento economico in favore del personale comandato o distaccato, prevedendo che l’amministrazione che utilizza il personale in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale.
9.− Così riepilogato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, l’Avvocatura generale dello Stato deduce che le norme impugnate sono dirette a regolamentare l’istituto della utilizzazione in assegnazione temporanea di un dipendente presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, assimilabile al comando.
Ciò palesa, ad avviso del ricorrente, l’illegittimità delle disposizioni in esame, in quanto le stesse pongono gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica dirigenziale e non dirigenziale a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza.
Tali norme, dunque, da un lato invaderebbero la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», a cui va ricondotta la disciplina del rapporto di impiego alle dipendenze della Regione e i profili relativi al trattamento economico del personale pubblico privatizzato; dall’altro, ponendo in modo definitivo gli oneri finanziari a carico dell’ente di appartenenza, contrasterebbero con il terzo comma dell’art. 117 Cost., atteso che la previsione dell’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001, attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica.
10.− La difesa dello Stato sospetta di illegittimità costituzionale anche l’art. 15, comma 3, lettera i), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, che prevede l’utilizzazione temporanea, in posizione di distacco, del personale delle società partecipate presso enti regionali.
Gli istituti del comando e del distacco non possono trovare applicazione rispetto al personale delle società partecipate che non rientrano nel novero delle pubbliche amministrazioni, come individuate dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle stesse è disciplinato dall’art. 19 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che rientra nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in materia di ordinamento civile.
Né può trovare applicazione la disciplina della mobilità di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001.
A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 37 del 2015, n. 227 e n. 167 del 2013) che, in relazione a norme regionali che disponevano un generale ed automatico transito del personale di una persona giuridica di diritto privato nell’organico di un soggetto pubblico regionale, senza il previo espletamento di alcuna procedura selettiva di tipo concorsuale, ha statuito che il mancato ricorso a tale forma generale e ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione non trova alcuna ragione giustificatrice in ipotesi di tale genere. Il trasferimento da una società partecipata alla Regione o ad altro soggetto pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i soggetti che possono beneficiare della norma impugnata, in violazione dell’art. 97 Cost., e in particolare della regola che prevede il pubblico concorso.
Rileva, altresì, che vi sarebbe un potenziale riflesso negativo sul rispetto, da parte degli enti territoriali, dei limiti alle facoltà assunzionali, delle norme del patto di stabilità interno, e degli altri obblighi finanziari.
Pertanto, l’art. 15, comma 3, lettera i), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, nel disciplinare una forma di mobilità del personale delle società pubbliche diversa da quelle consentite dal d.lgs. n. 175 del 2016, violerebbe gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost.
11.− L’art. 15, comma 2, lettera h), e l’art. 16, comma 1, lettera b), della legge regionale impugnata, sono sospettati di illegittimità costituzionale in quanto entrambi prevedono una deroga ai limiti percentuali previsti dall’art. 19, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, con riguardo al conferimento degli incarichi dirigenziali da parte della Giunta regionale presso strutture regionali, e presso strutture competenti in materia di programmazione sanitaria, tutela della salute e tutela dell’ambiente.
12.− La difesa dello Stato richiama la disciplina del citato art. 19 in materia di dirigenza e la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto contrastare con l’art. 117, secondo comma, lettera l), la legislazione regionale che ha previsto la non computabilità di posizioni dirigenziali nella complessiva dotazione organica di dirigenti di prima fascia (sentenza n. 257 del 2016).
Pertanto, le disposizioni impugnate lederebbero il principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97, primo e secondo comma, e la competenza esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e quella concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
13.− L’art. 32 della legge reg. Molise n. 4 del 2019 è impugnato in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto interviene nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, nonché all’art. 120, primo comma, Cost., interferendo con il principio di libera circolazione delle cose tra le Regioni.
La disposizione impugnata modifica l’art. 1 della legge della Regione Molise 7 agosto 2003, n. 25 (Norme per l’elaborazione e l’attuazione del Piano di gestione dei rifiuti), inserendo il comma 3-bis, in base al quale «La Regione persegue l’obiettivo di limitare nel proprio territorio lo smaltimento di rifiuti speciali di provenienza extra regionale, nel limite della percentuale del totale dei rifiuti, speciali e non, trattati nel territorio regionale, scelta dalla Giunta regionale dopo relazione della struttura tecnica. Il competente servizio regionale emana, a tal proposito, specifiche direttive».
Tale norma contrasterebbe con gli artt. 182 e 182-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che stabiliscono divieti e limitazioni sulla circolazione dei rifiuti, fuori dal territorio regionale di produzione, esclusivamente per i rifiuti urbani, e non già per i rifiuti speciali, per i quali la libera circolazione sul territorio nazionale è sempre concessa.
Analoga previsione, osserva il ricorrente, peraltro era contenuta nell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio).
La difesa dello Stato pone in rilievo, in particolare, che il divieto regionale violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto contrasta con il concetto di “rete integrata di impianti di smaltimento”, che presuppone: a) una possibilità di interconnessione tra i vari siti che vengono a costituire il sistema integrato; b) l’assenza di ostruzioni determinate da blocchi che impediscano l’accesso ad alcune sue parti (è richiamata in proposito la sentenza di questa Corte n. 10 del 2009).
14.− Con atto depositato il 22 agosto 2019, è intervenuta nel giudizio la Regione Molise, giusta delibera della Giunta regionale 9 agosto 2019, n. 313, chiedendo il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale promosse dallo Stato.
15.− Assume la difesa regionale che non sarebbero fondati i dubbi di costituzionalità prospettati con riguardo all’art. 10 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, in quanto l’incarico in questione può essere ricoperto solo da personale dirigenziale della Regione Molise o della stessa ARSARP.
Pertanto, in ragione del principio di onnicomprensività della retribuzione del dirigente, nulla sarebbe dovuto a chi svolge questo incarico, e non occorreva una norma di copertura finanziaria. Ciò trovava conferma nel richiamo dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001.
16.− Anche l’art. 15, commi 2, lettere f), g) ed h), e 3, lettera i), e l’art. 16, comma 1, lettere b), f) e g), ad avviso della Regione, si sottrarrebbero a censure.
Tali disposizioni vanno inserite in un più ampio contesto organizzativo delineato dall’art. 7 della legge reg. Molise n. 16 del 2010, che ha istituito il «Sistema Regione Molise», costituito dalla Regione, enti ed aziende, anche autonome, istituiti dalla Regione, enti del servizio sanitario regionale, e società regionali. È previsto che i soggetti del Sistema regionale svolgono le prestazioni a favore di ogni altro soggetto appartenente al Sistema regionale medesimo.
Del Sistema Regione Molise, in particolare, fanno parte enti strumentali, ai quali si applicano i contratti collettivi di lavoro del comparto enti locali, società partecipate e società controllate, cui si applicano diversi contratti collettivi di lavoro.
Non sussisterebbe, pertanto, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la mobilità del personale, all’interno del Sistema, non comporta un incremento del saldo di spesa complessivo sui bilanci.
Considerato che la Regione Molise sopporta annualmente le spese per il personale degli enti del Sistema, non occorre rimborso per l’utilizzazione, da parte sua, del personale a questi appartenente, per cui non vi sarebbe violazione delle norme nazionali nella materia «coordinamento della finanza pubblica».
Tali considerazioni valgono anche per l’art. 16 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, che riguarda gli enti ASREM e ARPA, non inclusi nel Sistema della Regione Molise.
17.− Quanto alla prospettata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), la Regione osserva che le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, si limitano a dettare regole generali attuative del richiamato art. 7 della legge reg. Molise n. 16 del 2010, prevedendo la sussistenza di un vero e proprio distacco funzionale per il personale, nel rispetto dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nonché della disciplina vincolistica in materia di spesa del personale.
18.− La disciplina in questione non contrasta, pertanto, neanche con l’art. 97 Cost.
Il personale degli enti del Sistema Regione Molise potrà essere utilizzato nell’ambito del Sistema stesso temporaneamente, negli ambiti delle competenze per materia riservate a ciascun ente, per attività di comune interesse, in base a specifici protocolli d’intesa, ma resta incardinato nell’organizzazione di appartenenza e non ha titolo preferenziale in alcuna procedura, nemmeno di assunzione, bandita dall’amministrazione regionale.
19.− Neppure sarebbe eluso il limite percentuale di cui all’art. 19, comma 5-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, poiché la dotazione organica del personale con qualifica dirigenziale della Regione Molise è di 43 unità e il numero complessivo di tre incarichi di funzione dirigenziale è contenuto nei suddetti limiti percentuali.
Pertanto, non sussisterebbe la violazione né dell’art. 117, terzo comma, Cost, nella materia «coordinamento della finanza pubblica», né del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.
20.− La Regione, infine rileva che l’obiettivo perseguito con l’art. 32 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, trova fondamento sia nell’art. 32 Cost., che nel principio di precauzione di cui all’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.
Peraltro, se è vero che la disciplina ambientale rientra nella potestà esclusiva dello Stato, quest’ultimo non può paralizzare l’attività delle Regioni nelle materie di propria competenza, spingendosi a peggiorare il livello di tutela del diritto alla salute di un territorio, e compromettendo il riparto costituzionale oltre il limite dell’adeguatezza.
L’intervento regionale in questione mira a calmierare, in via cautelativa e transitoria, l’ingresso nel territorio di quantitativi di rifiuti speciali, in attesa che l’attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti, approvato il 1° marzo 2016, possa avere un nuovo dimensionamento sui rifiuti speciali trattabili complessivamente, a seguito di comprovate valutazioni scientifiche di pericolo per la salute.
21.− L’Avvocatura generale dello Stato, il 25 marzo 2020, ha depositato memoria con la quale ha ribadito i dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme impugnate, affermando di non poter condividere l’interpretazione delle stesse offerta dalla Regione Molise.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 10, 15, commi 2, lettere f), g) e h), 3, lettera i), 16, comma 1, lettere b), f), g), e 32 della legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 (Legge di stabilità regionale 2019), in riferimento, nel complesso, agli artt. 81, terzo comma, 97, 117, secondo comma, lettere l) ed s), e terzo comma, e 120, primo comma, della Costituzione.
2.− La prima questione ha ad oggetto l’art. 10 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, della cui legittimità costituzionale la difesa dello Stato dubita in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost.
La disposizione impugnata, da un lato (al comma 1, lettera a), ha introdotto il principio per cui il trattamento economico dell’amministratore unico dell’Agenzia regionale per lo sviluppo agricolo, rurale e della pesca (ARSARP), che deve essere nominato tra i direttori di dipartimento della Giunta regionale, tra i dirigenti regionali ovvero tra i direttori di servizio dell’Agenzia, si conforma ai princìpi in materia di retribuzione del personale con qualifica dirigenziale fissati dall’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); dall’altro (al comma 1, lettera b), ha abrogato la disposizione che stabiliva la corresponsione all’amministratore unico dell’ARSARP di un’indennità di funzione onnicomprensiva, determinata dalla Giunta regionale, non eccedente il 70 per cento della retribuzione dei dirigenti di servizio della Regione Molise.
La norma impugnata, prevedendo un incremento del trattamento economico, senza fissare alcun limite, violerebbe l’art. 81, terzo comma, Cost., non essendo garantita la necessaria copertura finanziaria.
3.− La questione non è fondata.
4.− Il trattamento economico dell’amministratore dell’ARSARP deve essere collocato nella più ampia disciplina introdotta dalla norma impugnata.
Tale disciplina, in particolare, ha individuato la platea degli aspiranti alla nomina nei direttori di dipartimento della Giunta regionale, nei dirigenti regionali e nei direttori di servizio dell’Agenzia. Si tratta, in tutti i casi, di soggetti già titolari di funzione dirigenziale; ciò che è evidente per i dirigenti regionali, ma che – come attestato in udienza dalla difesa regionale e non contrastato dall’Avvocatura regionale dello Stato − vale anche per i direttori dei servizi dell’ARSARP. Ebbene, per tutti costoro trova applicazione il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, principio che, per l’espresso richiamo contenuto nella lettera a), del citato art. 10, comma 1, vale anche per l’amministratore unico dell’Agenzia.
Ne consegue che dalla disposizione censurata non deriva alcun onere aggiuntivo.
5.− Una seconda questione ha ad oggetto l’art. 15, comma 2, lettere f) e g), della stessa legge reg. Molise n. 4 del 2019, che è impugnato dallo Stato nella parte in cui prevede – quale criterio a cui si deve attenere la Giunta regionale nel regolamentare il distacco del personale dipendente degli enti e delle società appartenenti al gruppo «Sistema Regione Molise» – che gli oneri finanziari relativi al costo ordinario del personale con qualifica non dirigenziale e con qualifica dirigenziale sono a carico dei bilanci dei rispettivi enti di appartenenza.
La difesa dello Stato estende l’impugnazione al successivo art. 16, comma 1, lettere f) e g), che disciplina il distacco di personale dagli enti rientranti nel sistema sanitario regionale (ASREM e ARPA) verso le strutture della Giunta regionale, prevedendo anche la disciplina degli oneri finanziari, posti a carico degli enti di appartenenza.
5.1.− Il ricorrente richiama, quale disciplina interposta, le norme sull’istituto del comando, contenute negli artt. 56 e 57 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), nonché l’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede, in relazione al trattamento economico del personale comandato o distaccato, che l’amministrazione utilizzatrice rimborsi all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale.
Le norme impugnate, da un lato, invaderebbero la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), a cui va ricondotta la disciplina del rapporto di impiego alle dipendenze della Regione e i profili relativi al trattamento economico del personale pubblico privatizzato; dall’altro, ponendo gli oneri finanziari a carico dell’ente di appartenenza, contrasterebbero con il terzo comma dell’art. 117 Cost., atteso che la previsione dell’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001 attiene alla materia del «coordinamento della finanza pubblica».
6.− La questione è fondata, in relazione ad entrambi i parametri costituzionali invocati.
7.− Va premesso che, come assume la difesa dello Stato, le vicende in oggetto vanno considerate comandi e non distacchi, secondo la qualificazione contenuta nella legge regionale impugnata.
La qualificazione è fatta discendere dalla creazione – prevista dalla stessa legge – del «Sistema Regione Molise». Tale «Sistema», tuttavia, non è caratterizzato da quella unità finanziaria che è il necessario presupposto dell’unità organizzativa nel cui ambito si colloca l’istituto del distacco, poiché gli enti coinvolti conservano i propri bilanci e quindi il mancato rimborso si traduce per essi in un onere improprio.
7.1.− Viene pertanto in rilievo, quale norma statale interposta, l’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale, sin dal testo originario, impone agli enti e alle amministrazioni che utilizzano personale di altre pubbliche amministrazioni di rimborsare l’onere relativo al trattamento fondamentale agli enti di provenienza.
E al riguardo questa Corte ha già avuto modo di affermare, con la sentenza n. 172 del 2018 che «l’istituto del comando […] assume peculiare rilievo quale strumento funzionale alle esigenze organizzative delle amministrazioni pubbliche, che incide, tuttavia, profondamente sulla regolazione giuridica del rapporto di lavoro, in riferimento alle stesse modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e della disciplina dei suoi diversi profili, anche retributivi».
Aspetti tutti, dunque, riconducibili alla materia «ordinamento civile» e per i quali è necessario configurare una «disciplina omogenea, nel concorso fra legge e autonomia collettiva, sul territorio nazionale in un quadro organico e funzionale, anche per evitare sovrapposizioni di discipline diversificate e non conciliabili» (ancora sentenza n. 172 del 2018).
Le norme impugnate, pertanto, nel prevedere che il trattamento economico del personale in questione rimanga a carico dell’amministrazione di appartenenza, ledono i parametri costituzionali invocati, essendo in contrasto con la disciplina di cui all’art. 70, comma 12, del d.lgs. n.165 del 2001, adottata nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile», e volta anche a garantire la corretta allocazione della spesa nell’ambito del «coordinamento della finanza pubblica».
8.− Ulteriore questione è promossa in ordine all’art. 15, comma 3, lettera i), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, là dove consente l’utilizzazione temporanea del personale delle società partecipate presso altri enti regionali.
8.1.− Deduce la difesa dello Stato che gli istituti del comando e del distacco non possono trovare applicazione rispetto al personale delle società partecipate, il cui rapporto di lavoro è disciplinato dall’art. 19 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). In tal senso il ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 37 del 2015, n. 227 e n. 167 del 2013) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali che disponevano un generale ed automatico transito del personale di un soggetto giuridico di diritto privato nell’organico di un soggetto pubblico regionale, senza il previo espletamento di una procedura selettiva di tipo concorsuale; ciò si risolverebbe in un privilegio indebito in violazione dell’art. 97 Cost., in particolare quanto alla regola del pubblico concorso.
Rileva, altresì, che vi sarebbe un potenziale riflesso negativo sul rispetto, da parte degli enti territoriali, dei limiti alle facoltà assunzionali, delle norme del patto di stabilità interno, e degli altri obblighi finanziari.
Pertanto, l’art. 15, comma 3, lettera i), della legge reg. Molise n. 4 del 2019, nel disciplinare una forma di mobilità del personale delle società partecipate non consentite dal d.lgs. n. 175 del 2016, violerebbe gli artt. 97 e 117, commi secondo, lettera l), e terzo Cost.
9.− La questione è fondata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., unitamente all’art. 97 Cost., nonché per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia del coordinamento della finanza pubblica.
0.− Questa Corte si è più volte pronunciata sul tema delle società a partecipazione pubblica, sia pure con riguardo a norme regionali di diverso contenuto.
La giurisprudenza costituzionale ha ricondotto le disposizioni inerenti all’attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali alla materia dell’«ordinamento civile», in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato, nonché a quella della «tutela della concorrenza» in considerazione dello scopo di talune disposizioni di «evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali» (sentenze n. 251 del 2016 e n. 326 del 2008).
Il legislatore statale, nel disciplinare le società a partecipazione pubblica ed il rapporto di lavoro dei dipendenti, all’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, non ha previsto la possibilità del comando presso le amministrazioni, e non a caso.
È pur vero, infatti, che già con l’art. 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifiche, e poi con il citato art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016, sono stati introdotti criteri di selezione ai fini delle assunzioni del personale in questione, ma è anche vero che non si è mutata la natura strettamente privatistica del rapporto, né si è imposta una procedura propriamente concorsuale.
Rimane dunque fra questo personale e quello dipendente delle pubbliche amministrazioni una barriera tuttora insuperabile, che trova la sua giustificazione anzitutto sul piano delle scelte discrezionali compiute dal legislatore statale nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ordinamento civile, ma anche, e più sostanzialmente, nel principio di buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 Cost., ed in quelli in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
L’estensione della possibilità di comando – e, si ribadisce, a maggior ragione, non distacco − inficia il sistema organizzativo e finanziario costruito dal legislatore statale, permettendo di fatto una incontrollata espansione delle assunzioni, con il duplice effetto negativo di scaricare oneri ingiustificati sulle società pubbliche, indotte ad assumere personale non necessario, e di alterare il delicato equilibrio che dovrebbe presiedere al rapporto fra organici e funzioni.
10.1. − La questione è pertanto fondata per la violazione di tutti i parametri indicati.
11.− Un’ulteriore questione ha ad oggetto l’art. 15, comma 2, lettera h), e l’art. 16, comma 1, lettera b), della legge regionale impugnata, i quali, escludendo alcune posizioni dirigenziali conferite dalla Giunta regionale dal computo della dotazione organica, comporterebbero una deroga ai limiti percentuali, previsti dall’art. 19, comma 5-bis del d.lgs. n. 165 del 2001.
Le disposizioni impugnate lederebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, nonché l’art. 97, secondo comma, Cost.
12.− La questione è fondata.
13.− Con la sentenza n. 257 del 2016, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma di analogo contenuto della stessa Regione Molise (art. 44, comma 1, lettera b, della legge della Regione 4 maggio 2015, n. 8, recante «Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2015 in materia di entrate e spese. Modificazioni e integrazioni di leggi regionali», che ha introdotto l’art. 20-bis della legge della Regione Molise 23 marzo 2010, n. 10, recante «Norme in materia di organizzazione dell’amministrazione regionale e del personale con qualifica dirigenziale»).
La Corte ha ritenuto (punto 2.3. del Considerato in diritto) che la non computabilità di alcune posizioni nella complessiva dotazione organica regionale di dirigenti di prima fascia determini in ogni caso effetti negativi, sia di ordine finanziario, in relazione ai costi derivanti dalla retribuzione dei dirigenti interessati, sia riguardo ad un razionale assetto organizzativo realmente rispettoso delle previsioni normative in materia, e dunque produca, in definitiva, effetti negativi sul reale contenimento complessivo della spesa.
Inoltre, anche più di recente, con la sentenza n. 192 del 2019, la Corte nel richiamare la sentenza n. 105 del 2013, ha ribadito (punto 3.2.1. del Considerato in diritto) che i limiti percentuali al conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione, previsti dalla legislazione statale, «[…] riflettono […] l’esigenza di contenere entro limiti quantitativi ristretti simili deviazioni dalla regola generale che attiene al conferimento degli incarichi ai dirigenti inquadrati nei ruoli dell’amministrazione, “al fine di non vanificare, nei fatti, le esigenze tutelate dall’art. 97 Cost.” (sentenza n. 105 del 2013)».
13.1.− La Regione persevera, dunque, su di una strada dichiarata non percorribile da questa Corte, obbligandola ad un nuovo intervento, con il quale ribadire che le norme impugnate contrastano con entrambi i parametri costituzionali invocati dalla difesa dello Stato.
14.− Infine viene impugnato l’art. 32 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, che ha modificato l’art. 1 della legge della Regione Molise 7 agosto 2003, n. 25 (Norme per l’elaborazione e l’attuazione del Piano di gestione dei rifiuti), introducendo il comma 3-bis, secondo cui «La Regione persegue l’obiettivo di limitare nel proprio territorio lo smaltimento di rifiuti speciali di provenienza extra regionale, nel limite della percentuale del totale dei rifiuti, speciali e non, trattati nel territorio regionale, scelta dalla Giunta regionale dopo relazione della struttura tecnica. Il competente servizio regionale emana, a tal proposito, specifiche direttive».
14.1.− La norma sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto interverrebbe nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema», rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, nonché con l’art. 120, primo comma, Cost., per le limitazioni che comporterebbe alla libertà di circolazione tra le Regioni.
La difesa dello Stato richiama, quali norme statali interposte, gli artt. 182 e 182-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che prevedono divieti e limitazioni alla circolazione dei rifiuti fuori dal territorio regionale di produzione esclusivamente per i rifiuti urbani, e non già per i rifiuti speciali, per i quali la libera circolazione delle cose sul territorio nazionale è sempre ammessa.
Il divieto regionale contrasterebbe in particolare con il concetto di “rete integrata di impianti di smaltimento”, previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006 che presuppone: a) una possibilità di interconnessione tra i vari siti che vengono a costituire il sistema integrato; b) l’assenza di ostruzioni determinate da blocchi che impediscano l’accesso ad alcune sue parti (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 10 del 2009).
15.− La questione è fondata.
16.− In linea generale va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la disciplina dei rifiuti va ricondotta alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” […], materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali» (sentenza n. 289 del 2019 che richiama, ex multis, sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007 e n. 259 del 2004); e che con la sentenza n. 58 del 2015, si è poi chiarito che la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza n. 58 del 2015).
16.1.− In particolare, a proposito di analoga disposizione (contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Puglia 31 ottobre 2007, n. 29, recante «Disciplina per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, prodotti al di fuori della Regione Puglia, che transitano nel territorio regionale e sono destinati a impianti di smaltimento siti nella Regione Puglia»), questa Corte, con la sentenza n. 10 del 2009, ha ritenuto che essa fosse in contrasto con quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 182 del d.lgs. n. 152 del 2006 che, nel prevedere «una rete integrata ed adeguata di impianti», intende consentire «lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini ai luoghi di produzione o raccolta al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi».
Il divieto previsto dalla disciplina regionale in questione è pertanto incompatibile con le finalità e con lo stesso concetto di rete integrata, che esigono una possibilità di interconnessione tra i vari siti del sistema, in particolare privilegiando la vicinanza fra luogo di produzione e luogo di raccolta.
17.− Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con assorbimento dell’ulteriore censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 15, comma 2, lettere f) e g), e 16, comma 1, lettere f) e g), della legge della Regione Molise 10 maggio 2019, n. 4 (Legge di stabilità regionale 2019);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, lettera i), della legge reg. Molise n. 4 del 2019;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 15, comma 2, lettera h), e 16, comma 1, lettera b), della legge reg. Molise n. 4 del 2019;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge reg. Molise n. 4 del 2019;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Molise n. 4 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 81, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2020.