Sentenza n. 230 del 2017

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SENTENZA N. 230

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo                       GROSSI                                                         Presidente

- Giorgio                    LATTANZI                                                     Giudice

- Aldo                        CAROSI                                                                ”

- Marta                      CARTABIA                                                          ”

- Mario Rosario         MORELLI                                                             ”

- Giancarlo                CORAGGIO                                                         ”

- Silvana                    SCIARRA                                                             ”

- Daria                       de PRETIS                                                            ”

- Nicolò                     ZANON                                                                ”

- Augusto Antonio    BARBERA                                                           ”

- Giulio                      PROSPERETTI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del silenzio del Ministero dello sviluppo economico, in relazione alle note del Presidente della Regione Puglia n. 2918/SP del 21 giugno 2016 e n. 4060/SP del 21 settembre 2016, promosso dalla Regione Puglia con ricorso notificato il 16-29 dicembre 2016, depositato in cancelleria il 29 dicembre 2016 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra enti 2016.

Visti l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento della società Trans Adriatic Pipeline AG;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione Puglia, Fabio Cintioli per la società Trans Adriatic Pipeline AG e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 16-29 dicembre 2016 e depositato il 29 dicembre 2016, la Regione Puglia promuove conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di non spettanza allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – del «potere di negare, oltretutto con il mero strumento del silenzio giuridicamente rilevante, l’adozione degli atti necessari ad ottemperare a quanto statuito dalla sentenza […] n. 110 del 2016» della Corte costituzionale, «in relazione al procedimento che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione per il gasdotto TAP, in violazione delle attribuzioni regionali garantite dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché dal principio di leale collaborazione», chiedendo che venga adottata «ogni statuizione necessaria a garantire il ripristino della sfera delle attribuzioni costituzionali lese».

2.− Riferisce la ricorrente di aver espresso il proprio dissenso motivato sul progetto relativo alla costruzione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (d’ora in avanti TAP), con la deliberazione della Giunta regionale n. 2566 del 2 dicembre 2014 (DGR 2006/2011 - Diniego di intesa ex articolo 52 quinquies D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e ss.mm.ii. per l’opera “Metanodotto di importazione del gas naturale dall’Albania all’Italia ‘Trans Adriatic Pipeline’ proposto da TAP AG”), «con particolare riferimento alla scelta progettuale del punto di approdo a San Foca». A fronte di tale diniego il relativo procedimento era stato rimesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri e si era concluso con il rilascio da parte del Ministero dello sviluppo economico dell’autorizzazione alla costruzione del gasdotto, senza che fosse «mai stata intrapresa alcuna trattativa con la Regione per trovare una soluzione quanto più possibile condivisa».

2.1.− A questo riguardo, la ricorrente lamenta come sia stato «disatteso sia il consolidato orientamento» della Corte costituzionale, secondo cui «la c.d. “intesa forte” tra Stato e Regione interessata assurge a condizione di legittimità delle leggi statali con le quali sono avocate “al centro” funzioni amministrative ricadenti in ambiti di competenza concorrente […] o residuale regionale […], sia la normativa applicabile al caso di specie, ovvero gli articoli 52-quinquies, commi 2 e 5, d.P.R. n. 327 del 2001, e 1, comma 8-bis, l. n. 239 del 2004». Rispetto a tali profili, la Regione Puglia sottolinea di aver adito il giudice amministrativo, impugnando il provvedimento di autorizzazione alla realizzazione del progetto (giudizio pendente davanti al Consiglio di Stato al momento del deposito del ricorso).

2.2.− La difesa regionale richiama innanzitutto la sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale, con cui sarebbe stata chiarita la portata applicativa dell’art. 52-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che, nel prevedere l’intesa ai fini della localizzazione e della realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche per garantire l’adeguata partecipazione delle Regioni a procedimenti che incidono su molteplici competenze di queste ultime, si applicherebbe anche ai gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero. La sentenza n. 110 del 2016, inoltre, avrebbe specificato che la medesima intesa riguarda anche le operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse.

La Regione Puglia, a seguito di questa decisione, ha richiesto al Ministero dello sviluppo economico di «annullare/revocare il decreto di rilascio dell’Autorizzazione Unica alla realizzazione del gasdotto TAP», con la nota del Presidente della Regione n. 2918/SP del 21 giugno 2016, successivamente ribadita con la nota n. 4060/SP del 21 settembre 2016.

In ragione del silenzio mantenuto dal Ministero dello sviluppo economico a seguito delle diffide a riesaminare tutti gli atti del procedimento amministrativo e a revocare o annullare l’atto di autorizzazione («entro e non oltre il termine di trenta giorni dal ricevimento» della seconda diffida), secondo la difesa regionale dovrebbe «considerarsi ad oggi definitiva e inequivoca la volontà dello Stato di negare l’adozione degli atti sollecitati dalla Regione Puglia e necessari ad ottemperare alla sentenza n. 110 del 2016», ossia l’effettiva applicazione dell’art. 52-quinquies del d.P.R. n. 327 del 2001, come interpretato dalla Corte costituzionale, oltre che dell’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia).

In tale prospettiva, dunque, si sarebbe determinata la «grave lesione delle prerogative costituzionali della Regione garantite dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché presidiate dal principio di leale collaborazione».

2.3.− Ad avviso della difesa regionale, il conflitto sarebbe ammissibile poiché la condotta omissiva censurata è idonea a costituirne oggetto. In particolare, l’atto lesivo delle prerogative regionali consiste nell’«inerzia del Ministero dello sviluppo economico a fronte di una esplicita diffida […] ad ottemperare a quanto statuito» con la sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale. La condotta omissiva, ossia l’inerzia del Ministero, consisterebbe dunque in una forma di «silenzio “inadempimento”/“rifiuto”», cui riconoscere «indubbia rilevanza giuridica esterna», ben potendo «arrecare un grave vulnus alle […] attribuzioni costituzionali della Regione». A questo riguardo, la difesa regionale sottolinea che la richiesta avanzata dalla Regione Puglia nelle sue note di diffida non riguarderebbe «un’attività rientrante nella piena discrezionalità» del Ministero, ma la «corretta applicazione della legge, in ottemperanza a quanto statuito» dalla sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale.

Il ricorso sarebbe altresì ammissibile, dovendosi escludere che nel caso di specie la Regione Puglia lo abbia proposto contro atti consequenziali di atti anteriori non tempestivamente impugnati. L’inerzia e il silenzio del Ministero dello sviluppo economico, infatti, non troverebbero il proprio «presupposto nell’atto di autorizzazione alla realizzazione del gasdotto TAP, quest’ultimo non impugnato attraverso lo strumento del conflitto di attribuzioni». Invece, secondo la prospettiva della difesa regionale, la condotta omissiva del Ministero «rispetto ad una attività costituzionalmente vincolata assume natura e portata autonomamente lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia».

La ricorrente, da ultimo, sostiene l’interesse concreto e attuale al ricorso, ricordando che «il tracciato del metanodotto» attraversa il proprio territorio.

2.4.− Nel merito, la difesa regionale sostiene la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., oltre che del principio di leale collaborazione, in ragione del silenzio opposto dal Ministero dello sviluppo economico alla richiesta della Regione Puglia di riesaminare il procedimento di autorizzazione al fine di garantire l’acquisizione della cosiddetta intesa forte, come avrebbe stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 110 del 2016.

Il procedimento di autorizzazione del gasdotto TAP, infatti, sarebbe «il frutto dell’esercizio di una funzione amministrativa ascrivibile alle materie di legislazione concorrente [“]Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e “Governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., attratta in sussidiarietà a livello statale, in forza dell’art. 118, primo comma, Cost.». Di conseguenza si renderebbero necessarie, nell’esercizio delle relative funzioni, forme di collaborazione «“forti”, ovvero le intese» (a questo proposito si richiama la sentenza n. 303 del 2003).

Proprio per dare attuazione a tali principi, l’art. 52-quinquies, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede che per l’autorizzazione alla costruzione delle infrastrutture energetiche lineari sia necessario acquisire l’intesa con la Regione interessata. In caso di mancato raggiungimento della stessa, l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 predispone una specifica procedura. In particolare, si prevede, fra gli altri casi, che laddove manchi la definizione dell’intesa, il Ministero dello sviluppo economico inviti le amministrazioni regionali interessate a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, decorso il quale il Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri che, entro sessanta giorni, provvede in merito con la partecipazione della Regione.

La difesa regionale ricorda che il decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) ha modificato il citato art. 52-quinquies nel senso di ampliare la portata applicativa del suo secondo comma (estendendola anche alle autorizzazioni dei gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero, incluse le operazioni preparatorie necessarie ai progetti e le relative opere connesse), omettendo, però, di rendere applicabile espressamente a tali infrastrutture la disciplina di cui al quinto comma (relativa all’adozione dell’intesa con la Regione interessata).

Rispetto a tale omissione, ricorda la ricorrente, sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale, definite dalla sentenza n. 110 del 2016, con cui la Corte costituzionale ha chiarito la portata applicativa della disposizione. In particolare, secondo la difesa regionale, la Corte avrebbe riconosciuto che essa è applicabile anche ai gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero, con conseguente necessità di adottare l’atto conclusivo d’intesa con la Regione interessata.

La difesa della Regione Puglia, dunque, concede che fino all’adozione della citata sentenza n. 110 del 2016 (e, quindi, al momento del rilascio dell’autorizzazione alla costruzione del gasdotto TAP) «non era affatto pacifico che l’intesa “forte” di cui all’art. 52-quinquies, comma 5, d.P.R. n. 327 del 2001 […], fosse applicabile anche ai procedimenti autorizzatori concernenti i gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero e dovesse essere acquisita anche in riferimento alla fase relativa alle [“]operazioni preparatorie necessarie alla redazione dei progetti e le relative opere connesse[”]». Inoltre, non era parimenti «pacifico che ai medesimi procedimenti fosse applicabile la speciale procedura di superamento dell’eventuale dissenso regionale di cui all’art. 1, comma 8-bis, l. n. 239 del 2004».

A seguito della sentenza n. 110 del 2016, invece, secondo la difesa regionale, è da ritenersi erronea l’applicazione al procedimento in oggetto della procedura di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in luogo di quella delineata all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 («erronea applicazione tempestivamente contestata dinanzi al giudice amministrativo»), in ciò concretandosi la lesione della sfera di attribuzioni costituzionali della Regione e del principio di leale collaborazione.

3.− Si è costituito nel giudizio, con atto depositato il 30 gennaio 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, in ogni caso, infondato.

3.1.− Rileva innanzitutto l’Avvocatura generale dello Stato che il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per tardività. In particolare, non sarebbe stato rispettato il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Oggetto del ricorso, infatti, sarebbe dovuto essere la «prima manifestazione estrinseca e chiara della volontà statale di attribuirsi la titolarità del potere, e non già il silenzio successivo del Ministero dello sviluppo economico», ossia il provvedimento di autorizzazione alla realizzazione del gasdotto TAP.

Secondo la difesa statale, la tardività del ricorso andrebbe riconosciuta anche laddove si volesse «eventualmente concedere» che la consapevolezza della Regione intorno alla lesione delle proprie prerogative sia sorta solo a seguito della sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale. Anche in questo caso, infatti, il termine di sessanta giorni non sarebbe stato rispettato, dovendo decorrere dalla data di deposito della stessa decisione. Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, peraltro, sarebbe stato comunque necessario impugnare l’atto di autorizzazione del metanodotto TAP, «in quanto atto iniziale lesivo».

3.2.− L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il ricorso sia, in ogni caso, infondato.

In primo luogo, oggetto di contestazione da parte della Regione Puglia è la «sussistenza o meno, al momento dell’adozione dell’autorizzazione, delle condizioni “concrete” per procedere ai sensi dell’art. 52-quinquies, comma 5», del d.P.R. n. 327 del 2001.

Tale questione, sottolinea la difesa statale, è stata oggetto di giudizio davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha rigettato il ricorso della Regione Puglia per l’annullamento dell’atto di autorizzazione alla costruzione del gasdotto TAP con la sentenza 17 febbraio 2016, n. 2108, rilevando che la legge n. 239 del 2004 ha previsto all’art. 1, comma 8-bis, una specifica disciplina per i procedimenti di autorizzazione delle infrastrutture lineari energetiche che fanno parte delle reti nazionali, sostituendo espressamente il comma sesto dell’art. 52-quinquies del d.P.R. n. 327 del 2001 (a questo proposito viene citata la sentenza n. 239 del 2013 della Corte costituzionale, con la quale, secondo la difesa statale, si sarebbe chiarito che il comma 8-bis del citato art. 1 «disciplina le forme di inerzia che provocano un blocco procedimentale con indubbio pregiudizio per il principio di leale collaborazione e per il buon andamento dell’azione amministrativa»).

L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che tale disciplina non sia applicabile al caso di specie, poiché la Regione Puglia ha manifestato espressamente il proprio dissenso rispetto alla costruzione del gasdotto TAP, e che il Ministero dello sviluppo economico abbia correttamente applicato la «normativa generale sull’attività amministrativa, attivando la procedura prevista per il superamento dei dissensi in caso di “intesa forte” disciplinata dall’art. 14-quater, comma 3», della legge n. 241 del 1990.

A ulteriore conforto di simile ricostruzione, la difesa statale ritiene, sempre richiamando la sentenza n. 2108 del 2016 del TAR del Lazio, che la procedura prescelta non abbia provocato alcuna lesione delle prerogative regionali, assicurando «una trattativa più intensa (in quanto suddivisa in tre fasi) ed una partecipazione ancora maggiore dell’ente dissenziente», rispetto a quanto previsto all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004.

A fronte di tali considerazioni, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale non sembrerebbe incidere per nulla sulla vicenda in esame, non comportando una nuova interpretazione della disciplina di riferimento che conduca a ritenere lesivi della sfera di attribuzioni costituzionali della Regione e del principio di leale collaborazione né il provvedimento di autorizzazione né il mancato annullamento o revoca di quest’ultimo.

4.− È intervenuta nel giudizio, con atto depositato il 6 febbraio 2017, la società Trans Adriatic Pipeline AG, chiedendo che la Corte costituzionale «dichiari inammissibile ovvero, in subordine, respinga il ricorso», previo riconoscimento dell’ammissibilità del proprio atto di intervento.

4.1.− La società interveniente si sofferma, in via preliminare, sull’ammissibilità dell’intervento, richiamando l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui i soggetti terzi potrebbero partecipare al giudizio per conflitto laddove gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio comune di cui siano parti e la decisione della Corte costituzionale possa condizionare l’esito di tale giudizio «che si è svolto o che si sarebbe dovuto svolgere».

Dopo aver sottolineato che la propria posizione giuridica soggettiva si fonda sul provvedimento di autorizzazione alla costruzione del gasdotto TAP, che la Regione Puglia mirerebbe ad annullare attraverso il conflitto di attribuzione, la società Trans Adiatic Pipeline AG ritiene che la Regione «avrebbe dovuto agire in un giudizio comune contro il silenzio dello Stato ai sensi dell’art. 31 e [dell’art.] 117 del codice del processo amministrativo ed avrebbe dovuto, sotto pena di inammissibilità, notificare il ricorso anche a TAP quale contraddittore necessario».

La società Trans Adriatic Pipeline AG, inoltre, ricorda che risulta pendente (al momento del deposito dell’atto di intervento) il giudizio davanti al Consiglio di Stato, «relativo alla legittimità dell’Autorizzazione Unica, nel quale si discute del corretto espletamento della fase di svolgimento della leale collaborazione», per concludere che il conflitto promosso dalla Regione «mira a travolgere e/o comunque incidere negativamente sulla posizione soggettiva di TAP» e «a rendere inutile il giudizio che si sta svolgendo davanti al Consiglio di Stato».

4.2.− La società Trans Adriatic Pipeline AG sostiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per due motivi.

4.2.1.− In primo luogo, per far valere l’asserita lesione delle sue prerogative costituzionali, la Regione Puglia avrebbe dovuto sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del provvedimento che autorizza la costruzione del gasdotto TAP, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla sua adozione. L’impugnazione del successivo silenzio tenuto dal Ministero dello sviluppo economico, dunque, mirerebbe a «ottenere una impropria riapertura del termine per proporre il conflitto».

Alla sentenza n. 110 del 2016 della Corte costituzionale non si potrebbe, in ogni caso, attribuire alcun rilievo per il caso di specie, poiché essa non ha modificato il quadro normativo di riferimento. Ancora prima di questa decisione, infatti, era già chiaro, secondo la difesa della società interveniente, come fosse necessaria l’intesa forte con la Regione interessata. Una volta intervenuto il diniego espresso da parte di quest’ultima, correttamente si è dato avvio alla procedura per il suo superamento, attraverso la rimessione degli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

A conforto di simile ricostruzione, l’interveniente richiama la sentenza n. 2108 del 2016 del TAR del Lazio, che avrebbe affermato la correttezza della decisione del Ministero dello sviluppo economico di applicare la disciplina generale sull’attività amministrativa di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.

4.2.2.− In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile poiché con esso si censura una condotta omissiva del Ministero dello sviluppo economico. Richiamando in particolare la sentenza n. 276 del 2007 della Corte costituzionale, la difesa dell’interveniente afferma che il conflitto nei confronti di condotte omissive è ammissibile «solo laddove l’inerzia oggetto di contestazione riguardi un’attività vincolata nell’an e nel quando», mentre, laddove le attività rientrino nella sfera di discrezionalità garantite all’amministrazione, «nessuna lesione può derivare dalla mera inattività».

In questa prospettiva, in capo al Ministero dello sviluppo economico non poteva delinearsi alcun obbligo di dare riscontro alle istanze della Regione Puglia. Innanzitutto, «le sentenze di rigetto della Corte costituzionale non hanno, per definizione, effetti vincolanti, né soprattutto il contenuto della sentenza era tale da creare qualsivoglia vincolo a carico dello Stato». Inoltre, alle istanze regionali dovrebbe assegnarsi una «mera funzione sollecitatoria e non vincolante», senza alcun obbligo per l’amministrazione di provvedervi.

4.3.− Il ricorso, secondo la difesa dell’interveniente, sarebbe in ogni caso infondato.

A questo proposito, si sottolinea che la Regione Puglia ha «preso parte a tutte le fasi del procedimento autorizzativo del gasdotto TAP, ivi incluse le tre riunioni tenutesi dinnanzi alla Presidenza del Consiglio nella fase conclusiva del procedimento, volte a cercare di superare il diniego all’intesa manifestato dalla Regione stessa».

Tale circostanza dimostrerebbe come «lo Stato si sia impegnato con ogni possibile sforzo nella ricerca dell’intesa con la Regione», nel rispetto dei requisiti imposti dall’intesa «di tipo “forte”». Il dissenso regionale, quindi, potrebbe essere superato a fronte di «un articolato percorso procedimentale e anche a fronte della reiterazione delle trattative» laddove «si ravvisi un atteggiamento […] di precostituito e non negoziabile rifiuto non rispondente al principio della leale collaborazione».

5.− In vista dell’udienza, in data 18 settembre 2017, la difesa della Regione Puglia ha depositato ulteriore memoria, richiamando le proprie precedenti osservazioni e replicando ai rilievi dell’Avvocatura generale dello Stato e della società Trans Adriatic Pipeline AG.

Considerato in diritto

1.– La Regione Puglia ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di non spettanza allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – del «potere di negare, oltretutto con il mero strumento del silenzio giuridicamente rilevante», l’adozione degli atti necessari ad ottemperare a quanto statuito dalla sentenza n. 110 del 2016 di questa Corte, in relazione al procedimento che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione per il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (d’ora in avanti TAP).

Il silenzio serbato dal Ministero avrebbe determinato la violazione delle attribuzioni regionali garantite dagli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché dal principio di leale collaborazione, e la Regione Puglia chiede pertanto che venga adottata «ogni statuizione necessaria a garantire il ripristino della sfera delle attribuzioni costituzionali lese».

Ritiene, in particolare, la ricorrente che tali attribuzioni siano state incise dal silenzio mantenuto dal Ministero dello sviluppo economico a seguito delle due note di diffida del 21 giugno 2016 e del 21 settembre 2016, con le quali la Regione ha chiesto allo stesso Ministero di riesaminare la procedura per l’adozione del provvedimento di autorizzazione alla costruzione del gasdotto TAP e, conseguentemente, di annullare o revocare quest’ultimo.

Nella prospettiva della difesa regionale, le ragioni del sollevato conflitto si ricaverebbero dalla sentenza n. 110 del 2016 di questa Corte, dalla quale si evincerebbe la necessità di pervenire all’intesa con le Regioni interessate anche per la costruzione dei gasdotti di importazione di gas dall’estero, mentre, nel caso di specie, il provvedimento di autorizzazione alla realizzazione del gasdotto TAP sarebbe stato rilasciato, secondo la ricorrente, in assenza d’intesa con la Regione Puglia.

2.– Come deciso con ordinanza dibattimentale letta all’udienza pubblica del 10 ottobre 2017, deve essere dichiarato ammissibile l’intervento spiegato nel giudizio dalla società Trans Adriatic Pipeline AG.

Nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti, di regola, non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi (ordinanze allegate alle sentenze n. 380 e n. 222 del 2007), ma non può escludersi che l’oggetto del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di terzi, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono dall’esito dello stesso (ordinanza allegata alla sentenza n. 195 del 2007).

Nel caso di specie, la società Trans Adriatic Pipeline AG è stata parte del giudizio amministrativo avente a oggetto il provvedimento di autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico del 20 maggio 2015 alla costruzione del gasdotto TAP.

Poiché il ricorso per conflitto della Regione Puglia mira in definitiva a incidere su tale provvedimento, l’esito dell’odierno giudizio è suscettibile di ripercuotersi sulla posizione giuridica soggettiva della società, la quale si fonda proprio su quel provvedimento, in base all’assetto giuridico da quest’ultimo determinato e rimasto inalterato a seguito della definizione del giudizio amministrativo di cui la società stessa è stata parte.

Per consentire alla società Trans Adriatic Pipeline AG di far valere le sue ragioni davanti a questa Corte, il suo atto d’intervento deve essere pertanto dichiarato ammissibile.

3.– In via preliminare, è necessario precisare che la sentenza n. 110 del 2016 di questa Corte è male invocata dalla Regione ricorrente.

Dichiarando non fondata una questione proposta in via principale da alcune Regioni, tale sentenza ha chiarito, in via d’interpretazione, che anche ai gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero, in quanto infrastrutture lineari energetiche, si applica l’art. 52-quinquies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), il quale prevede che l’atto conclusivo del procedimento di autorizzazione alla costruzione di ogni infrastruttura lineare energetica sia adottato d’intesa con le Regioni interessate.

La sentenza non ha modificato in alcun modo il quadro normativo entro il quale è stato adottato, in data 20 maggio 2015, il provvedimento di autorizzazione alla realizzazione del gasdotto TAP. Per tale ragione, da essa non poteva conseguire, come invece asserito dalla ricorrente, alcun obbligo in capo al Ministero dello sviluppo economico di adottare «atti necessari ad ottemperare a quanto statuito dalla sentenza».

D’altra parte, l’interpretazione assunta in tale pronuncia con riferimento alla necessità dell’intesa non ha riguardato in alcun modo la scelta delle procedure necessarie in caso di mancata definizione della stessa, a seconda che sia determinata da un dissenso espresso oppure da una mera inerzia regionale; mentre il ricorso per conflitto della Regione sembra proprio lamentare, in definitiva, che la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionali sia dipesa dalla violazione della corretta procedura da applicare in caso di mancato raggiungimento dell’intesa; profilo, quest’ultimo, che nel caso di specie ha costituito oggetto del giudizio amministrativo concluso dalla sentenza del Consiglio di Stato del 27 marzo 2017, n. 1392.

4.– Ciò affermato in via preliminare, il conflitto è inammissibile.

Non è in discussione, in astratto, l’ammissibilità di ricorsi per conflitto di attribuzione aventi ad oggetto condotte omissive, laddove esse siano realmente idonee a produrre un’immediata violazione o menomazione di attribuzioni costituzionali (sentenze n. 276 del 2007, n. 187 del 1984, n. 111 del 1976).

Tale idoneità lesiva è tuttavia assente laddove l’inerzia dell’amministrazione a fronte di un’istanza ad essa rivolta possa essere interpretata solo come una mancata risposta ad una sollecitazione non vincolante e non come un comportamento omissivo concludente volto a negare attribuzioni costituzionali (sentenza n. 276 del 2007).

È ciò che è accaduto nel caso di specie, in cui il silenzio sulle istanze regionali non è significativo, non potendosi attribuire ad esso idoneità lesiva.

Il conflitto, pertanto, è inammissibile perché difetta dei necessari requisiti di attualità e originarietà, mirando in sostanza, come correttamente eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, a superare la mancata impugnazione del provvedimento di autorizzazione (adottato in data 20 maggio 2015) alla realizzazione del gasdotto TAP, unico atto potenzialmente lesivo delle attribuzioni regionali.

La Regione Puglia, a questo riguardo, sostiene di non aver potuto tempestivamente impugnare tale provvedimento con ricorso per conflitto di attribuzione, poiché la consapevolezza della lesione delle proprie prerogative sarebbe intervenuta solo a seguito della ricordata sentenza n. 110 del 2016 di questa Corte (depositata il 20 maggio 2016), nonché a fronte del silenzio del Ministero dello sviluppo economico rispetto alle due diffide e, in particolare, a seguito della scadenza del termine per provvedere indicato nella seconda di queste. Dal silenzio del Ministero la Regione avrebbe dedotto in via «definitiva e inequivoca» la volontà dello Stato di negare l’adozione degli atti sollecitati, ritenuti necessari ad ottemperare alla sentenza n. 110 del 2016.

Si è già chiarito che il richiamo a quest’ultima è inconferente.

Ma anche a voler concedere che l’interesse a ricorrere sia sorto in capo alla Regione solo a seguito del deposito della sentenza più volte citata, cionondimeno la Regione avrebbe dovuto impugnare l’atto di autorizzazione alla costruzione del gasdotto TAP.

Pertanto, come da costante giurisprudenza di questa Corte, il conflitto è inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Puglia, con il ricorso in epigrafe, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al silenzio del Ministero dello sviluppo economico tenuto a seguito delle note del Presidente della Regione Puglia n. 2918/SP del 21 giugno 2016 e n. 4060/SP del 21 settembre 2016.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2017.

Allegato:

Ordinanza letta all’udienza del 10 ottobre 2017