SENTENZA N. 8
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 422, della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2014), promossi dalla
Regione Lazio e dalla Regione Campania con ricorsi, il primo notificato il 25
febbraio-4 marzo 2014 ed il secondo spedito per la notifica il 25 febbraio
2014, depositati in cancelleria il 28 febbraio 2014 ed il 4 marzo 2014 ed
iscritti ai nn. 8 e 12 del
registro ricorsi 2014.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 novembre 2015 il
Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione Lazio,
Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato
Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– La Regione Lazio e la Regione
Campania propongono, con i due distinti ricorsi in epigrafe, plurime questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre
2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato − Legge di stabilità 2014).
La disposizione impugnata così recita:
«Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti
ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’articolo 5, commi
4-ter e 4-quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 [Istituzione del
Servizio nazionale della protezione civile], subentrano in tutti i rapporti
attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi
dell’articolo 110 del codice di procedura civile, nonché in tutti quelli
derivanti dalle dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del
decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla
legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi
dell’articolo 5 della citata legge n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al
presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti
nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano
rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero
soggetti dagli stessi designati».
2.– Premette la ricorrente,
nell’esplicare il contenuto della norma denunciata, come essa delinei un ambito
soggettivo ed oggettivo che, rispettivamente, investe, da un lato, i commissari
delegati, nonché i soggetti cui è attribuito il potere di ordinanza di
protezione civile e, in via estensiva, lo stesso Capo del Dipartimento della
protezione civile (di seguito anche DPC) istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri; dall’altro, attiene «al verificarsi degli eventi di cui
all’art. 2, comma 1, lett. c) [della stessa legge n. 225 del 1992], ovvero
nella loro imminenza», ossia alle «calamità naturali o connesse con l’attività
dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con
immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari
da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo». E sottolinea
come la censurata disciplina si estenda anche ai rapporti «derivanti dalle
dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre
2001, n. 343» (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo
delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le
strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, ossia alle dichiarazioni
dei «grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della
protezione civile».
La difesa regionale osserva, quindi, che
– se pur i rapporti sorti per la gestione di gravi emergenze implichino
l’esercizio di una competenza prettamente governativa, comportante lo
svolgimento di una funzione propria dello stesso Governo che, a tal fine, può
utilizzare lo strumento delle ordinanze di protezione civile anche derogatorie
della legge ed avere accesso a Fondi nell’esclusiva disponibilità dello Stato −
la disposizione denunciata ne imputa, invece, gli effetti ad Amministrazioni
diverse da quelle competenti alla gestione dell’emergenza.
2.1.– Il meccanismo successorio previsto
dal comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, verrebbe, per l’effetto,
così a ledere, sotto più profili, gli interessi e le attribuzioni
costituzionali di essa Regione Lazio.
2.2.– Sarebbe, innanzitutto, vulnerato,
l’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, in relazione alla competenza legislativa
concorrente nella materia «protezione civile», non spettando allo Stato
«imputare ad altre Amministrazioni gli effetti dei rapporti attivi e passivi e
dei procedimenti giudiziari pendenti, sorti in ragione della gestione di uno
stato d’emergenza, così scaricandone la responsabilità e i costi ad essa
conseguenti sui soggetti che non ne sono stati responsabili».
Verrebbero, appunto, con ciò lese le
attribuzioni regionali, giacché: la discrezionalità del legislatore regionale
in tale ambito materiale sarebbe oggi «vincolata da un’illegittima, illogica ed
irragionevole disciplina statale»; sarebbero accollati alla Regione «oneri derivanti
dall’azione di un organo statale e responsabilità connesse ad una res inter alios
acta»; si sarebbe «determinato lo stravolgimento di
tutte le attribuzioni legislative e amministrative della Regione, costretta a
distogliere risorse umane e materiali agli altri impieghi, necessari per
l’esercizio delle funzioni regionali costituzionalmente garantite».
2.3.– Tali ragioni fonderebbero anche la
lesione delle competenze regolamentari e amministrative affidate alla Regione
ai sensi degli artt.
117, sesto comma, e 118 Cost., posto che
il subentro nei rapporti e nei giudizi pendenti, configurato dalla disposizione
denunciata, sarebbe «di per sé idoneo ad interferire con lo svolgimento delle
ordinarie funzioni amministrative regionali».
2.4.– Sussisterebbe ulteriore violazione
dell’art. 118 Cost.,
anche sotto il profilo del principio di sussidiarietà, per l’affidamento ad
altre Amministrazioni pubbliche della gestione dei rapporti attivi e passivi e
dei giudizi pendenti, sorti e instaurati in ragione di uno stato d’emergenza
che gli enti territoriali sono strutturalmente inidonei ad affrontare.
2.5.– Vi sarebbe anche la violazione
dell’art. 119 Cost.,
in combinato disposto con l’art. 3 Cost., in
quanto la successione ex lege nei rapporti passivi e nei rapporti processuali
derivanti dalla gestione statale dello stato di emergenza comporterebbe nuovi e
maggiori oneri in capo alle Amministrazioni territoriali (tra cui le Regioni),
necessari per finanziare spese determinate dalla gestione statale
dell’emergenza e imputabili alla sola responsabilità statale.
2.6.– Sussisterebbe, altresì, il
contrasto con l’art.
119, quarto comma, Cost., producendo la norma denunciata un «accollo di
costi supplementari e non previsti», anche per la gestione delle liti.
2.7.– Verrebbe vulnerato ancora l’art. 3 Cost., sotto
il profilo del principio di ragionevolezza, in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost., essendo
«irragionevole imporre ad altre Amministrazioni, in particolare alla Regione
ricorrente, gli oneri derivanti dalla precedente gestione di un’emergenza
pubblica da parte dello Stato», là dove, peraltro, il Presidente della Regione,
ove incaricato della gestione dell’emergenza, agirebbe soltanto da organo
statale e con i vincoli della normativa statale.
2.8.– Vi sarebbe un vulnus anche dell’art. 24 Cost., in
relazione al principio di ragionevolezza e alle attribuzioni regionali ex artt. 117, 118 e 119 Cost.,
collidendo «con l’ordinato esercizio delle attribuzioni regionali e col
principio di ragionevolezza pretendere che un’altra Amministrazione debba
rispondere […] degli effetti determinati dall’Amministrazione statale nello
svolgimento di funzioni pubbliche sue proprie, dunque non esercitate in
sostituzione o integrazione dell’Amministrazione regionale o locale».
2.9.– Sarebbe leso anche il principio di
leale collaborazione
tra Stato e Regione, giacché − tramite un provvedimento puntuale e
«funzionalizzato al solo scopo di avvantaggiare l’Amministrazione statale in
danno delle Regioni» − lo Stato si sottrarrebbe agli impegni contratti
nell’esercizio di una funzione pubblica ad esso affidata, scaricandone i costi
su altre Amministrazioni, tra cui la ricorrente.
2.10.– Quanto, segnatamente, alla
disposta successione al DPC anche in tutti i rapporti attivi e passivi relativi
ai c.d. «grandi eventi», il comma 422 denunciato lederebbe le attribuzioni
legislative, regolamentari e amministrative della Regione, tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., giacché,
in connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono la
sfera delle attribuzioni regionali.
Sarebbero, infatti, violati il
«principio d’irretroattività della legge, nella misura in cui alla Regione e
alle altre amministrazioni sono affidati ex post costi, oneri e posizioni di
svantaggio nei giudizi pendenti, nonostante che questi oneri siano dovuti allo
svolgimento di funzioni pubbliche già esercitate, per di più di competenza
esclusiva dello Stato»; il principio della certezza del diritto e del legittimo
affidamento, dovendo la Regione «far fronte in via successiva agli oneri
determinati da una precedente gestione di un c.d. "grande evento”, che era
stata affidata alla potestà dai competenti organi statali»; l’art. 117, primo comma,
Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto la «precedente
gestione dei grandi eventi è stata operata da parte della protezione civile in
ragione di scelte discrezionali del legislatore e dell’Amministrazione statale,
né l’imputazione, in un successivo momento, dei rapporti attivi e passivi
determinati da quella gestione dell’evento è necessaria per servire un "motivo
imperativo di interesse generale”».
2.11.– Ed ancora la Regione Lazio
evidenzia che, dovendo annoverarsi tra i rapporti oggetto di successione anche
quelli ormai definiti in base ad un accertamento giurisdizionale definitivo,
passato in giudicato, in tal caso «l’accertamento svolto dal giudice sarebbe
immediatamente travolto dall’individuazione, retroattiva ed in forza di legge,
di una nuova e diversa parte del rapporto giuridico in esame». Donde, la
lesione delle attribuzioni regionali tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. in
connessione con la violazione: dei principi del
contraddittorio tra le parti e del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost.;
degli artt. 101 e
102 Cost., per
l’evidente illegittima interferenza nella funzione giurisdizionale; degli artt. 24 e 113 Cost., stante la
lesione del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi dell’Amministrazione subentrante; dell’art. 117, comma primo,
Cost., in riferimento agli artt.
6 e 13 della CEDU, i quali tutelano i principi di non retroattività della
legge, dell’affidamento e di certezza del diritto.
2.12.– Inoltre, anche la previsione del
comma 422 censurato per cui «le Amministrazioni (tra cui quella regionale)
diverse dal DPC subentrano anche nel contenzioso pendente relativo alla
gestione pro praeterito tempore dei c.d. "grandi
eventi”» determinerebbe una lesione delle attribuzioni regionali tutelate dagli
artt. 117, 118 e 119 Cost., in
connessione con la violazione dei principi e parametri sopra richiamati (sub
2.11.), oltre che del principio della parità delle armi tra le parti
processuali, ricavato dalla giurisprudenza della Corte EDU proprio dai
menzionati artt.
6 e 13 CEDU.
2.13.– La stessa Regione deduce, altresì,
l’illegittimità costituzionale anche dell’ultimo periodo del comma 422, che
lederebbe l’art. 3
Cost., per irragionevole disparità di trattamento, in quanto la gestione
delle situazioni di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del
1992 compete in via esclusiva allo Stato e il fatto che uno dei soggetti
nominati ai sensi dell’art. 5 della stessa legge sia contestualmente titolare
di un mandato da parte di una diversa Amministrazione sarebbe «del tutto
irrilevante quanto all’imputazione degli effetti derivanti dalla gestione dello
stato di emergenza».
2.14.– La ricorrente assume, ancora, che
il comma 422 sarebbe comunque illegittimo «quantomeno nella misura in cui
dispone la successione nei giudizi pendenti a titolo universale, per violazione
dell’art. 3 Cost.,
e precisamente per disparità di trattamento delle amministrazioni pubbliche
(tra cui è la ricorrente) cui si applica la disposizione in esame rispetto alla
platea generale dei soggetti interessati da fenomeni di successione nei giudizi
pendenti».
Posto, quindi, che detti fenomeni
successori rispondono al principio, che costituisce diritto vivente, del «venir
meno della parte processuale», l’operatività, nel caso di specie, della
successione a titolo universale ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.
determinerebbe un vulnus del diritto di difesa della Regione, dovendo essa
«accettare lo stato e il grado del processo, con le decadenze e le preclusioni
già intervenute, senza poter dispiegare con pienezza tutta l’attività difensiva
consentita alle altre parti».
La Regione Lazio lamenta, quindi, una violazione
dei principi costituzionali e di diritto internazionale che presidiano
l’attività giurisdizionale (ossia quelli già indicati sub 2.11. e 2.12.), con
immediato riflesso sulle proprie attribuzioni costituzionali, tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.
3.– Anche la Regione Campania, con il
proprio ricorso, muove dal presupposto che la competenza a disciplinare gli
eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) della legge n. 225 del 1992 sia
unicamente dello Stato, essendo il commissario delegato «organo dell’apparato
statale e i suoi atti sono sempre riferibili alla Presidenza del Consiglio dei
ministri».
3.1.– Ciò premesso, la ricorrente deduce
anzitutto il contrasto del denunciato comma 422 con gli artt. 119, commi primo,
quarto e quinto, Cost.
3.1.1.– La violazione del comma primo
dell’art. 119 Cost. sussisterebbe per il pregiudizio arrecato alla autonomia
finanziaria di spesa delle Regioni, giacché la successione in tutti i giudizi
in corso di cui sono parte i commissari delegati imporrebbe alle stesse Regioni
«di farsi carico della gestione di tutto il contenzioso pendente riferibile ai
Commissari delegati» e, dunque, di utilizzare le proprie risorse per sostenere
oneri finanziari «non preventivati e non autonomamente decisi», così alterandone
le scelte già effettuate per scopi diversi.
Verrebbe, inoltre, pregiudicata
l’autonomia finanziaria di entrata delle Regioni e, segnatamente, della Regione
Campania, là dove l’ordinanza commissariale 27 dicembre 2013, n. 17 individuava
ben 76 giudizi pendenti. Sicché, la stessa Regione dovrebbe reperire le risorse
finanziarie per farvi fronte e, non potendo provvedere attraverso le dotazioni
previste a legislazione vigente, sarebbe «costretta a deliberare aumenti
fiscali o comunque a perseguire politiche di entrata, che altrimenti non
avrebbe posto in essere». Peraltro, una siffatta nuova imposizione fiscale
«peserebbe irragionevolmente proprio sull’ente nel cui territorio si è
verificato l’evento calamitoso», con conseguente "pregiudizio aggiuntivo” sulle
popolazioni colpite dall’evento emergenziale.
3.1.2.– Il contrasto con i commi quarto
e quinto dell’art. 119 Cost. (che consacrano un principio di corrispondenza fra
risorse e funzioni) si apprezzerebbe in ragione del fatto che il denunciato
comma 422 contempla un meccanismo di subentro automatico dell’ente territoriale
nella gestione del contenzioso intrapreso da e nei confronti delle ex gestioni
commissariali, con immediato aggravio sul bilancio dell’ente stesso dei costi
di interventi connessi all’esercizio di funzioni statali. In tal senso
deporrebbe anche la declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera
della sentenza
n. 22 del 2012, dei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell’art.
5 della legge n. 225 del 1992 (introdotti dall’art. 2, comma 2-quater, del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante «Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno
alle imprese e alle famiglie», convertito, con modificazioni, dalla legge 26
febbraio 2011, n. 10), per violazione proprio dell’art. 119 Cost.
3.2.– Il comma 422 censurato
contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 117, terzo comma,
e 119 Cost.,
giacché, ponendo a carico della Regione Campania tutte le spese derivanti da scelte
gestionali operate dai commissari delegati, imporrebbe «dei precisi vincoli di
spesa» ovvero la obbligherebbe «a destinare risorse proprie a spese di giudizio
non preventivate e non decise in autonomia».
3.3.– Sussisterebbe ancora, ad avviso
della ricorrente, la violazione degli artt. 118 e 119 Cost., in
combinato disposto con gli artt. 81 e 97 Cost.
Posto che la disposizione del comma 422
impone alla Regione di destinare talune somme a copertura di spese scaturenti
dalla «successione nel contenzioso pendente», la perdita della gestione diretta
di liquidità, e di risorse finanziarie, si rifletterebbe «sulle capacità
operative» degli enti territoriali, con conseguente maggiore difficoltà nel
fronteggiare i costi connessi all’esercizio delle funzioni amministrative di
attribuzione regionale. Di qui, il contrasto non solo con l’art. 118 Cost., ma
anche con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui
all’art. 97 Cost., che postula che l’esercizio rapido ed efficiente delle funzioni
amministrative «sia adeguatamente sorretto da beni e risorse, anche
finanziarie».
Inoltre, verrebbe in rilievo anche la
lesione dell’art. 81 Cost., giacché, attraverso l’imposizione del subentro
degli enti territoriali nel contenzioso in corso facente capo ai Commissari
delegati e del conseguente onere di spesa, si sarebbero dovute prevedere
adeguate misure compensative.
3.4.− Il comma 422 censurato
lederebbe anche gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.
ed il principio di
ragionevolezza.
La norma impugnata ricondurrebbe
irragionevolmente all’art. 110 cod. proc. civ. (con riverbero pregiudizievole
sulle attribuzioni costituzionali delle autonomie regionali) il subentro della
Regione nei rapporti processuali già facenti capo ai commissari delegati, i quali,
essendo organi statali, non verrebbero meno come parti, cosicché la fattispecie
in esame avrebbe dovuto essere ragionevolmente, viceversa, assimilata a quella
dell’art. 111 cod. proc. civ., ossia alla successione a titolo particolare, per
cui il processo prosegue tra le parti originarie e cioè, nella specie, con la
Presidenza del Consiglio dei ministri.
3.5.– Il comma 422 impugnato, lederebbe
anche il principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., posto che, essendo gli atti del
commissario delegato sempre e comunque atti del Governo, l’applicazione del
riferito meccanismo successorio nei confronti dei soli enti territoriali nel
cui territorio agiva un commissario delegato che rivestiva anche un ruolo di
rappresentanza nell’ente stesso risulterebbe priva di giustificazione e
«chiaramente e immotivatamente iniqua».
4.– In entrambi i giudizi si è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza delle
sollevate questioni di legittimità costituzionale.
La difesa erariale osserva – con
argomentazioni in buona parte comuni ai due ricorsi regionali − che la
disciplina recata dalla norma denunciata, letta nel contesto della legge n. 225
del 1992, come modificata dal decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59 (Disposizioni
urgenti per il riordino della protezione civile), convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, troverebbe la sua ragione
d’essere nelle complesse vicende, sostanziali e processuali, derivanti dalla
«chiusura delle gestioni emergenziali e dei c.d. grandi eventi», là dove si era
intervenuti – proprio con il citato d.l. n. 59 e, segnatamente, con l’art. 5,
comma 4-quater – a definire il passaggio, in capo all’ente subentrante
ordinariamente competente, di funzioni, compiti e risorse finanziarie che
residuano sulla contabilità speciale nella persistenza dello scopo
originariamente delineato.
Nonostante ciò, i soggetti subentranti
ex lege nelle gestioni commissariali avrebbero
«sostanzialmente rifiutato o ostacolato il subentro effettivo», tanto da
rendere necessario un intervento chiarificatore del legislatore, che si è avuto
con la norma di cui al denunciato comma 422.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
soggiunge, quindi, che, nella materia in questione, lo Stato, in forza del
principio di sussidiarietà e con l’intervento partecipativo regionale, sarebbe
appunto intervenuto «in modo sostitutivo rispetto agli enti ordinariamente
competenti», con «temporanea compressione delle competenze [di quest’ultimi]
che si espandono nuovamente al termine dello stato d’emergenza».
Non sarebbe violata, quindi, l’autonomia
finanziaria regionale, considerato che gli enti ordinariamente competenti, tra
cui le Regioni, subentrando ex lege nelle gestioni
commissariali, «sarebbero tenute di per sé a sostenere gli oneri afferenti ai
compiti istituzionali che sono rientrati nell’ordinario».
Né vi sarebbe difficoltà nel reperire le
risorse finanziarie per far fronte a costi supplementari e non previsti,
giacché il subentro riguarda non solo le passività, ma anche le attività, che
«viceversa comportano una voce di entrata per l’ente». Le risorse finanziarie
predisposte dallo Stato in favore della collettività colpita dall’evento
calamitoso, ove dovessero residuare al momento della cessazione dell’emergenza,
sono trasferite per legge all’ente ordinariamente competente. E proprio
nell’ottica di responsabilizzazione di quest’ultimo si porrebbe la prevista
applicazione della norma denunciata soltanto nelle ipotesi in cui «i soggetti
nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano
rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti
ovvero soggetti dagli stessi delegati».
Sarebbe infondata anche la doglianza di
violazione del comma terzo dell’art. 117 Cost., non essendo la norma denunciata
di dettaglio e, peraltro, potendo il legislatore statale dettare anche norme
puntuali per realizzare concretamente le finalità del coordinamento
finanziario.
Quanto, poi, alla censura che investe i
«grandi eventi», la difesa erariale osserva che la disposizione in parte qua
non troverà applicazione nei confronti degli enti territoriali, giacché, «nella
maggior parte dei casi, la figura del Commissario Delegato per i grandi eventi
è stata rivestita dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile ovvero da
soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione posti a capo di strutture di
Missione istituite ad hoc nell’ambito della Presidenza del Consiglio»,
restando, quindi, i relativi rapporti giuridici in capo all’Amministrazione
statale.
In ordine, poi, alla censura di
irragionevolezza del meccanismo di subentro ai sensi dell’art. 110 cod. proc.
civ., l’Avvocatura generale osserva che i commissari delegati «sono soggetti
distinti rispetto all’Amministrazione delegante, in quanto dotati di autonomia
amministrativa e contabile», siccome titolari esclusivi di apposite contabilità
speciali ai medesimi specificamente intestate e destinate esclusivamente alla
realizzazione degli interventi emergenziali.
Dunque, ben si attaglierebbe alla
fattispecie in questione, in quanto ricognitiva di un’ipotesi di venir meno
della parte processuale, il richiamo all’art. 110 cod. proc. civ., senza che
sussista alcuna interferenza con la funzione giurisdizionale, né violazione del
principio di irretroattività della legge ovvero lesione del diritto di difesa.
Non sarebbe fondata neppure la doglianza
che deduce la disparità di trattamento nella distinzione fra gestioni
commissariali facenti capo, o meno, a soggetti rappresentanti degli enti
ordinariamente competenti, giacché proprio tale distinzione consentirebbe la
responsabilizzazione del vertice istituzionale dell’ente territoriale coinvolto.
5.− In prossimità dell’udienza
pubblica la Regione Lazio ha depositato memoria con la quale insiste per la
declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 422 dell’art. 1 della
legge n. 147 del 2013.
La ricorrente, nel contrastare le difese
erariali, ribadisce le proprie ragioni e, segnatamente, il fatto che
l’intervento dello Stato nel caso degli eventi di cui alla lettera c) del comma
1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992 non sarebbe nell’interesse degli enti
territoriali, bensì volto a soddisfare interessi che trascendono quelli delle
comunità locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, dovendosene lo
Stato farsene interamente carico.
La Regione Lazio contesta, altresì, che
la normativa di riferimento possa garantire «che l’ente subentrante sia
effettivamente beneficiario delle risorse necessarie per garantire l’ordinato
subentro al Dipartimento della protezione civile, e che la contabilità sia
effettivamente sufficiente allo scopo».
1.– La Regione Lazio – con riferimento
agli «artt. 3, 24, 101, 102, 111, 113, 117, 118, 119 Cost., anche in relazione
agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché dei
principi di ragionevolezza, di leale collaborazione, di irretroattività della
legge, di certezza del diritto, di legittimo affidamento e di "parità delle
armi” nelle controversie giurisdizionali» – e la Regione Campania, «per
violazione degli articoli 119, 117, comma 3, 118, 81, 3 e 97 della
Costituzione, nonché del principio di ragionevolezza», impugnano entrambe
l’art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di
stabilità 2014).
2.– I due ricorsi – ai quali resiste, con
altrettanti atti di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri per il
tramite dell’Avvocatura generale dello Stato – possono riunirsi, stante
l’identità della disposizione denunciata e la parziale coincidenza o
sovrapposizione delle censure avverso di questa formulate dalle Regioni
ricorrenti.
3.– La norma, che viene così sottoposta
a scrutinio di costituzionalità, testualmente dispone che «Alla scadenza dello
stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti,
individuati anche ai sensi dell’articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge
24 febbraio 1992, n. 225 [Istituzione del Servizio nazionale della protezione
civile], subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti
giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’articolo 110 del codice di
procedura civile, nonché in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui
all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti
capo ai soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della citata legge n. 225
del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle
sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima
legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».
4.– La riferita disposizione si innesta
nel sistema, adottato dal legislatore del 1992, di «organizzazione diffusa a
carattere policentrico» della protezione civile (sentenze n. 129 del 2006
e n. 327 del
2003) e, in tale contesto disciplinatorio, si
raccorda, in particolare, alle «calamità naturali», di cui alla lettera c) del
comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992; specificamente, cioè, si
riferisce a quegli eventi (non fronteggiabili, singolarmente o in via
coordinata, dagli enti od amministrazioni competenti in via ordinaria) «che in
ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza
d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare
durante limitati e predefiniti periodi di tempo».
4.1.– Al verificarsi di detti eventi –
per come disposto dal successivo art. 5 della stessa legge n. 225 del 1992 −
«il Consiglio dei Ministri […] anche su richiesta del Presidente della regione
interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza,
fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con specifico
riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e disponendo in ordine
all’esercizio del potere di ordinanza».
4.2.– «Almeno dieci giorni prima della scadenza
del termine di cui al comma 1- bis, [180 giorni, prorogabili per non più di
ulteriori 180 giorni] il Capo del Dipartimento della protezione civile emana
[…] apposita ordinanza volta a favorire e regolare il subentro
dell’amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli
interventi, conseguenti all’evento, che si rendono necessari successivamente
alla scadenza del termine di durata dello stato di emergenza» (comma 4-ter,
aggiunto, all’art. 5 della legge n. 225 del 1992, dal numero 7 della lettera c
del comma 1 del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, recante «Disposizioni
urgenti per il riordino della protezione civile», convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100).
5.– Ed è, appunto, alla fase successiva
alla chiusura dello stato di emergenza che si riferisce la disposizione
impugnata, con la quale (illegittimamente, secondo le ricorrenti ovvero, in
termini meramente chiarificatori, secondo la difesa dello Stato), gli effetti
degli atti risalenti alle cessate strutture commissariali sono imputati alle
amministrazioni od enti ordinariamente competenti, a titolo di successione
universale, anche ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., con riguardo al
subentro nelle controversie pendenti.
6.– L’ampio ed articolato ventaglio di
censure complessivamente rivolte dalle Regioni Lazio e Campania (quali più
dettagliatamente riassunte nel Ritenuto in fatto) fa, comunque, perno, per ogni
profilo, su una premessa di fondo: quella, cioè, per cui i provvedimenti posti
in essere dal Commissario delegato alla gestione dell’emergenza, come longa manus del Presidente del
Consiglio, debbano essere considerati come atti dell’amministrazione centrale
dello Stato, finalizzati a soddisfare interessi che trascendano quelli delle
comunità locali colpite dalla calamità.
6.1.– Da tale premessa, in ordine
logico, direttamente discende un primo complesso ordine di censure (su cui, in
particolare, insiste la difesa della Regione Lazio), rivolte all’adottato
meccanismo di successione a titolo universale – presupponente, per definizione,
il "venir meno” del soggetto cui si succede – in una situazione nella quale
l’amministrazione o l’ente territoriale ordinariamente competente verrebbero,
viceversa, chiamati a subentrare, a tal titolo, «in tutti i rapporti attivi e
passivi» e «nei procedimenti giurisdizionali pendenti», derivanti da atti che –
per quanto, appunto, assunto in premessa – sarebbero riconducibili allo Stato
(che li avrebbe posti in essere, attraverso la struttura delegata, nell’esercizio
di una funzione sua propria) e, quindi, ad un soggetto del quale non potrebbe
dirsi che sia "venuto meno”.
Dal che la violazione de:
il «principio d’irretroattività della
legge», nella misura in cui alla Regione e alle altre amministrazioni sarebbe
fatto carico ex post di costi, oneri e posizioni di svantaggio nei giudizi
pendenti, ancorché correlati a funzioni pubbliche già esercitate, per di più di
competenza esclusiva dello Stato;
gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma,
Cost. e il principio di ragionevolezza, per le motivazioni cui sopra;
il «principio della certezza del diritto
e del legittimo affidamento», dovendo la Regione «far fronte in via successiva
agli oneri determinati da una precedente gestione di un c.d. "grande evento”,
che era stata affidata alla potestà dei competenti organi statali»;
l’art. 117, primo comma, Cost., in
riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,
che tutelano anch’essi i principi di non retroattività della legge,
dell’affidamento e di certezza del diritto;
i «principi del contraddittorio tra le
parti e del giusto processo», di cui all’art. 111 Cost., quanto alla disposta
successione anche nei rapporti ormai definiti con sentenza passata in
giudicato, con la conseguenza che «l’accertamento svolto dal giudice sarebbe
immediatamente travolto dall’individuazione, retroattiva ed in forza di legge,
di una nuova e diversa parte del rapporto giuridico in esame»;
gli artt. 101 e 102 Cost., per
illegittima interferenza nella funzione giurisdizionale;
gli artt. 24 e 113 Cost., per lesione
del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi
dell’Amministrazione subentrante.
Parametri e principi, quelli sin qui
elencati, di cui la Regione Lazio reitera la censura di violazione con
specifico riferimento anche alla successione, come pure prevista dalla norma
impugnata, nei rapporti attivi e passivi «derivanti dalle dichiarazioni di cui
all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343», ossia
relativamente ai "grandi eventi” e, dunque, a fattispecie «già consumatesi e
regolate da disposizioni non più in vigore».
6.2.– Anche la violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., in tema di competenza legislativa concorrente tra Stato e
Regioni nella materia «protezione civile» è motivata dalle ricorrenti muovendo
dal rilievo che la norma denunciata – chiamando le Regioni a far fronte ad
oneri derivanti dall’azione di un organo statale – avrebbe con ciò travalicato
la linea dell’enunciazione di principi fondamentali, per dettare una disciplina
di dettaglio, che andrebbe a comprimere la discrezionalità riservata, in tale
ambito, al legislatore regionale.
Argomentazione, questa, che aggrega e
sorregge anche gli ulteriori connessi profili di violazione degli artt. 117,
commi terzo e sesto, e 118 Cost., sul rilievo che il subentro nei rapporti e
giudizi pendenti attinenti alla gestione di una situazione di emergenza
interferirebbe con lo svolgimento delle ordinarie funzioni amministrative
regionali; dell’art. 118 Cost., anche in ragione di un prospettato vulnus al
principio di sussidiarietà; e del principio di leale collaborazione, posto che
lo Stato si sottrarrebbe, in tal modo, agli impegni contratti nell’esercizio di
una funzione pubblica, affidatagli dalla legge, scaricandone i costi su altre
amministrazioni, tra cui quelle ricorrenti.
6.3.– Un terzo gruppo di censure attiene
al vulnus alla «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», riconosciuta alle
Regioni dall’art. 119, primo comma Cost., ancora una volta correlato al
denunciato accollo ex post a detti enti territoriali di obbligazioni assunte ex
ante dallo Stato nella fase dell’emergenza.
Su questa linea, la Regione Lazio
prospetta anche la violazione dell’art. 3 Cost., per esserle irragionevolmente
in via automatica addossate «tutte le conseguenze pregiudizievoli che, per
avventura possono essere state determinate dall’organo statale gestore
dell’emergenza», e quella ulteriore dell’art. 119, quarto comma, Cost. (che
prevede l’integrale finanziamento in base alle risorse disponibili delle
funzioni regionali), producendo − a suo avviso − la norma denunciata
«un accollo di costi supplementari e non previsti», anche per la gestione delle
liti.
Parallelamente, la Regione Campania
lamenta la violazione del principio di corrispondenza fra risorse e funzioni,
estraibile dai commi quarto e quinto dell’art. 119 Cost.; e quella, altresì,
dagli artt. 81 e 97, in combinazione con gli artt. 118 e 119 Cost., in quanto,
imponendosi alla Regione di destinare talune somme a copertura di spese
scaturenti dalla successione nel contenzioso pendente, la perdita della gestione
diretta di liquidità si rifletterebbe sulle sue capacità operative «riducendo
infatti le disponibilità finanziarie degli enti territoriali e sottraendo agli
stessi la possibilità di gestire in modo libero e responsabile le proprie
risorse», con conseguente maggiore difficoltà nel fronteggiare i costi connessi
all’esercizio delle funzioni amministrative di attribuzione regionale, in
assenza per di più di adeguate misure compensative.
6.4.– L’art. 3 Cost., sarebbe, infine,
violato, secondo le ricorrenti, anche in ragione della prevista applicazione
del censurato meccanismo successorio alle sole ipotesi in cui la delega alla
gestione dell’emergenza sia conferita a «rappresentanti delle amministrazioni e
degli enti ordinariamente competenti».
Ciò sul rilievo che, essendo gli atti
del commissario delegato sempre e comunque atti del Governo, la suddetta
limitazione risulterebbe lesiva del principio di eguaglianza, priva di
giustificazione e «immotivatamente iniqua nei confronti di quegli enti
territoriali nel cui territorio agiva un commissario delegato che rivestiva
anche un ruolo di rappresentanza nell’ente stesso».
7.– Come più ampiamente riportato nel
Ritenuto in fatto, l’Avvocatura generale dello Stato ha contestato la
fondatezza di ognuna delle censure rivolte all’art. 1, comma 422, della legge
n. 147 del 2013, muovendo dal presupposto che nella fase dell’emergenza –
diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti – lo Stato non eserciterebbe
funzioni proprie, in via definitiva, bensì funzioni provvisoriamente avocate a
sé in via sostitutiva. Dal che la conseguenza che le competenze degli enti
territoriali colpiti dalla calamità, temporaneamente compresse da quelle
esercitate dallo Stato nella suddetta e temporalmente circoscritta fase, si
espanderebbero nuovamente al suo termine. E detti enti – in coerenza a principi
fondamentali della materia «protezione civile» e senza alcun vulnus alla
propria autonomia finanziaria − naturalmente e ragionevolmente
subentrerebbero nei rapporti, non solo passivi ma anche attivi, risalenti alla
cessata gestione commissariale, potendo per di più avvalersi delle risorse
finanziarie che residuano nelle contabilità speciali dei Commissari delegati.
Ciò anche sul rilievo che la «socializzazione»
(id est l’accollo alla collettività) degli oneri finanziari per far fronte alla
calamità «deve trovare un limite alla cessazione dell’emergenza […] a maggior
ragione per quanto concerne gli eventi di ambito locale, in quanto, diversamente
opinando, si finirebbe per operare una deresponsabilizzazione dell’ente
territoriale interessato».
8.− Nessuna delle questioni
prospettate è fondata.
8.1.– La disposizione in esame, in primo
luogo, non incorre nella violazione dei numerosi parametri costituzionali e
convenzionali evocati sub 6.1.
Trattasi, infatti, per questo aspetto,
di censure sorrette, come detto, dalla comune argomentazione di fondo per la
quale illegittimamente e irragionevolmente gli enti ricorrenti sarebbero
chiamati a succedere a titolo universale in rapporti giuridici, anche
contenziosi, risalenti ad attività poste in essere da un soggetto (lo Stato)
che non «viene meno» con la cessazione dell’emergenza e che dovrebbe pertanto
restarne titolare, e correlativamente responsabile, in via definitiva.
Argomentazione, questa, che è però
duplicemente errata in quanto, nella specie, con la dichiarata cessazione della
emergenza, per un verso, viene effettivamente meno la struttura commissariale
che l’ha gestita e, per altro verso, nei rapporti da questa posti in essere,
ragionevolmente è chiamato a subentrare l’ente territoriale ordinariamente
competente, in virtù di un radicamento sia spaziale che funzionale (alle
esigenze dell’ente stesso) dei rapporti in questione.
8.1.1.– Quanto al primo profilo, va
rilevato che è pur vero (come deducono le ricorrenti) che gli atti dei
commissari delegati a fronteggiare emergenze di protezione civile «possono
qualificarsi come "atti dell’amministrazione centrale dello Stato […]
finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità
locali”» (così da ultimo, sentenza n. 159 del
2014). Vero è anche, però, che la funzione statale, che qui viene in
rilievo, è una funzione temporanea, che si origina e si elide (nasce e muore)
in ragione, rispettivamente, dell’insorgere e del cessare della situazione di
emergenza.
Essa è cioè solo e soltanto correlata
allo stato di emergenza, rispetto al quale la Regione ordinariamente competente
non è comunque estranea, giacché, nell’ambito dell’organizzazione policentrica
della protezione civile, occorre che essa stessa fornisca l’intesa per la
deliberazione del Governo e, dunque, cooperi in collaborazione leale e
solidaristica.
8.1.2.– Il "venir meno” della struttura
commissariale, per il cui tramite lo Stato ha in concreto esercitato la
funzione emergenziale, integra dunque il presupposto di una necessitata
successione nei rapporti da questa posti in essere, che risultino ancora in atto,
la cui riconduzione al fenomeno della successione universale è scelta
legislativa non incongrua rispetto alle premesse che la sorreggono. I rapporti
implicati da tale successione, infatti, sono correlati all’esercizio di una
competenza che si è dispiegata su un tessuto fattuale (sociale ed economico) e
giuridico, quello afferente al territorio inciso dalla situazione emergenziale,
sul quale − in assenza di detta situazione (e, dunque, non solo in via
ordinaria, ma anche a fronte di eventi calamitosi di minor rilevanza: lettere a
e b del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992) – opera l’ente
territorialmente competente secondo il normale assetto delle attribuzioni
costituzionali (legislative, regolamentari e amministrative). Ed è perciò
ragionevole che le conseguenze (sia fattuali che) giuridiche, che residuano
alla cessazione dello stato di emergenza e insistono ancora sull’anzidetto
assetto territoriale, siano governate nuovamente in base all’ordinario sistema
di competenze.
Tanto comporta che il subentro dell’ente
ordinariamente competente (ex art. 5, comma 4-ter, della legge n. 225 del 1992)
investa appunto in toto la situazione in essere su cui lo Stato non può più
esercitare alcuna competenza giuridica.
Da qui, la coerenza della disposizione denunciata
con il complessivo sistema di organizzazione della protezione civile e la sua
adeguatezza – e non già il contrasto, come a torto denunciato – con i parametri
evocati dalle ricorrenti.
Il subentro dell’ente territorialmente
competente nei rapporti (anche ex iudicato) e nei giudizi pendenti risalenti
alla gestione commissariale non ha, infatti, l’asserito carattere retroattivo,
ma regola il fenomeno successorio in consonanza con i principi sostanziali e
processuali di riferimento, non potendosi sostenere che il successore a titolo
universale, in quanto tale (e, dunque, titolare dello stesso rapporto
sostanziale oggetto di giudicato), sia vulnerato nelle sue garanzie difensive
dalla norma dell’art. 110 cod. proc. civ., la quale, in ogni caso, si appalesa
pertinente a regolare il fenomeno in luogo dell’art. 111 cod. proc. civ., che
attiene alla successione a titolo particolare.
8.1.3.– Ad analoga conclusione deve
pervenirsi con riguardo ai cosiddetti «grandi eventi», rispetto ai quali −
ove non già inclusi tra gli eventi «per i quali si rende necessaria la delibera
dello stato di emergenza» − trovano applicazione in toto le disposizioni
di cui all’art. 5 della legge n. 225 del 1992, come previsto dal comma 5
dell’art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 401 del 2001.
Vi è, dunque, una piena sovrapposizione
di disciplina (e, quindi, di competenze) che induce, appunto, ad una
coincidenza di soluzioni.
La circostanza, poi, che la citata norma
del comma 5 dell’art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001 sia stata abrogata
dall’art. 40-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27
non conforta le doglianze della Regione Lazio.
Non sussiste, infatti, il vulnus alle
competenze regionali costituzionalmente garantite, denunciato in ragione
dell’asserita lesione, dei principi di irretroattività della legge, della certezza
del diritto e delle garanzie della difesa e del giusto processo, giacché il
censurato comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 non opera −
come detto − in via retroattiva, ma regola, dalla sua entrata in vigore,
un fenomeno successorio di rapporti sostanziali e processuali in coerenza con i
presupposti che lo giustificano.
8.1.4.– Nel delineato contesto, perdono
di consistenza anche le doglianze sub 6.4., giacché, lungi dal determinare una
disparità di trattamento, il meccanismo selettivo previsto dalla norma
impugnata (che trova, infatti, applicazione esclusivamente nel caso in cui i
commissari delegati «siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti
ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati») si radica su
presupposti, fattuali e giuridici, che, come visto, rendono ragione del
subentro in tutti i rapporti (sostanziali e processuali) pendenti proprio di
quegli enti dotati della competenza ordinaria a provvedere in riferimento al
territorio colpito dalla calamità emergenziale o già interessato dal c.d.
grande evento.
8.2.– Insuscettibili di accoglimento
sono anche le censure sub 6.2.
Non vi, è, infatti, lesione della
competenza regionale concorrente nella materia della «protezione civile» (art.
117, terzo comma, Cost.), né interferenza con lo svolgimento delle funzioni
ordinarie amministrative (art. 117, sesto comma, Cost.), né ancora un vulnus al
principio di sussidiarietà verticale (art. 118 Cost.) o al principio di leale
collaborazione, posto che le competenze e tutte le attribuzioni della Regione –
quale soggetto già coinvolto nell’organizzazione complessiva dello stato di
emergenza – si riespandono naturalmente al cessare di
una situazione transeunte ed eccezionale, derogatoria dell’assetto
ordinamentale. La quale, pur sempre, attiva una competenza che la
giurisprudenza di questa Corte ascrive ai principi fondamentali della materia
(sentenze n. 277
del 2008, n.
284 e n. 82
del 2006, n.
327 del 2003). E il cui venir meno non può che determinare, in capo
all’ente cui spetta la gestione dell’"ordinario”, l’intestazione dei rapporti
precedentemente sorti e, con essi, degli eventuali correlativi procedimenti
giudiziari ancora pendenti.
8.3.– A non diverso esito vanno incontro
le censure sub 6.3.
Come si evince dal disposto di cui ai
commi 4-ter e 4-quater dell’art. 5 della l. n. 225 del 1992, il subentro delle
Regioni ordinariamente competenti nei rapporti giuridici sorti nella fase
dell’emergenza, e nei processi pendenti ad essi relativi, è accompagnato,
infatti, dal parallelo subentro degli stessi enti territoriali nella
contabilità speciale, già intestata al Commissario delegato o al soggetto
altrimenti individuato (rivestente un ruolo di rappresentante) dell’ente
subentrante. E tale contabilità è alimentata – ai sensi del successivo comma
5-quinquies dell’art. 5 – da risorse statali, ossia dal Fondo per le emergenze
nazionali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri –
Dipartimento della protezione civile, ex art. 18 della legge 31 dicembre 2009,
n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) e, ove occorra, dal Fondo di
riserva per le spese impreviste, di cui all’art. 28 della citata legge n. 196
del 2009, nonché dal Fondo centrale di garanzia per la copertura dei rischi derivanti
dalle operazioni di credito a medio termine a favore delle medie e piccole
imprese industriali, di cui al comma 5-sexies dell’art. 28 del decreto-legge 18
novembre 1966, n. 976 (Ulteriori interventi e provvidenze per la ricostruzione
e per la ripresa economica nei territori colpiti dalle alluvioni e mareggiate
dell’autunno 1966), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre
1966, n. 1142.
È dato, inoltre, evincere, dai commi 1 e
5-bis dell’art. 5 della stessa legge n. 225, che le risorse inizialmente
stanziate per fronteggiare l’emergenza possono essere integrate ove si rivelino
insufficienti: integrazione che ben potrebbe essere sollecitata dalla
rendicontazione cui sono tenuti i commissari delegati, non soltanto
nell’imminenza della cessazione della gestione (o alla chiusura della stessa),
ma anche alla chiusura di ciascun esercizio, dovendosi mettere in rilievo,
attraverso il rendiconto, tutte le entrate e tutte le spese riguardanti
l’intervento.
Per cui non conferente risulta il richiamo,
operato dalla Regione Campania, al precedente di cui alla sentenza n. 22 del
2012, la quale ha bensì dichiarato l’illegittimità in parte qua (commi 5-quater
e 5-quinquies, primo periodo) dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, ma in
quanto si imponeva, ivi, alle Regioni di reperire (esse) le risorse per far
fronte alla situazione post-emergenza.
Il comma 422 dell’art. 1 della legge n.
147 del 2013 − oggetto dell’odierna impugnazione − disegna invece
un meccanismo successorio che presuppone una tendenziale capienza strutturale
della contabilità speciale, in cui subentra l’ente territorialmente competente,
rispetto agli impegni di spesa correlati alla situazione emergenziale. E con
ciò risulta rispettato il principio fondamentale della finanza pubblica per
cui, in ambito di esercizio di funzioni volte al perseguimento di interessi
collettivi, il subentro di un ente nella gestione di un altro ente soppresso (o
sostituito) deve avvenire in modo tale che l’ente subentrante sia salvaguardato
nella sua posizione finanziaria, necessitando al riguardo una disciplina (che
nella specie, per l’appunto, sussiste) la quale regoli gli aspetti finanziari
dei relativi rapporti attivi e passivi e, dunque, anche il finanziamento della
spesa necessaria per l’estinzione delle passività pregresse (tra le altre, sentenza n. 364 del
2010).
Per cui l’incapienza che, in talune
contingenze, dovesse (in concreto) verificarsi, si risolverebbe in un
inconveniente di fatto, come tale non attinente al profilo (astratto) della
legittimità costituzionale della norma, ma solo a quello (fattuale appunto)
della correlativa applicazione, in relazione alla quale – ove l’incapienza
stessa sia così grave da incidere in modo pregiudizievole sull’equilibrato
rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per
farvi fronte (tra le tante, sentenze n. 82 del 2015
e n. 246 del
2012) – soccorrono, e potrebbero essere dunque attivati dalla Regione, i
rimedi generali all’uopo previsti dall’ordinamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 422, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2014), in
riferimento agli artt. 3, 24, 101, 111, 113, 118, 119 e 117, primo comma, della
Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n.
848, promosse dalla Regione Lazio, con il ricorso in epigrafe indicato;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1,
comma 422, della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 3, 81, 97,
117, terzo comma, 118 e 119 Cost., promosse dalla Regione Campania, con il
ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2016.