Sentenza n. 219 del 1975
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SENTENZA N. 219

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 bis della legge 18 marzo 1968, n. 249 (Delega al Governo per il riordinamento dell'Amministrazione dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti statali), e dell'art. 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo), promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1973 dal Consiglio di Stato - sezione VI - sul ricorso di Radetti Giorgio ed altri contro i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro, iscritta al n. 145 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 29 maggio 1974.

Visti gli atti di costituzione di Radetti Giorgio ed altri e dei Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi gli avvocati Giovanni Cassandro ed Emilio Sivieri, per Radetti Giorgio ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giacomo Mataloni, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per i Ministeri della pubblica istruzione e del tesoro.

Ritenuto in fatto

1. - A seguito del ricorso proposto, in data 8 maggio 1973, da Giorgio Radetti ed altri, nella loro qualità di professori universitari anche aggregati, avverso il provvedimento 18 marzo 1973, n. 873, del Ministro per la pubblica istruzione (che aveva respinto l'istanza dei ricorrenti tendente ad ottenere il trattamento economico previsto dall'art. 47 del d.P.R. n. 748 del 1972) e contro il silenzio-rifiuto serbato dal Ministro per il tesoro (in ordine all'atto di interpellanza e diffida notificatogli il 26 febbraio 1973), l'adito Consiglio di Stato - sezione VI giurisdizionale - dopo aver, con decisione interlocutoria, escluso, in via interpretativa, l'applicabilità dell'art. 47 citato al personale docente universitario e disatteso ogni altro profilo di incostituzionalità dedotta dagli istanti - ha sollevato, con separata ordinanza in data 19 ottobre 1973, questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, degli artt. 16 bis della legge n. 229 del 10 marzo 1968 (rectius 18 marzo 1968, n. 249) e 47 del d.P.R. n. 748 del 30 giugno 1972, "nella parte in cui escludono il personale docente delle Università e degli istituti di istruzione universitaria dal trattamento economico del personale amministrativo dei ruoli della dirigenza".

2. - Ritualmente notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza de qua ed instaurato il giudizio innanzi alla Corte, si sono in questo costituiti il Ministero della pubblica istruzione ed il Ministero del tesoro, che, con congiunta difesa (svolta dall'Avvocatura di Stato), hanno concluso, in via principale e pregiudiziale, per la restituzione degli atti al Consiglio di Stato, al fine di una nuova valutazione di rilevanza della questione alla luce del sopravvenuto d.l. 1 ottobre 1973, n. 580 (convertito in legge 30 novembre 1973, n. 766), in quanto contenente, all'art. 12, modifica del trattamento economico dei docenti universitari.

In via subordinata, per la declaratoria di infondatezza della questione nel merito, in considerazione della obiettiva diversità delle situazioni comparate, che impedirebbe di ritenere irrazionale la diversificazione del trattamento economico dei docenti e dei dirigenti.

3. - Si sono, altresì, costituite le parti private, deducendo, invece, l'illegittimità delle norme denunziate.

La quale, innanzitutto, emergerebbe dalla "obiettiva e macroscopica illogicità e contraddittorietà della valutazione" che, nella ipotesi considerata, avrebbe condotto il legislatore ad operare un trattamento differenziato e più sfavorevole per il professore universitario, nei confronti dell'altro personale contemplato dall'art. 12 della legge delegante; laddove "l'indirizzo legislativo" - che, ai fini di quel trattamento, aveva sempre equiparato i docenti delle Università ai più alti funzionari delle Amministrazioni dello Stato - avrebbe dovuto, invece, indurre a stabilire parità di trattamento fra le categorie menzionate. Ciò anche in considerazione della "sostanziale eguaglianza fra la carriera universitaria e quella direttiva"; del che si avrebbe conferma negli artt. 16, comma secondo, lett. e, legge n. 775 del 1970 ed 11 d.P.R. 748 del 1972, che, appunto, considerano inerenti alle funzioni dirigenziali i "compiti di ricerca e di studio", che sono quelli tipici svolti dai docenti universitari.

4. - É intervenuta, infine, la Presidenza del Consiglio dei ministri che ha concluso in termini di sostanziale coincidenza con le difese svolte dai costituiti Ministeri.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se siano costituzionalmente legittimi gli artt. 16 bis della legge di delega 18 marzo 1968, n. 249, come modificata dalla legge 28 ottobre 1970, n. 775, e 47 del decreto delegato 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui non estendono ai professori universitari il nuovo trattamento economico stabilito per il personale amministrativo dei ruoli della dirigenza.

La normativa indicata contrasterebbe, innanzitutto, con il precetto di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto determinerebbe, in danno dei docenti, una sperequazione di trattamento. La quale sarebbe, per altro, priva di ogni giustificazione e razionalità; poiché tra le due categorie dei dirigenti e dei docenti universitari, andrebbe ravvisata - al di là delle differenze di disciplina dei rispettivi rapporti - una obiettiva parità di status, avente "fondamento in esigenze sostanziali, che attengono al modo d'essere di ogni società evoluta, che, se non può fare a meno di quadri dirigenti particolarmente selezionati, non può neanche sottrarsi al dovere di garantire un adeguato livello delle Università e, cioé, proprio dell'istituto destinato a preparare tali quadri".

L'omessa parificazione retributiva dei docenti ai dirigenti - in contrasto, peraltro, con una linea di tendenza che avrebbe raggiunto il livello della enunciazione di principio "proprio nella legge di delegazione del 1968, all'art. 10, e nella legge del 1970, che attraverso l'attribuzione di identici parametri, avevano riconosciuto alle due categorie una identica posizione economica" - delineerebbe anche uno squilibrio all'interno stesso della posizione giuridica dei docenti: il che, appunto, darebbe ragione dell'altro prospettato profilo di contrasto con l'art. 36 della Costituzione.

2. - Preliminarmente, va respinta la richiesta dell'Avvocatura dello Stato di restituzione degli atti al giudice a quo, per nuova valutazione della rilevanza in relazione al sopravvenuto d.l. 1973, n. 580 (contenente misure urgenti per l'Università), convertito nella legge n. 766 del 1973; giacché - quale che sia l'incidenza di tale ultima indicata normativa sul merito della questione - questa deve essere, comunque, esaminata con riferimento alle denunziate norme di cui agli artt. 16 bis legge 1968 n. 249 e 47 d.P.R. 30 giugno 1972, n 748, avendo, sulla base di queste e con decorrenza sin dalla data della loro entrata in vigore, le parti avanzato le proprie pretese ed il Consiglio di Stato formulato le illustrate censure di incostituzionalità.

3. - Nel merito, deve escludersi che sussista la dedotta coincidenza tra la funzione dei professori universitari e quella dei dirigenti statali.

Tale coincidenza, secondo la tesi dei ricorrenti (illustrata anche con successive memorie), dovrebbe - come detto - argomentarsi dal fatto che l'art. 2 del d.P.R. 1972, n. 748 citato attribuisce al personale della dirigenza "i medesimi compiti di studio e ricerca che sono propri dei docenti".

L'argomentazione é, però, frutto di equivoco, in quanto - se é pur vero che i dirigenti svolgono anche attività di studio e ricerca ex art. 2 d.P.R. citato - vero é, altresì, che tale attività non é tipica della loro funzione e, comunque, differisce - rispetto all'attività di studio cui attendono i docenti - per l'oggetto; che non riguarda i contenuti di autonome discipline scientifiche, sibbene unicamente l'organizzazione e strutturazione dei dicasteri, essendo, in definitiva, meramente strumentale al risultato della migliore funzionalità di questi.

4. - Pur in tal modo esclusa l'asserita eguaglianza tra le categorie dei dirigenti e dei professori, la questione di costituzionalità delle norme concernenti il trattamento retributivo dei secondi appare, per diverso ordine di considerazioni, comunque, fondata, nei limiti che saranno qui appresso precisati.

5. - Effettivamente, per molti decenni e fino alle soglie della normativa denunziata, la legislazione dello Stato (r.d. 1923, n. 3295; d.P.R. 1956, n. 19; legge 1958, n. 311; legge 1962, n. 16; legge 1964, n. 1268; d.P.R. 1965, n. 749; d.l. 1970, n. 1079) ha seguito una linea di tendenza all'equiparazione, sotto il profilo del trattamento economico, dei docenti delle Università ai più alti funzionari delle amministrazioni dello Stato.

6. - Ora, però, occorre sottolineare che il rilievo, che la richiamata normativa assume nella valutazione della Corte, non può essere in funzione del dato in sé della (più o meno puntuale e più o meno costantemente ripetuta) coincidenza (a corrispondenti livelli di carriera) del trattamento retributivo dei docenti e dei direttivi dello Stato; giacché, invero - contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti - é innegabile che resti nella discrezionalità del legislatore il differenziare (anche in rispondenza a contingenti esigenze di convogliamento delle nuove leve verso l'uno o l'altro settore della organizzazione dei pubblici uffici) il trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, senza per questo incorrere in violazione dei precetti costituzionali dell'art. 3 o 36.

7. - Il dato di maggiore significato, nel contesto del quadro normativo innanzi richiamato, é, invece, senz'altro rappresentato dal fatto di avere il legislatore, come si é detto, per più decenni, costantemente attribuito al personale docente ed ai direttivi dello Stato una identica potenzialità di sviluppo di carriera; di avere, cioé, in altre parole, considerato naturale, per la carriera dei professori universitari, lo sbocco verso il medesimo tetto retributivo stabilito per i funzionari direttivi dello Stato.

Basti, al riguardo, ricordare il d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 19, che (in attuazione della delega di cui alla legge 20 dicembre 1954, n. 1181) attribuiva alla classe più elevata di docenti il coefficiente 970; la legge 18 marzo 1958, n. 311, sullo stato giuridico dei professori, confermativa del detto trattamento; la legge 22 gennaio 1962, n. 16, che, portando a 1040 il coefficiente ultimo di retribuzione, equiparava il trattamento economico dei professori di 1 classe a quello di ambasciatore; il d.l. 21 aprile 1965, n. 373, e il d.P.R. 5 giugno 1965, n. 749, che, nelle alligate tabelle, tale equiparazione mantenevano; infine la stessa legge di delega 18 marzo 1968, n. 249, che - dopo avere, all'art. 11, previsto il riordinamento delle carriere degli impiegati civili "sulla base di qualifiche funzionali" ed, all'art. 13, la determinazione di "nuovi stipendi per ogni funzione grado o qualifica da comprendere in una tabella unica" - assegnava, nella tabella ad essa allegata, ai docenti universitari, come ai funzionari direttivi, il parametro terminale 825, appunto, corrispondente all'ex coefficiente 1040.

Ora, tale equiparazione (sotto il profilo sottolineato del potenziale accesso ad identico vertice di coefficiente o parametro terminale) delle due categorie in discorso - traducendo, per la sua non accidentalità ma anzi uniforme ripetizione in un notevole arco temporale, un giudizio di valore espresso dal legislatore ex suo ore, in termini di equivalenza, fra le due categorie pur strutturalmente diverse dei docenti e dei dirigenti - non poteva non porsi come un limite alla permanente discrezionalità del legislatore medesimo.

Nel senso che - ferma restando la libertà di distinguere, come già detto, le retribuzioni dei professori e degli alti funzionari statali, di valutarne separatamente l'adeguatezza, come pure di ristrutturare, all'interno, la progressione di carriera (eventualmente anche stabilendo, ad esempio, per i professori, un numero chiuso in relazione all'ultima classe di stipendio od in genere, incompatibilità con l'esercizio di altre attività, ed altre misure) - non poteva, però, tale discrezionalità spingere fino al punto (che travalica nell'irrazionalità) di alterare - senza che ciò fosse giustificato dal superamento delle premesse che avevano determinato il precedente cennato giudizio di valore - i termini di corrispondenza tra le sin qui comparate categorie in misura e con modalità tali da addirittura decapitare il vertice dell'una, impedendone lo sviluppo fino al massimo retributivo stabilito per l'altra.

8. - Tanto, invece, é proprio quanto accaduto nel caso di specie.

Poiché, invero - mentre sono stati elevati, per effetto delle norme impugnate, gli stipendi dell'alta dirigenza raggiungendo il tetto di L. 6.363.937, 12.421.000, 14.010.000 annue (rispettivamente dal 1 gennaio 1971, 1 luglio 1972 e 1 dicembre 1972), nel caso dell'ambasciatore (qualifica A) e degli "ex parametri 825" (secondo il punto b della nota 1 della tabella allegata all'art. 47 d.P.R. 1972, n. 748 citato) - é rimasto, invece, immutato il trattamento economico della più alta classe di stipendio dei professori (anch'essi ex parametro 825) in L. 6.636.750 (ex d.P.R. n. 1079 del 1970).

9. - Ne é derivata così, anche in dipendenza della entità del dislivello tra i due trattamenti economici comparati - che non é, se non in misura modesta, colmato dall'assegno annuo (di L. 1.680.000 per il parametro 825) disposto con l'art. 12 commi primo a terzo, del sopravvenuto d.l. 1973, n. 580, superiormente menzionato - una grave discrasia.

La quale, poi - lungi dall'essere giustificata - appare, anzi, ulteriormente contraddetta dal comportamento dello stesso legislatore, che, ancora due mesi dopo l'emanazione della delega per i dirigenti (legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 16 bis), confermava, con il d.l. 28 dicembre 1970, n. 1079 (in attuazione della precedente delega di cui all'art. 13 della legge 1968, n. 249) la propria volontà di parificare il trattamento economico del professore di 1 classe a quello spettante al vertice della dirigenza, con l'attribuzione dell'identico parametro terminale 825.

10. - Ciò, appunto, determina la violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36; in dipendenza della quale - salvo, de jure condendo, l'esercizio dei poteri discrezionali del legislatore di cui si é detto al n. 7 - va dichiarata la illegittimità delle norme impugnate, nella parte in cui a decorrere dalle date fissate nella tabella di cui all'art. 47 citato, omettono di estendere, ai professori universitari di ruolo aventi diritto alla classe ultima di stipendio di cui al parametro 825, un trattamento retributivo corrispondente a quello stabilito per la qualifica A) della tabella medesima.

Restano, conseguentemente, assorbiti, nel trattamento economico (così modificato) del docente universitario di prima classe, i miglioramenti retributivi introdotti con l'art. 12 commi primo a terzo del d.l. 1973, n.580 (convertito in legge 1973, n. 766); del quale, pertanto, derivativamente si dichiara l'inconstituzionalità ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, limitatamente alla parte, appunto, che riguarda i docenti con parametro 825.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 16 bis della legge 18 marzo 1968, n. 249 (come modificato dalla legge 1970, n. 775) e 47 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui, con le decorrenze ivi indicate, non estendono ai professori universitari di ruolo aventi diritto all'ultima classe di stipendio (di cui al parametro 825) il trattamento retributivo stabilito per la qualifica A ed ex parametro 825;

dichiara, altresì, l'illegittimità derivata dell'art. 12, commi primo, secondo e terzo del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580 (convertito in legge 1973, n. 766), per la parte che riguarda i docenti universitari con parametro 825.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1975.