SENTENZA N. 1
ANNO 1978
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 20 dicembre 1973, n. 831 e degli artt. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e 13, secondo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (norme per l'attribuzione delle funzioni direttive ai magistrati ordinari e ai magistrati amministrativi), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 settembre 1976 dal TAR per il Lazio, sul ricorso di Pezzana Aldo contro il Presidente del Consiglio dei ministri, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 5 gennaio 1977;
2) ordinanza emessa il 27 ottobre 1976 dal TAR per il Lazio, sul ricorso di Tomasicchio Tommaso, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59 del 2 marzo 1977;
3) ordinanza emessa l'11 maggio 1977 dalla Corte dei conti - sezione riunite - sul ricorso di Menichetti Francesco, iscritta al n. 315 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubbblica n. 193 del 15 luglio 1977.
Visti gli atti di costituzione di Pezzana Aldo, Tomasicchio Tommaso, Menichetti Francesco, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1977 il Giudice relatore Luigi Oggioni;
uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per Pezzana, l'avv. Rinaldo Ricci, per Tomasicchio, l'avv. Fabio Roversi Monaco, per Menichetti e il sostituto avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il prof. Aldo Pezzana, consigliere di Stato, adiva il tribunale amministrativo regionale del Lazio per sentir annullare il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri con cui gli era stata negata la nomina a presidente di sezione, che egli aveva chiesto gli fosse conferita ai sensi dell'art. 16 della legge n. 831 del 1973, concernente la magistratura ordinaria, ma, a dire del ricorrente, applicabile analogicamente anche alla magistratura amministrativa e secondo cui, ai fini della dichiarazione di idoneità alle funzioni direttive superiori, il Consiglio superiore della magistratura prende in esame, entro il 31 dicembre di ogni anno, i magistrati di Cassazione che raggiungono nell'anno stesso un'anzianità di otto anni dalla nomina a tale categoria (e quelli che nel ruolo di anzianità li precedono indipendentemente dall'anzianità predetta) con la garanzia, per effetto degli artt. 17 e 18, del conseguimento degli effetti giuridici ed economici della dichiarazione di idoneità anche a coloro che non possono accedere alle funzioni superiori per temporaneo difetto di vacanze. Il tribunale amministrativo, peraltro, ritenuto non direttamente estensibile ai magistrati amministrativi il principio posto dall'art. 16 citato, con ordinanza del 22 settembre 1976, dichiarava la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità della detta legge in quanto, appunto, non essendo i detti criteri estensibili ai magistrati del Consiglio di Stato, contrasterebbe con gli artt. 3, 36, 100, ultimo comma, 103 e 108, secondo comma, della Costituzione. Al riguardo il giudice a quo osserva che il sistema legislativo riguardante lo status dei magistrati del Consiglio di Stato, in attuazione degli articoli 100, 103 e 108 Cost., sarebbe sostanzialmente parallelo all'ordinamento giudiziario, mediante l'accoglimento della garanzia della inamovibilità, l'esclusione di vincoli di subordinazione nei confronti del potere esecutivo e l'attribuzione di un trattamento economico identico a quello previsto per i magistrati ordinari. In particolare, tale ultimo aspetto sarebbe consacrato nella legge 24 maggio 1951, n. 392 (art. 12) e nelle numerose successive disposizioni in materia, secondo cui al personale delle magistrature amministrative si applicano le disposizioni innovatrici con detta legge sancite in materia di trattamento economico a favore dei magistrati ordinari. E ciò sarebbe, d'altra parte, rispondente alla sostanziale identità della funzione giurisdizionale delle diverse magistrature, considerate unitariamente nel titolo IV della Costituzione.
L'inapplicabilità anche alla magistratura del Consiglio di Stato dell'art. 16 in esame si risolverebbe, così, in una disarmonica carenza legislativa che darebbe luogo ad una disparità di trattamento in violazione del principio di eguaglianza, anche in contrasto evidente col principio della proporzionalità retributiva sancito dall'art. 36 Cost. Ed al riguardo il giudice a quo ricorda la sentenza n. 219 del 1975 della Corte, che avrebbe ritenuto illegittima la differenziazione di retribuzione fra docenti universitari e funzionari del pubblico impiego sulla sostanziale considerazione della non diversa qualificazione delle due categorie.
Contestualmente, verrebbero anche violati i precetti posti a garanzia dell'indipendenza delle magistrature amministrative dagli artt. 100, 103 e 108 Cost., garanzia della quale la rivendicata parità retributiva con la magistratura ordinaria apparirebbe "momento indefettibile". Lo svincolo del conseguimento del trattamento economico superiore dall'effettiva attribuzione delle relative funzioni, pure sancito dagli artt. 7 e 17 della legge n. 831 del 1973, rappresenterebbe invero la concreta espressione del principio secondo cui la progressione economica é garanzia dell'indipendenza del giudice e come tale non va collegata allo svolgimento della carriera e all'attribuzione di determinati compiti e funzioni.
Tali carenze assumerebbero, secondo il giudice a quo, particolare rilievo proprio laddove lo sviluppo della carriera non risulta interamente svincolato da provvedimenti dell'autorità amministrativa, come appunto nei casi di nomina dei consiglieri e presidenti di sezione del Consiglio di Stato.
L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1977.
Si é costituito in questa sede il consigliere Pezzana (rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino), che ha depositato ritualmente le proprie deduzioni, con cui si associa alle tesi svolte nell'ordinanza di rinvio.
La difesa pone in evidenza la possibilità offerta ai magistrati di Cassazione di essere presi in considerazione per la dichiarazione di idoneità alle funzioni superiori e quindi per la promozione anche in soprannumero a presidente di sezione dopo otto anni dalla nomina, esclusa invece tale possibilità dall'attuale ordinamento della magistratura amministrativa ed in particolare da quello del Consiglio di Stato. Con ciò, prosegue la difesa, pur dovendosi ammettere l'esistenza di elementi di differenziazione tra le magistrature amministrative e quella ordinaria, l'indicata diversità di disciplina della progressione di carriera non troverebbe razionale giustificazione, mentre dovrebbe ravvisarsi l'esigenza logica dell'estensione del regime previsto per i magistrati ordinari anche ai magistrati del Consiglio di Stato, per la garanzia di indipendenza, che il quasi automatismo della progressione fornisce e per la rispondenza dell'estensione stessa al tendenziale adeguamento dello status dei magistrati amministrativi a quello dei magistrati ordinari, ravvisabile nell'ordinamento che farebbe apparire come un vero e proprio privilegio il sistema denunziato, specie ove si consideri che esso consente al magistrato ordinario la nomina senza il conferimento delle funzioni, e quindi il godimento dei vantaggi economici senza i relativi oneri e responsabilità.
La difesa poi rileva che il semi-automatismo previsto dalle norme impugnate per la promozione del consigliere a presidente di sezione, costituirebbe una elementare cautela avvertita come necessaria nell'attuale momento storico per assicurare la indipendenza del giudice, e che sarebbe particolarmente opportuna per i consiglieri di Stato, in parte di nomina governativa, per i quali assumerebbe quindi maggior rilievo l'esigenza di promozione sottratta ad eventuali influenze successive del governo.
Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato ritualmente le proprie deduzioni.
L'Avvocatura osserva che lo status previsto per i magistrati del Consiglio di Stato é retto da un ordinamento diverso da quello previsto per i magistrati dell'ordine giudiziario, il che sarebbe sufficiente per escludere la prospettata violazione del principio di eguaglianza, tanto più che, mentre da un lato si presenterebbe estremamente complesso il poter assicurare una parità di sviluppo di carriera e di trattamento economico ai magistrati amministrativi ed a quelli ordinari, dall'altro dovrebbe comunque riconoscersi al legislatore una discrezionalità nel differenziare il trattamento economico di una categoria rispetto all'altra, senza per questo violare gli artt. 3 e 36 Cost.; aggiunge l'Avvocatura che con la citata sentenza n. 219 del 1975 si sarebbe soltanto corretto un contingente aspetto irrazionale dell'esercizio della discrezionalità stessa.
L'Avvocatura osserva poi che il contenuto normativo degli artt. 100, ultimo comma, 103 e 108, secondo comma, della Costituzione, di cui il TAR del Lazio prospetta la violazione, non sarebbe strettamente legato con il problema sollevato nel presente giudizio, perché l’ esigenza di garantire l'indipendenza economica del magistrato riguarderebbe oggetto diverso da quello dedotto in giudizio, incentrato invece sulla mancata realizzazione del parallelismo delle carriere.
Ciò che peraltro non escluderebbe il riconoscimento sul piano della equità della opportunità di un allineamento fra Consigliere di Stato e consigliere di Cassazione, da realizzarsi peraltro mediante i necessari strumenti legislativi.
Il consigliere della Corte dei conti dr. Francesco Menichetti, dopo avere anch'egli richiesto alla Presidenza del Consiglio, con esito negativo, la nomina a presidente di sezione in applicazione estensiva dell'art. 16 della legge n. 831 del 1973, proponeva ricorso alle Sezioni unite della Corte dei Conti avverso il provvedimento negativo di cui sopra, prospettando tesi sostanzialmente coincidenti con quelle sostenute dal consigliere Pezzana nel suo ricorso al TAR del Lazio sopra menzionato. Anche in questo caso il giudice a quo, con ordinanza dell'11 maggio 1977, riteneva di aderire alla tesi del ricorrente relativa alla pretesa illegittimità della citata legge in quanto non rende applicabile ai magistrati della Corte dei Conti il regime previsto dall'art. 16 e contrasterebbe così con gli articoli 3 e 36 della Costituzione.
Le Sezioni Unite della Corte dei Conti hanno rilevato in particolare che la "magistratura", la quale trova le sue garanzie costituzionali nel titolo IV della Costituzione, sarebbe composta dai giudici dell'ordine giudiziario, del Consiglio di Stato, dei TAR, della Corte dei Conti e dei Tribunali militari, i quali tutti eserciterebbero, in via normale, la funzione giurisdizionale nell'ambito delle proprie competenze, senza che dalla ripartizione settoriale delle stesse possano trarsi conclusioni circa la natura ordinaria o speciale della giurisdizione, che si presenterebbe come una categoria logica e giuridica inscindibile, anche se suscettibile di pratica articolazione in rapporto alle specifiche materie. Pertanto, la giurisdizione amministrativa andrebbe considerata in parallelo con la giurisdizione ordinaria e ciò, per quanto riguarda la Corte dei Conti, troverebbe particolare rispondenza nella sua giurisdizione esclusiva nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
Da tutto quanto premesso discenderebbe l'esigenza di unicità di indirizzi legislativi per quanto concerne lo status dei componenti delle varie magistrature al fine di realizzare omogeneità di norme, soprattutto onde garantire l'indipendenza dei magistrati. Ma, mentre, per quanto riguarda il sistema di avanzamento in carriera da magistrato di tribunale a magistrato di appello e di cassazione e da referendario a primo referendario ed a consigliere della Corte dei Conti sarebbe dato riscontrare un sostanziale parallelismo nei sistemi rispettivamente previsti per la magistratura ordinaria dalla legge 25 luglio 1966, n. 570, e per la Corte dei Conti dalle leggi 20 dicembre 1961, n. 1345, e 13 ottobre 1969, n. 691, tale parallelismo scomparirebbe fra il conferimento delle funzioni direttive superiori di cui agli artt. 16 e seguenti della citata legge n. 831 del 1973 ed il sistema di promozione a presidente di sezione della Corte dei Conti ex art. 7 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, e art. 13 legge 20 dicembre 1961, n. 1345. Anche le Sezioni Unite della Corte dei Conti pongono in evidenza che per i magistrati ordinari sarebbe stato introdotto per dette nomine il sistema a ruolo aperto, che farebbe coincidere l'avanzamento in carriera con la progressione economica, indipendentemente dalle funzioni esercitate, mentre tale sistema non sarebbe operante per la Corte dei Conti, tuttora regolata da norme che non consentono l'applicazione del sistema a ruolo aperto ed i correlativi vantaggi economici e di carriera.
La denunziata carenza di adeguamento della disciplina della progressione in carriera dei consiglieri della Corte dei Conti a presidente di sezione, si ripercuoterebbe poi parallelamente sulla legittimità costituzionale del sistema delle norme regolanti la materia, cioè gli artt. 7 t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, e 13, secondo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345, per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., ed il giudice a quo ha sollevato specifica questione al riguardo. L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e pubblicata.
Si é costituito il consigliere Menichetti, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Fabio Roversi Monaco, che ha depositato le proprie deduzioni difensive con cui fa proprie le argomentazioni esposte nell'ordinanza di rinvio, insistendo particolarmente sulla esigenza di unità di indirizzo legislativo per quanto riguarda lo status dei componenti degli organi giurisdizionali anche al fine di garantirne l'indipendenza, e sulla difformità da tale criterio che sarebbe ravvisabile nella disciplina sancita dalla impugnata disposizione legislativa.
Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni, con cui ripropone le argomentazioni già esposte nelle difese concernenti la questione di legittimità sollevata nel giudizio proveniente dal Consiglio di Stato.
Anche il sostituto avvocato generale dello Stato, Tommaso Tomasicchio, chiedeva al Presidente del Consiglio dei ministri il conferimento della qualifica di vice avvocato generale dello Stato, in applicazione del ripetuto art. 16 della legge n. 831 del 1973 che anch'egli asseriva estensibile ai sostituti avvocati dello Stato per la puntuale equiparazione fra le qualifiche di consigliere di Cassazione e di sostituto avvocato generale disposta dalla tabella B allegata al t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611, sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato.
Avverso il provvedimento con cui tale richiesta fu respinta, l'avv. Tomasicchio proponeva ricorso al T.A.R. del Lazio che, con ordinanza 27 ottobre 1976, riteneva il citato art. 16 non applicabile ai sostituti avvocati generali dello Stato e sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale della legge n. 831 del 1973 per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., in quanto, appunto, non estende le disposizioni del citato art. 16 agli avvocati dello Stato.
Il giudice a quo, a sostegno della censura, afferma che costituirebbe oramai principio generale del sistema normativo la parità e uniformità di trattamento nella retribuzione e nella progressione di carriera tra avvocati dello Stato e magistrati dell'ordine giudiziario, parità che troverebbe fondamento nella particolare funzione attribuita all'Avvocatura e nella equivalenza delle prestazioni lavorative, riconosciute di pari livello.
La norma censurata (prosegue il giudice a quo) costituirebbe invece attuazione a favore dei magistrati ordinari di una sostanziale progressione economica a ruolo aperto ed indipendentemente dall'effettiva attribuzione delle funzioni superiori, con un beneficio che determina una disparità di trattamento con coloro che, come gli avvocati dello Stato, sono oggettivamente allineati dall'ordinamento ai magistrati ordinari, senza che possa rinvenirsi una ragionevole giustificazione di tale discriminazione, ed in aperto contrasto quindi, sia con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost., sia con il principio della parità retributiva che sarebbe anche garantito dall'art. 36 della Costituzione.
L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 59 del 2 marzo 1977.
Nei termini si é costituito in questa sede l'avv. Tomasicchio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carmelo Carbone e Rinaldo Ricci, che hanno depositato ritualmente una memoria difensiva, con cui ribadiscono sostanzialmente le tesi esposte nell'ordinanza di rinvio. La difesa insiste particolarmente nel porre in evidenza la situazione legislativa di parità tra le categorie dei magistrati e degli avvocati dello Stato, che troverebbe la sua origine nella circostanza che, specialmente nei primi decenni di vita dell'Istituto, il reclutamento degli avvocati dello Stato avveniva principalmente fra i magistrati, per cui si era reputato necessario assicurare un costante equilibrio fra le qualifiche dei due ordinamenti. Tale equilibrio sarebbe invece attualmente rotto dal sistema di progressione sostanzialmente economica nel trattamento dei magistrati ordinari, non estensibile agli avvocati dello Stato, i quali, a causa del sistema del ruolo chiuso esistente per la promozione a vice avvocato generale ed a causa del numero limitatissimo dei posti in organico, verrebbero sottoposti ad un livello retributivo inferiore a quello riconosciuto ai magistrati di Cassazione.
Con ciò, risulterebbero violati sia il principio di eguaglianza, sia il principio della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le deduzioni difensive.
L'Avvocatura in sostanza formula obiezioni analoghe a quelle già esposte nel giudizio proveniente dall'ordinanza 22 settembre 1976 del T.A.R. del Lazio, emessa a seguito del ricorso del consigliere Pezzana, insistendo sulla diversità dello status degli avvocati dello Stato e dei magistrati ordinari, che sono disciplinati da ordinamenti diversi con una diversa regolamentazione delle carriere, la cui difformità si sarebbe anzi accentuata negli ultimi anni e comporterebbe comunque interventi legislativi separati anche per la difficoltà di assicurare una parità di sviluppo di carriera e di trattamento economico alle categorie interessate onde sarebbe da escludersi che il legislatore, mentre provvedeva per alcune modifiche dell'ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di Cassazione, fosse costituzionalmente obbligato a provvedere parallelamente per gli avvocati dello Stato. E comunque, anche in questa sede, l'Avvocatura insiste nell'affermare che al legislatore dovrebbe riconoscersi una certa discrezionalità nel differenziare il trattamento economico di categorie diverse anche se in precedenza ugualmente retribuite. Conclude quindi per la infondatezza delle censure sollevate.
La difesa del consigliere Pezzana ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui ribadisce e sviluppa le tesi già esposte.
In particolare insiste nel richiamare, a sostegno del proprio assunto, la sentenza n. 219 del 1975 di questa Corte, dalla quale emergerebbe il principio secondo cui il legislatore non potrebbe deprimere economicamente una categoria di pubblici dipendenti rispetto ad un'altra, quando entrambe conservino il parallelismo di stato giuridico e di prestigio di cui l'eguale trattamento economico tradizionalmente attribuito rappresenterebbe concreta espressione (la sentenza ha riconosciuto illegittimo il verificarsi di un inferiore trattamento economico conseguente alla legge n. 249 del 1968 dei professori universitari in confronto al personale amministrativo dei ruoli della dirigenza, dopo la precedente costante equiparazione).
Ed anzi il criterio suddetto, affermato per i professori universitari rispetto ai funzionari direttivi, sarebbe ancor più aderente alla fattispecie in esame, data la sostanziale corrispondenza delle funzioni svolte dai magistrati ordinari e amministrativi, che postolerebbe un altrettanto sostanziale equilibrio nello status dei medesimi, alterato invece senza razionale giustificazione dalla disciplina impugnata.
La difesa del consigliere Menichetti ha pure tempestivamente depositato una memoria con cui, riaffermando l'omogeneità a livello costituzionale fra le posizioni e le funzioni dei magistrati ordinari, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, insiste sulle argomentazioni già svolte, ponendo in evidenza sia lo squilibrio che la lamentata carenza legislativa avrebbe creato in un sistema caratterizzato, invece, da un sostanziale parallelismo di situazioni, sia il contrasto dell'anomalia denunziata con principi stabiliti dalla sentenza n. 219 del 1975 della Corte.
Anche la difesa dell'avv. Tomasicchio ha depositato una memoria illustrativa con cui svolge ulteriormente le tesi già prospettate e, tra l'altro, si richiama alla citata sentenza n. 219 del 1975 della Corte, dalla quale dovrebbe desumersi che la tradizionale equiparazione del trattamento economico di diverse categorie di dipendenti pubblici costituirebbe un limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore ordinario. Tale limite sarebbe anche operante per quanto riguarda l'equilibrio fra le retribuzioni dei magistrati e degli avvocati dello Stato, costantemente equiparate dalle numerose norme succedutesi in materia, in attuazione di un principio generale di garanzia della posizione degli avvocati dello Stato rispetto a quella dei magistrati della corrispondente qualifica. Il che avrebbe trovato espressa conferma nella legge fondamentale di riforma dell'ordinamento della magistratura 24 maggio 1951, n. 392.
Infine, anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria con cui ribadisce le argomentazioni già svolte.
In particolare l'Avvocatura contesta l'applicabilità, nelle fattispecie attualmente in esame, dei cennati criteri desunti dalla sentenza n. 219 del 1975 della Corte poiché, in quel caso, la Corte avrebbe riconosciuto l'esistenza di una situazione abnorme per il vistoso declassamento cui sarebbero stati assoggettati i professori universitari rispetto alle altre categorie di dipendenti pubblici. Le situazioni predette non potrebbero quindi paragonarsi a quelle oggetto del presente giudizio, anche in considerazione del fatto che non sussisterebbe fra le categorie in considerazione una tale sproporzione di trattamento da ledere le prerogative di dignità, di indipendenza e di prestigio che pure la Costituzione ha certamente inteso assicurare a tutte le categorie considerate.
Considerato in diritto
1. - Le tre ordinanze di cui in narrativa, sottopongono rispettivamente, all'esame della Corte, con analoghi motivi, la stessa questione: per cui ravvisasi opportuna la loro riunione, onde pervenire a contestuale decisione.
2. - La questione sollevata concerne la legge 20 dicembre 1973, n. 831, sulla nomina a magistrato di cassazione e sul conferimento di uffici direttivi superiori, la quale legge dispone (art. 16) che "ai fini della dichiarazione di idoneità alle funzioni direttive superiori, il Consiglio Superiore della Magistratura prende in esame entro il 31 dicembre di ogni anno i magistrati di cassazione che raggiungono nell'anno stesso una anzianità di otto anni dalla nomina a tale categoria". Si assume che, riguardando la norma soltanto i magistrati appartenenti alla giurisdizione ordinaria, ne conseguirebbe una irrazionale disparità di trattamento nei confronti dei magistrati appartenenti al Consiglio di Stato ed alla Corte dei Conti, nonché nei confronti degli avvocati dello Stato, tutti esclusi dalla adozione dei ruoli aperti. Di conseguenza, andrebbe riconosciuta la violazione degli artt. 3, 36, 100, ultimo comma, 103 e 108, secondo comma, Cost. (ordinanza del TAR del Lazio riguardante i magistrati del Consiglio di Stato); degli stessi artt. 3 e 36 (ordinanza della Corte dei Conti, nonché ordinanza del TAR del Lazio riguardante gli avvocati dello Stato). L'ordinanza della Corte dei Conti estende la stessa questione all'art. 17 della cennata legge (decorrenza della nomina alle funzioni direttive superiori, anche in difetto di vacanze) ed all'art. 18 (permanenza nelle precedenti funzioni sino all'effettivo conferimento dell'ufficio direttivo superiore).
La stessa ordinanza della Corte dei Conti solleva altresì questione di legittimità dell'art. 7 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e dell'art. 13 legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (sulla nomina e successiva progressione dei magistrati della Corte), "in quanto difetterebbero di aggiornamento col sistema adottato per i magistrati di cassazione".
3. - Nell'ordinanza del tribunale amministrativo del Lazio emessa nel giudizio promosso dal consigliere di Stato Prof. Pezzana, si prospetta, anzitutto, la violazione del principio di eguaglianza che deriverebbe dalla mancata estensione del sistema di progressione in carriera dei magistrati di cassazione ai consiglieri di Stato, nonostante la parificazione delle due categorie desumibile dall'ordinamento che, per entrambe, si ispirerebbe a parallele garanzie fondamentali di indipendenza, per quanto riguarda lo stato giuridico, e ad una puntuale corrispondenza, per quanto riguarda il trattamento economico.
La normativa impugnata, pertanto, costituirebbe una eccezione alla parificazione accolta dal sistema legislativo, e non sarebbe suscettibile di razionale giustificazione, tanto più che entrambe le categorie in esame adempiono una funzione giurisdizionale sostanzialmente identica, la quale postulerebbe una parità di trattamento.
Va subito osservato che la prospettata violazione del principio di eguaglianza non sussiste. L'ordinamento vigente non contempla una piena uniformità di disciplina, quanto alla attribuzione delle funzioni, quanto all'assetto strutturale degli uffici, tra i magistrati dell'ordine giudiziario e quelli del Consiglio di Stato, nonché della Corte dei Conti e dei tribunali militari. Ed inoltre perché, dalla unitarietà in senso lato dell'esercizio della giurisdizione e dal fatto che la Costituzione prevede per tutti i magistrati garanzie di indipendenza, non può farsi derivare la necessità di una piena equiparazione e di una puntuale corrispondenza, sul piano della progressione nelle funzioni tra le magistrature anzidette.
Al riguardo, giova ricordare che gli artt. 16 e seguenti della legge n. 831 del 1973 si collocano in una linea tendenziale di riforma che, a cominciare dalla legge 24 maggio 1951, n. 392, ha introdotto nell'ordinamento giudiziario ordinario una normativa che si richiama ai principi posti dall'art. 101 Cost., secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, dall'art. 104 Cost., secondo cui la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, e dall'art. 107 Cost., secondo cui i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni. Tale linea tendenziale venne iniziata con la detta legge del 1951, la quale (operando nel medesimo senso anche per i magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, della giustizia militare, nonché per gli avvocati e procuratori dello Stato) ha inciso sull'ordinamento fino ad allora vigente secondo cui i magistrati erano invece distinti per gradi con equiparazione ai gradi gerarchici della pubblica amministrazione, ed ha riconosciuto un trattamento economico differenziato rispetto agli altri dipendenti statali a favore delle categorie sopraddette.
Da ultimo, con la legge 20 dicembre 1973, n. 831, é stato disposto un nuovo sistema di conferimento della qualifica di magistrato di cassazione, nonché di conferimento delle funzioni direttive superiori (art. 16), ancorandolo al principio che la nomina alla qualifica superiore si consegue al compimento di un determinato periodo di tempo, in soprannumero e prescindendo dal contemporaneo conferimento delle corrispondenti funzioni.
La normativa predetta, che fu a suo tempo molto discussa ma sulla quale questa Corte non ha mai avuto occasione di pronunciarsi, viene qui in esame unicamente sotto il profilo della mancata estensione ai magistrati amministrativi.
Per quanto riguarda lo status e la progressione in carriera dei magistrati del Consiglio di Stato, se é vero che il legislatore si é costantemente preoccupato di garantire un parallelismo di trattamento economico con i magistrati ordinari é, peraltro, anche vero che esso non ha ritenuto di apportare modifiche alla regolamentazione della loro carriera, la quale é tuttora disciplinata dal t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, e dalle norme di esecuzione contenute nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 579.
Il sistema qui posto é notevolmente diverso da quello proprio della magistratura ordinaria, sia per le procedure previste, sia per gli organi chiamati a pronunciarsi.
Infatti, la promozione alla qualifica di primo referendario é affidata al criterio del merito comparativo; la nomina alla qualifica di consigliere di Stato ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, preceduta da un parere obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di presidenza del Consiglio di Stato per la metà dei posti che sono di scelta del Governo (mentre per la metà dei posti riservata ai referendari é sufficiente la proposta del Presidente). Infine, la ulteriore nomina a Presidente di sezione é affidata anch'essa ad una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del citato Consiglio di presidenza. Questa serie di atti si conclude con decreto del Capo dello Stato.
Il legislatore ordinario ha finora mostrato di ritenere che le garanzie di indipendenza del Consiglio di Stato e dei suoi magistrati appartenenti alle qualifiche più elevate, rispetto a quanto previsto dalla Costituzione (artt. 100, u.c., e 108, u.c.) siano assicurate dalle norme del t.u. n. 1054 del 1924, con la conseguenza che anche per questo aspetto vi é una diversità di disciplina rispetto ai magistrati dell'ordine giudiziario.
Questo sistema differenziato non é apparso a questa Corte (sent. n. 177 del 1973) in contrasto con i principi che la Costituzione ha posto a tutela delle magistrature e dei loro componenti, anche perché (sent. n. 121 del 1970) quel che occorre assicurare é da un lato che l'organo giudicante sia immune da vincoli che comportino una sua soggezione formale o sostanziale ad altri organi e, dall'altro, che esista una situazione di inamovibilità, anche se diversamente articolata.
Detto sistema non contrasta neppure con il contenuto della funzione giurisdizionale. Invero, la Costituzione (artt. 102 e 103 e disposizione trans. VI) ha espressamente riconosciuto la esistenza di differenti modi di esercizio del potere giurisdizionale, identificabili nella magistratura ordinaria e nelle altre magistrature, le quali, in coerenza logica con tali aspetti differenziati, conservano peculiarità di ordinamento quanto alla rispettiva organizzazione ed alle relative garanzie costituzionali.
D'altro canto, le cennate differenze vanno anche poste in relazione con la constatazione che la giurisdizione amministrativa in tutti e tre i suoi aspetti (giurisdizione generale di legittimità, giurisdizione di merito e giurisdizione esclusiva) opera nel settore dei rapporti giuridici fra la Pubblica Amministrazione ed il cittadino, sicché a quella giurisdizione sono conferiti poteri particolari e la legge prevede specifici istituti intesi a conferire alle pronunce del giudice amministrativo una diversa incisività.
Né va taciuto che il Consiglio di Stato (art. 100, primo comma, Cost.) é anche organo di consulenza giuridico-amministrativa ed esplica, quindi, una ulteriore attribuzione inserendosi nello iter di formazione di provvedimenti del Governo o della Pubblica Amministrazione.
Anche se é innegabile l'unitarietà in senso lato dell'esercizio della giurisdizione, é altrettanto innegabile che, nell'ambito di tale unitarietà, trovano collocazione gli specifici e diversi ordinamenti delle indicate magistrature, corrispondenti ai motivi di tradizione storica accolti dal Costituente.
D'altra parte, il rilevato parallelismo fra il trattamento economico dei magistrati ordinari e quello degli altri magistrati, che, come si é detto, costituisce effettivamente un dato obiettivo costantemente rilevabile nella disciplina legislativa di tale materia, non può da solo costituire motivo determinante per ritenere che il legislatore abbia inteso riconoscere una rispondenza necessaria ed inderogabile fra le dette categorie anche per quanto attiene alla disciplina di tutti gli aspetti del rapporto di servizio dei rispettivi appartenenti. Il trattamento economico, invero, rappresenta la traduzione in corrispettivo materiale della valutazione dell'opera prestata e coinvolge una serie di elementi il cui apprezzamento può condurre a parificare, sotto questo profilo, situazioni anche diverse in funzione di varie ragioni, le quali, nella specie, sono identificabili nel riconoscimento del livello tecnico dell'opera stessa, nella sua rilevanza sociale e nella sua natura giurisdizionale.
Viene richiamata dalle parti, a sostegno del prospettato assunto di illegittimità, la sentenza di questa Corte n. 219 del 1975: ma é da escludere che questa sentenza possa fornire la base logica delle conclusioni che le parti ne traggono. Invero, vi si afferma, in via di principio, la discrezionalità del legislatore nel determinare la retribuzione di una categoria di lavoratori dipendenti rispetto ad altre (in quella specie, professori universitari in confronto a personale amministrativo dei ruoli della dirigenza); nonché "nel ristrutturare all'interno la progressione di carriera, ad esempio, per i professori, mediante un numero chiuso in relazione all'ultima classe di stipendio".
La Corte ha ritenuto illegittimo che ai dirigenti amministrativi sia stato attribuito un trattamento economico massimo più che doppio di quello attribuito ai professori universitari, senza che sussistessero motivi idonei a rimuovere la validità di quanto stava a base della precedente equiparazione.
Nulla di simile é rilevabile nella specie, poiché, come precedentemente esposto, appare evidente che tutti gli appartenenti alle categorie in esame vedano in astratto aperta la progressione di carriera ed economica verso le corrispondenti qualifiche. Le differenze in concreto emergenti sono collegate essenzialmente ai distinti metodi di acquisizione delle qualifiche superiori.
Conclusivamente, sul punto in esame, é da ritenere che manchi una esigenza costituzionalmente garantita di estensione obbligatoria, da un sistema all'altro, di norme che, peculiari per un sistema, non lo sono altrettanto per l'altro.
La questione sollevata sotto il profilo della pretesa violazione del principio di eguaglianza deve essere, quindi, dichiarata infondata.
4. - Secondo l'ordinanza di rinvio, in base alla denunziata carenza legislativa, sarebbe da riscontrare anche una sperequazione a danno dei magistrati del Consiglio di Stato, quali verrebbero a conseguire sostanzialmente un compenso inferiore a quello dei magistrati ordinari, per effetto della mancata estensione a loro vantaggio della facilitata progressione in carriera a ruoli aperti e con ciò sarebbe in particolare violato il precetto della proporzionalità retributiva sancito dall'art. 36 Cost. É da osservare, in proposito, che, secondo questo articolo, il lavoratore ha diritto ad una "retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato", il che richiede che, a parità di prestazioni, corrisponda parità di retribuzione. Ma, anche a prescindere dal fatto che, come si é detto, tale parità, nel senso indicato dal giudice a quo, deve escludersi, é, comunque, da rilevare che il trattamento economico delle qualità corrispondenti di magistrato di cassazione con funzioni direttive e di presidente di sezione del Consiglio di Stato é effettivamente previsto dalla legge in identica misura. Non é pertanto coinvolto in nessun modo il precetto costituzionale invocato, la cui portata non può ovviamente estendersi al sistema di attribuzione delle dette qualifiche, al quale soltanto é legata la determinazione delle retribuzioni.
Il giudice a quo ha anche prospettato la violazione della indipendenza assicurata alla magistratura del Consiglio di Stato dagli artt. 100, 103 e 108 Cost., violazione che deriverebbe dalla mancata estensione a quella magistratura della disciplina prevista dalla legge impugnata. E ciò in quanto la progressione economica assicurata nei modi previsti dall'art 16 della legge sui magistrati di cassazione, anche indipendentemente dall'effettiva attribuzione delle funzioni superiori, costituirebbe "momento indefettibile" dell'osservanza della detta garanzia di indipendenza.
Al riguardo, deve ripetersi che la retribuzione é prevista invece dalla legge in misura identica per le corrispondenti qualifiche dei magistrati ordinari e di quelli del Consiglio di Stato. Quello che differisce é, come si é detto, il sistema di progressione in carriera, cioè del conferimento delle qualifiche progressive alle quali é legata l'attribuzione di un superiore trattamento economico. Ciò posto, é da rilevare che l'indipendenza di un organo giurisdizionale si realizza, indubbiamente anche mediante l'eliminazione delle interferenze interne, con l'apprestamento di garanzie circa lo status dei componenti nelle sue varie articolazioni, concernenti, fra l'altro, oltre alla progressione in carriera, anche il trattamento economico. Ma, in un sistema come quello in esame, in cui la retribuzione é collegata con nesso di conseguenzialità alla progressione in carriera, occorre accertare se la regolamentazione di tale progressione, che costituisce appunto il presupposto dell'attribuzione del trattamento economico, sia conforme al dettato costituzionale che quella indipendenza garantisce. E mentre si é visto che sotto il profilo della differenziazione della disciplina il sistema non incorre nella violazione del principio di eguaglianza, é qui il caso di aggiungere che, rispetto al sistema delle garanzie costituzionali previste in ordine all'esercizio delle giurisdizioni amministrative, la vigente regolamentazione della progressione in carriera negli aspetti che qui vengono in considerazione non appare con esso incompatibile; né, d'altronde, si rinvengono nell'ordinamento giuridico principi e indirizzi tali da esigere l'attuazione di un sistema di progressione in carriera per la magistratura del Consiglio di Stato (e così pure per quello della Corte dei Conti e dei tribunali militari) di tipo e struttura necessariamente in tutto corrispondenti alle caratteristiche proprie della magistratura ordinaria.
5. - Censure analoghe a quelle come sopra formulate sono state sollevate con l'ordinanza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, per quanto riguarda la lamentata violazione degli artt. 3 e 36 Cost. Ciò per effetto della mancata estensione ai consiglieri della Corte stessa delle disposizioni della legge n. 831 del 1973, con particolare riferimento alla unitarietà della giurisdizione, intesa come categoria logico-giuridica ed alla conseguente esigenza di unicità di indirizzo legislativo circa lo status dei magistrati ordinari e della Corte dei Conti, considerata l'attribuzione a questi ultimi di funzioni giurisdizionali esclusive.
Per guanto riguarda tale ordinamento, deve rilevarsi l'esistenza di una speciale regolamentazione della carriera dei magistrati della Corte stessa. Anche in questo caso, infatti, é previsto che, a parte la nomina governativa della metà dei suoi consiglieri, la promozione alle varie qualifiche sia affidata alla proposta rivolta al Capo dello Stato dal Presidente del Consiglio dei ministri, previo giudizio di promovibilità dato dalla seconda sezione del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti per le promozioni da referendario a primo referendario, e sentito il Consiglio dei ministri, previo parere di promovibilità dato dalla prima sezione dello stesso Consiglio di presidenza, per le promozioni da primo referendario a consigliere o vice procuratore generale, e per quelle da consigliere o vice procuratore generale a presidente di sezione o procuratore generale (artt. 7 del t.u. n. 1214 del 1934, e 13 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345).
D'altra parte, la progressione in carriera anche in soprannumero da referendario a primo referendario e a consigliere o vice procuratore generale, sancita dagli artt. 1 e 3 della legge 13 ottobre 1969, n. 691, pur estendendo sostanzialmente ai detti magistrati della Corte dei Conti alcuni aspetti del regime istituito per la magistratura ordinaria con la legge n. 570 del 1966, non muta la struttura fondamentalmente diversa della progressione stessa per quanto riguarda il profilo della competenza a formulare le relative proposte.
É altresì da considerare che il legislatore non ha finora ritenuto di apportare, pur alla luce degli artt. 100, ultimo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, modifiche incisive all'ordinamento della Corte dei Conti e dei suoi componenti: ragion per cui l'inamovibilità di cui godono i magistrati appartenenti alle qualifiche più elevate della stessa Corte (art. 8 t.u. del 1934) presenta caratteri peculiari rispetto a quella garantita ai magistrati ordinari, poiché risulta affidata ad un organo di natura particolare, cioè ad una commissione composta dai presidenti e vice presidenti della Camera e del Senato e presieduta dal Presidente del Senato e la cui natura si differenzia in modo evidente dal Consiglio superiore della magistratura.
Gli elementi ora posti in luce concorrono quindi ad evidenziare la peculiare posizione dei magistrati della Corte dei Conti, che risponde, d'altra parte, alla complessa funzione di tale organo articolata in attività di controllo e consultive, oltre che giurisdizionali, e come tale tutelata dalla Costituzione (artt. 100, 103 e 108) come organo ausiliare del Governo ed anche del Parlamento (come ha ritenuto questa Corte con la sent. n. 142 del 1968) secondo criteri sostanzialmente diversi da quelli previsti per la magistratura ordinaria, parallelamente a quanto già rilevato più sopra per il Consiglio di Stato, e come del resto la Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare specificamente con la sent. n. 1 del 1967.
Le considerazioni già esposte a proposito delle censure mosse alla normativa impugnata con riferimento ai magistrati del Consiglio di Stato sono pertanto valide anche per la Corte dei Conti riguardo alle argomentazioni del giudice a quo, riferite alla asserita esigenza di unicità di indirizzo legislativo nella materia in esame e conducono parallelamente ad escludere che, nella specie, possa ravvisarsi quella sostanziale omogeneità delle situazioni raffrontate che sola rende operante la garanzia di eguaglianza posta dall'art. 3 della Costituzione.
Detta esclusione si riflette negativamente anche sulla fondatezza della censura formulata con riferimento alla garanzia della parità retributiva di cui all'art. 36 della Costituzione.
Quanto testé esposto vale, per identità di motivi, ad escludere la fondatezza della questione, correlativamente sollevata con l'ordinanza de qua in relazione all'art. 7 del r.d. n. 1214 del 1934 e all'art. 13, comma secondo, legge n. 1345 del 1961, entrambi peculiari all'ordinamento dei magistrati della Corte dei Conti e che sarebbero "non aggiornati" al sistema introdotto per i magistrati di cassazione.
6. - A non diverse conclusioni deve pervenirsi in relazione alla questione sollevata nell'ordinanza del TAR del Lazio emessa nel giudizio promosso dal sostituto avvocato generale dello Stato Tommaso Tomasicchio, e concernente la violazione degli artt. 3 e 36 Cost. per la mancata estensione delle disposizioni della legge n. 831 del 1973 anche per quanto riguarda la nomina dei sostituti avvocati generali dello Stato a vice avvocati generali, esclusione che sarebbe illegittima in vista della corrispondenza fra le qualifiche di sostituto avvocato generale dello Stato a consigliere di cassazione, prevista dal t.u. sull'ordinamento dell'Avvocatura e della costante parità della progressione e del trattamento economico riservata dal sistema normativo ai componenti dell'Avvocatura ed ai magistrati ordinari.
A parte la considerazione che nella Costituzione non é presente alcuna norma di garanzia diretta della Avvocatura dello Stato, é indubbio che questa si differenzia fondamentalmente dalle magistrature, oltre che per la struttura e per lo status dei suoi componenti, per la natura non giurisdizionale delle sue funzioni.
Pertanto non si può affermare che il sistema costituzionale abbia parificato lo status degli avvocati dello Stato a quello dei magistrati: quindi, il legislatore ordinario non viola norme o principi costituzionali se non estende agli avvocati dello Stato disposizioni che ritiene appropriate soltanto ai magistrati.
L'equiparazione agli effetti economici degli avvocati dello Stato ai magistrati ordinari, disposta con le indicazioni tabellari che accompagnano il t.u. n. 1611 del 1933 (per cui, tra l'altro, il vice avvocato generale é equiparato al magistrato di cassazione con funzioni direttive) deve collegarsi a quegli elementi che, come già sopra si é detto, possono condurre ad una parificazione di istituti pur sostanzialmente diversi, solo per quanto riguarda taluni aspetti del loro operare. Per ciò che concerne l'Avvocatura, detti elementi, oltre a motivi storici collegati alla originaria costituzione dell'Istituto con elementi provenienti dalla magistratura ordinaria, possono sintetizzarsi nella peculiare funzione, non di esercizio diretto di funzioni giurisdizionali, ma certamente di collaborazione con la magistratura, resa particolarmente operante dalla funzione di difesa dello Stato, la quale comporta una visione dei problemi più ampia e diversa da quella che é ordinariamente richiesta per la difesa di una parte privata, se non altro per l'indubbia appartenenza allo Stato di fini generali di giustizia. Ma ciò, tuttavia, può indurre a riconoscere non più di un certo avvicinamento delle funzioni, con esclusione, peraltro, di qualsiasi elemento rivelatore di quella omogeneità di situazioni che soltanto può ricadere sotto la garanzia dell'invocato principio di eguaglianza. A ciò si può aggiungere che nel determinare il trattamento economico degli avvocati dello Stato si deve tenere conto anche del disposto dell'art. 21 del t.u. n. 1611 del 1933.
Quanto era detto, circa la diversificazione degli istituti in raffronto, vale altresì ad escludere la fondatezza della censura mossa in relazione alla violazione dell'art. 36 Cost. per gli stessi motivi già svolti in relazione alle situazioni precedentemente esaminate.
7. - Dopo quanto sopra ritenuto e deciso circa la costituzionalità delle norme denunciate, la Corte non può, tuttavia, non sottolineare l'esigenza che in sede legislativa si provveda, con criteri di equilibrio comparativo, ad un globale riesame della progressione nelle funzioni e nel corrispondente trattamento economico, nei confronti di tutte le magistrature, onde pervenire ad una ristrutturazione funditus della materia, che nel rigoroso rispetto delle garanzie costituzionali ed alla luce della giurisprudenza della Corte non trascuri la considerazione dei profili caratterizzanti ciascuna di esse, particolarmente in ciò che attiene al regime rispettivo delle nomine e promozioni, delle incompatibilità ed inamovibilità, degli incarichi particolari, nonché delle prestazioni effettive e non nominali, attinenti alle funzioni d'istituto e al trattamento economico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 18 della legge 20 dicembre 1973, n. 831 (modifiche dell'ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di cassazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori), sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 36, 100, ultimo comma, 103 e 108, secondo comma, della Costituzione;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (testo unico sull'ordinamento della Corte dei Conti) e dell'art. 13, comma secondo, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (disposizioni relative alla Corte dei conti), sollevata con l'ordinanza in epigrafe emessa dalla Corte dei conti a Sezioni riunite, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 1978.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE
Giovanni VITALE, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16 gennaio 1978.