Ordinanza n. 269 del 2013

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[ELG:SOMMARIO]

ORDINANZA N. 269

ANNO 2013

[ELG:COLLEGIO]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                       Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                      Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                 "

-           Giuseppe                     TESAURO                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                           "

-           Paolo                           GROSSI                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                              "

-           Aldo                            CAROSI                                   "

-           Marta                           CARTABIA                             "

-           Sergio                          MATTARELLA                       "

-           Mario Rosario              MORELLI                                "

-           Giancarlo                     CORAGGIO                            "

-           Giuliano                       AMATO                                   "

[ELG:PREMESSA]

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della  legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo nel procedimento vertente tra il Comune di Pescina e il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo ed altre, con ordinanza del 5 aprile 2012, iscritta al n. 36 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2013.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

[ELG:FATTO]

[ELG:DIRITTO]

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, con ordinanza del 5 aprile 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della  legge 15 luglio 2011, n. 111;

            che, secondo il rimettente, il Comune di Pescina ha proposto giudizio di ottemperanza, ai sensi dell’art. 112 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) (infra, anche c.p.a.), allo scopo di ottenere l’attuazione della sentenza del TAR per l’Abruzzo del 9 giugno 2011, n. 335, la quale ha annullato le deliberazioni del Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo 3 agosto 2010, n. 44, e 5 agosto 2010, n. 45, costituenti rispettivamente il «programma operativo» di cui all’art. 2, comma 88, legge 23 dicembre 2009, n. 191  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), e la «approvazione dei provvedimenti tecnici attuativi delle Azioni 1 e 3», in particolare, per quanto qui interessa, nella parte in cui hanno disposto la «disattivazione» dell’ospedale di Pescina e la sua trasformazione in «presidio territoriale di assistenza»;

che avverso detta sentenza hanno proposto appello, con separati atti, la Regione Abruzzo ed il Commissario ad acta, chiedendone la sospensione dell’esecutività, ma il Consiglio di Stato «ha dichiarato improcedibili le domande cautelari» (sezione III, ordinanze 30 settembre 2011, n. 4290 e n. 4292), poiché, con la norma censurata, «gli atti amministrativi oggetto del giudizio sono stati trasfusi (e trovano legittimazione) in una fonte di rango legislativo, donde deriva quanto meno la carenza di interesse attuale dell’appellante alla concessione della richiesta misura cautelare»;

che il citato art. 17, comma 4, lettera c), ha, infatti, stabilito: «il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Abruzzo dà esecuzione al programma operativo per l’esercizio 2010, di cui all’articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che è approvato con il presente decreto, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti già adottati e la salvezza degli effetti e dei rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione» e in tal modo, secondo il rimettente, avrebbe dato «veste legislativa» agli atti amministrativi parzialmente annullati dalla citata sentenza, «fornendo altresì una generale copertura alle misure attuative nel frattempo adottate»;

che, ad avviso del TAR, il Comune di Pescina ha proposto giudizio di ottemperanza, chiedendo la pronuncia dei provvedimenti necessari a questo scopo ed eccependo l’illegittimità costituzionale del citato art. 17, comma 4, lettera c);

che le amministrazioni resistenti, nel costituirsi nel giudizio principale, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, deducendo: in primo luogo, che le ordinanze del Consiglio di Stato hanno posto in luce l’inefficacia della sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza, la quale non sarebbe, quindi, eseguibile; in secondo luogo, che le misure dirette a disattivare e riconvertire l’ospedale di Pescina sono state portate a compimento; in terzo luogo, che l’eccezione di illegittimità costituzionale costituirebbe l’unico oggetto del giudizio e difetterebbe una domanda oggetto di un autonomo e distinto petitum;

che, secondo il TAR, il ricorrente ha chiesto l’esecuzione di una sentenza appellata, ma esecutiva ex art. 33, comma 2, c.p.a., in quanto non sospesa;

che la questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante, poiché il suo accoglimento renderebbe possibile «dettare misure dirette all’ottemperanza della decisione» e fare «parallelamente recuperare l’interesse delle amministrazioni a chiedere nuovamente al giudice di appello la misura cautelare», mentre la circostanza che le deliberazioni annullate sono state interamente eseguite neppure impedirebbe l’adozione dei provvedimenti necessari a garantirne l’esecuzione, ma solo rileverebbe ai fini dell’identificazione di quelli idonei a tale scopo;

            che, nel merito, ad avviso del rimettente, la Regione Abruzzo, in presenza di una situazione di squilibrio economico-finanziario della spesa sanitaria regionale, in data 6 marzo 2007 aveva stipulato con i Ministri della salute e dell’economia l’accordo previsto dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), e dall’art. 8 dell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 (Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell’articolo 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311), impegnandosi ad attuare il piano di rientro dal disavanzo, e detto accordo era stato approvato con deliberazione della Giunta regionale del 13 marzo 2007, n. 224, composta da tre elaborati;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, con nota del 30 luglio 2008, aveva attivato la procedura di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222, in virtù della quale, quando nel procedimento di verifica e monitoraggio è accertata l’inosservanza da parte della Regione degli adempimenti previsti dal piano di rientro, la stessa è diffidata ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti;

che, nella specie, riscontrata la persistenza dei presupposti della diffida, il Consiglio dei ministri, con deliberazione dell’11 settembre 2008, ha nominato, ai sensi dell’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007, un Commissario ad acta, per l’attuazione di detto piano di rientro, designandolo, con successiva delibera dell’11 dicembre 2009, nella persona del Presidente pro tempore di detta Regione;

che il Commissario ad acta, con deliberazione del 3 agosto 2010, n. 44, approvava il  programma operativo 2010, recante la previsione di una serie di interventi, tra i quali il «Piano della rete ospedaliera», in vista dell’identificazione delle «strutture ospedaliere che non risultano coerenti (...) con il fabbisogno di prestazioni della popolazione» e, con deliberazione 5 agosto 2010, n. 45, individuava cinque strutture (tra queste quella sita nel Comune di Pescina) «da disattivare da ospedali per acuti»;

che, secondo il giudice a quo, la sentenza della quale è stata chiesta l’esecuzione ha ritenuto che i poteri del Commissario ad acta non prevedevano la disattivazione, ma la  riconversione dei cosiddetti piccoli ospedali in «ospedali di territorio» e questi neppure poteva derogare specifici contenuti di leggi regionali (in particolare, le leggi della Regione Abruzzo 10 marzo 2008, n. 5, recante «Un sistema di garanzie per la salute – Piano sanitario regionale 2008-2010» e 5 aprile 2007, n. 6, recante «Linee-guida per la redazione del piano sanitario 2007/2009 – Un sistema di garanzie per la salute – Piano di riordino della rete ospedaliera»), peraltro non motivatamente assunte quali «ostacolo alla piena realizzazione del piano di rientro» e costituenti  parte integrante del citato accordo;

che, per il TAR, la disposizione censurata costituirebbe una norma-provvedimento diretta ad eludere l’annullamento degli atti amministrativi del Commissario ad acta e, a suo avviso, questa Corte ha affermato che le leggi-provvedimento sono soggette ad uno scrutinio stretto di costituzionalità e devono osservare i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e l’intangibilità del giudicato (sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n. 282 del 2005);

che la giurisprudenza costituzionale ha, inoltre, «escluso che all’adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia di ostacolo la circostanza che, in sede giurisdizionale, sia stata ritenuta illegittima quella contenuta in una fonte normativa secondaria o in un atto amministrativo» (sono richiamate le sentenze n. 211 del 1998 e n. 263 del 1994, nonché le ordinanze n. 32 del 2008 e n. 352 del 2006), ma ritiene censurabile che il legislatore ordinario, oltre a creare una regola astratta, prenda «espressamente in considerazione anche le sentenze passate in giudicato» (sentenza n. 374 del 2000), emanando «leggi di sanatoria il cui unico intento è quello di incidere su uno o più giudicati (ordinanza n. 352 del 2006)»;

che, secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe «ispirata all’unico “intento”, seppure non esplicitato, di incidere direttamente sulle decisioni del giudice amministrativo» e non rileverebbe il mancato passaggio in giudicato della sentenza di cui è stata chiesta l’esecuzione, in quanto essa «impedisce proprio il formarsi della cosa giudicata, sovrapponendo la propria disciplina a quella derivante dalla sentenza», dovendo reputarsi equiparate dall’art. 112 del c.p.a., ai fini dell’ottemperanza, «le sentenze passate in giudicato e quelle esecutive», con conseguente violazione degli artt. 24, 103, 113 e 117 Cost., in relazione (per quest’ultimo parametro) all’art. 6 della CEDU, nonché dell’art. 3 Cost., per difetto di ragioni in grado di «giustificare il regime speciale riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono per essere inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del quarto comma del citato art. 17; 

che, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 17, comma 4, lettera a), disciplina il procedimento preordinato ad eliminare gli ostacoli che impediscono l’attuazione del piano di rientro o dei programmi operativi, prevedendo l’intervento del Consiglio regionale per le eventuali modifiche delle leggi regionali e del Consiglio dei ministri, in caso di inerzia del primo;

che la norma censurata ne impedirebbe l’applicabilità alla Regione Abruzzo, con conseguente violazione degli artt. 117 e 120 Cost., e dell’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), in quanto avrebbe non ragionevolmente estromesso gli «organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi ed eventualmente rimuoverle laddove siano considerate di ostacolo al perseguimento degli obiettivi di  risanamento»;

che, secondo il TAR, la disciplina in esame concerne le materie «tutela della salute» ed «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica», spettanti alla competenza legislativa concorrente della Regione, nelle quali è riservata allo Stato la fissazione dei principi fondamentali, non rinvenibili nella norma censurata, tenuto conto del carattere provvedimentale della medesima, con conseguente lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., anche in considerazione «dell’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili» e della circostanza che la legificazione del programma operativo del Commissario ad acta lo fa prevalere sul citato accordo tra Stato e Regione Abruzzo e, quindi,  sul piano di rientro e relativi allegati, eseguiti dalla Regione con le leggi regionali n. 5 del 2008 e n. 6 del 2007;

che, inoltre, gli atti del Commissario ad acta sono stati annullati perché ritenuti in contrasto con leggi regionali di attuazione del piano di rientro, mentre, come risulta anche dal citato art. 17, comma 4, lettera a), l’eliminazione degli ostacoli di natura legislativa all’attuazione del piano di rientro spetta al Consiglio regionale, salvo l’intervento del Consiglio dei ministri ex art. 120 Cost., avendo la lettera b) di tale disposizione confermato che «il programma operativo non ha automatici effetti abrogativi o modificativi o sospensivi di leggi regionali»;

che, ad avviso del TAR, la norma censurata inciderebbe sull’assetto scaturente dal citato accordo, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., anche in quanto questa Corte avrebbe  ritenuto costituzionalmente illegittimi gli interventi unilaterali idonei ad incidere su di esso (sentenze n. 123 e n. 77 del 2011, n. 141 e n. 2 del 2010); e, nella specie, la forza di legge conferita al programma operativo comporterebbe tale esito e realizzerebbe «rilevanti interferenze su un atto che nasce da un processo co-decisionale» e non potrebbe «essere modificato da provvedimenti unilaterali di una delle parti, in assenza di coinvolgimento della Regione interessata»;

che, infine, secondo il rimettente, la norma in esame sarebbe in contrasto con gli artt. 72 e 73, terzo comma, Cost., poiché recherebbe una generica approvazione del «programma operativo», rendendo del tutto incerto l’ambito della legificazione e la riferibilità della stessa «al solo atto presupposto o anche a quelli attuativi, dubbio accentuato dal fatto che l’atto “approvato” non è contraddistinto da alcun estremo identificativo, né tantomeno risulta pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale;

che il conferimento di forza e valore di legge ad un atto  amministrativo ne imporrebbe la pubblicazione, occorrendo, per ragioni di certezza del diritto, che la formulazione «del testo legislativo risponda a criteri di univocità, chiarezza e semplicità del dato normativo», essendo detta esigenza sottesa all’art. 72, primo comma, Cost., il quale, «nel prevedere l’approvazione articolo per articolo della proposta di legge, presuppone che emerga ben chiaro il contenuto normativo dell’atto»;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, nell’atto di intervento ed in una successiva memoria, che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che, a suo avviso, la questione sarebbe inammissibile, in primo luogo, perché la sopravvenienza di una disposizione che disciplina ex novo e fa assurgere a rango di normazione primaria proprio gli atti e l’attività amministrativa oggetto di sindacato giurisdizionale determinerebbe l’effetto di scollegare la vicenda dalla mera fase esecutiva della statuizione giurisdizionale e l’eventuale rinnovazione dell’attività amministrativa non potrebbe più dirsi dovuta quale adempimento a seguito di pronunzie demolitorie e di ottemperanza del potere giurisdizionale, ma si concretizzerebbe in attività esecutiva della nuova norma, sulla cui esclusiva base potrà essere valutata la legittimità (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 marzo 2011, n. 2);

che, in secondo luogo, la questione sarebbe inammissibile in quanto «unici motivi» del ricorso in ottemperanza sono le censure di illegittimità costituzionale che, quindi, costituiscono l’unico e diretto oggetto del giudizio principale e non sarebbe possibile identificare un petitum separato e distinto rispetto alla questione di legittimità costituzionale;

che, nel merito, secondo l’Avvocatura generale, le censure riferite all’art. 117, terzo comma, Cost., non sono fondate, poiché il citato «programma operativo» contiene indirizzi strategici definiti da decisioni regionali, non disposizioni puntuali e dettagliate, non contrasterebbe con il piano di rientro, ma ne garantirebbe l’attuazione ed avrebbe reso le disposizioni del piano di rientro conformi alla sopravvenuta normativa nazionale ed agli ulteriori obblighi regionali derivanti dalle nuove intese intercorse tra Stato, Regioni e Province autonome, non costituendo neppure frutto di una valutazione discrezionale del Commissario ad acta, in quanto avrebbe contenuto vincolato, siccome imposto dall’esigenza di adeguare l’organizzazione sanitaria regionale ai nuovi parametri di riferimento, economici e normativi, sopraggiunti a detto  piano;

che la censura riferita all’art. 120 Cost. sarebbe infondata, poiché «il Commissario ad acta non ha esercitato alcun illegittimo ed arbitrario potere legislativo, posto che è stato il Parlamento, approvando i contenuti del Programma Operativo 2010, a conferire piena efficacia e valore di legge alle relative disposizioni», in vista della tutela della salute pubblica, contenendo detto programma molteplici disposizioni, con conseguente impossibilità di ritenere che la norma in esame sia stata emanata al solo scopo di eludere un giudicato, peraltro nella specie inesistente;

che, inoltre, la «legificazione» del citato programma neppure escluderebbe, ricorrendone le condizioni, l’applicabilità delle disposizioni della lettera a) della norma censurata, concernente «il procedimento da seguire per la “rimozione” delle leggi regionali contrastanti con il Piano di rientro e con i Programmi operativi che ne costituiscono prosecuzione» e giustificata dall’urgenza economica connessa all’incremento del disavanzo economico nel frattempo verificatosi, non sussistendo nessun contrasto con i principi della normativa in materia sanitaria, «trattandosi di interventi di legislazione emergenziale e dunque cogente per definizione»;

che, secondo l’interveniente, le censure sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, non sarebbero fondate, tra l’altro perché gli interventi del legislatore nei processi in corso sarebbero legittimi se giustificati, come nella specie, dalla «necessità preminente di tutelare una ragione imperativa di interesse generale», non avendo, peraltro, la norma in esame neanche inciso su una situazione di vantaggio definitivamente acquisita dal Comune di Pescina, dal momento che la sentenza della quale è stata chiesta l’ottemperanza è priva dell’efficacia del giudicato;

che, infine, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la norma in questione non sarebbe in contrasto con le altre contenute nel citato art. 17, comma 4, e «non è stata introdotta una corsia preferenziale per il Commissario ad acta della Regione Abruzzo», ma si è esclusivamente inteso fare fronte all’incremento del disavanzo economico.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111;

che, secondo il TAR, la norma censurata, stabilendo che «il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Abruzzo dà esecuzione al programma operativo per l’esercizio 2010, di cui all’articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che è approvato con il presente decreto, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti già adottati e la salvezza degli effetti e dei rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione», violerebbe gli artt. 24, 103, 113 e 117, primo comma, Cost., in relazione (per quest’ultimo parametro) all’art. 6 della CEDU, i quali vietano al legislatore ordinario «di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso», in quanto sarebbe «ispirata all’unico “intento”, seppure non esplicitato, di incidere direttamente sulle decisioni del giudice amministrativo», e, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché non sussisterebbero elementi in grado di «giustificare il regime speciale riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono per essere inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del citato art. 17, comma 4;

che detta disposizione, a suo avviso, violerebbe, altresì, gli artt. 117 e 120 Cost., in quanto renderebbe inapplicabili alla Regione Abruzzo le ulteriori prescrizioni del citato art. 17, comma 4, poiché «ha direttamente risolto ogni possibile conflitto tra il programma operativo e la legislazione regionale, per di più senza alcuna puntuale considerazione dei motivi di contrasto», e in tal modo avrebbe realizzato un’irragionevole «estromissione degli organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi ed eventualmente rimuoverle laddove siano considerate di ostacolo al  perseguimento degli obiettivi di  risanamento»;

che, secondo il rimettente, la norma censurata recherebbe vulnus anche all’art. 117, terzo comma, Cost.: in primo luogo, perché il carattere provvedimentale della stessa evidenzierebbe che con essa non sono stati stabiliti «principi fondamentali», con conseguente violazione della competenza legislativa della Regione nella materia «tutela della salute», rafforzata «dall’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili»; in secondo luogo, in quanto la legificazione del programma operativo lo farebbe prevalere anche sull’accordo tra Stato e Regione Abruzzo e, quindi, sul piano di rientro e relativi allegati, eseguiti dalla Regione, essendo stato il programma operativo annullato proprio perché giudicato in contrasto con atti di natura legislativa adottati dalla Regione Abruzzo, allo scopo di dare attuazione al piano di rientro;

che, infine, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 17, comma 4, lettera c), violerebbe gli artt. 72 e 73, terzo comma, Cost., poiché, disponendo una generica approvazione del «programma operativo», renderebbe dubbio l’ambito della legificazione, con conseguente incerta riferibilità della stessa «al solo atto presupposto o anche a quelli attuativi, dubbio accentuato dal fatto che l’atto “approvato” non è contraddistinto da alcun estremo identificativo, né tantomeno risulta pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale;

che, preliminarmente, va osservato che identica questione di illegittimità costituzionale, sollevata dallo stesso TAR, con un’ordinanza di cui quella in esame costituisce la pressoché letterale riproduzione (resa nel giudizio di ottemperanza proposto dal Comune di Tagliacozzo, nel cui territorio era ubicato un altro degli ospedali della Regione Abruzzo trasformati in presidi territoriali di assistenza) è stata di recente decisa da questa Corte e dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanza n. 173 del 2013);

che, come ha precisato quest’ultima pronuncia, va ricordato, in linea preliminare, che, per «consolidata giurisprudenza» amministrativa, «l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla verifica, da parte del giudice adito, dell’esatto adempimento, da parte dell’amministrazione soccombente, dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione» (Cons. Stato, sez. III, 31 luglio 2012, n. 4363), «restando escluso che nello stesso possa essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire» (Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 880);

che è, quindi, rilevante la questione di legittimità costituzionale proposta nel giudizio di ottemperanza in riferimento ad una norma che incide sul diritto riconosciuto da una sentenza che, quando essa è sollevata, è assistita dalla forza del giudicato e non è più suscettibile di riesame nel merito (sentenze n. 273 del 2012, n. 267 del 2007; cfr. anche sentenza n. 280 del 2012);

che, nella fattispecie in esame, la disposizione censurata è contenuta in un atto normativo promulgato il 6 luglio 2011, ventisette giorni dopo la pronuncia della sentenza oggetto del giudizio principale (sentenza 9 giugno 2011, n. 335), la quale, secondo l’espressa puntualizzazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, è stata appellata dalla Regione Abruzzo e dal Commissario ad acta e, conseguentemente, costituisce tuttora oggetto di esame da parte del giudice del gravame;

che, come precisato dal rimettente, nel giudizio di appello sono state proposte domande cautelari, per la sospensione dell’efficacia di detta sentenza, dichiarate, tuttavia, improcedibili dal Consiglio di Stato, esclusivamente in quanto «gli atti amministrativi oggetto del giudizio sono stati trasfusi (e trovano legittimazione) in una fonte di rango legislativo, donde deriva quanto meno la carenza di interesse attuale dell’appellante alla concessione della richiesta misura cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata» (Cons. Stato, sez. III, ordinanze 30 settembre 2011, n. 4290 e n. 4292);

che, sebbene la pendenza del processo di impugnazione non incida sulla proponibilità del giudizio di ottemperanza (art. 112, comma 2, lettera b, c.p.a.), siffatta circostanza riveste, nondimeno, peculiare rilievo, in quanto la questione di legittimità costituzionale, nei termini entro i quali è stata sollevata e proposta, rinviene il suo indefettibile presupposto logico-giuridico nella definitività dell’accertamento dell’illegittimità degli atti del Commissario ad acta, nella specie ancora controversa, poiché è ancora pendente il giudizio di impugnazione;

che, come sottolineato dall’ordinanza n. 173 del 2013, essendo in corso il processo di secondo grado, riveste particolare importanza il profilo concernente l’ulteriore valutazione della legittimità degli atti amministrativi, proprio perché già rimessa al giudice di appello, e, quindi, emergono: in primo luogo, il problema della possibilità ed imprescindibilità di una preliminare verifica in ordine ai vizi riscontrati in primo grado, in quanto la delibazione dell’eventuale inesistenza degli stessi (in difformità rispetto all’accertamento svolto in primo grado) risulterebbe, all’evidenza, suscettibile di incidere sull’interpretazione della norma censurata e sulla stessa rilevanza della questione di legittimità costituzionale; in secondo luogo, la questione relativa alla possibilità di svolgere siffatta delibazione nel giudizio di ottemperanza, tenuto conto del contenuto e dell’oggetto del medesimo, ovvero l’imprescindibilità della riserva della stessa al giudice dell’appello;

            che sussistono, altresì, sopravvenienze normative (artt. 15, comma 13, lettera c, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135; art. 1 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 8 novembre 2012, n. 189) per le quali si pone il problema della delibazione della loro eventuale incidenza sulla situazione giuridica azionata in giudizio e della riserva della stessa al giudice dell’impugnazione, oppure della possibilità che le stesse siano considerate in sede di ottemperanza, anche tenendo conto dell’ambito di questo giudizio e della mera esecutività della pronuncia oggetto del medesimo;

che lo stesso rimettente, dà, peraltro, conto che il Consiglio di Stato ha deciso le domande cautelari limitandosi a «prendere atto della normativa sopravvenuta», in quanto essa «è tale da impedire l’esecuzione della sentenza di primo grado» e si dimostra, quindi, consapevole dell’esigenza, in caso di eventuale accoglimento della questione, di «recuperare l’interesse delle amministrazioni a chiedere nuovamente al giudice di appello la sospensione cautelare», ma omette di esplicitare modi e tempi di tale «recupero», in grado di tutelare e bilanciare i diritti di tutte le parti del giudizio;

che, quindi, va ribadito anche in questo giudizio che «alla luce dell’oggetto del giudizio di ottemperanza e della peculiarità della fattispecie in esame, tenuto conto della pendenza del processo di appello e del contenuto dell’ordinanza resa sulla domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, la mancata considerazione di tutti i profili sopra richiamati si risolve in difetto di una plausibile motivazione in ordine alla rilevanza della questione, con conseguente manifesta inammissibilità della stessa» (ordinanza n. 173 del 2013).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

[ELG:DISPOSITIVO]

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2013.

[ELG:FIRME]

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2013.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

[ELG:ALLEGATO]