SENTENZA N. 273
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
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- Luigi MAZZELLA "
-
-
- Giuseppe FRIGO
"
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186
(Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria
ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali),
promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con una ordinanza
del 20 dicembre, tre ordinanze del 13 dicembre e due ordinanze del 20 dicembre
2010, rispettivamente iscritte ai nn. 32, 33, ed ai nn. da 42 a 45 del registro
ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9 e
12, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione di Polito Bruno Rosario ed
altro e di Montedoro Giancarlo ed altri nonché l’atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il
Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Andrea Panzarola
per Montedoro Giancarlo ed altri, Paola Conticiani per Polito Bruno Rosario ed altro e l'avvocato
dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, con sei ordinanze di contenuto sostanzialmente
identico, emesse il 13 dicembre 2010 (R.o. nn. 33, 42
e 43/2011) e il 20 dicembre 2010 (R.o. nn. 32, 44 e
45/2011) nell’àmbito di distinti giudizi
amministrativi aventi ad oggetto l’accesso di consiglieri di TAR nei ruoli del
Consiglio di Stato e il riconoscimento della relativa anzianità di servizio, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma,
della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione
amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di
Stato e dei tribunali amministrativi regionali), in riferimento all’art. 3
della Costituzione.
Cinque dei sei giudizi a quibus sono
stati proposti per l’annullamento di delibere del Consiglio di Presidenza di
giustizia amministrativa (in data 3 novembre 2004, 15 giugno 2007, 13 settembre
2007, 28 novembre 2007) che hanno riconosciuto a consiglieri di tribunali
amministrativi regionali, all’atto della nomina a consiglieri di Stato,
l’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di TAR nel limite di
cinque anni. Nel giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 32 del 2011 è
stata, invece, impugnata la nota del Sottosegretario di Stato alla Presidenza
del Consiglio n. 2015 dell’8 marzo 2006 che, andando in contrario avviso
rispetto a quanto statuito nella menzionata delibera del 3 novembre 2004 del
Consiglio di Presidenza, ha stabilito che l’anzianità prevista dall’art. 23,
quinto comma, della legge n. 186 del 1982 non poteva essere riconosciuta ai
ricorrenti.
La disposizione censurata prevede che
«salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente articolo 21» (ovvero per
l’anzianità maturata ai fini della nomina a Presidente di TAR), «i primi
referendari e referendari dei tribunali amministrativi regionali in servizio
alla data di entrata in vigore della presente legge [e cioè alla data del 12
maggio 1982] conservano, all’atto della nomina a consigliere di Stato,
l’anzianità acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo
regionale nel limite di cinque anni, fatta salva la valutazione degli effetti
economici e prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianità». La lettera
della norma è chiara nel limitare il beneficio ai magistrati in servizio alla
data del 12 maggio 1982, condizione che non ricorre per tutti i consiglieri di
Stato che sono parti nei giudizi a quibus. Non sussisterebbe, inoltre, alcuna
possibilità di interpretazione estensiva o alcuna ipotizzabile interpretazione
costituzionalmente orientata, che conduca ad accordare il beneficio richiesto.
Su queste premesse, i giudici a quibus hanno concordemente ritenuto necessario,
per la definizione dei rispettivi giudizi, sollevare la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge n. 186 del
1982, che pertanto sarebbe rilevante.
1.1. – Il rimettente premette che il
sistema complessivo di organizzazione della giustizia amministrativa si è
venuto formando a séguito di stratificazioni normative prive di un razionale
coordinamento, che, per quanto attiene specificamente alla fisionomia della
carriera di magistratura, presenterebbe seri problemi di compatibilità con le
norme costituzionali. Si rammenta, in proposito, che il modello organizzativo
adottato per i TAR, all’atto della loro istituzione con legge 6 dicembre 1971,
n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), appariva fin
dall’origine disomogeneo rispetto a quello del Consiglio di Stato e che un
ulteriore elemento di differenziazione si è determinato quando è stato abolito
il referendariato presso il Consiglio di Stato (art.
1, primo comma, della legge n. 186 del 1982). Mentre infatti i TAR, in base
all’art. 6 della legge testé citata sono composti, come per il passato, da
Presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari, le
ultime due qualifiche sono state abolite presso il Consiglio di Stato, che,
dopo il 1982, risulta composto soltanto dal rispettivo Presidente, dai 6
Presidenti di sezione e dai consiglieri. Fra i posti che si rendono vacanti
nella qualifica di consigliere di Stato, l’art. 19 della citata legge n. 186
del 1982 ne riserva la metà a consiglieri di TAR che ne facciano domanda e che
abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. I magistrati
che, a séguito di giudizio favorevole espresso dal Consiglio di Presidenza a
maggioranza dei suoi componenti, sono dichiarati idonei, assumono la qualifica
di consigliere di Stato, conservando l’anzianità maturata nella qualifica di
consigliere di TAR ai soli effetti della nomina a Presidente di TAR (come
risulta dagli artt. 19, n. 1, e 21, quarto comma, della stessa legge n. 186).
La predetta anzianità viene valutata nella sua interezza unicamente ai fini
dell’accesso alla Presidenza dei TAR, non invece per il conferimento della
qualifica di Presidente di sezione del Consiglio di Stato. In questo modo,
osserva il rimettente, si è introdotta una divaricazione di carriera che
considera l’anzianità maturata presso i TAR come parametro differenziale, a
seconda che si debbano coprire posti direttivi presso i TAR ovvero presso il
Consiglio di Stato. E ciò nonostante tali incarichi direttivi siano comunque
considerati equivalenti, ai sensi dell’art. 14, n. 2, della legge n. 186 del
1982. Il regime di accesso cosí determinatosi penalizzerebbe,
per un verso, i consiglieri di TAR nel trasferimento alle qualifiche direttive
presso il Consiglio di Stato; per altro verso, i consiglieri di Stato
nell’assunzione delle presidenze presso i TAR, e non dispiegherebbe il proprio
effetto discriminatorio solo nel momento di assunzione degli incarichi
direttivi, ma avrebbe un riverbero sull’intero percorso di carriera. Per queste
ragioni la disposizione oggetto di censura determinerebbe una disparità di
trattamento all’atto dell’ingresso nei ruoli del Consiglio di Stato tra quanti
si sono avvalsi del beneficio da essa accordato e quanti non possono
avvalersene per un mero fattore temporale.
L’art. 17 della citata legge n. 1034 del
1971 aveva salvaguardato il riconoscimento dell’intera anzianità maturata nella
qualifica di consigliere di TAR al momento dell’accesso al Consiglio di Stato,
ma l’art. 23, quarto comma, della legge n. 186 del 1982 ha conservato tale
previsione solo per i consiglieri di TAR in servizio alla data di entrata in
vigore della predetta legge, cosí determinando,
secondo il rimettente, un’assoluta irragionevolezza e disparità di trattamento
tra posizioni di carriera sostanzialmente e formalmente indifferenziate.
Il quadro che risulta dal sovrapporsi
delle discipline del 1971 e del 1982 vede attualmente convivere: a) il
riconoscimento di tutta l’anzianità maturata nella qualifica per i consiglieri
di TAR in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982;
b) il riconoscimento di un’anzianità fittizia di cinque anni per i primi
referendari o referendari in servizio presso i TAR alla data di entrata in
vigore della predetta legge n. 186 del 1982; c) nessun riconoscimento
dell’anzianità maturata per i magistrati di TAR non ancora in servizio alla
data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982. Quest’ultimo è il caso
che ricorre per i consiglieri di Stato che sono parti nei giudizi a quibus.
Il giudice a quo sostiene che dall’art.
107 Cost. sarebbe desumibile il principio generale secondo cui le funzioni
giurisdizionali sono omogenee in qualunque grado siano esercitate, con la
conseguenza che le funzioni giurisdizionali svolte in primo grado non
potrebbero non essere considerate ai fini dell’anzianità di servizio, al
momento del passaggio alla magistratura di appello.
Il differenziato regime giuridico posto
dalla norma oggetto di censura, prosegue il rimettente, non sarebbe
giustificato in relazione ad alcuna corrispondente peculiarità dei referendari
e primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della citata
legge del 1982. Anche il regime di accesso dei magistrati in servizio nel 1982
è rimasto, infatti, invariato rispetto ai magistrati entrati in ruolo
successivamente.
La violazione del principio di
eguaglianza sarebbe palese anche rispetto all’inserimento nei ruoli del
Consiglio di Stato di magistrati di nomina governativa, che, pur quando
difettino di ogni pregressa esperienza giurisdizionale, hanno anzianità nella
qualifica di consigliere di Stato riferita al tempo della nomina, analoga, dunque,
a quella dei magistrati provenienti dai TAR. Con l’effetto che sarebbero
irragionevolmente trattate allo stesso modo situazioni profondamente
differenti, quali l’esercizio di funzioni giurisdizionali – che sono
prioritarie nelle competenze del Consiglio di Stato – e attività ad esse
disomogenee per natura e funzione.
Il carattere palesemente discriminatorio
della disciplina risulterebbe anche dal confronto con i principi che governano
il pubblico impiego e, piú specificamente, la
magistratura ordinaria e contabile. L’art. 200, terzo comma, del d.P.R. 10
gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato), tuttora applicabile alla categoria del pubblico
impiego non privatizzato, enuncia in effetti il principio generale di
conservazione dell’anzianità di carriera e della qualifica acquisita.
1.2. – Il carattere estemporaneo e
perciò irragionevole del denunciato art. 23, quinto comma, emergerebbe inoltre
dalla sua contraddittorietà logica rispetto alla ratio dell’atto normativo nel
quale esso è inserito e alla volontà del legislatore di riforma del 1982, come
esplicitata nei lavori preparatori.
Quanto alla prima, il già menzionato
art. 21 della legge n. 186 del 1982, nell’equiparare, al primo comma, i
consiglieri di Stato e i consiglieri di TAR con otto anni di anzianità nelle
rispettive qualifiche ai fini della nomina a Presidente di sezione del
Consiglio di Stato e di Presidente di TAR, presuppone e ribadisce evidentemente
l’uniformità delle funzioni giurisdizionali svolte con la qualifica di
consigliere in primo grado e in appello. L’equiparazione fra consiglieri di
Stato e consiglieri di TAR con pari anzianità non verrebbe meno neppure sotto
il profilo economico: il sesto comma del medesimo art. 21 dispone, infatti, che
al compimento dell’anzianità di otto anni nella qualifica, essi conseguono il
trattamento economico inerente alla qualifica di magistrato di cassazione con
funzioni direttive superiori. La stessa legge istitutiva dei TAR, all’art. 13,
distinguendo tra le qualifiche di consigliere, referendario e primo
referendario di TAR, aveva già esteso espressamente le norme sullo stato
giuridico e sul trattamento economico del personale di corrispondente qualifica
della magistratura del Consiglio di Stato. In definitiva, secondo il giudice
rimettente, il legislatore avrebbe inciso in senso peggiorativo su un principio
(il riconoscimento dell’anzianità maturata nella qualifica di consigliere di
TAR), che appariva conforme al sistema della legge n. 1034 del 1971, della
riforma di cui alla legge n. 186 del 1982 e al naturale assetto dei rapporti
tra giudici di primo grado e di appello.
La norma denunciata sarebbe
contraddittoria anche rispetto alla logica cui è complessivamente informato
l’ordinamento della magistratura amministrativa. Nella relazione di
accompagnamento al disegno di legge poi sfociato nella legge n. 186 del 1982,
in particolare, si rappresenterebbe la necessità di unificare i ruoli dei
magistrati amministrativi al fine di uniformare ai principi costituzionali
l’assetto organizzativo e lo status giuridico ed evitare una «forma anomala di
subordinazione gerarchica dei Tribunali amministrativi regionali al Consiglio
di Stato». L’introduzione – operata con il censurato art. 23 – di modifiche
peggiorative del regime dei magistrati di TAR, secondo il giudice a quo non
potrebbe dirsi ispirata all’esigenza di uniformare i ruoli, e per questo
profilo contrasterebbe con la finalità dichiarata della riforma.
1.3. – Ulteriore profilo di violazione
del principio costituzionale di eguaglianza risulterebbe dal confronto fra la
norma censurata e, da un lato, la disciplina dettata per la progressione in
carriera nella magistratura ordinaria; dall’altro, il regime organizzativo
della magistratura contabile.
Il rimettente non ignora che le garanzie
di indipendenza dei giudici speciali, ai sensi dell’art. 108, secondo comma,
della Costituzione, sono garantite dalla legge ordinaria, ma osserva pure che i
principi costituzionali di cui agli artt. 101, 102, 104 e 111 sono stati
considerati applicabili dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (IV
sezione, n. 393 del 4 febbraio 2004; VI sezione n.
1049 del 23 febbraio 2009; IV sez., 30 giugno 2004, n. 4835) anche agli organi
di giustizia amministrativa, quali elementi comuni a tutti gli organi della
giurisdizione.
La giurisprudenza costituzionale (si
citano le sentenze n. 204 del 2004
e n. 77 del 2007)
e l’evoluzione normativa, dapprima con l’istituzione di un organo di
autogoverno per la magistratura amministrativa (art. 7 della legge n. 186 del
1982 e art. 18 della legge 21 luglio 2000, n. 205, recante "Disposizioni in
materia di giustizia amministrativa”), ricalcato sul modello del Consiglio
superiore della Magistratura, in séguito con il nuovo codice del processo
amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione
dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo
per il riordino del processo amministrativo), hanno approssimato le distanze
fra giustizia ordinaria e magistratura amministrativa, cosí
da rendere non piú giustificabile un regime
radicalmente diverso quanto alla struttura organizzativa e alle connesse
garanzie di indipendenza e di autonomia dei giudici. In questa cornice di
progressivo accostamento fra magistratura ordinaria e amministrativa, la nuova
disciplina della progressione economica e di funzioni dei magistrati ordinari,
secondo il giudice rimettente, dovrebbe costituire un parametro al quale
commisurare la ragionevolezza della disciplina censurata. Verrebbe in rilievo,
segnatamente, l’art. 12, comma 14, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160
(Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di
progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1,
comma 1, lettera a, della legge 25 luglio 2005, n. 150). Quest’articolo, ai
fini del conferimento delle funzioni di legittimità presso la Suprema Corte di
Cassazione, prevede, limitatamente al 10% dei posti vacanti, una procedura
valutativa riservata a magistrati che abbiano conseguito la seconda o la terza
valutazione di professionalità e che siano in possesso di titoli professionali
e scientifici adeguati, ma prosegue disponendo che, a séguito del superamento
di tale procedura valutativa, il conferimento di funzioni di legittimità «non
produce alcun effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato,
né sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di
funzioni di merito». La disciplina impugnata, che introduce una penalizzazione
in danno dei magistrati dei TAR e quindi si pone in contrasto con la disciplina
vigente per i magistrati ordinari, risulterebbe priva, anche sotto tale
profilo, di ogni ragionevole giustificazione.
Anche il raffronto con gli organi della
magistratura contabile confermerebbe l’irragionevolezza della disciplina
oggetto di censura. Il rimettente ricorda in proposito che con la legge 14
gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e
controllo della Corte dei conti), sono state istituite le sezioni regionali
della Corte dei conti come organi giurisdizionali di primo grado e osserva che
in base alla medesima legge, «nei rapporti tra organi di primo grado e di
appello i magistrati hanno assoluta uniformità di qualifiche e funzioni». Di
qui l’assoluta irragionevolezza di un assetto organizzativo, come quello
sottoposto all’esame della Corte, del tutto differente rispetto sia alla
giurisdizione ordinaria sia a quella contabile, per quanto concerne il profilo
dell’anzianità riconosciuta a coloro che transitano dalle funzioni
giurisdizionali amministrative di primo grado alle funzioni d’appello.
La denunciata disparità di trattamento
non potrebbe essere giustificata neppure considerando che il Consiglio di
Stato, oltre alle funzioni giurisdizionali, svolge anche funzioni consultive.
Non solo, si osserva nelle ordinanze di rimessione, i magistrati provenienti
dai TAR sono assegnati in gran parte a sezioni giurisdizionali; ma lo
svolgimento di funzioni consultive non può ritenersi «imprescindibile, in quanto
molti magistrati del Consiglio di Stato non hanno mai svolto tali funzioni».
1.4. – In conclusione, il TAR rimettente
chiede a questa Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 23,
quinto comma, della legge n. 186 del 1982, nella parte in cui «si riferisce
esclusivamente "ai referendari o ai primi referendari in servizio alla data di
entrata in vigore della presente legge”, concedendo ad essi i benefici di
carriera negati a soggetti aventi identica posizione qualificativa sostanziale».
L’intervento richiesto, si aggiunge nelle ordinanze di rimessione,
costituirebbe una soluzione costituzionalmente obbligata, poiché proprio la
norma denunciata ha indicato in cinque anni il periodo di anzianità che deve
essere riconosciuto al momento del passaggio alle funzioni di appello, quale
spettanza riservata ai magistrati in servizio ai tempi dell’entrata in vigore
della norma medesima. Si tratterebbe, pertanto, di estendere il regime di
favore attualmente previsto per i soli referendari e primi referendari in
servizio alla data di entrata in vigore della legge del 1982 a tutti coloro
che, pur avendo identica qualifica funzionale, non fossero ancora in servizio
in quella data.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione
sollevata inammissibile o comunque infondata.
La difesa erariale osserva che la legge
n. 186 del 1982, nell’istituire il ruolo unico del personale della
magistratura, ha attribuito rilevanti benefici ai magistrati di TAR, quali
l’aumento della riserva dei posti per l’accesso a domanda al Consiglio di Stato
(da un quarto alla metà) e la riduzione da 12 anni (6 + 6) a 8 anni (4 + 4) per
il passaggio dalle qualifiche di referendario e primo referendario a
consigliere di TAR. In questa chiave il legislatore avrebbe previsto, per
riequilibrare tali agevolazioni, una riduzione della conservazione
dell’anzianità in questione, fino ad azzerarla completamente per coloro che
siano divenuti magistrati amministrativi dopo l’entrata in vigore della legge
n. 186 del 1982. E ciò anche al fine di assicurare la piena parità di
trattamento fra tutti coloro che accedono alla qualifica di consigliere di
Stato, secondo le tre modalità di provvista previste dalla legge (nomina
governativa, concorso pubblico, a domanda). Queste considerazioni, aggiunge
l’Avvocatura dello Stato, troverebbero conforto nella sentenza di questa
Corte n. 269 del 1988, che ha dichiarato illegittimo l’art. 29 della legge
3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche dell’ordinamento dell'Avvocatura dello Stato),
il quale disponeva che i procuratori capo dello Stato in servizio alla data di
entrata in vigore della legge, oltre ad essere nominati avvocati dello Stato,
fossero collocati in ruolo in posizione anteriore rispetto ad avvocati dello
Stato divenuti tali in séguito al superamento del concorso. Rileva infine la
parte pubblica che in ogni riforma ordinamentale in materia di pubblico impiego
le esigenze dei dipendenti piú anziani di ruolo
dovrebbero necessariamente essere contemperate con quelle dei dipendenti piú giovani, sicché la soluzione adottata con la norma
censurata costituirebbe espressione non irragionevole della discrezionalità
legislativa.
Il 14 luglio 2011 sono state depositate
ulteriori memorie (relative ai giudizi iscritti ai nn. 32, 44, 45 del registro
ordinanze), nelle quali si insiste per l’inammissibilità o comunque
l’infondatezza della questione. In particolare, si evidenzia la natura
transitoria ed eccezionale della disposizione denunciata e si considera
incongruo il riferimento del rimettente all’art. 107 Cost., rilevandosi che la
norma comporterebbe una parificazione dei magistrati solo quanto all’esercizio
delle funzioni istituzionali, ma non implicherebbe affatto una parificazione
nelle posizioni che essi assumono nell’ordinamento giudiziario, e dunque, nel
caso di specie, non escluderebbe un differenziato trattamento quanto alle
regole dettate per la progressione in carriera.
3. – Si sono costituiti i due
consiglieri di Stato che sono parti del giudizio in cui è stata emessa
l’ordinanza iscritta nel R.o. n. 32 del 2011 per
chiedere che la questione sia dichiarata fondata; nonché i consiglieri di Stato
parti degli ulteriori giudizi a quibus per chiedere che la Corte dichiari la
questione inammissibile o comunque infondata.
3.1. – Premette la difesa dei primi che
la norma censurata risponderebbe alla duplice ratio: a) di non incidere su una
posizione di status acquisita dai magistrati pervenuti alla qualifica di
consigliere di TAR all’atto della entrata in vigore della legge n. 186 del
1982, conservando interamente l’anzianità di ruolo e cosí
equiparando pienamente a tali effetti la qualifica di consigliere di TAR e
quella di consigliere di Stato; b) di innovare il criterio di riconoscimento
dell’anzianità pregressa, limitandola a cinque anni per i soli referendari e
primi referendari in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186
del 1982. Questa limitazione, in quanto riduce o azzera del tutto l’anzianità
maturata in base ad un effettivo servizio, mostrerebbe un’evidente
irragionevolezza, se posta a confronto con disposizioni che prevedono al
contrario il riconoscimento agli effetti dello sviluppo di carriera di periodi
di servizio non effettivamente resi. Verrebbe in rilievo, segnatamente, l’art.
19, n. 3, della legge n. 186 del 1982, che retrodata la nomina dei consiglieri
di Stato vincitori di concorso al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di
indizione del concorso medesimo. L’irrazionalità sarebbe tanto piú evidente, si continua negli atti di costituzione, in
quanto, da una parte, l’art. 18, primo comma, della legge 21 luglio 2000, n.
205 (recte: l’art. 7, comma 1, della legge n. 186 del 1982, come modificato
dall’art. 18, comma primo, della legge n. 205 del 2000, avrebbe sancito che
l’ordinamento della giustizia amministrativa è ispirato ai principi di "unicità
di accesso e di carriera”; dall’altra, l’art. 4 del menzionato d.lgs. n. 104
del 2010 ribadirebbe l’unitarietà della giurisdizione amministrativa. Unità del
sistema e delle funzioni che esigerebbero anche unità e continuità di carriera,
tanto piú ove si consideri che i consiglieri di TAR
che accedono al consiglio di Stato «non sono magistrati senza passato», ma al
contrario pervengono alla qualifica di consigliere di Stato proprio in base a
una valutazione di merito dell’attività giurisdizionale svolta, che è sempre
espressione di una maturazione e di un affinamento del livello di
professionalità acquisito.
La difesa dei consiglieri costituiti non
disconosce che al legislatore appartiene un’ampia sfera di discrezionalità in
tema di inquadramento del personale e di riconoscimento delle anzianità di
carriera, e tuttavia ritiene che la modulazione delle scelte normative non
possa condurre a situazioni abnormi, attribuendo a taluni vantaggi
sproporzionati e penalizzando altri, e cosí ponendosi
in contrasto con i principi di parità di trattamento, ragionevolezza e buon
andamento che devono governare gli assetti organizzativi degli ordinamenti
giudiziari. Di qui la richiesta a questa Corte di accogliere la questione
sollevata.
3.2. – I difensori dei consiglieri di
Stato controinteressati, ripercorso il contenuto
delle disposizioni relative al computo delle anzianità di carriera dei
magistrati amministrativi, e specificamente degli artt. 19, 21 e 23 della legge
n. 186 del 1982, osservano che si tratta dichiaratamente di un sistema
speciale, frutto di una scelta legislativa adottata in base alla considerazione
che l’aumento dell’aliquota di consiglieri di TAR autorizzati a domanda a
transitare nei ruoli del Consiglio di Stato doveva essere compensato con
l’eliminazione del riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso i
TAR, previsto dall’art. 17 della citata legge n. 1034 del 1971 e conservato
solo per i consiglieri di TAR in servizio alla data di entrata in vigore della
legge n. 186 del 1982. Si sarebbe, quindi, in presenza di un sistema chiuso,
privo di lacune, il che renderebbe non operante il richiamo, fatto nelle
ordinanze di rimessione, alle norme vigenti per gli impiegati civili dello
Stato, e in particolare al menzionato art. 200 del d.P.R. n. 3 del 1957. In
caso contrario, si aggiunge, si determinerebbe uno stravolgimento del tutto
irragionevole del ruolo dei consiglieri di Stato. Inoltre la sentenza di questa
Corte n. 269 del 1988, già in precedenza richiamata, avrebbe fatto
applicazione di un principio opposto rispetto a quello che il giudice a quo
intende far valere. La predetta sentenza, si prosegue negli atti difensivi, ha
dichiarato, infatti, costituzionalmente illegittimo lo scavalcamento del ruolo
disposto dal legislatore in favore dei procuratori capi dello Stato, promossi
per mera anzianità nel ruolo degli avvocati dello Stato rispetto agli avvocati
dello Stato immessi per concorso. Questa pronuncia renderebbe manifestamente
inammissibile e comunque infondata la questione sollevata. In ogni caso, la
chiara lettera della legge, che limita il beneficio nel tempo, non potrebbe
essere stravolta evocando l’esigenza di eguaglianza nel trattamento di tutti i
dipendenti pubblici, in essi compreso il personale di magistratura. Tanto piú che la magistratura amministrativa, nelle qualifiche
inferiori a quelle direttive, farebbe registrare una pluralità di dotazioni e
un ruolo non intercambiabile, come sarebbe dimostrato dal fatto che un
consigliere di Stato non può tornare nei ruoli dei consiglieri di TAR e neppure
accedere alle presidenze delle sezioni staccate o delle sezioni interne del
TAR. Proprio i lavori preparatori dimostrerebbero che la questione del riconoscimento
di una determinata anzianità ai magistrati di TAR al momento del passaggio al
Consiglio di Stato venne approfonditamente valutata dal Parlamento e risolta
nel senso previsto dalla norma censurata, in considerazione dell’esigenza di
compensare i benefici riconosciuti ai magistrati di TAR in termini di
accelerazione della carriera e di aumento dell’aliquota dei posti di
consigliere di Stato loro riservati con l’abbandono del principio
dell’integrale riconoscimento dell’anzianità maturata. Affermata la regola
"dell’anzianità zero”, da far operare a regime, il legislatore avrebbe inteso
semplicemente salvaguardare le aspettative maturate dai magistrati in servizio
alla data di entrata in vigore della riforma, conservando integralmente
l’anzianità maturata per i consiglieri di TAR e riconoscendola nella sola
misura di cinque anni per i referendari e primi referendari. Che non si sia
trattato di scelta occasionale sarebbe confermato dal fatto che in sede di
approvazione della legge n. 186 del 1982 furono espressamente respinti due
emendamenti che tendevano a riconoscere il principio della piena anzianità a
regime e, in via subordinata, chiedevano l’applicazione di tale principio ai
soli magistrati in servizio. Donde la conclusione nel senso della inammissibilità
o comunque non fondatezza della questione.
Ulteriori memorie sono state depositate
il 29 agosto 2011. In esse si osserva che la nomina a consigliere di Stato del
magistrato di TAR non dà luogo a una progressione di carriera, ma costituisce
«un sistema alternativo di provvista dei magistrati del Consiglio di Stato e
determina il passaggio (irreversibile) dalla qualifica di Consigliere T.A.R. a
quella di Consigliere di Stato». E proprio in quanto non si tratta di una
semplice progressione di carriera, il meccanismo di riconoscimento delle
anzianità sarebbe stato dosato dal legislatore in ragione delle tre diverse
modalità di provvista dei magistrati del Consiglio di Stato e delle percentuali
da calcolare sui posti che si rendono disponibili.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio, con sei distinte ordinanze – emesse nel corso di
altrettanti giudizi riguardanti l’accesso di consiglieri del Tribunale
amministrativo regionale (TAR) nei ruoli del Consiglio di Stato ed il
riconoscimento della relativa anzianità di servizio –, dubita, con riferimento
all’art. 3 della Costituzione, della legittimità dell’art. 23, quinto comma,
della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione
amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di
Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui, all’atto
della loro nomina a consiglieri di Stato, limita ai primi referendari e
referendari di TAR in servizio alla data del 12 maggio 1982 la conservazione,
nella misura di cinque anni, dell’anzianità acquisita nella qualifica di
consigliere di TAR.
In particolare, il giudice rimettente
afferma che tale limitazione del computo d’anzianità ai soli magistrati in
servizio alla predetta data contrasta con i princípi
di uguaglianza e di ragionevolezza espressi dal parametro evocato.
2. – Le ordinanze sollevano questioni
aventi ad oggetto la medesima disposizione di legge e propongono censure
pressoché coincidenti. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere
congiuntamente trattati e decisi.
3. – La disposizione censurata
stabilisce che, «salvo quanto previsto nel quarto comma del precedente articolo
21 [ossia per l’anzianità maturata agli effetti della nomina a presidente di
TAR], i primi referendari e referendari dei tribunali amministrativi regionali
in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge [12 maggio
1982] conservano, all’atto della nomina a consigliere di Stato, l’anzianità
acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale,
nel limite di cinque anni, fatta salva la valutazione degli effetti economici e
prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianità».
Secondo il giudice a quo, tale
disposizione, non riconoscendo in alcuna misura l’anzianità acquisita nelle
funzioni giurisdizionali di primo grado ai consiglieri di Stato che, alla data
del 12 maggio 1982, non erano in servizio come referendari o primi referendari
di TAR, determina un’irragionevole discriminazione dei predetti consiglieri
rispetto: a) ai consiglieri di Stato che, alla data indicata, erano in servizio
come referendari o primi referendari di TAR ed ai quali è, invece, riconosciuta
una anzianità di cinque anni; b) ai consiglieri di Stato di nomina governativa e
per concorso, che – diversamente da loro – non hanno alcuna anzianità
nell’esercizio di funzioni giurisdizionali amministrative da far valere al
momento dell’ingresso nei ruoli del Consiglio; c) ai magistrati delle
magistrature ordinarie e contabili, ai quali è sempre assicurato, nella
progressione in carriera, il computo dell’anzianità pregressa.
Nessuno dei prospettati tre profili di
irragionevole discriminazione è fondato.
4. – Con riguardo al profilo di cui alla
lettera a) del punto precedente, il rimettente, a sostegno della denunciata
disparità di trattamento, pone a raffronto i magistrati di TAR che erano in
servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 e quelli
che non lo erano. Egli assume che la sostanziale omogeneità della situazione in
cui versano tutti i magistrati di TAR non giustifica il beneficio di carriera
riservato dalla disposizione censurata solo a quelli in servizio alla predetta
data.
Tale assunto non è fondato. I termini di
comparazione prospettati, infatti, sono tra loro disomogenei e tale
disomogeneità esclude la dedotta lesione dell’art. 3 Cost. In particolare, la
scelta differenziatrice effettuata dal legislatore
non è censurabile, perché si basa sulla non irragionevole valutazione della
peculiarità della situazione in cui si trovavano i soli magistrati di TAR in
servizio al 12 maggio 1982.
4.1. – Per giungere a tale conclusione
ed individuare la ratio della disposizione denunciata è necessario muovere
dalla preliminare ricognizione del complesso di norme in cui detta disposizione
si inserisce.
Con la legge n. 186 del 1982, il
legislatore ha inteso ovviare agli inconvenienti che derivavano
dall’articolazione del sistema di giustizia amministrativa nei ruoli separati
dei magistrati di TAR e del Consiglio di Stato prevista dal regio decreto 26
giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato), e dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali
amministrativi regionali). Tale separazione – come evidenziato già nel corso
della VII legislatura, in sede di discussione del disegno di legge AS n. 461
(poi decaduto) sull’ordinamento della giurisdizione amministrativa – non
rispondeva, infatti, ad alcuna concreta esigenza di funzionalità e si
risolveva, anzi, in una forma anomala di subordinazione gerarchica dei TAR
rispetto al Consiglio di Stato. La legge citata, pertanto, ha unificato il
ruolo dei magistrati del Consiglio di Stato e dei TAR, perfezionando cosí il disegno riformatore avviato dalla legge n. 1034 del
1971. Essa, per quanto qui interessa, oltre ad aver eliminato la precedente
equiparazione dei referendari e primi referendari dei TAR agli impiegati civili
dello Stato, assimilandoli, nelle garanzie, ai consiglieri di TAR (artt. da 24
a 28), ha ampliato la possibilità dei consiglieri di TAR di accedere alla
qualifica di consigliere di Stato (art. 17, primo comma, della legge n. 1034
del 1971), raddoppiando dal 25 al 50 per cento l’aliquota dei posti che si
rendono vacanti nella qualifica di consigliere di Stato da riservare ai
consiglieri di TAR (art. 19).
L’intervenuta unificazione dei ruoli ha
posto, peraltro, il problema di tutelare in modo adeguato le aspettative
maturate dai magistrati in servizio alla data di entrata in vigore della legge
medesima ed ha evidenziato, perciò, la necessità di introdurre un complesso di
disposizioni particolari vòlto a salvaguardare le
precedenti posizioni di ruolo dei magistrati. Tali disposizioni sono: l’art.
21, settimo comma, il quale, per tutelare le aspettative di promozione dei
consiglieri di Stato in servizio alla data di entrata in vigore della legge, ha
tenuto fermo, agli effetti della nomina alle qualifiche direttive, l’ordine di
collocamento in ruolo esistente ed ha disposto in via eccezionale che i
consiglieri non in possesso dell’anzianità prescritta dall’art. 21, primo
comma, per le qualifiche direttive superiori (otto anni) siano comunque
valutati, indipendentemente dall’anzianità predetta, prima dei consiglieri che
li seguono nel ruolo; l’art. 50, il quale ha stabilito che, in sede di prima
applicazione della legge e comunque per un periodo non superiore a due anni
dalla data di entrata in vigore della stessa, le anzianità nella qualifica
previste come condizione per la nomina a primo referendario, a consigliere di
TAR e a consigliere di Stato siano dimezzate, cosí da
favorire l’accesso dei magistrati di TAR nei ruoli del Consiglio di Stato;
l’art. 23, sesto comma, il quale ha compensato il privilegio in tal modo
assicurato ai magistrati di TAR, riconoscendo ai consiglieri di Stato
l’anticipazione della data della nomina, ai soli effetti giuridici, nella
misura sufficiente ad evitare che i magistrati del Consiglio di Stato in
possesso, alla data di entrata in vigore della legge, delle qualifiche di
referendario, primo referendario e consigliere fossero superati nel ruolo dai
primi referendari e referendari di TAR a séguito dell’abbreviazione del periodo
di anzianità previsto dal menzionato art. 50; l’art. 51, il quale ha
retrodatato al compimento delle anzianità di carriera conseguite anteriormente
alla data di entrata in vigore della legge le nomine a primo referendario e a
consigliere di TAR nonché le nomine alle qualifiche direttive (artt. 17, 18 e
21 della legge n. 186); l’art. 23, settimo comma, il quale ha stabilito, per i
consiglieri di TAR pervenuti a tale qualifica a norma dell’articolo 16, secondo
comma, della legge n. 1034 del 1971 (ossia dopo sei anni di effettivo servizio
nella qualifica di primi referendari regionali), che la suddetta retrodatazione
della nomina non comporta anteposizione in ruolo rispetto ai consiglieri di
Stato che, alla data di entrata in vigore della legge, godevano di una maggiore
anzianità nella qualifica, e ciò al fine di anticipare, ai soli effetti
giuridici, la data della nomina di questi ultimi nella misura necessaria e
sufficiente ad evitare che i predetti consiglieri di TAR li superassero nel
ruolo.
Con riguardo allo specifico profilo che
qui interessa – e cioè il computo dell’anzianità dei magistrati di TAR
nell’accesso al ruolo del Consiglio di Stato – viene in particolare rilievo lo
stesso art. 23, il quale: a) nel quarto comma ha stabilito la transitoria
applicabilità, in favore dei magistrati che alla data di entrata in vigore
della legge n. 186 del 1982 avevano conseguito la qualifica di consigliere di
TAR, della regola della conservazione integrale dell’anzianità fissata
dall’abrogato terzo comma dell’art. 17 della legge n. 1034 del 1971; b) nel
censurato quinto comma, ha riconosciuto l’anzianità solo nella misura di cinque
anni in favore dei referendari e primi referendari di TAR in servizio alla
medesima data.
4.2. – Da questa ricostruzione del
quadro normativo si desume agevolmente la già sottolineata natura eccezionale e
transitoria delle sopra richiamate disposizioni della legge n. 186 del 1982 e,
quindi, del denunciato quinto comma dell’art. 23, che di tale complesso
normativo – come si è visto – è parte integrante.
Il beneficio di carriera attribuito da
tale disposizione trova, in particolare, la sua esclusiva giustificazione nella
necessità di porre rimedio alla contingente situazione di disagio in cui – a
séguito dell’entrata in vigore della legge n. 186 del 1982 – si erano venuti a
trovare i referendari ed i primi referendari di TAR che, al loro ingresso nella
magistratura amministrativa, avevano fatto affidamento sulla favorevole norma
del citato art. 17 della legge n. 1034 del 1971, in virtú
della quale tutti i magistrati amministrativi conservavano l’intera anzianità
di carriera e di qualifica acquisita nell’esercizio delle funzioni
giurisdizionali di primo grado. Ed è proprio per riequilibrare almeno in parte
la posizione di questi giudici che la censurata disposizione prevede appunto,
non irragionevolmente, un trattamento specifico solo per essi, ancorandolo al
preciso elemento cronologico del loro essere in servizio alla data di entrata
in vigore della legge n. 186 del 1982; trattamento riservato a un numero
circoscritto di beneficiari e destinato, perciò, ad esaurirsi con il decorso
del tempo.
In quanto eccezionale e derogatoria,
detta disposizione non è perciò applicabile oltre i casi ed i tempi da essa
considerati e, quindi, nemmeno ai magistrati che versano nella diversa
condizione di essere entrati in ruolo successivamente al 12 maggio 1982 (in
generale, sui limiti di applicabilità delle norme transitorie ed eccezionali, ex plurimis,
sentenze n. 202
e n. 34 del 2011,
n. 131 del 2009,
n. 96 del 2008,
n. 439 del 2007,
n. 178 del 2006,
n. 149 del 2005;
ordinanze n. 231
del 2009 e n.
344 del 2008). Di qui l’eterogeneità delle situazioni che il rimettente
pone a raffronto e l’insussistenza della lamentata discriminazione.
Non può obiettarsi al riguardo, come fa
il rimettente, che la norma in esame – facendo dipendere soltanto da un
elemento temporale la disparità di trattamento introdotta nell’àmbito di una stessa categoria di magistrati – costituisca
esercizio arbitrario della discrezionalità legislativa. Non solo, infatti, il
predetto elemento temporale vale ad individuare la specifica posizione dei
magistrati di TAR pregiudicati dalla sopravvenuta disciplina dell’anzianità di
carriera, ma – come questa Corte ha piú volte
sottolineato – il fluire del tempo può esso stesso costituire l’elemento
giustificativo di un trattamento differenziato (da ultimo, ordinanze n. 31 del 2011,
n. 61 del 2010,
n. 170 del 2009,
n. 212 del 2008),
specie se tale trattamento sia disposto da una disciplina transitoria come
quella in esame.
5. – Con il profilo di censura di cui al
punto 3, sub b), il rimettente ritiene irragionevole che il legislatore non
riconosca, dopo l’ingresso nel ruolo del Consiglio di Stato, l’anzianità di
servizio maturata nel TAR, quantomeno nel limite di cinque anni previsto dalla
disposizione denunciata. Secondo il giudice a quo, tale irragionevolezza deriva
dall’equiparazione, sotto il profilo dell’irrilevanza della precedente
anzianità di servizio, di situazioni diverse; e cioè quella dei magistrati
provenienti dai TAR, i quali hanno esercitato per almeno quattro anni funzioni
giurisdizionali (art. 19, primo comma, n. 1, della legge n. 186 del 1982), e
quella dei consiglieri di nomina governativa o vincitori di concorso, i quali
sono privi di una analoga anzianità.
Anche tale profilo di censura non è
fondato, perché l’anzianità maturata nell’esercizio delle funzioni
giurisdizionali amministrative di primo grado – diversamente da quanto ritiene
il rimettente – non costituisce un elemento idoneo a differenziare le posizioni
in ruolo dei consiglieri di Stato.
5.1. – Il giudice a quo muove dalla
premessa interpretativa che, a séguito della sopra ricordata unificazione dei
ruoli dei magistrati amministrativi, le funzioni svolte dai magistrati di TAR e
dai consiglieri di Stato debbono considerarsi del tutto omogenee e ne trae la
conseguenza che l’anzianità maturata in primo grado deve essere necessariamente
computata (almeno nel limite di cinque anni) nei ruoli del Consiglio di Stato. Questa
premessa non può essere condivisa.
Va ricordato che nel Consiglio di Stato
coesistono funzioni giurisdizionali e consultive che fanno di tale organo, ad
un tempo, il giudice di piú elevata istanza nella
tutela della giustizia nell’amministrazione ed il piú
importante istituto di consulenza giuridico-amministrativa.
Pertanto, il passaggio per anzianità del consigliere di TAR al Consiglio di
Stato presuppone l’accertata idoneità all’esercizio non solo di funzioni
giurisdizionali in grado di appello, ma anche di funzioni di natura consultiva,
corrispondenti appunto al ruolo di organo di consulenza giuridico-amministrativa
che l’art. 100 Cost. assegna al Consiglio di Stato (artt. 15 e 19 della legge
n. 186 del 1982). Proprio in ragione di siffatta attribuzione di funzioni
consultive, la nomina a consigliere di Stato non si risolve in una mera
progressione di carriera nell’àmbito della stessa
funzione, ma segna uno spartiacque nella carriera della magistratura
amministrativa, determinando non irragionevolmente – salve le giustificate
eccezioni previste in via transitoria dalla norma censurata – l’azzeramento
dell’anzianità maturata nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali di primo
grado.
Conferma questa conclusione anche il
fatto che l’accesso del consigliere di TAR nei ruoli del Consiglio di Stato è
subordinato dalla legge n. 186 del 1982 al possesso di requisiti diversi e piú rigorosi di quelli richiesti per i passaggi di
qualifica interni alla magistratura di TAR. Piú
precisamente, mentre la nomina da referendario a primo referendario e da
referendario a consigliere di TAR consegue al compimento di quattro anni di
anzianità nelle rispettive qualifiche e ad un semplice «giudizio di non
demerito espresso dal consiglio di presidenza» (articoli 17 e 18); la nomina
del consigliere di TAR al Consiglio di Stato ha luogo a séguito di uno speciale
giudizio di idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere, cioè «previo
giudizio favorevole espresso dal consiglio di presidenza […] in base alla
valutazione dell’attività giurisdizionale svolta e dei titoli, anche di
carattere scientifico, presentati nonché dell’anzianità di servizio» (art. 19,
n. 1).
5.2. – Né può addursi in contrario, come
fa il rimettente, che l’integrale riconoscimento dell’anzianità maturata presso
il TAR ai fini del conferimento della qualifica di Presidente di TAR (quarto
comma dell’art. 21 della legge n. 186 del 1982) e l’espressa equiparazione
legislativa tra tale qualifica direttiva e quella di Presidente di sezione del
Consiglio di Stato (numero 2 dell’art. 14 della stessa legge) renderebbero
costituzionalmente imposta la valutazione di detta anzianità, quantomeno nella
misura di cinque anni, anche nel passaggio dai ruoli del TAR ai ruoli del
Consiglio di Stato. L’analisi delle norme relative alla nomina alle qualifiche
direttive dimostra infatti che, anche sotto questo profilo, non sussiste
omogeneità tra le funzioni svolte presso il TAR e quelle svolte presso il
Consiglio di Stato.
Anteriormente all’entrata in vigore della
legge n. 186 del 1982 era precluso ai magistrati di TAR l’accesso alle
qualifiche direttive, essendo queste riservate ai consiglieri di Stato. L’art.
21 della medesima legge, nonostante la formale equiparazione delle qualifiche
direttive di Presidente di TAR e di Presidenti di sezione del Consiglio di
Stato, ha solo parzialmente eliminato questa preclusione: da una parte, ha
disposto che la qualifica di Presidente di TAR è conferita sia a consiglieri di
Stato sia a consiglieri di TAR, «al compimento di otto anni di anzianità nelle
rispettive qualifiche» (primo comma); dall’altra, però, ha ribadito che possono
essere nominati Presidenti di sezione del Consiglio di Stato soltanto i
consiglieri di Stato che hanno prestato servizio per almeno due anni presso il
Consiglio medesimo (terzo comma). In tal modo, i Presidenti dei TAR possono
essere sia consiglieri di TAR sia consiglieri di Stato, mentre i Presidenti di
sezione del Consiglio di Stato possono essere soltanto consiglieri di Stato. Ne
consegue che il legislatore, anche ai fini del conferimento delle qualifiche
direttive, ha mantenuto una diversità di trattamento tra i consiglieri di TAR e
di Stato, sul non irragionevole presupposto della evidenziata disomogeneità
delle funzioni da essi svolte.
6. – Con il profilo di censura di cui al
punto 3, sub c), infine, il giudice a quo assume che il carattere
discriminatorio della normativa denunciata risulterebbe anche dal confronto con
la disciplina dettata per la progressione in carriera nella magistratura ordinaria
e contabile e, comunque, con il generale principio di conservazione delle
anzianità di carriera e di qualifica acquisite, ricavabile dall’art. 200, terzo
comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), secondo cui «gli
impiegati trasferiti conservano l’anzianità di carriera e di qualifica
acquisite e sono collocati nei nuovi ruoli con la qualifica corrispondente a
quella di provenienza e nel posto che loro spetta secondo l’anzianità nella
qualifica già ricoperta».
Anche questo profilo non è fondato. La
peculiarità della disposizione denunciata rende non pertinenti, infatti, i
richiami comparativi – contenuti nelle ordinanze di rimessione –
all’ordinamento di altre magistrature ed alla disciplina degli impiegati civili
dello Stato.
6.1. – Il rimettente assume quali
termini di raffronto della norma censurata, per la magistratura ordinaria,
l’art. 12, comma 14, del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina
dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di
funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a, della
legge 25 luglio 2005, n. 150); per la magistratura contabile, la legge 14
gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e
controllo della Corte dei conti). Il citato comma 14 dell’art. 12 prevede che
il conferimento di funzioni di legittimità presso la Suprema Corte di
cassazione – all’esito di una procedura valutativa riservata a magistrati
ordinari limitatamente al 10 per cento dei posti vacanti – «non produce alcun
effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato, né
sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di
funzioni di merito». Analogamente, dalla menzionata legge n. 19 del 1994 – che
ha istituito le sezioni regionali della Corte dei conti come organi
giurisdizionali di primo grado – risulterebbe, secondo il TAR rimettente, che
«nei rapporti tra organi di primo grado e di appello i magistrati hanno
assoluta uniformità di qualifiche e funzioni».
Contrariamente a quanto afferma il
giudice a quo, il richiamo a tale disciplina non può venire in rilievo ai fini
della denunciata discriminazione. Infatti, questa Corte ha da tempo chiarito
che, sebbene sia «innegabile l’unitarietà in senso lato dell’esercizio della
giurisdizione, è altrettanto innegabile che, nell’àmbito
di tale unitarietà, trovano collocazione gli specifici e diversi ordinamenti
delle indicate magistrature, corrispondenti ai motivi di tradizione storica
accolti dal Costituente» e che «l’ordinamento vigente non contempla una piena
uniformità di disciplina, quanto alla attribuzione delle funzioni, quanto
all’assetto strutturale degli uffici, tra i magistrati dell’ordine giudiziario
e quelli del Consiglio di Stato, nonché della Corte dei conti e dei tribunali
militari»; con la conseguenza che «dalla unitarietà in senso lato
dell’esercizio della giurisdizione e dal fatto che la Costituzione prevede per
tutti i magistrati garanzie di indipendenza, non può farsi derivare la
necessità di una piena equiparazione e di una puntuale corrispondenza, sul
piano della progressione nelle funzioni, tra le magistrature anzidette» (sentenza n. 1 del
1978; in senso analogo, ordinanza n. 542
del 2000). In conclusione, sempre secondo la Corte, non si rinvengono
nell’ordinamento giuridico princípi che esigono
l’attuazione di un sistema di progressione in carriera per la magistratura
amministrativa di tipo e struttura integralmente corrispondenti alle
caratteristiche proprie della magistratura ordinaria (sentenza n. 1 del
1978, sopra citata).
Nel solco di tale indirizzo va qui
ribadito che non è costituzionalmente imposto, né è previsto da alcun principio
generale dell’ordinamento che all’unità, lato sensu
intesa, della funzione giurisdizionale svolta debba corrispondere un unitario
statuto professionale, salve le garanzie di indipendenza. Ne consegue che non è
possibile assumere le particolari discipline relative ai magistrati ordinari e
contabili – che sono espressione di scelte differenziatrici
rimesse alla discrezionalità del legislatore – come termini di comparazione
rispetto a quella dei magistrati amministrativi.
Non può addursi in contrario l’argomento
secondo cui l’equivalenza tendenziale fra il regime economico dei magistrati
ordinari e quello dei magistrati amministrativi sarebbe il sintomo di una piú estesa parificazione di trattamento, alla quale il
legislatore dovrebbe attenersi anche per i profili relativi alla progressione
nella carriera. La suddetta equiparazione è un dato, in effetti, rilevabile
nell’evoluzione della disciplina legislativa in materia, ma non costituisce
motivo per ritenere che il legislatore abbia inteso istituire un rapporto di
corrispondenza necessaria fra le diverse categorie di magistrati anche per
quanto attiene al regime di conservazione dell’anzianità. Come questa Corte ha
in altra occasione affermato, il trattamento economico dei magistrati
rappresenta «la traduzione in corrispettivo materiale della valutazione
dell’opera prestata e coinvolge una serie di elementi il cui apprezzamento può
condurre a parificare, sotto questo profilo, situazioni anche diverse» (sentenza n. 1 del
1978, piú volte citata). Pertanto, anche
dall’eventuale identità del trattamento economico non potrebbe di certo
ricavarsi la necessità di un identico trattamento nello stato giuridico.
6.2. – È da escludersi, infine, anche la
pertinenza del richiamo effettuato dal rimettente all’art. 200 del d.P.R. n. 3
del 1957. L’ordinamento della giurisdizione amministrativa costituisce,
infatti, un sistema rispetto al quale non può trovare applicazione la
disciplina generale degli impiegati civili dello Stato, se non in via
suppletiva (e, quindi, non nel caso di specie, in cui sussiste una specifica
normativa sul computo dell’anzianità dei magistrati amministrativi). Del resto,
ad ulteriore conferma della specialità di tale ordinamento giurisdizionale, il legislatore,
con i menzionati articoli da 24 a 28 della legge n. 186 del 1982, ha eliminato
anche l’equiparazione – un tempo prevista – dei referendari e primi referendari
di TAR agli impiegati civili dello Stato e li ha assimilati ai consiglieri di
TAR quanto alle piú ampie garanzie di indipendenza e
di inamovibilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 23, quinto comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento
della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario
del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), sollevate dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 ottobre
2011.