SENTENZA N. 219
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9, comma 23, e 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra D.T.C. ed altri e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, con ordinanza del 9 maggio 2012, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di costituzione di D.T.C. ed altri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
udito l’avvocato Sandro Campilongo per D.T.C. ed altri.
Ritenuto in fatto
1.− Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 9 maggio 2012, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 42, 53 e 97 della Costituzione, e dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost.
2.− Il rimettente espone di essere stato adìto da docenti e insegnanti in servizio presso istituti scolastici ricompresi nell’ambito della propria competenza territoriale, i quali chiedevano, da un lato, dichiararsi l’illegittimità della sospensione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici disposta dal comma 23 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, con il conseguente riconoscimento del diritto al trattamento giuridico e retributivo spettante in virtù delle previsioni contrattuali vigenti, senza tener conto delle contestate riduzioni, a tal fine prospettando violazione di legge e sollevando dubbi di legittimità costituzionale della suddetta disposizione, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 41, 42, 53, 97 e 98 Cost.; dall’altro, accertare l’avvenuta abrogazione della disciplina sull’indennità di buonuscita a decorrere dal 1° gennaio 2011, per effetto del comma 10 dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, con conseguente declaratoria di illegittimità del perdurante prelievo del 2,50 per cento sull’80 per cento della retribuzione – operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita – e domanda di restituzione degli accantonamenti eseguiti, prospettando, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale per la disparità di trattamento a carico dei lavoratori dipendenti del settore pubblico rispetto ai lavoratori privati, non assoggettati ad alcun prelievo in relazione all’accantonamento del trattamento di fine rapporto da parte del datore di lavoro.
3.− Tanto premesso, il Tribunale, richiamato il contenuto dell’art. 9, comma 23, del d.l. 78 del 2010, come convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, che prevede: «Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 14», ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in riferimento a diversi parametri in ragione delle seguenti motivazioni.
3.1.− La norma impugnata violerebbe l’art. 53 Cost., in quanto non si sarebbe in presenza di mere riduzioni della spesa pubblica, ma la disposizione in esame istituirebbe veri e propri tributi, che dovrebbero rispettare i principi di universalità, capacità contributiva e progressività di cui al suddetto parametro costituzionale.
Diversamente, la norma impugnata colpirebbe solo il personale della scuola all’interno di un’amplissima categoria di cittadini e di lavoratori, senza considerare la progressività e la capacità contributiva, penalizzando quello con minore anzianità di servizio, così dando luogo anche alla violazione dell’art. 3 Cost.
3.2.− Sarebbe, altresì, violato l’art. 2 Cost., in relazione all’art. 3 Cost., venendo lesi i principi di uguaglianza, ragionevolezza legislativa e solidarietà sociale, politica ed economica. L’onere connesso alla riduzione della spesa, determinato dalla eccezionalità della situazione economica internazionale, avrebbe dovuto essere posto a carico non solo di una parte dei cittadini e dei dipendenti pubblici, ma della collettività.
3.3.− Il Tribunale censura l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, anche per la violazione degli artt. 42 e 97 Cost., in riferimento all’art. 3 Cost. Ed infatti la disposizione in esame si porrebbe come norma provvedimentale che determinerebbe nei confronti dei soggetti interessati un effetto ablatorio di diritti di contenuto economico, già acquisiti nella sfera del dipendente pubblico in virtù di vigenti disposizioni contrattuali, alterando il sinallagma contrattuale del rapporto di durata senza prevedere alcuna misura compensativa o indennitaria, neppure sul piano della fruibilità del rapporto complessivo (orario, ferie ed altro). Inoltre, la norma in questione avrebbe inciso sulle aspettative e sull’affidamento dei dipendenti del settore scolastico al di fuori dei canoni di uguaglianza e ragionevolezza, avuto riguardo sia al sacrificio unilateralmente imposto a tale categoria a fronte di una situazione contingente di crisi che avrebbe dovuto interessare l’intera comunità, sia al carattere non transitorio della misura non essendo previsto diritto a recupero della disposta sospensione degli scatti di anzianità e stipendiali.
3.4.− Infine, la norma è sottoposta al vaglio di questa Corte per l’asserita violazione degli artt. 35 e 39 Cost., nonché dell’art. 36 Cost.
Si determinerebbe, infatti, un’anomala interruzione dell’efficacia delle disposizioni contrattuali vigenti e, quindi, dell’autonomia negoziale riservata alle parti, nell’ambito della contrattazione collettiva, in virtù della esclusiva posizione dello Stato-datore di lavoro. Sarebbe, inoltre, leso, il rispetto del principio della proporzionalità della retribuzione affidato allo strumento del contratto collettivo.
4.− Il Tribunale rimettente sospetta dell’illegittimità costituzionale l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010.
La norma stabilisce: «Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento».
Assume il rimettente che la disposizione censurata, a fronte dell’estensione del regime di cui all’art. 2120 cod. civ. (ai fini del computo dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, determina l’applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, in combinato con l’art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), così violando gli artt. 3 e 36 Cost.
Ed infatti, vi sarebbe una irragionevole disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati che non subiscono tale rivalsa ed una illegittima riduzione della retribuzione, in vista dell’accantonamento finalizzato al trattamento di fine rapporto.
5.− Con atto di costituzione del 7 settembre 2012, sono intervenuti i ricorrenti nel giudizio a quo, deducendo la fondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Roma e riservandosi più ampie deduzioni.
6.− Con memoria del 4 settembre 2013, gli interventori hanno rilevato, dato atto della sentenza di questa Corte n. 223 del 2012, l’intervenuta abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, ad opera dell’art. 1, comma 98, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2013), e hanno chiesto che questa Corte dichiari cessata la materia del contendere.
Gli stessi, in riferimento all’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, prospettano, altresì, la violazione anche degli artt. 41 (libertà di concorrenza) e 97 Cost., in quanto il rapporto di lavoro pubblico, per effetto della norma censurata, diventerà automaticamente meno conveniente di quello privato, con la conseguenza che l’offerta di lavoro del settore pubblico potrebbe divenire meno competitiva di quella del settore privato, con conseguente depauperamento dell’efficienza della pubblica amministrazione.
In particolare, gli interventori, nell’aderire alla prospettazione del rimettente, deducono la sussistenza della violazione degli artt. 35 e 39 Cost., quale lesione del principio di tutela degli accordi collettivi e della funzione sindacale. Vi sarebbe, infatti, un completo azzeramento dell’autonomia negoziale riservata alle parti nell’ambito della contrattazione collettiva, posto che lo stipendio viene determinato contrattualmente e non per legge.
Considerato in diritto
1.− Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 9 maggio 2012, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 42, 53 e 97 della Costituzione, e dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost.
2.− In via preliminare, vanno dichiarate inammissibili le deduzioni articolate dalla parte privata, volte ad estendere il thema decidendum fissato nell’ordinanza di rimessione (ex multis, sentenza n. 275 del 2013).
Non può, quindi, trovare ingresso la censura di violazione degli artt. 41 e 97 Cost.
3.− In ordine alla impugnazione dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, occorre rilevare che con la sentenza n. 223 del 2012 ne è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale e il legislatore ha dato attuazione alla sentenza abrogando la disposizione prima con l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici), non convertito, e poi, definitivamente, con il successivo art. 1, comma 98, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2013).
Ne consegue che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, dopo la sentenza n. 223 del 2012, è divenuta priva di oggetto e va, quindi, dichiarata manifestamente inammissibile.
4.− Il Tribunale ha impugnato anche l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, secondo cui per il personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario (A.T.A.) della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto dall’art. 8, comma 14, del medesimo decreto-legge.
4.1.− Va ricordato che la disposizione in esame ha contenuto analogo all’art. 9, comma 21, dello stesso decreto-legge avente natura di principio di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 181 del 2014), che ha previsto, per il personale cosiddetto non contrattualizzato di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra l’altro, il blocco per il triennio 2011-2013 dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti, degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio, relativi allo stesso periodo, di ogni effetto economico delle progressioni in carriera, comunque denominate. E al riguardo questa Corte, con le sentenze n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate da più Tribunali amministrativi regionali, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 Cost.
4.2.− Le censure prospettate dal Tribunale ordinario di Roma in relazione agli artt. 2, 3, 36, 42, 53 e 97 Cost. coincidono, in particolare, con quelle decise con le sentenze n. 310 e n. 304 del 2013. La questione non è fondata.
5.− Alla disposizione in esame anzitutto non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non dà luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l’erario.
La giurisprudenza di questa Corte, da ultimo (sentenze n. 310 del 2013 e n. 223 del 2012), ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse derivanti, che devono essere connesse ad un presupposto economicamente rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche spese. Tali condizioni non ricorrono nel caso di specie.
5.1.− Quanto alla prospettata lesione degli artt. 42 e 97 Cost., per il carattere provvedimentale della norma impugnata, anch’essa non sussiste. La disposizione, infatti, specifica le misure di contenimento della spesa pubblica da adottare con riguardo al pubblico impiego, rispetto alle peculiarità che connotano il rapporto di lavoro contrattualizzato del personale docente e A.T.A., e quindi non è destinata ad incidere su un numero determinato e molto limitato di destinatari, né ha un contenuto particolare e concreto.
5.2.− Per le censure relative agli artt. 2 e 3 Cost., valgono, anche nel caso di specie, le considerazioni di questa Corte, che ha ritenuto l’intervento in esame giustificato, nel suo complesso, dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica, in presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti (sentenza n. 310 del 2013, nonché sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009).
5.3.− Questa Corte ha inoltre negato che sia ravvisabile una lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, posto che «il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni “non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto”» (sentenza n. 310 del 2013).
5.4.− Con riferimento all’art. 36 Cost., poi, questa Corte è ferma nel ritenere che il giudizio sulla conformità a tale parametro costituzionale non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n. 304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006).
5.5.− Quanto alla intervenuta proroga della misura in questione al 31 dicembre 2013, per effetto del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), questa Corte ha già chiarito, rispetto ad analoga fattispecie, che il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992 (sentenza n. 310 del 2013).
6.− Le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio.
7.− Il Tribunale ordinario di Roma sospetta altresì di illegittimità costituzionale l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, prospettando la lesione degli artt. 35, 36 e 39 Cost.
In particolare, il Tribunale assume che sarebbe violata l’autonomia negoziale riservata alle parti nell’ambito della contrattazione collettiva, con la conseguente lesione del principio della proporzionalità della retribuzione affidato allo strumento del contratto collettivo.
8.− La questione non è fondata.
8.1.− Vengono in rilievo al riguardo le relazioni tra la legge e i contratti espressione dell’autonomia collettiva, poiché il rapporto di lavoro pubblico privatizzato – al quale appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio a quo – è disciplinato in sede di contrattazione collettiva (sentenze n. 36 del 2013 e n. 290 del 2012); e in particolare in tale sede è disciplinato il trattamento economico (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).
Tuttavia questo assetto, che trova la sua legittimazione costituzionale nell’art. 39 Cost., e quindi nei due principi della libertà sindacale e dell’autonomia collettiva, non esclude la possibilità di intervento del legislatore.
8.2.− In linea generale questa Corte ha più volte affermato che l’autonomia collettiva può venire compressa o, addirittura, annullata nei suoi esiti concreti; e ciò non solo quando introduca un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla legge, ma anche quando sussista l’esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali (sentenze 40 del 2007, n. 393 del 2000, n. 143 del 1998, n. 124 del 1991 e n. 34 del 1985).
Ebbene, così come l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, la norma oggetto di censura ha come finalità il contenimento e la razionalizzazione della spesa per il settore del pubblico impiego, finalità questa che, imposta dall’art. 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), è ribadita dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 146 del 2008), il quale individua tra gli scopi della normativa, l’esigenza di «razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica».
8.3.− Più in particolare, secondo questa Corte (sentenza n. 215 del 2012), la circostanza che il trattamento economico sia materia di contrattazione collettiva non esclude che quest’ultima si debba svolgere entro limiti generali di compatibilità con le finanze pubbliche legittimamente fissati dal legislatore; come, di fatto, avviene sempre, poiché è la legge che ogni volta individua le risorse destinate a finanziare i rinnovi contrattuali nell’impiego pubblico.
E dunque, l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, fissando esclusivamente un limite agli incrementi economici, in relazione alla maturazione delle posizioni stipendiali, che possono essere disposti dai contratti collettivi, definisce appunto il confine entro il quale può svolgersi l’attività negoziale delle parti.
9.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevata in riferimento agli artt. 35, 36 e 39 Cost., deve essere dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 42, 53 e 97 Cost., dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.