SENTENZA N. 87
ANNO 2015
Commento alla decisione di
Giuseppe Laneve
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della nota del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale di finanza, Servizi ispettivi di finanza pubblica − dell’11 settembre 2013, n. 74491, con la quale è stata disposta l’esecuzione, presso la Regione Marche, di una verifica amministrativo-contabile avente ad oggetto le spese per il personale, della nota del 14 aprile 2014, n. 36675, con cui la relazione contenente i risultati della verifica amministrativo-contabile eseguita è stata trasmessa alla Regione Marche, nonché di tale relazione redatta il 15 gennaio 2014, promosso dalla Regione Marche con ricorso notificato il 23 giugno-3 luglio 2014, depositato in cancelleria il 3 luglio 2014 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra enti 2014.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Giovanni Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato il 23 giugno-3 luglio 2014 e depositato il 3 luglio 2014, la Regione Marche ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per l’annullamento, previa dichiarazione di non spettanza allo Stato, della nota in data 11 settembre 2013, n. 74491, del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale di finanza, Servizi ispettivi di finanza pubblica − con la quale è stata disposta l’esecuzione, presso la Regione Marche, di una verifica amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese per il personale, ai sensi dell’art. 60, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); della successiva nota in data 14 aprile 2014, n. 36675, con cui la relazione contenente i risultati della verifica amministrativo-contabile eseguita è stata trasmessa alla Regione Marche; nonché di tale relazione, redatta il 15 gennaio 2014.
2.− Riferisce la ricorrente che, in seguito ad una nota in data 11 settembre 2013 del Ragioniere generale dello Stato, veniva eseguita, dal 7 ottobre 2013 al 7 novembre 2013, una verifica amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese per il personale della Regione Marche. All’esito di tale verifica era redatta, il 15 gennaio 2014, una relazione contenente i risultati dell’ispezione eseguita, nella quale si avanzavano una serie di rilievi critici in ordine alla complessiva gestione del personale, da parte della Regione, in relazione agli anni 2008-2012. Tale relazione veniva poi trasmessa alla Regione Marche con nota del 14 aprile 2014, cui perveniva in data 24 aprile 2014. La nota si concludeva affidando «all’iniziativa di codesta Regione l’adozione di provvedimenti idonei all’eliminazione delle criticità rilevate nella predetta relazione», richiedendo che «[i] relativi elementi informativi [siano] inviati, con nota a firma del rappresentante legale dell’Ente», al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, «rispettando l’ordine e il contenuto dei singoli rilievi». La relazione era, infine, inviata, «[a]i fini dell’accertamento di eventuali responsabilità per danno erariale», alla competente Procura regionale della Corte dei conti, in conformità al disposto dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001.
2.1.− Ad avviso della difesa regionale, il conflitto sarebbe ammissibile, in quanto gli atti impugnati presentano indubbia rilevanza esterna, dal momento che l’esercizio del potere ispettivo si è tradotto non solo nella segnalazione delle irregolarità riscontrate, bensì nella richiesta, nei confronti della Regione Marche, di adozione dei provvedimenti idonei all’eliminazione delle irregolarità rilevate.
Nel merito, secondo la difesa regionale, allo Stato non spetterebbe il potere di adottare gli atti impugnati, in quanto fondati su una disposizione di legge, l’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, che, in seguito all’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sarebbe divenuto incostituzionale, con riferimento ai sopravvenuti artt. 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione. Osserva, sul punto, la difesa regionale che la disposizione legislativa in questione consente allo Stato l’esercizio di un potere ispettivo analogo a quello attribuito al Ministero dell’economia e delle finanze dall’art. 5 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), introdotto dall’art. 1-bis, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte, con sentenza n. 219 del 2013, nella parte in cui consentiva di disporre attività ispettive “ad ampio spettro” sull’attività amministrativa e contabile delle Regioni secondo le modalità previste dall’art. 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica).
Richiamando tale decisione, la difesa regionale rileva che, mentre sono legittime le leggi statali intese ad acquisire dalle Regioni dati utili, anche nella prospettiva del coordinamento della finanza pubblica, e, in particolare, in rapporto alle attribuzioni della Corte dei conti, non sarebbe invece consentito affidare al Governo un potere di verifica, per mezzo dei propri servizi ispettivi, dell’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie delle Regioni. Non sarebbe in ogni caso ammesso un generalizzato controllo statale sull’operato delle Regioni e, in particolare, un penetrante potere di accesso agli uffici regionali, poiché esso eccederebbe i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e si risolverebbe, non solo in una sovrapposizione rispetto alla funzione di controllo attribuita alla Corte dei conti, ma soprattutto in una invasione dello spazio riservato all’autonomia legislativa e organizzativa delle Regioni.
La difesa della Regione Marche richiama, inoltre, la sentenza n. 39 del 2014, in cui la Corte costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito, ha osservato che il legislatore statale non può attribuire «direttamente al Governo un potere di verifica sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie degli enti locali, sottraendolo, in tal modo, illegittimamente all’ambito riservato alla potestà normativa di rango primario» delle Regioni.
Per questi motivi, la difesa regionale chiede a questa Corte di sollevare dinnanzi a se stessa questione di legittimità costituzionale dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, in riferimento agli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost., in quanto trattasi di questione senz’altro rilevante ai fini della definizione del conflitto.
2.2.− In subordine, la difesa della Regione Marche osserva che il potere ispettivo, oltre ad essere fondato su una norma asseritamente incostituzionale, sarebbe stato esercitato con modalità che travalicano i limiti ad esso posti dalla stessa disposizione che lo ha istituito e che lo disciplina. Afferma, sul punto, che l’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, in seguito alle abrogazioni operate dall’art. 26 del d.P.R. 30 gennaio 2008, n. 43 (Regolamento di riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze, a norma dell’articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), limiterebbe il potere ispettivo, nell’ambito della gestione finanziaria regionale, all’esame delle sole spese per il personale, con particolare riferimento alle spese conseguenti agli «oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati», nonché, attraverso il rinvio all’art. 27, comma quarto, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul pubblico impiego), alla «corretta applicazione degli accordi collettivi stipulati». Dovrebbe, invece, essere esclusa ogni altra valutazione, eccedente la mera verifica del rispetto dei contratti collettivi nazionali e decentrati.
La relazione sulla verifica amministrativo-contabile eseguita, attuale oggetto d’impugnazione, avrebbe, invece, travalicato tali confini, in quanto conterrebbe rilievi critici volti a segnalare casi di asserito contrasto tra la legislazione regionale e la legislazione statale, e tra la legislazione regionale e i contratti collettivi nazionali. Osserva, sul punto, la Regione che tali rilievi non potrebbero appuntarsi su una asserita illegittimità delle leggi regionali, dovendo tali leggi essere, se del caso, ritualmente impugnate di fronte alla Corte costituzionale, né potrebbe il potere ispettivo tradursi nella richiesta di modificare tali leggi. È richiamata, in argomento, la sentenza n. 39 del 2014 di questa Corte, nella quale, sia pur con riferimento al potere di controllo della Corte dei conti, si afferma che le «funzioni di controllo non possono essere spinte sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi o a privarli dei loro effetti», trovando esse «un limite nella potestà legislativa dei Consigli regionali».
La difesa della Regione Marche rileva, infine, che il potere ispettivo avrebbe travalicato i limiti consentiti dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 anche sotto altri profili.
Anzitutto, mentre tale disposizione affida al Ministero dell’economia e delle finanze un potere d’ispezione amministrativo-contabile limitato alla verifica della spesa con riguardo all’osservanza dei contratti collettivi nazionali e decentrati, la relazione evidenzierebbe, invece, come tale potere si sia spinto a sindacare i contratti collettivi decentrati, in riferimento ai contenuti dei contratti collettivi nazionali.
In secondo luogo, mentre il potere ispettivo sulla gestione del personale può riguardare l’attuazione, da parte della legislazione regionale, dei contratti collettivi nazionali e decentrati, esso non potrebbe estendersi a verificare l’attuazione delle disposizioni regionali in tema di gestione del personale.
Per tali motivi, la difesa della Regione Marche ritiene che il potere di ispezione, asseritamente esercitato oltre i confini tracciati dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, si sarebbe tradotto in una violazione della sfera di autonomia legislativa, organizzativa, contabile e finanziaria della Regione, costituzionalmente garantita dagli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. (venendo in rilievo sia il «coordinamento della finanza pubblica», sia la competenza legislativa residuale regionale in materia di «organizzazione degli uffici»). Chiede, pertanto, a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato adottare gli atti impugnati e, per l’effetto, di annullarli.
3.− Si è costituito nel giudizio, con atto depositato l’11 agosto 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, infondato.
Rileva l’Avvocatura generale dello Stato che il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile per plurime ragioni: in quanto esso si fonda sulla presunta illegittimità costituzionale dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, che avrebbe dovuto essere eccepita tramite rituale e tempestiva impugnativa nel giudizio sulle leggi; in quanto non specificherebbe i profili degli atti impugnati che pregiudicherebbero l’autonomia regionale; in quanto la verifica amministrativo-contabile non avrebbe travalicato i confini tracciati dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, mancando, dunque, il tono costituzionale del conflitto.
3.1.− Quanto al merito delle censure proposte, l’Avvocatura generale dello Stato osserva, anzitutto, che le verifiche ispettive previste dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono finalizzate alla valutazione e alla verifica di tutte le spese per il personale, non solo del rispetto degli oneri derivanti dai contratti collettivi. A sostegno di tale interpretazione, osserva che il citato d.P.R. n. 43 del 2008 è stato, a sua volta, abrogato dall’art. 21, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2013, n. 67 (Regolamento di organizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze, a norma degli articoli 2, comma 10-ter, e 23-quinquies, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), il quale, ridefinendo le competenze del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ne avrebbe incrementato l’attività di controllo contabile.
In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato rileva come la ricorrente non avrebbe motivato in ordine al presunto contrasto del potere ispettivo previsto dall’art. 60, comma 5, citato, con l’art. 114 Cost., limitandosi a richiamare la sentenza di questa Corte n. 219 del 2013, che si riferirebbe, invece, a fattispecie radicalmente diversa, poiché la disposizione oggetto di quella pronuncia attribuiva al Governo «un potere di verifica sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie della Regione, nel caso di squilibrio finanziario», duplicando il controllo della Corte dei conti.
Inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato osserva come, proprio in quella pronuncia, la Corte avrebbe fatto salvi altri poteri ispettivi, al fine di far valere specifici obblighi gravanti sul sistema regionale, in particolare nella prospettiva di riferirne alla Procura contabile. È richiamata, a tal fine, la sentenza n. 370 del 2010, con cui questa Corte avrebbe affermato che spetta allo Stato esercitare il potere ispettivo previsto dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, ossia una verifica puntuale e mirata ad un determinato settore finalizzato al coordinamento della finanza pubblica.
Per le medesime ragioni, l’Avvocatura generale dello Stato reputa non conferente anche il richiamo alla sentenza n. 39 del 2014, in quanto la Corte, in quella pronuncia, avrebbe censurato l’esercizio del potere statale sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie degli enti locali e non, invece, una verifica mirata e circoscritta, qual è quella consentita dal più volte citato art. 60, comma 5.
Tanto premesso, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che non vi sarebbero i presupposti per lamentare un contrasto dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 con gli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost.
3.2.− Con riferimento alla seconda parte del ricorso regionale, in cui si censura l’esercizio di un potere ispettivo eccedente i limiti previsti dalla legislazione vigente, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce, anzitutto, che il comma 5 dell’art. 60 citato deve essere letto nel contesto dell’intero articolo e della normativa successiva, da cui si desumerebbe che la verifica amministrativa investe tutte le spese per il personale. In secondo luogo, essa rileva, con particolare riferimento al contrasto asseritamente rilevato tra la legislazione regionale, la legislazione statale e la disciplina contenuta nei contratti collettivi, che l’attività svolta non avrebbe in realtà carattere impeditivo o repressivo, bensì conoscitivo-collaborativo, essendosi limitata a riferire alla Regione le irregolarità rilevate, lasciando alla stessa il compito di provvedere alla loro rimozione. Inconferente sarebbe, dunque, anche sotto questo profilo, il richiamo alla sentenza n. 39 del 2014, poiché in quella pronuncia la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che, in seguito ai controlli della Corte dei conti, obbligava le amministrazioni interessate ad adottare i provvedimenti idonei a ripristinare gli equilibri di bilancio, risultando preclusa, in caso contrario, l’attuazione dei programmi di spesa per i quali fosse accertata la mancata copertura o l’insostenibilità finanziaria.
4.− In vista dell’udienza, in data 2 aprile 2015, la difesa della Regione Marche ha depositato ulteriore memoria, con osservazioni in ordine ai rilievi dell’Avvocatura generale dello Stato.
Contesta, innanzitutto, la Regione che il conflitto sia volto essenzialmente a censurare l’illegittimità costituzionale dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, ricordando che alla Corte costituzionale non sarebbe comunque precluso sollevare di fronte a se stessa questioni di legittimità costituzionale nel conflitto fra enti e, inoltre, che la Regione non aveva impugnato la predetta disposizione nel giudizio in via principale, in quanto essa è divenuta costituzionalmente illegittima solo dopo l’entrata in vigore, in data 8 maggio 2001, della legge costituzionale n. 3 del 2001 di riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione. In ogni caso, il ricorso non sarebbe volto a censurare solo la disposizione normativa in esame, in quanto è lamentato anche il travalicamento dei limiti che la stessa disposizione normativa statale impone al potere ispettivo.
In ordine alla presunta inammissibilità per genericità dei parametri costituzionali che si assumono violati, la Regione Marche osserva che le disposizioni indicate nel ricorso – gli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. – concorrono, tutte insieme, a definire il grado di autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria che la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione ha assicurato alle Regioni. Ed è questa autonomia che si assume pregiudicata da un potere ispettivo, qual è quello di cui all’art. 60, comma 5, citato, affidato non ad un organo terzo e imparziale, bensì ad un soggetto riconducibile al potere esecutivo.
Quanto all’assenza di tono costituzionale del conflitto, ritiene la Regione che tale profilo attenga al merito di esso, e non alla sua ammissibilità.
E in relazione al merito, in particolare alle osservazioni contenute nell’atto di costituzione dell’Avvocatura generale dello Stato, la difesa della Regione Marche riconosce che il d.P.C.m. n. 67 del 2013, all’art. 21, comma 1, ha abrogato il d.P.R. n. 43 del 2008, a sua volta responsabile dell’abrogazione dei poteri del Ministero dell’economia e delle finanze di cui all’art. 3 del d.P.R. 20 febbraio 1998, n. 38 (Regolamento recante le attribuzioni dei Dipartimenti del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nonché disposizioni in materia di organizzazione e di personale, a norma dell’articolo 7, comma 3, della L. 3 aprile 1997, n. 94), e all’art. 2 del d.P.R. 28 aprile 1998, n. 154 (Regolamento recante norme sull’articolazione organizzativa e le dotazioni organiche dei dipartimenti del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, a norma dell’articolo 7, comma 3, della legge 3 aprile 1997, n. 94), ai quali rinvia l’art. 60, comma 5, citato, ed ha ridefinito le competenze del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato all’art. 7, comma 1. Ritiene, tuttavia, che ciò non infici la propria ricostruzione in ordine ai limiti del potere ispettivo, in quanto una disposizione di rango secondario non può in alcun modo ampliare il potere di controllo della Ragioneria generale dello Stato, così come disciplinato dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001.
La difesa regionale ribadisce che il potere ispettivo previsto dall’art. 60, comma 5, citato, in quanto attribuito ad un organo riconducibile al Governo e in quanto non si limiti all’acquisizione di dati, bensì preveda un accesso agli uffici regionali, si collocherebbe certamente ben al di là del «punto di sintesi […] raggiunto a tutela dell’autonomia regionale» (sentenza n. 219 del 2013), né potrebbe essere ricondotto a quelle ipotesi eccezionali che, secondo la giurisprudenza costituzionale, possono giustificare verifiche ispettive da parte del Governo nei confronti delle Regioni. Al contrario, esso duplicherebbe, in danno delle Regioni, i controlli già affidati alla Corte dei conti.
Infine, con riferimento alla censura proposta in via subordinata, in ordine alla non spettanza allo Stato del potere di adottare gli atti impugnati, sotto il profilo dell’illegittimo esercizio del potere ispettivo di cui all’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, la difesa della Regione Marche osserva che non assumerebbe rilevanza – quantomeno in astratto – la natura collaborativa del potere di controllo dei servizi ispettivi della Ragioneria generale dello Stato, poiché ciò che viene lamentato è che tale potere sia stato esercitato al di fuori dei limiti e dei confini tracciati dalla norma legislativa che lo istituisce e lo disciplina. In particolare, si ricorda che la relazione ispettiva si è spinta a segnalare asseriti contrasti tra leggi regionali e leggi statali o contratti collettivi nazionali, con la conseguenza che l’invito a rimuovere tali irregolarità non può che incidere sulla sfera legislativa regionale, nonché, data la materia a cui quest’ultima si riferisce, sulla sfera di autonomia legislativa, organizzativa, finanziaria e contabile della Regione.
Contesta, infine, la Regione che la scelta di rimuovere le irregolarità segnalate dall’ispettore sia rimessa alla sua discrezionale volontà, sia perché, in tal modo, si svuoterebbe di significato il controllo di cui al citato art. 60, comma 5, sia perché il referto dell’ispezione deve essere trasmesso dall’ispettore alla Procura contabile, con il rischio per la Regione che quelle “criticità”, ove non risolte, generino responsabilità per danno erariale.
Per questi motivi, la Regione Marche insiste per l’accoglimento del ricorso.
5.− Anche l’Avvocatura generale dello Stato, in vista dell’udienza, ha depositato, in data 3 aprile 2015, una memoria, in cui insiste per il rigetto del ricorso.
Osserva, in particolare, come il d.P.R. n. 38 del 1998 e il d.P.R. n. 154 del 1998, ai quali l’art. 60, comma 5, rinvia, siano stati non solo abrogati, ma anche sostituiti dal d.P.R. n. 43 del 2008, il quale, a sua volta, è stato poi abrogato e sostituito dal d.P.C.m. n. 67 del 2013. Tali novelle non sarebbero, dunque, idonee a limitare il potere ispettivo esercitato ai sensi dell’art. 60, comma 5, anche perché le disposizioni in esso contenute non riguardavano l’oggetto delle verifiche ispettive, bensì le funzioni che i servizi ispettivi potevano esercitare presso le Amministrazioni destinatarie delle ispezioni.
Contesta quindi il rinvio a quanto statuito da questa Corte nelle sentenze n. 39 del 2014 e n. 219 del 2013, in quanto il citato art. 60, comma 5, non consentirebbe una verifica «sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie della Regione», bensì una verifica limitata alle spese del personale. Quanto alla richiesta, avanzata alla Corte dalla difesa della Regione Marche, di sollevare dinnanzi a se stessa questione di legittimità costituzionale dell’anzidetto art. 60, comma 5, l’Avvocatura generale dello Stato rileva come non siano stati adeguatamente individuati e motivati i parametri costituzionali che si assumono violati. In ogni caso, l’Avvocatura generale dello Stato contesta la nozione di autonomia che la Regione Marche assume violata, poiché dal ricorso emergerebbe che l’autonomia, anziché presentarsi come un complesso di competenze che lo Stato deve rispettare, si risolverebbe in un diritto a sottrarsi ad ogni tentativo di contenimento della spesa pubblica e, in definitiva, a quell’obbligo di leale collaborazione che la Corte costituzionale ha indicato come parametro prioritario di valutazione di tutti i rapporti Stato-Regione.
A sostegno della legittimità del potere ispettivo previsto dall’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 l’Avvocatura generale dello Stato invoca le disposizioni normative recate in materia di controllo e monitoraggio dei conti pubblici dalla legge n. 196 del 2009, che pure prevede poteri ispettivi, e, soprattutto, ricorda che l’attività ispettiva avrebbe carattere referente e natura conoscitivo-collaborativa.
Nel caso in esame, infine, tale attività non sarebbe stata esercitata con riguardo all’organizzazione regionale, ma esclusivamente con riferimento al trattamento economico erogato ed ai limiti di finanza pubblica, materie di chiara competenza statale.
Considerato in diritto
1.− La Regione Marche ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri per l’annullamento, previa dichiarazione di non spettanza allo Stato, della nota in data 11 settembre 2013, n. 74491, del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale di finanza, Servizi ispettivi di finanza pubblica − con la quale è stata disposta l’esecuzione, presso la Regione, di una verifica amministrativo-contabile avente ad oggetto la valutazione delle spese per il personale, ai sensi dell’art. 60, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); della nota in data 14 aprile 2014, n. 36675, con la quale la relazione sulla verifica amministrativo-contabile, contenente i risultati del controllo effettuato, è stata trasmessa alla Regione Marche; e della relazione, redatta il 15 gennaio 2014.
La ricorrente assume, in primo luogo, che non spetterebbe allo Stato disporre presso la Regione una verifica amministrativo-contabile per la valutazione delle spese per il personale, in quanto essa sarebbe lesiva della sua sfera di attribuzioni costituzionali, definita dagli artt. 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione.
Assume, sul punto, la Regione che tale verifica si fonderebbe su una disposizione – l’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 – costituzionalmente illegittima, e di cui chiede alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale di fronte a se stessa. In subordine, ritiene che la verifica si sia svolta al di fuori dei limiti fissati dalla norma appena citata, poiché l’attività ispettiva non si sarebbe limitata a verificare la spesa in riferimento agli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati e alla «corretta applicazione degli accordi collettivi stipulati» (ai sensi dell’art. 27, comma 4, della legge 29 marzo 1983, n. 93, recante «Legge quadro sul pubblico impiego», cui il citato art. 60, comma 5, rinvia), ma si sarebbe tradotta in un sindacato di carattere generale sulla gestione del personale, e in un controllo su leggi regionali vigenti.
2.− In via preliminare, va rilevata la tardività della censura, proposta dalla ricorrente in via principale, circa la spettanza in capo allo Stato e, per esso, al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, del potere di disporre verifiche ispettive ai sensi dell’art. 60, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001.
La Regione, infatti, ha impugnato la nota in data 11 settembre 2013, n. 74491, con la quale è stata disposta la verifica ispettiva, ma lo ha fatto oltre il termine decadenziale di sessanta giorni, stabilito dall’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), che decorre dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall’avvenuta conoscenza dell’atto impugnato.
Quella prima nota «esprime una chiara manifestazione di volontà dello Stato di affermare la propria competenza a svolgere verifiche» (sentenza n. 370 del 2010), ed è dalla ricezione di essa che la Regione ha avuto conoscenza della decisione dello Stato di procedere a verifiche ispettive. È, dunque, da quel momento che decorre il termine, previsto dalla legge, per contestare la spettanza del potere ispettivo.
Il ricorso, per questa parte, deve dunque ritenersi inammissibile per tardività.
3.− L’inammissibilità per tardività, appena rilevata, non riguarda invece la censura, proposta dalla Regione in via subordinata, relativa non già alla spettanza del potere ispettivo, bensì alle modalità con le quali tale potere è stato in concreto esercitato. La menomazione delle attribuzioni lamentata dalla ricorrente è, infatti, autonomamente imputabile alla nota del 14 aprile 2014 del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che trasmette alla Regione la relazione conclusiva dell’ispezione, nonché alla relazione stessa. Da questi atti, tempestivamente impugnati, emergono le concrete modalità di esercizio del potere, contestate dalla Regione.
4.− Va ora esaminata l’eccezione di inammissibilità formulata, per questa parte del ricorso, dall’Avvocatura generale dello Stato, in ordine alla genericità delle censure prospettate. Assume infatti la resistente che il ricorso non specificherebbe in che modo gli atti impugnati violerebbero i parametri costituzionali, a loro volta genericamente evocati.
L’eccezione non è fondata.
In realtà, la ricorrente individua i paragrafi della relazione ispettiva asseritamente lesivi e, con riferimento all’indicazione dei parametri costituzionali, assume che le modalità di svolgimento delle verifiche ispettive, ad opera di organi dipendenti dal Ministero dell’economia e delle finanze, avrebbero determinato un pregiudizio alla complessiva posizione di autonomia costituzionale garantita alla Regione, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e attraverso il richiamo alla sentenza n. 219 del 2013 di questa Corte.
Tanto appare sufficiente per radicare validamente il conflitto.
5.− La censura proposta in via subordinata dalla Regione Marche è comunque inammissibile, in parte per assenza di tono costituzionale, in parte per carenza di lesività degli atti impugnati.
La difesa della Regione Marche ha sollevato due censure.
Ritiene, innanzitutto, che in alcuni passaggi della relazione ispettiva sarebbero state rilevate irregolarità – in vari atti, fra i quali contratti collettivi decentrati, delibere della Giunta e dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale – non attinenti all’oggetto dell’ispezione, giacché la disposizione legislativa statale consentirebbe verifiche circa la sola osservanza degli oneri derivanti dai contratti collettivi nazionali e decentrati, e non invece un sindacato esteso a tutte le spese per il personale regionale.
In secondo luogo, la Regione evidenzia che gli ispettori avrebbero esteso il controllo al rispetto, da parte del legislatore regionale, dei principi contenuti in leggi statali o della disciplina desumibile da contratti collettivi nazionali.
5.1.− L’esame della prima delle due obiezioni darebbe inammissibilmente ingresso, in un giudizio per conflitto di attribuzione fra enti, ad un sindacato sul rispetto della fonte primaria da parte di atti amministrativi, privo di tono costituzionale, e pertanto non spettante a questa Corte.
Anche se i parametri costituzionali invocabili nei conflitti tra enti ben possono essere integrati da fonti di rango sub-costituzionale (attuative delle disposizioni costituzionali), per costante giurisprudenza di questa Corte il tono costituzionale del conflitto sussiste quando le Regioni non lamentino una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie competenze costituzionali (sentenze n. 263 del 2014, n. 52 del 2013, n. 305 del 2011, n. 412 del 2008, n. 380 del 2007 e n. 467 del 1997). Vanno, dunque, distinti i casi in cui la lesione derivi da un atto meramente illegittimo (la tutela dal quale è apprestata dalla giurisdizione amministrativa), da quelli in cui l’atto è, di per sé, viziato per contrasto con le norme costituzionali sulla competenza (mentre non rileva che l’atto possa essere anche oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale: così, espressamente, sentenze n. 137 del 2014 e n. 287 del 2005).
Da questo punto di vista, la Regione Marche chiede un penetrante sindacato sui contenuti della relazione ispettiva, alla luce del dettato normativo primario, al fine di definire confini ed oggetto del potere ispettivo consentito dal citato art. 60, comma 5, ma senza dimostrare, in questa parte del ricorso, che il controllo in concreto operato dagli ispettori, e asseritamente svolto contra legem, abbia effettivamente recato pregiudizio, per ampiezza e intensità, alla sua sfera costituzionale di attribuzione.
5.2.− Inammissibili sono altresì le censure mosse dalla ricorrente alle parti della relazione ispettiva, nelle quali sono rilevati, e sottoposti a critica, casi di asserito contrasto tra legislazione regionale e legislazione statale, o tra legislazione regionale e disciplina desumibile da contratti collettivi nazionali.
Per quanto possano risultare fortemente inopportune le espressioni, contenute in varie parti della relazione ispettiva (e particolarmente nel suo capitolo conclusivo), che riconducono alcune irregolarità a vizi di legittimità costituzionale della legislazione regionale, esse non arrivano a ledere la sfera di attribuzione costituzionale della ricorrente. Infatti, tali pur irrituali rilievi non producono effetti su tale sfera, né compromettendo la piena efficacia delle leggi regionali sottoposte a critica, né determinando l’insorgere, in capo alla Regione, di un obbligo giuridico di modificare la propria legislazione all’esito della verifica ispettiva (sentenza n. 39 del 2014).
I rilievi in discussione non possiedono quindi reale attitudine lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione Marche nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alle note del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale di finanza, Servizi ispettivi di finanza pubblica − dell’11 settembre 2013, n. 74491, e del 14 aprile 2014, n. 36675, nonché alla relazione del 15 gennaio 2014 a quest’ultima allegata, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2015.