SENTENZA N. 222
ANNO 2007
Fabio Corvaja
Abrogazione di legge regionale a mezzo di regolamento statale e conflitto di attribuzioni
(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del T.A.R. Veneto 21 aprile 2005, n. 1735, promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 20 giugno 2005 e il 14 aprile 2007, depositato in cancelleria il 27 giugno 2005 ed il 19 aprile 2007 ed iscritto al n. 22 del registro conflitti tra enti 2005.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché l’atto di intervento di Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c.;
udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Primo Michielan e Salvatore Di Mattia per Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c., Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Con ricorso notificato il 20 giugno 2005 e depositato il successivo 27 giugno, la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza del T.A.R. Veneto 21 aprile 2005, n. 1735, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
1.1. – Con la citata sentenza il T.A.R. Veneto ha deliberato in merito a due distinti ricorsi proposti dalla Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c., per l’annullamento, con il primo, del provvedimento dirigenziale di diniego della concessione edilizia e della delibera consiliare di adozione della variante generale al P.R.G. del Comune di Schio e, con il secondo, del provvedimento dirigenziale di diniego del permesso di costruire.
La ricorrente ricostruisce, in via preliminare, le vicende che hanno originato il giudizio amministrativo, evidenziando come la società Panizzon Bruno e F.lli, proprietaria di un lotto di terreno edificabile nel Comune di Schio, abbia presentato istanza per il rilascio di concessione edilizia. Tale richiesta, però, è stata respinta dal dirigente del servizio edilizia privata in quanto l’area della lottizzazione, attraversata da un elettrodotto, risulta compresa nella fascia di rispetto (come individuata dalla cartografia di cui alla variante generale al P.R.G., nel frattempo approvata dal Comune di Schio) e risultano superati i limiti di induzione magnetica, stabiliti dalla legge della Regione Veneto 30 giugno 1993, n. 27 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti).
La società ha proposto, pertanto, un primo ricorso avverso il provvedimento dirigenziale di diniego e la delibera consiliare di adozione della variante generale al P.R.G., sostenendo che la legge regionale n. 27 del 1993 dovrebbe ritenersi implicitamente abrogata – in virtù dell’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali) – a seguito dell’entrata in vigore della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
A parere della società proprietaria del fondo, infatti, i valori limite più restrittivi contenuti nella normativa regionale non possono trovare applicazione, poiché in contrasto sia con la legge quadro n. 36 del 2001 sia con il d.P.C.m. 23 aprile 1992 [Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno], che, ai sensi dell’art. 16 della citata legge n. 36 del 2001, si applicava fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), della legge n. 36 del 2001.
Nell’ipotesi in cui le disposizioni della legge della Regione Veneto non fossero state ritenute abrogate, la difesa della società ricorrente ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge regionale n. 27 del 1993 per violazione dell’art. 117 Cost., conseguente al contrasto con i principi fondamentali di cui alla legge n. 36 del 2001.A seguito dell’entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003 [Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti], la società proprietaria dell’area ha presentato una nuova richiesta di permesso di costruire, anch’essa rigettata.
Avverso quest’ultimo provvedimento di diniego la Panizzon Bruno e F.lli s.n.c. ha proposto un secondo ricorso, con il quale sono state richiamate le osservazioni svolte con il primo in riferimento all’avvenuta abrogazione della legge regionale da parte della legge n. 36 del 2001 e della normativa regolamentare di attuazione.
1.2. – Con la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 – oggetto dell’odierno conflitto – il T.A.R. Veneto ha respinto il primo ed accolto il secondo dei ricorsi proposti.
In merito al primo ricorso, il giudice amministrativo ha ritenuto che, nel periodo precedente l’entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003, la legge regionale n. 27 del 1993 fosse ancora vigente, non «essendosi ancora completata la disciplina introdotta dalla legge quadro statale» e pertanto ha rigettato il ricorso medesimo.
Quanto invece al secondo ricorso, il T.A.R., a seguito dell’entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003, recante norme di attuazione della legge n. 36 del 2001, ha fatto applicazione della normativa nazionale, in quanto la pregressa legislazione regionale doveva ritenersi implicitamente abrogata in virtù del «principio generale di cui all’art. 10 della legge n. 62 del 1953».
1.3. – La Regione Veneto ritiene che, affermando l’abrogazione della normativa regionale, il T.A.R. abbia operato «uno sconfinamento assoluto dalla giurisdizione, in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.» e, pertanto, abbia leso l’autonomia regionale.
Secondo l’odierna ricorrente, il giudice amministrativo avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993 e «non decidere i ricorsi semplicemente dichiarando l’abrogazione, come invece ha fatto». La Regione aggiunge che «nel quadro dei principi del nostro sistema costituzionale risulta assolutamente paradossale che un Tribunale amministrativo regionale possa dichiarare abrogata una legge regionale in vigore a seguito dell’emanazione di un d.P.C.m., atto di natura regolamentare, per quanto attuativo della legge quadro della materia».
A suo dire, inoltre, l’obbligo per le Regioni – sancito nell’art. 4, comma 5, della legge n. 36 del 2001 – di adeguare la propria legislazione ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art. 4, «esclude che l’antinomia creatasi tra fonti possa risolversi con l’implicita abrogazione della legislazione regionale».
1.4. – La Regione ricorrente, in ogni caso, contesta che l’art. 10 della legge n. 62 del 1953 sia ancora in vigore. La disposizione in parola, richiamata dal T.A.R. Veneto per giustificare l’abrogazione della legge regionale n. 27 del 1993, stabilisce che «Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse».
La Regione Veneto, dopo aver sottolineato che il citato art. 10 della legge n. 62 fa discendere l’abrogazione della normativa regionale unicamente dall’entrata in vigore di disposizioni di rango legislativo e non già regolamentare, osserva che tale norma «appare certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione a seguito delle modifiche operate con la legge costituzionale n. 3 del 2001 e con la normativa ordinaria di adeguamento».
In particolare la ricorrente, richiamando le sentenze n. 282 del 2002 e nn. 201 e 353 del 2003 della Corte costituzionale, sottolinea come la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione abbia accentuato la distinzione fra la competenza regionale a legiferare nelle materie di potestà concorrente e la competenza statale a determinare i principi fondamentali della disciplina.
La Regione ricorda, inoltre, che la legge n. 131 del 2003 non ha riprodotto il testo dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, né vi ha fatto rinvio in alcuna delle sue disposizioni. Anzi, quando la stessa legge n. 131 ha voluto stabilire limiti all’applicazione della normativa regionale a seguito dell’entrata in vigore della competente legislazione statale, lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2 dell’art. 1, relativo alle materie appartenenti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Per queste ragioni, la ricorrente ritiene che l’art. 10 della legge n. 62 del 1953 debba ritenersi abrogato «a seguito dell’introduzione del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a partire dall’entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che ha ridisciplinato la materia». Da quanto detto discenderebbe che il T.A.R. Veneto «non aveva il potere di ritenere abrogata la normativa regionale» e che, pertanto, «avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale».
La Regione conclude chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato, e nel caso specifico al T.A.R. Veneto, ritenere implicitamente abrogata la legge regionale n. 27 del 1993, e, di conseguenza, annullare la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.
In subordine, qualora non si dovesse ritenere abrogato l’art. 10 della legge n. 62 del 1953, la difesa regionale chiede che la Corte sollevi avanti a se stessa questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 10 della legge n. 62 del 1953 per contrasto con gli artt. 5, 114 e 117 Cost.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
2.1. – La difesa erariale, preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità del ricorso perché reputa inconferenti tutti i parametri costituzionali evocati dalla Regione. Al riguardo, il resistente osserva che la sentenza del T.A.R. Veneto, per ledere una attribuzione regionale, avrebbe dovuto «andare al di là quanto meno del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, sennonché nel ricorso non viene richiamata nessuna norma o nessun principio che attenga alla giurisdizione».
L’Avvocatura dello Stato rileva, inoltre, che, in virtù del principio dispositivo, la decisione del giudice amministrativo doveva intervenire solo sui motivi di ricorso; pertanto, poiché nel caso specifico quest’ultimo era fondato sull’avvenuta abrogazione della norma regionale e la parte interessata non ha chiesto che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale, il giudice non era tenuto a proporla d’ufficio.
Il resistente aggiunge che, comunque, la sentenza del T.A.R. Veneto «non comporta la perdita di efficacia definitiva e generale della legge regionale, che come atto legislativo mantiene integra la sua struttura»; pertanto, in un altro giudizio, il giudice investito «potrà dichiarare la norma regionale tuttora in vigore o, sul presupposto del suo vigore, sottoporla alla verifica di costituzionalità da parte di codesta Corte».
In merito all’art. 10 della legge n. 62 del 1953, la difesa erariale osserva che si tratta di «una legge ordinaria che non può produrre effetti in un rapporto integralmente disciplinato dalla Costituzione. In ogni caso, la norma è destinata ad operare attraverso la valutazione dei singoli giudici, vale a dire attraverso lo strumento del giudicato». Il giudice di secondo grado, infatti, potrebbe non ritenere abrogata la norma regionale o decidere di sollevare la questione di costituzionalità. Per queste ragioni l’Avvocatura dello Stato ritiene inammissibile il conflitto.
2.2. – In subordine, la difesa statale contesta la fondatezza del conflitto.
A tal fine osserva che, se fosse accolto il ricorso, si produrrebbero delle conclusioni inaccettabili. Il conflitto di attribuzioni potrebbe, infatti, essere sollevato anche quando la questione di costituzionalità fosse dichiarata manifestamente infondata dal giudice di merito, trasformando così la Corte costituzionale in «una sorta di giudice di seconda istanza» che opera «su richiesta di un terzo estraneo al giudizio».
Secondo l’Avvocatura, quanto detto rende ancor più evidente come «non possa radicarsi un conflitto di attribuzioni su di una sentenza intervenuta in un giudizio in cui i poteri decisori del giudice sono limitati dalla domanda o dai motivi del ricorso». Ragionando diversamente, il conflitto si trasformerebbe in un improprio strumento di sindacato e di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale.
3. – In data 18 agosto 2005 ha depositato atto di intervento la società Panizzon Bruno e F.lli, chiedendo che sia dichiarata «l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso».
Quest’ultimo, a parere dell’interveniente, «si risolve in un’inammissibile – in questa sede – censura di pretesi errori commessi da un organo giurisdizionale nell’esercizio di una funzione sicuramente compresa nella sua competenza».
Pertanto, contestando lo sconfinamento assoluto di giurisdizione, la Regione Veneto avrebbe «sostanzialmente censurato i poteri dell’organo giurisdizionale attribuiti dalla legge». Questa prospettazione, a detta della società interveniente, si tradurrebbe «in una censura alle norme regolatrici della giurisdizione», rilevabile nel giudizio amministrativo concluso con l’impugnata sentenza del T.A.R. Veneto.
4. – La Regione Veneto, nelle date del 19 e del 30 aprile 2007, ha depositato copie dell’atto introduttivo e della sentenza impugnata, notificate al Presidente del T.A.R. Veneto ai sensi dell’art. 27, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
5. – In prossimità della data fissata per l’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste per l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, dopo aver ribadito l’inconferenza dei parametri di cui agli artt. 5, 101, 114 e 134 Cost., osserva che «rilevante in linea di principio è solo l’art. 117 Cost. che, peraltro, in concreto non risulta applicabile». A questo riguardo, si sottolinea come l’art. 117 Cost. possa essere evocato come parametro solo se la competenza legislativa della Regione è violata da una legge statale. Al contrario, nel caso di specie si discute di un atto di esercizio della funzione giurisdizionale; pertanto, la sentenza «in quanto destinata a produrre effetti solo tra le parti e nei limiti della materia del contendere, come definita dalle domande e dalle eccezioni da esse proposte, non può incidere in nessun modo sulla potestà normativa dei soggetti che hanno emanato le norme applicate, tanto meno quando quelle norme hanno forma legislativa».
In definitiva, la difesa erariale ritiene che l’obiettivo della Regione, con il ricorso in esame, sia quello di «porre rimedio ad errori di giudizio di diritto sostanziale o processuale, eludendo i mezzi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni».
6. – Ha depositato una memoria integrativa anche la società Panizzon Bruno e F.lli, la quale dà notizia che il Consiglio di Stato, sez. IV, con l’ordinanza n. 4509 del 27 settembre 2005, ha respinto la richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza 21 aprile 2005, n. 1735, avanzata dalla Regione Veneto.
6.1. – Con riferimento all’ammissibilità del proprio intervento nel giudizio per conflitto di attribuzione, la società in questione rileva che «dall’accoglimento o meno del proposto conflitto deriva la conservazione o meno della citata sentenza e quindi del presupposto diritto o meno ad agire in sede giurisdizionale amministrativa a tutela dell’interesse legittimo ad edificare, leso da diniego comunale».
L’interveniente è consapevole della giurisprudenza costituzionale che ritiene precluso l’intervento, nel giudizio per conflitto di attribuzione, di soggetti diversi da quelli legittimati a proporre il ricorso, nella misura in cui detta giurisprudenza appare intesa a salvaguardare il tono costituzionale dei conflitti affidati al giudizio della Corte ed a far sì che questi non mettano capo a controversie di diritto comune. Nondimeno, la società Panizzon Bruno e F.lli ritiene che l’esigenza di tutela del contraddittorio debba essere riaffermata anche nel presente giudizio, in quanto l’accoglimento del ricorso potrebbe compromettere l’azione giurisdizionale intrapresa a tutela di un interesse legittimo. In questo senso, l’interveniente richiama quanto affermato da questa Corte nelle sentenze n. 76 del 2001 e nn. 312 e 89 del 2006.
6.2. – La menzionata società ribadisce, inoltre, l’inammissibilità del ricorso che, a suo dire, si tradurrebbe in uno strumento atipico di impugnazione della sentenza 21 aprile 2005, n. 1735, del T.A.R. Veneto.
Nel merito, l’interveniente ritiene che non sia configurabile alcuno sconfinamento di giurisdizione nella sentenza in parola, in quanto rientra nell’ambito della competenza del giudice amministrativo l’accertamento dell’effetto abrogativo.
6.3. – Infine, l’inammissibilità del ricorso è dedotta anche in virtù delle norme sull’interpretazione e sull’applicazione della legge. In particolare, la società rileva come il T.A.R. Veneto, con la sentenza più volte citata, non abbia operato «alcuna invasione generale» della sfera di competenza regionale, essendosi limitato ad applicare la norma al caso concreto.
7. – Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Veneto eccepisce, anzitutto, l’inammissibilità dell’atto di intervento della società Panizzon Bruno e F.lli.
Dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia, la ricorrente osserva come la pronuncia che la Corte costituzionale adotterà a conclusione del presente giudizio non sia comunque idonea «ad incidere sulla possibilità che il giudizio amministrativo […] abbia luogo».
La Regione deduce, inoltre, l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa erariale, in quanto il ricorso non sarebbe diretto a censurare la commissione di errores in iudicando – come sostenuto dal resistente – ma «lo sconfinamento assoluto dalla giurisdizione operato dal Tribunale amministrativo regionale». La ricorrente non contesta «la possibilità in astratto» da parte di un giudice di ritenere abrogata una disposizione di legge, ma ne contesta «la possibilità in concreto, in relazione cioè al particolare rapporto tra fonti statali e regionali e al loro succedersi nel tempo nella fattispecie in oggetto».
A parere della difesa regionale, altrettanto infondata sarebbe l’affermazione dell’Avvocatura generale secondo cui la Regione denuncerebbe impropriamente la lesione dell’art. 117 Cost., non venendo in contestazione la potestà legislativa regionale. A questo proposito, la ricorrente rileva che il conflitto di attribuzione tra lo Stato e le Regioni avente ad oggetto gli atti giurisdizionali è solo formalmente un conflitto tra enti, trattandosi sostanzialmente di un conflitto tra poteri, in particolare tra il legislativo e il giudiziario.
La difesa regionale conclude ribadendo quanto già affermato nell’atto introduttivo del conflitto in merito sia all’avvenuta abrogazione dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, sia all’impossibilità di risolvere in termini di abrogazione il contrasto tra una legge regionale e la sopravvenuta legge statale contenente nuovi principi fondamentali.
Considerato in diritto1. – Con ricorso notificato il 20 giugno 2005 e depositato il successivo 27 giugno, la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto 21 aprile 2005, n. 1735, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
2. – Con ordinanza letta nella pubblica udienza del 22 maggio 2007 e allegata alla presente sentenza, è stato dichiarato inammissibile l’intervento spiegato nel giudizio dalla Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c., in quanto, sebbene la menzionata società fosse parte nel procedimento giudiziario definito con la sentenza posta ad oggetto del conflitto, la pronuncia di questa Corte non è suscettibile di incidere sulla definitiva affermazione o negazione dello stesso diritto della parte interveniente di agire nel giudizio comune.
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – La Regione ricorrente lamenta che il Tribunale amministrativo regionale del Veneto abbia dichiarato l’abrogazione della legge regionale 30 giugno 1993 n. 27 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti) per effetto dell’entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003 [Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti], recante norme di attuazione della legge 22 febbraio 2001 n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
L’effetto abrogativo rilevato dal giudice amministrativo deriverebbe – secondo la sentenza impugnata per conflitto di attribuzione – dall’art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), nel quale è stabilito che le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente abrogano le leggi regionali che siano in contrasto con esse.
Nel dichiarare il suddetto effetto abrogativo, il T.A.R. del Veneto non ha fatto altro che esercitare un potere strettamente inerente alla funzione giurisdizionale, che consiste nell’applicazione delle norme vigenti ai casi concreti. È del tutto evidente che il giudice deve previamente accertare se le norme che viene chiamato ad applicare nel procedimento di sua competenza siano ancora in vigore o eventualmente siano state abrogate in modo esplicito o implicito da leggi successive, secondo quanto stabilisce l’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile. Tale dovere di verifica è conseguenza naturale e necessaria del criterio cronologico, che, insieme a quello gerarchico ed a quello di competenza, disciplina il sistema delle fonti del diritto.
Il controllo sull’attuale vigenza di una norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice comune e precede ogni possibile valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima norma. Pertanto, il giudice amministrativo ha operato in via preliminare tale controllo, giungendo alla conclusione che la legge della Regione Veneto n. 27 del 1993 era stata abrogata. Aver rilevato l’avvenuta produzione dell’effetto abrogativo ha inibito al giudice stesso ogni valutazione sulla legittimità costituzionale della norma – invocata invece dalla ricorrente – che sarebbe stata irrilevante in quel giudizio.
Le doglianze che le parti possono esprimere nei confronti di una pronuncia giurisdizionale dichiarativa dell’avvenuta abrogazione di una norma devono seguire le ordinarie vie predisposte dal sistema delle impugnazioni. Non è ammissibile pertanto che il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte diventi uno strumento improprio di censura degli asseriti errori in iudicando, sostitutivo dei rimedi previsti dagli ordinamenti delle diverse giurisdizioni (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 2 del 2007).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione alla sentenza del T.A.R. Veneto 21 aprile 2005, n. 1735, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2007.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 22 maggio 2007
ORDINANZA
Considerato che nei giudizi per conflitto di attribuzione non è, di regola, ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi;
che, tuttavia, tale preclusione non opera quando l’atto impugnato sia oggetto di un giudizio comune in cui l’interveniente sia parte e la pronuncia di questa Corte sia suscettibile di condizionare la stessa possibilità che il giudizio comune abbia luogo (sentenze n. 149 del 2007, n. 312 e n. 89 del 2006, n. 386 del 2005, n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001);
che la società Panizzon Bruno e F.lli era parte nel giudizio comune la cui decisione è oggetto del conflitto;
che, però, la pronuncia di questa Corte non è suscettibile di incidere sulla definitiva affermazione o negazione dello stesso diritto della parte interveniente di agire nel giudizio comune.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l’intervento di Panizzon Bruno e F.lli di Panizzon Bruno & C. s.n.c. nel giudizio per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione Veneto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.
F.to: Franco Bile, Presidente