Sentenza n. 10 del 2017

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SENTENZA N. 10

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Giorgio                        LATTANZI                                        Giudice

-           Aldo                             CAROSI                                                     ”

-           Marta                           CARTABIA                                              ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                             ”

-           Giuliano                       AMATO                                                    ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                 ”

-           Daria                            de PRETIS                                                ”

-           Nicolò                          ZANON                                                    ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                                ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, del 25 giugno 2015, n. 312, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 24 agosto 2015, depositato in cancelleria il 31 agosto 2015 e iscritto al n. 10 del registro conflitti tra enti 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 dicembre 2016 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 24 agosto 2015, depositato il successivo 31 agosto e iscritto al n. 10 del registro conflitti tra enti del 2015, la Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto del 25 giugno 2015, n. 312 (e alle ulteriori deliberazioni adottate medio tempore, in particolare la deliberazione del 20 maggio 2015, n. 251), con cui è stata dichiarata l’irregolarità del rendiconto del gruppo consiliare misto, relativamente al periodo 1° gennaio - 31 marzo 2015.

1.1.– Secondo la ricorrente, la deliberazione sarebbe lesiva degli artt. 5, 100, 113, 114, 117, 118, 119, 121, 122, 123 della Costituzione, in relazione all’autonomia costituzionalmente garantita alla Regione; del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, in relazione all’autonomia costituzionale e statutaria del Consiglio regionale e dei gruppi consiliari, secondo quanto previsto dallo statuto regionale del Veneto, approvato con legge regionale 17 aprile 2012, n. 1; nonché del principio di leale collaborazione.

1.2.– La ricorrente premette che il giudizio in corso costituirebbe lo sviluppo di una vicenda, che attiene alla contestazione delle irregolarità nella rendicontazione dei gruppi consiliari regionali, ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge n. 174 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 213 del 2012, già portata all’attenzione della Corte costituzionale e decisa, sia in sede incidentale di giudizio di legittimità costituzionale con la sentenza n. 39 del 2014, sia in sede di conflitto di attribuzione con la sentenza n. 130 del 2014.

Con la sentenza n. 39 del 2014, sottolinea la Regione, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, terzo periodo, del decreto-legge n. 174 del 2012, che disponeva la decadenza per il gruppo consiliare dal diritto all’erogazione di risorse da parte del Consiglio regionale per l’anno in corso, nel caso di mancata regolarizzazione della rendicontazione entro il termine fissato; l’illegittimità costituzionale del quarto periodo del medesimo comma – secondo cui la decadenza dal diritto all’erogazione delle risorse comporta l’obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del Consiglio regionale e non rendicontate – nella parte in cui prevedeva che l’obbligo di restituire le somme ricevute e non rendicontate conseguisse alla decadenza del diritto all’erogazione delle risorse, anziché all’omessa regolarizzazione. Nella decisione richiamata, precisa la Regione, la Corte evidenzia che il comma impugnato «introduce una misura repressiva di indiscutibile carattere sanzionatorio che consegue ex lege, senza neppure consentire che la Corte dei conti possa graduare la sanzione stessa in ragione del vizio riscontrato nel rendiconto, né che gli organi controllati possano adottare misure correttive. Ciò non consente di preservare quella necessaria separazione tra funzione di controllo ed attività amministrativa degli enti sottoposti al controllo stesso che la giurisprudenza di questa Corte ha posto a fondamento della conformità a Costituzione delle norme istitutive dei controlli attribuiti alla Corte dei conti».

Nella medesima sentenza, si sarebbe poi chiarito che il sindacato della Corte dei conti «deve ritenersi documentale, non potendo addentrarsi nel merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia politica dei gruppi, nei limiti del mandato istituzionale».

1.3.– La ricorrente ribadisce, altresì, il rilievo che la giurisprudenza costituzionale conferisce ai gruppi consiliari, in particolare alla necessità di preservare la loro discrezionalità di scelta, arrivando a sindacare, in sede di giudizio di legittimità delle leggi, ed eventualmente dichiarare incostituzionali, unicamente le decisioni di spesa manifestamente irragionevoli o arbitrarie (sentenza n. 187 del 1990 che richiama la sentenza n. 1130 del 1988). Rammenta, inoltre, quanto affermato nella sentenza n. 107 del 2015, secondo la quale l’attività di gestione amministrativa e contabile dei contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari è «meramente funzionale all’esercizio della sfera di autonomia istituzionale che ai gruppi consiliari medesimi e ai consiglieri regionali deve essere garantita».

1.4.– Fatte queste premesse, la ricorrente lamenta l’illegittimità della deliberazione n. 312 del 2015, con cui la sezione regionale di controllo contesta la regolarità del rendiconto del gruppo consiliare misto, relativamente al periodo 1° gennaio - 31 marzo 2015, data nella quale il gruppo medesimo è stato sciolto. Si tratterebbe del rendiconto di chiusura della legislatura, conclusasi con le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del maggio 2015.

La Regione Veneto evidenzia la necessità di ribadire tutte le eccezioni e i rilievi già formulati nei confronti delle delibere n. 269 del 2014 e n. 227 del 2015, da ritenersi illegittime e incompatibili con l’autonomia costituzionalmente garantita del Consiglio regionale e delle sue articolazioni. Esprime, inoltre, l’esigenza di replicare rispetto «all’improvvida pretesa della sezione di verificare la sussistenza dell’obbligo restitutorio relativamente a somme la cui irregolarità non è stata ancora accertata in via definitiva, essendo il medesimo accertamento sub judice ed essendo stata, medio tempore, sospesa l’efficacia degli atti sui quali vorrebbe fondare la restituzione stessa».

1.5.– Nel merito la Regione Veneto contesta l’illegittimità delle delibere gravate per interferenza e menomazione delle competenze costituzionalmente riservate al Consiglio regionale. Lamenta, altresì, la non spettanza del potere di controllo esercitato dalla Corte dei conti, sezione regionale per il Veneto, sul rendiconto del gruppo misto, sulla base di arbitrari criteri di propria statuizione e con richiesta di documentazione non prevista dalla legge, in carenza di potere.

1.5.1.– Per suffragare questa posizione, la ricorrente richiama la sentenza 25 giugno 2014, n. 29, delle sezioni riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale in speciale composizione, che espliciterebbe come il controllo sull’inerenza della spesa non possa travalicare in controllo sul merito della stessa, riservato al Presidente di ciascun gruppo, ma debba risolversi in un controllo di conformità, non tanto delle spese quanto «del rendiconto al modello deliberato in sede di Conferenza permanente».

1.6.– Il travalicamento del sindacato di merito sarebbe palese per quel che riguarda la richiesta, della sezione di controllo, di restituzione delle somme non regolarmente rendicontate dal gruppo consiliare misto negli anni 2013 e 2014, nonché per una serie di spese richiamate dalla ricorrente, quali spese per il personale (voci U1 e U2 del rendiconto) e per alcune spese per attività di comunicazione anche via web (voce U5 del rendiconto).

1.6.1.– In riferimento all’anno 2013, la ricorrente ricorda che il gruppo misto, unitamente agli altri gruppi consiliari del Veneto, avrebbe impugnato dinanzi al TAR Veneto (non essendovi, ancora la norma che attribuisce le controversie in questione alle Sezioni Riunite) la delibera di riferimento (n. 269 del 2014) «formulando contestuale istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato».

Secondo la Regione Veneto, ricorrente, il TAR avrebbe accolto la richiesta cautelare, disponendo la sospensione degli effetti, sia della deliberazione con cui l’Ufficio di Presidenza aveva deciso di predisporre una piano di rientro, ai fini della restituzione delle somme erroneamente rendicontate, sia «dello stesso presupposto di tale deliberazione, vale a dire l’obbligo restitutorio "conseguente" alla delibera 269/2014» della sezione regionale di controllo .

Riguardo all’annualità 2014, invece, il gruppo misto, aveva impugnato davanti alle sezioni riunite della Corte dei conti, la delibera di riferimento (n. 227 del 2015). Secondo la Regione dall’impugnazione sarebbe derivato un effetto sospensivo dell’atto gravato, ai sensi dell’art. 243-quater, 5 comma, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), non riconosciuto dalla sezione regionale di controllo.

1.7.– Conclude, quindi, la ricorrente per l’annullamento della deliberazione impugnata e, ove occorra, degli atti eventualmente adottati medio tempore, e per la dichiarazione che non spettasse allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, adottare la deliberazione 25 giugno 2015, n. 312, che dichiara l’irregolare rendicontazione delle spese del gruppo consiliare misto della Regione Veneto.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

2.1.– La difesa dello Stato eccepisce l’inammissibilità del ricorso per tardività in quanto la Regione chiede l’annullamento non solo della deliberazione n. 312 del 2015, con cui si è accertata l’irregolarità del rendiconto, ma anche della deliberazione n. 251 del 2015, in quanto atto presupposto. Al fine di garantire la tempestività del ricorso, la Regione avrebbe dovuto impugnare, sin dall’inizio, la deliberazione n. 251 del 2015, con cui la sezione aveva formulato osservazioni ai fini della regolarizzazione dei rendiconti e con cui già manifestava l’intendimento di esercitare il potere di controllo.

2.2.– Ancora in via preliminare viene eccepita l’inammissibilità del ricorso per genericità delle censure proposte. Al di là dell’enunciazione delle disposizioni costituzionali inerenti le Regioni in generale, non sarebbero individuabili le specifiche attribuzioni lese dall’atto impugnato, secondo le indicazioni espresse dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 380 del 2007). Non si comprenderebbe, inoltre, se le contestazioni mosse dalla ricorrente abbiano ad oggetto la legittimità del controllo in sé e per sé, ovvero costituiscano doglianze volte ad asserire che il controllo «si sarebbe esteso al merito di scelte insindacabili» esercitate dal gruppo misto.

2.3.– Il ricorso sarebbe poi inammissibile per mancanza di tono costituzionale, in quanto riguarderebbe non tanto questioni attinenti al riparto delle attribuzioni costituzionali, ma unicamente una diversa interpretazione delle norme che disciplinano il controllo.

3.– Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la sezione regionale avrebbe svolto un controllo coerente con la normativa statale e regionale di riferimento.

4.– La difesa dello Stato richiama poi le specifiche contestazioni formulate dalla Regione ricorrente con riferimento alle singole spese.

4.1.– In materia di collaborazione di personale, in particolare, l’irregolarità dichiarata dalla sezione regionale deriverebbe dal mancato rispetto della normativa statale da parte del gruppo misto. L’art. 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», infatti, disporrebbe che i contratti di collaborazione coordinata e continuativa siano riconducibili ad un «progetto specifico», mentre il Presidente del gruppo misto (con nota n. 11220 del 12 giugno 2015) avrebbe dichiarato che la collaborazione instaurata non si sarebbe fondata su alcun progetto.

4.2.– Quanto alle spese per l’acquisto del servizio in abbonamento per l’invio di una newsletter, la sezione regionale avrebbe avuto pieno titolo a ritenere erroneamente rendicontate le spese che, a parere della difesa erariale, non sarebbero pertinenti rispetto alla voce di spesa nella quale erano state contabilizzate.

4.3.– Sulla base di queste considerazioni, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che il conflitto tenderebbe a risolversi in uno strumento improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale. Le questioni prospettate rappresenterebbero, a suo avviso, la «mera denunzia di una errata interpretazione della disciplina legale della materia», da far valere nelle appropriate sedi giurisdizionali (sentenze n. 52 del 2013 e n. 263 del 2014).

5.– Con memoria presentata in prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha ribadito le eccezioni di inammissibilità e infondatezza, già prospettate nell’atto di costituzione in giudizio, che sembrerebbero aver trovato un parziale riscontro nelle decisioni assunte da questa Corte, con la sentenza n. 104 del 2016.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per l’annullamento, previa dichiarazione di non spettanza allo Stato, della deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, del 25 giugno 2015, n. 312 e di quelle presupposte ed eventualmente adottate medio tempore (in particolare la deliberazione 20 maggio 2015, n. 251), con cui è stata dichiarata l’irregolarità del rendiconto presentato dal gruppo consiliare misto, relativamente al periodo 1° gennaio - 31 marzo 2015, nei limiti e per gli importi indicati nella deliberazione medesima.

1.1.− Con una prima e ampia censura la ricorrente si duole che – in violazione della propria autonomia costituzionalmente garantita, nonché dell’autonomia del Consiglio regionale, dei gruppi consiliari e del principio di leale collaborazione – il controllo operato dalla Corte dei conti, invece di essere meramente documentale ed esterno, sia stato esercitato valutando l’inerenza delle spese all’attività istituzionale del gruppo e sindacando il merito delle scelte discrezionali.

La sezione avrebbe utilizzato criteri diversi da quelli stabiliti dalla normativa di riferimento, rappresentata dal decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, nonché dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012 (Recepimento delle linee guida sul rendiconto di esercizio annuale approvato dai gruppi consiliari dei consigli regionali, ai sensi dell’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213).

1.2.− Con una seconda censura, la Regione contesta la richiesta, rivolta al gruppo misto dalla sezione di controllo, di restituzione delle somme irregolarmente rendicontate, nonostante sia intervenuta una pronuncia del TAR Veneto volta a sospendere gli effetti dell’obbligo restitutorio e nonostante la normativa di riferimento disponga un effetto sospensivo conseguente all’impugnazione delle delibere della sezione regionale di controllo dinanzi ai competenti organi di giurisdizione.

1.3.− Con una terza censura, la ricorrente contesta l’illegittimità del controllo relativo a spese per il personale. La sezione regionale avrebbe erroneamente disconosciuto la conformità alla legge della tipologia di collaborazione attivata dal gruppo consiliare.

1.4.− Con una quarta censura, la Regione Veneto lamenta che erroneamente la sezione regionale avrebbe escluso alcune spese di comunicazione anche via web, da quelle inerenti lo svolgimento delle finalità istituzionali, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012.

2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha formulato tre eccezioni di inammissibilità.

2.1.– In primo luogo ha ritenuto il ricorso inammissibile per tardività, in quanto anziché impugnare la deliberazione n. 312 del 2015, la Regione avrebbe dovuto impugnare sin dall’inizio la deliberazione n. 251 del 2015, con cui la sezione aveva formulato osservazioni ai fini della regolarizzazione dei rendiconti e con cui già aveva manifestato l’intento di esercitare il potere di controllo.

2.2.– Ha ritenuto il ricorso inammissibile, in secondo luogo, per la genericità delle censure proposte, che non consentono di individuare le specifiche attribuzioni lese dall’atto impugnato.

2.3.– Ha ritenuto, in terzo luogo, il ricorso privo di tono costituzionale, in quanto avente ad oggetto, non tanto questioni attinenti al riparto delle attribuzioni costituzionali ma unicamente una diversa interpretazione delle norme che disciplinano il controllo.

3.– Le prime due eccezioni di inammissibilità non sono fondate.

3.1.– Non è fondata l’eccezione di inammissibilità per tardività, poiché, come affermato da questa Corte, riguardo a conflitti analoghi sollevati dalla stessa odierna ricorrente relativi alle deliberazioni della sezione regionale di controllo, la dichiarazione impugnata non può considerarsi meramente consequenziale rispetto alla deliberazione n. 251 del 2015. «Quest’ultima costituisce un “atto endo-procedimentale” con cui, ai sensi dell’art. 1, comma 11, del decreto-legge n. 174 del 2012, la sezione regionale di controllo, dopo aver verificato, attraverso un esame preliminare dei rendiconti, le carenze e le irregolarità documentali, ha assegnato ai gruppi consiliari un termine per la produzione di documentazione e chiarimenti, secondo le specifiche indicazioni allegate alla deliberazione» (sentenze n. 260 e n. 104 del 2016, n. 130 del 2014). Solo in seguito a tale produzione la sezione regionale ha deliberato l’irregolarità dei rendiconti sulla base delle argomentazioni ivi per la prima volta diffusamente esternate, «il che rende evidente che è questo – e non la previa delibera istruttoria − l’atto di spendita del potere contestato dalla Regione» (sentenza n. 260 del 2016; in termini analoghi sentenza n. 104 del 2016).

3.2.− Non è parimenti fondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per genericità delle censure, poiché la Regione Veneto specifica sufficientemente quali sarebbero, a suo avviso, le spese oggetto di simile illegittimo controllo. Si tratterebbe di spese per il personale e per attività di comunicazione anche via web.

3.3.– La terza eccezione di inammissibilità, relativa all’assenza di tono costituzionale, non è fondata con riferimento alla prima censura avanzata nel ricorso della Regione. La ricorrente lamenta, infatti, che la sezione regionale della Corte dei conti, con la deliberazione impugnata, avrebbe esercitato non un controllo documentale ed esterno, ma di inerenza all’attività istituzionale dei gruppi, ledendo la propria autonomia statutaria, nonché l’autonomia del Consiglio regionale e dei gruppi consiliari. Come la Corte ha già avuto modo di affermare, a conferire tono costituzionale ad un conflitto basta la prospettazione dell’esercizio di un potere radicalmente diverso da quello attribuito dalla legge, così integrando «un’ipotesi di lamentata carenza di potere in concreto incidente sulle prerogative costituzionali della ricorrente» (sentenze n. 260 e n. 104 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 235 del 2015, n. 263 e n. 137 del 2014).

3.3.1.– L’eccezione di inammissibilità relativa al difetto di tono costituzionale è, invece, fondata con riferimento alle restanti censure che riguardano la presunta irregolarità del controllo relativo a specifiche spese per il personale e per attività di comunicazione anche via web.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, «il tono costituzionale del conflitto sussiste quando le Regioni non lamentino una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali» (ex plurimis v. sentenza n. 260 del 2016; in senso conforme sentenze n. 87 del 2015, n. 263 del 2014, n. 52 del 2013). Vanno dunque distinti i casi in cui la lesione derivi da un atto meramente illegittimo (la tutela dal quale è apprestata dalla giurisdizione amministrativa), da quelli in cui l’atto è viziato per contrasto con le norme attributive di competenza costituzionale (mentre non rileva che l’atto possa essere anche oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale) (così espressamente, sentenze n. 260 del 2016, n. 87 del 2015, n. 137 del 2014).

Questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, inoltre, che, «con specifico riguardo al conflitto sorto in riferimento al peculiare controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti sulle singole spese, in ordine a censure dal contenuto analogo pur se riferite ad esercizi diversi, […] oggetto delle doglianze non è l’invasione della sfera costituzionale della ricorrente ma la mera illegittimità della funzione esercitata, illegittimità da fare valere innanzi alla giurisdizione comune» (sentenze n. 260 e n. 104 del 2016).

3.3.2.– Quanto poi alla censura che riguarda la presunta erronea richiesta di restituzione delle somme irregolarmente rendicontate, anch’essa è priva del necessario tono costituzionale.

Quello che viene contestato dalla ricorrente non è tanto la spettanza del potere della sezione regionale di chiedere la restituzione delle somme, con le conseguenti ricadute sulle attribuzioni costituzionali del Consiglio regionale e dei gruppi consiliari, quanto, piuttosto, l’interpretazione degli effetti della sospensione delle procedure esecutive di recupero delle somme operata dal tribunale amministrativo regionale.

4.– La censura della ricorrente, circa la natura non meramente documentale ed esterna del controllo da parte della sezione regionale, non è fondata.

Questa Corte ha più volte evidenziato che l’art. 1, comma 11, del decreto-legge n. 174 del 2012, attribuisce alla sezione regionale di controllo un giudizio di conformità dei rendiconti medesimi alle prescrizioni dettate dall’art. 1, e quindi ai criteri contenuti nelle linee guida. Tra i criteri richiamati, l’art. 1 dell’Allegato A al d.P.C.m. 21 dicembre 2012 menziona la «veridicità e correttezza delle spese», con l’ulteriore puntualizzazione che «ogni spesa deve essere espressamente riconducibile all’attività istituzionale del gruppo» (comma 3, lettera a) (sentenze n. 260 e n. 104 del 2016, n. 130 del 2014). Ciò premesso, come ribadito più volte da questa Corte, il controllo sui rendiconti dei gruppi consiliari, «se, da un lato, non comporta un sindacato di merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia politica dei gruppi, dall’altro, non può non ricomprendere la verifica dell’attinenza delle spese alle funzioni istituzionali svolte dai gruppi medesimi, secondo il generale principio contabile, costantemente seguito dalla Corte dei conti in sede di verifica della regolarità dei rendiconti, della loro coerenza con le finalità previste dalla legge» (sentenza n. 260 del 2016; analogamente, sentenze n. 104 del 2016, n. 263 del 2014).

Dalla deliberazione impugnata emerge, pertanto, che la sezione regionale di controllo della Corte dei conti si è attenuta a tali principi e ha svolto un controllo finalizzato ad accertare la conformità delle spese rendicontate ai criteri di veridicità e correttezza contenuti nelle linee guida, senza travalicare nel merito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le censure del ricorso per conflitto di attribuzione, promosso dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione alla deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, del 25 giugno 2015, n. 312, relative alla richiesta di restituzione delle somme non regolarmente computate, nonché alla rendicontazione delle spese per il personale e per l’attività di comunicazione anche via web;

2) respinge per il resto il ricorso, dichiarando che spettava alla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, operare la verifica della regolarità dei rendiconti dei gruppi consiliari della Regione Veneto sulla base dei criteri individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2017.