SENTENZA
N. 204
ANNO 2004
Commenti alla decisione di
I.
Vincenzo Cerulli Irelli, Giurisdizione
esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza della Corte costituzionale n.
204 del 5 luglio 2004
(per
gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
II. Fabio Lorenzoni, Commento
a prima lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 5 luglio
2004 (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
III. Leopoldo Coen, Corte
cost. 204/2004: una prima lettura in tema di servizi pubblici
(per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
IV. Maria Alessandra Sandulli,
Un
passo avanti e uno indietro: il giudice amministrativo è giudice pieno, ma non
può giudicare dei diritti (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
V. Giovanni Virga, Il giudice
della funzione pubblica (sui nuovi confini della giurisdizione esclusiva
tracciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004)
per gentile concessione della Rivista telematica Lexitalia.it)
VI. Roberto Garofoli,
La nuova giurisdizione
in tema di servizi pubblici dopo Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 (per gentile concessione della Rivista
telematica Lexitalia.it)
VII.
Ottavio Carparelli, Corte
Cost. 6 luglio 2004 n. 204 e la c.d. "occupazione usurpativa” (nella rivista telematica Altalex.com)
VIII. Clarice Delle Donne, Passato e futuro della giurisdizione esclusiva
del GA nella sentenza della Consulta n. 204/2004: il ritorno al "nodo gordiano”
diritti – interessi (per
gentile concessione della Rivista telematica Judicium, Il processo civile in Italia e in Europa)
IX. Laura Marzano, La Corte costituzionale restituisce i comportamenti di cui all’art.34 d.lgs. 80/98 al giudice ordinario: in tema di occupazione appropriativa una pronuncia inutiliter data? (dal sito www.giustizia.amministrativa.it – che si ringrazia)
X. Antonio Lamorgese, La
giurisdizione nei servizi pubblici dopo la sentenza della Corte costituzionale
n. 204 del 2004 (per
gentile concessione della Rivista telematica Judicium, Il processo civile in Italia e in Europa)
XI. Emiliano Raganella, I
servizi pubblici dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 204/04 (per gentile concessione della Rivista telematica Judicium, Il processo civile in Italia e in Europa)
XII. Maria Elena
Ritrovato, Legge
n. 205/2000: bocciata la giurisdizione esclusiva, promossa la tutela
risarcitoria, (per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione
Italiana dei Costituzionalisti)
XIII. Marcello Clarich, La
"tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata: commento alla sentenza
della Corte Costituzionale 5 luglio 2004 n. 204 (dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XIV. Sergio De Felice, La
giurisdizione sui comportamenti delle amministrazioni e la tutela processuale
(dopo la sentenza della Corte Costituzionale 204/2004) (dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XV. Ugo Di Benedetto, Le
materie della giurisdizione esclusiva dopo la sentenza della Corte
Costituzionale n. 204 del 2004 (dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XVI. Roberto Garofoli, La
nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo Corte costituzionale 6
luglio 2004 n. 204 (dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XVII. Antonio Guantario, Incostituzionalita’
delle competenze risarcitorie nella giurisdizione su interessi legittimi
(dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XVIII. Vincenzo Salamone, Il
riparto di giurisdizione dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del
6 luglio 2004: aspetti problematici con particolar riguardo alla attività convenzionale,
contrattuale ai comportamenti pubblicistici e alla tutela dell’ambiente
(dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
XIX. Luisa Torchia, Biblioteche
al macero e biblioteche risorte: il diritto amministrativo nella sentenza
n.204/2004 della Corte costituzionale (dal sito www.giustizia.amministrativa.it
– che si ringrazia)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE
"
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA
"
- Paolo MADDALENA
"
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 33, commi 1 e 2, lettere b) ed e), e 34, comma 1, del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito
dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di
giustizia amministrativa), promossi con ordinanze del 31 luglio 2002, dell’11
ottobre 2002 (n. 2 ordinanze) e del 31 gennaio 2003 del Tribunale di Roma,
rispettivamente iscritte al n. 488 del registro ordinanze 2002 e ai nn. 226, 227 e 680 del registro ordinanze 2003 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 44, prima serie speciale,
dell’anno 2002 e nn. 18 e 37, prima serie speciale,
dell’anno 2003.
Visto l’atto
di costituzione della Casa di Cura Villa Maria Pia s.r.l., nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella
camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in
fatto
1.– Con
ordinanza del 31 luglio 2002 (r.o. n. 488 del 2002)
il Tribunale di Roma, adito dalla casa di cura Villa Maria Pia s.r.l. con atto
di citazione, notificato il 10 agosto 2000, volto ad ottenere la condanna della
Azienda Usl Rm/E al
pagamento di somme da questa dovute per prestazioni di ricovero, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, commi 1 e 2, lettere b)
ed e), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in
materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni
pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione
amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15
marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n.
205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui
devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie
in materia di pubblici servizi «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori
comunque denominati di pubblici servizi» e, in particolare, le controversie
«riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle
rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale», per contrasto con gli artt.
3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione.
1.1.– In
punto di rilevanza, osserva il rimettente che la controversia rientra tra
quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tenuto
conto che il rapporto tra le case di cura e le minori strutture private
(ambulatori, centri di diagnostica strumentale, etc.) e la USL è sempre stato
qualificato dalla giurisprudenza di legittimità di concessione di pubblico
servizio. Pertanto, abbandonato il pregresso criterio che attribuiva al giudice
amministrativo le controversie vertenti sull’accertamento del contenuto e della
validità del rapporto, con devoluzione al giudice ordinario di quelle vertenti
sul pagamento di indennità, canoni ed altri corrispettivi, il rapporto in
questione è oggi direttamente disciplinato, quanto alla giurisdizione,
dall’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge
n. 205 del 2000, che rimette alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi, tra le quali
quelle «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di
pubblici servizi» (comma 2, lettera b) e quelle
«riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di
natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese
quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale» (comma 2, lettera e).
1.2.– Con
riguardo alla non manifesta infondatezza del dubbio, osserva il giudice a quo
che il nuovo criterio di riparto della giurisdizione «per blocchi di materie»,
introdotto dalla legge n. 205 del 2000, determina uno «smisurato ampliamento»
della giurisdizione esclusiva, in contrasto, innanzitutto, con il dettato degli
artt. 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost., posto che il riferimento
alle «particolari materie indicate dalla legge» esprimerebbe invece il
carattere residuale delle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva,
la cui peculiarità non a caso è stata tradizionalmente riscontrata nella
«sicura e necessaria compresenza o coabitazione … di posizioni di interesse
legittimo e di diritto soggettivo legate da un inestricabile nodo gordiano»;
come rendeva manifesto il divieto per il giudice amministrativo (ex artt. 30,
secondo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, terzo comma, della legge 6
dicembre 1971, n. 1034) di conoscere, nelle materie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva, anche dei diritti patrimoniali consequenziali. Le
richiamate norme costituzionali, inoltre, nel configurare la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo unicamente per la tutela di posizioni
soggettive nei confronti della pubblica amministrazione, non autorizzerebbero
(ciò che, invece, sembra legittimato dall’art. 33 censurato) anche la
cognizione di diritti soggettivi azionati dalla medesima pubblica
amministrazione contro privati ovvero contro altre amministrazioni pubbliche.
In particolare, la legge n. 205 del 2000, segnando l’abbandono della nozione
tradizionale di «giurisdizione esclusiva» e la ridefinizione dell’istituto
secondo ambiti di intere materie, a prescindere dall’esplicazione di poteri
autoritativi della pubblica amministrazione, sarebbe lesivo dell’art. 103,
primo comma, Cost., norma che, tra la giurisdizione ordinaria sui diritti e
quella esclusiva del giudice amministrativo, traccia un rapporto, di regola a
eccezione, fondato sull’esigenza di concentrare innanzi ad un unico giudice la
cognizione tanto dei diritti che degli interessi, e dunque, in definitiva,
sulla peculiarità della controversia
concretamente individuata. Pertanto, l’attribuzione tout court al
giudice amministrativo di intere materie, come quella dei servizi pubblici, «di
generica ed incerta identificazione» costituirebbe, secondo il giudice a quo,
l’inversione della regola posta dall’art. 103 Cost, configurando il giudice
amministrativo come giudice ordinario delle controversie in cui sia parte una
pubblica amministrazione, in violazione anche dell’art. 100, primo comma, Cost.
che lo qualifica giudice «nell’amministrazione» e non «dell’amministrazione».
Né al
rimettente sembra dirimente accedere ad una ricostruzione in astratto piuttosto
che in concreto della nozione di «materia», ricercandone la particolarità «nell’atteggiarsi
dell’azione della pubblica amministrazione in settori determinati …, qual è
quello dei servizi pubblici», in ipotesi connotati sempre dalla presenza
dell’interesse pubblico: in tal modo si finirebbe infatti ugualmente per
capovolgere, e svuotare, il criterio di residualità della giurisdizione
amministrativa come fissato nella Costituzione.
La fondatezza
del dubbio viene altresì argomentata dal rimettente sul rilievo che nel nostro
ordinamento non esisterebbe alcuna possibilità di ampliare la giurisdizione
amministrativa esclusiva oltre i casi in cui il settore individuato «sia
conformato, quanto meno, da un regime giuridico derogatorio del diritto
comune», ciò che, per la vastità e l’eterogeneità degli ambiti abbracciati, non
appare configurabile per la materia dei servizi pubblici; né sarebbe possibile
rintracciare nel sistema costituzionale una delega in bianco al legislatore
ordinario per individuare le materie di giurisdizione esclusiva. Lo scostamento
dai rigorosi parametri dell’art. 103 Cost. sembra, poi, al rimettente
particolarmente visibile laddove, come nel caso sottoposto al suo giudizio,
nessun contenuto di specialità sia dato ravvisare nella domanda del privato
volta all’accertamento, condotto secondo le regole del diritto civile,
dell’obbligo dell’Azienda USL di pagare il corrispettivo di prestazioni
sanitarie eseguite.
Riprendendo
alcune indicazioni del Consiglio di Stato (sezione V, n. 2440 del 1999) e della
Cassazione (sezioni unite n. 5640 del 18 aprile 2002), il giudice a quo osserva
anche come sia proprio la «costituzione del vincolo obbligatorio» a segnare lo
spartiacque tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella
dell’autorità giudiziaria ordinaria sul presupposto della tendenziale
uguaglianza tra le parti nella fase successiva alla costituzione del vincolo,
regolata dalle norme del diritto privato. Conseguentemente, a suo avviso,
l’assegnazione indiscriminata alla cognizione del giudice amministrativo di
diritti soggettivi, oltre alla progressiva creazione di un diritto civile
speciale, violerebbe anche l’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del
principio di uguaglianza – per la creazione di una posizione di privilegio
della pubblica amministrazione – nonché del principio di ragionevolezza,
venendo a creare un «inutile doppione» del giudice ordinario e insieme a
disperdere il patrimonio di esperienze ed attitudini di questi; tanto, per
giunta, in un momento storico caratterizzato dalla regressione del momento
autoritativo nel rapporto tra apparato pubblico e società civile.
Palese
sarebbe anche la violazione degli artt. 102, primo comma, e 113, primo comma,
Cost. che, assecondando la tradizione giuridica italiana (cfr. artt. 2 e 26
della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, e il diritto vivente in tema di
risarcimento per lesione di interessi legittimi), fanno del giudice ordinario
il giudice dei diritti con cognizione, in via di principio, generale e
illimitata, di contro alla tendenziale residualità della cognizione sui diritti
affidata al giudice amministrativo, in un contesto che contempla altresì la
possibilità che all’autorità giudiziaria ordinaria siano attribuiti poteri di
annullamento dell’atto amministrativo (art. 113, commi secondo e terzo, Cost.):
il che genera una vera e propria presunzione di devoluzione al giudice
ordinario – la cui posizione nell’ordinamento non a caso è circondata da
particolari garanzie di indipendenza ed autonomia (artt. 104 e 105 Cost.) –
delle controversie in cui sussiste incertezza nell’identificazione della
situazione soggettiva coinvolta.
Il giudice a
quo esprime, inoltre, dubbi circa la legittimità della norma censurata in
relazione all’art. 25, primo comma, Cost.: evidenzia sul punto come una
concezione del giudice naturale attenta ai valori su cui si fonda l’ordine
costituzionale delle giurisdizioni, si sia ormai affermata in altri ordinamenti
europei (così ad esempio in Francia, ove il Consiglio costituzionale ha
affermato che tra i principi fondamentali v’è quello per cui, «ad eccezione
delle materie riservate per natura all’autorità giudiziaria, appartiene in
ultima istanza alla competenza della giurisdizione amministrativa il
contenzioso relativo all'annullamento e alla riforma degli atti amministrativi
che costituiscono l’espressione dei pubblici poteri»), mentre nel nostro
ordinamento tale opzione ermeneutica sarebbe stata avallata dalla stessa Corte
costituzionale allorché questa ha, ad esempio, affermato «la maggiore idoneità
del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti paritari» (sentenza n. 641 del
1987) o che «la Corte dei conti è il giudice naturale in materia di
pensioni a totale carico dello Stato» (ordinanza n. 388
del 1990). La violazione nel settore dei pubblici servizi dell’ordine
costituzionale [delle giurisdizioni], e cioè di «quel nucleo di principi che
giustificano l’"essere giudice” in uno stato di diritto», si risolverebbe
pertanto nell'istituzione di un giudice speciale in violazione del disposto
dell’art. 102, secondo comma, Cost..
Dunque, anche
a non voler riconoscere l’esistenza del principio, seppur tendenziale, di unità
della giurisdizione (ma v., contra,
sentenze n. 41
del 1957 e n.
48 del 1959 di questa Corte), la pluralità di giurisdizioni riconoscibili
nel nostro ordinamento non legittimerebbe la devoluzione a giudici appartenenti
a giurisdizioni diverse di «controversie identiche ovvero non caratterizzate da
una sostanziale ed intrinseca reciproca diversità con riguardo all’oggetto e
alle posizioni soggettive delle parti», essendo del tutto irrilevante «la
circostanza che nella controversia sia parte una pubblica amministrazione
ovvero … che il suo oggetto presenti una generica rilevanza pubblica».
Il giudice
rimettente osserva, poi, come ancora più grave sia il vulnus che la norma
arreca al principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), inteso come
uguaglianza davanti alla giustizia e alla giurisdizione (art. 24 Cost.),
principio che troverebbe il suo logico corollario nella regola secondo cui
controversie identiche o similari devono essere giudicate dalla medesima
giurisdizione o da giurisdizioni strettamente identiche anche nelle regole di composizione. Sarebbe
pertanto evidente, nella specie, «la disparità di trattamento tra i cittadini
dinanzi alla giurisdizione, essendo l'individuazione del giudice fatta
dipendere dalla qualità soggettiva di una parte», tanto più che nel momento
storico attuale mancano riferimenti normativi di sicura individuazione del
soggetto «pubblica amministrazione» e della materia «servizi pubblici».
Ulteriore
profilo di illegittimità costituzionale è infine ravvisato dal giudice a quo
nella violazione degli artt. 111, settimo comma, e 3 Cost., sotto il profilo
che «il principio di uguaglianza postula l’esigenza di uniforme interpretazione
della legge, la quale invece (stante la non ricorribilità
delle sentenze dei giudici amministrativi per violazione di legge) non avrebbe
strumento alcuno per attuarsi a fronte di differenti orientamenti … che
dovessero formarsi in ordine a medesime disposizioni codicistiche
nelle non comunicanti giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi»
(Cass., sezioni unite n. 72 del 30 marzo 2000), con una sostanziale elisione
della funzione di nomofilachia esercitata dalla Cassazione, innanzitutto, ai
sensi dell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Del resto, osserva il
rimettente, il ruolo nomofilattico dello stesso Consiglio di Stato non si è mai
svolto al di fuori del tradizionale ordine proprio di questa giurisdizione, caratterizzato dal
generale parametro di riferimento dell'interesse pubblico, laddove in ambito
civilistico la coscienza collettiva mal tollera ogni incidenza, sulle paritarie
posizioni in conflitto, di valutazioni inerenti proprio l’interesse pubblico.
1.3.– É
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, con
la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito in via
pregiudiziale l’inammissibilità della questione sollevata, che investirebbe non
tanto la norma di legge oggetto di censura, quanto piuttosto «un puntuale
combinato disposto di norme contenuto nella Costituzione stessa e cioè quello
regolante l’intero sistema della giustizia amministrativa come delineato dagli
artt. 24, 103, 108, 111 e 113», norme originarie della Costituzione di cui il
legislatore censurato sarebbe stato solo puntuale esecutore.
Ulteriore
profilo di inammissibilità è sollevato dall’Avvocatura per l’irrilevanza della
censura relativa alla violazione degli artt. 3 e 103 Cost. sotto il profilo
della attribuzione al giudice ordinario della conoscibilità di diritti azionati
nei confronti di privati dalla pubblica amministrazione, tenuto conto che, nel
giudizio a quo, la parte attrice è un ente di diritto privato.
Nel merito,
infondata sarebbe la questione laddove fa leva sul principio di unità della
giurisdizione, mai accolto – se non come «valore fine» – nel sistema
costituzionale che, anzi, avrebbe scelto di conservare le giurisdizioni
storiche, in un sistema di riparto affidato al legislatore ordinario (sentenze n. 48 del 1959
e n. 641 del
1987 di questa Corte). Né altrimenti sarebbe stato imposto a quest’ultimo,
per via costituzionale, alcun limite alla individuazione delle particolari
materie di giurisdizione amministrativa esclusiva sotto il profilo della
necessaria compresenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi. Tant’è che
già in passato v’è stato un ampliamento di tale sfera giurisdizionale in
assenza del richiamato «inestricabile nodo gordiano».
Con riguardo
alla pretesa irragionevolezza dell’attuale sistema di riparto giurisdizionale,
ricorda la deducente che nel sistema francese, affine a quello italiano, è
affidata al giudice amministrativo la cognizione dell’azione pubblica tanto nel
momento autoritativo che in quello paritetico.
Improprio
sarebbe inoltre il richiamo al giudice ordinario quale «giudice naturale» dei
diritti, tenuto conto che l’art. 25 Cost. àncora tale nozione al solo giudice
«precostituito per legge».
Per quanto
attiene, infine, alle lamentate lesioni dei principi di uguaglianza e di
difesa, con riguardo alle asserite, minori garanzie esistenti innanzi al
giudice amministrativo, l’Avvocatura osserva come l’argomento provi troppo,
tenuto conto che la equiordinazione, sul piano della
tutela giurisdizionale e della difesa, approntata dalla Costituzione per
diritti ed interessi, indurrebbe a dubitare della legittimità della
giurisdizione esclusiva anche in materie in cui esiste l’evocato intreccio
delle differenti situazioni soggettive. Infine, – rileva l’interveniente –
neppure appare costituzionalizzato il ruolo nomofilattico pieno della Corte di cassazione.
1.4.– Si è
costituita, ma fuori termine, la casa di cura Villa Maria Pia s.r.l. che ha
aderito in toto alle argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione.
1.5.– Nella
memoria successivamente depositata, l’Avvocatura dello Stato effettua,
preliminarmente, un’articolata ricostruzione dell’evoluzione che la materia del
riparto di giurisdizione ha avuto nel corso degli anni, al fine di dimostrare
come dalla Carta fondamentale del nostro Stato si evinca con chiarezza la
volontà del Costituente «di affermare la completa parità ed originarietà
dei due ordini di giurisdizione» e conseguentemente di lasciare la concreta
distribuzione degli affari tra gli stessi alle scelte discrezionali del
legislatore. Ribadisce quindi che le norme impugnate si limitano a devolvere
alla cognizione del giudice amministrativo particolari materie caratterizzate
da spiccate connotazioni pubblicistiche, nell’ottica, non in conflitto col
sistema costituzionale, del superamento del tradizionale criterio di riparto,
fondato sul tipo di posizione soggettiva lesa (diritto soggettivo-interesse
legittimo). Rileva in proposito che gli artt. 103 e 113 della Costituzione
esprimono, con il richiamo all’interesse legittimo, nient’altro che il vincolo
«relativo alla deducibilità in giudizio di tutte le controversie incidenti su
interessi legittimi», esplicitando il principio di cui all’art. 24 della
Costituzione e rimettendo, per il resto, al legislatore ordinario
l’individuazione delle particolari «materie» di giurisdizione esclusiva,
secondo un’accezione che, considerato il tratto «polisemico» del lemma, «ben si
presta a ricomprendere alternativamente o vasti ambiti di attività
amministrativa unitariamente considerati (in senso orizzontale: ad esempio
urbanistica, edilizia, etc.) oppure un oggetto contenzioso (in senso verticale:
paradigmaticamente il risarcimento del danno) accessivo
a quello di competenza generale». In alcun modo, invece, l’art. 103 Cost.
collegherebbe l’individuazione delle particolari materie al presupposto
dell’esistenza di un inestricabile intreccio tra diritti ed interessi
legittimi, quale ragione tralaticiamente richiamata
come essenziale ai fini dell’individuazione dell’area di operatività della
giurisdizione esclusiva sulla scorta di un inesatto presupposto storico.
Ne
discenderebbe, per come affermato proprio dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 140
del 2001), «una sorta di principio di indifferenza o intercambiabilità
della tutela fornita dai due ordini di giurisdizioni», rafforzato dalle sempre
più numerose eccezioni al divieto per il giudice ordinario di annullare atti
amministrativi e dal correlativo ampliamento dei casi di giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Peraltro, ad
avviso dell’Avvocatura, le norme censurate darebbero attuazione ai principi
racchiusi nell’art. 24 della Costituzione anche sotto il profilo della
eliminazione, da un lato, delle incertezze circa l’individuazione del giudice
da adire e, dall’altro, delle lungaggini connesse alla necessità di percorrere
il c.d. doppio giudizio per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni
soggettive lese, in armonia con i modelli istituzionali degli altri paesi
membri dell’Unione europea in cui vige il sistema della doppia giurisdizione.
Rilevato
quindi che il cambiamento normativo ha avuto carattere biunivoco con
l’attribuzione al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di
lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, sottolinea la deducente
come, conseguenzialmente, il riparto si sia venuto ad assestare su un nuovo
punto di equilibrio, nel quale mentre il giudice ordinario è divenuto «il
giudice naturale di una pubblica amministrazione che gestisce tutti i rapporti
di lavoro alle sue dipendenze con i poteri e gli strumenti del privato datore,
il giudice amministrativo, per converso, [ha acquisito] la piena cognizione di
rapporti litigiosi in cui si applicano regole sostanziali esorbitanti dal
diritto privato, anche se di essi siano parti … soggetti formalmente privati ma
tenuti all’applicazione, specie in materia contrattuale, di procedure
amministrative».
Peraltro,
anche qualora si ravvisasse nella locuzione «particolari materie» un vincolo
per il legislatore, questo non andrebbe individuato nel c.d. «nodo gordiano»
diritti-interessi, la cui connessione con il problema del riparto deriverebbe
da «un imprecisato ricordo storico»: in realtà, ove un limite si volesse
considerare imposto nella individuazione dei settori da affidare alla
giurisdizione esclusiva, questo non potrebbe che rinvenirsi «nelle materie in
cui si verifica un assoggettamento dei diritti all’esercizio di un potere
conformativo della pubblica amministrazione», con conseguente piena legittimità
delle scelte operate dal legislatore nelle norme denunciate.
Infine, con riguardo alla prospettata violazione
dell’art. 111 Cost., osserva la deducente che la Carta fondamentale
costituzionalizza le differenti competenze facenti capo alla Corte di
cassazione in modo diverso da quello che i rimettenti danno per presupposto.
Premesso che
storicamente la funzione di nomofilachia della Cassazione risponde all’esigenza
di natura politica di salvaguardare il principio della separazione tra
poteri, preservando le leggi da ciò che
i positivisti francesi definivano la «ribellione dei giudici», nel complesso
delle attribuzioni della Suprema Corte individuate dall’art. 65
dell’Ordinamento giudiziario occorrerebbe distinguere le funzioni afferenti
l’esatta osservanza della legge – la quale significa rispetto, da parte di
tutti i giudici, del limite esterno della giurisdizione – da quelle afferenti
l’uniforme interpretazione della legge (c.d. nomofilachia in senso generico):
orbene, ad avviso dell’Avvocatura, questa sarebbe dalla Costituzione attribuita
alla Cassazione solo per quanto concerne le sentenze del giudice ordinario.
2.– Con tre
distinte ordinanze, due delle quali pronunciate in data 11 ottobre 2002 (r.o. n. 226 e n. 227 del 2003) e l’altra in data 31 gennaio
2003 (r.o. n. 680 del 2003), il Tribunale di Roma ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 103, 111 e 113 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80
del 1998, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, il
quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti
delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati, in
materia di urbanistica ed edilizia.
I giudizi nel
corso dei quali le prime due ordinanze sono state emesse avevano ad oggetto
domande di risarcimento danni proposte, con atti di citazione notificati il 20
luglio 2000, dagli eredi di Arturo Menhert nei
confronti del Comune di Roma, fondate, l’una, sulla circostanza che un fondo
del loro dante causa era stato occupato, sin dall’11 agosto 1978, dall’ente
convenuto, in vista della realizzazione di un asilo nido, poi effettivamente
completato nel 1979, senza che peraltro la procedura di esproprio venisse mai
portata a compimento e senza che venisse pagato il relativo indennizzo; l’altra, sul fatto che lo stesso Comune, con
deliberazione consiliare n. 2201 del 3, 4 e 5 maggio 1976, aveva modificato la
destinazione edilizia di alcuni terreni del medesimo dante causa, da aree
edificabili ad aree per attrezzature di servizi di quartiere e verde pubblico,
in vista della costruzione di una strada, così determinando, senza che l’opera
pubblica venisse in realtà mai realizzata, un tale deprezzamento degli immobili
compresi nella variante da indurre la Cassa di risparmio di Roma a
chiedere la restituzione di ingenti
prestiti, erogati a Menhert s.r.l. e garantiti da
quei beni; richiesta che, rimasta inevasa, aveva a sua volta provocato il
fallimento della società garantita.
La terza
ordinanza è intervenuta nel corso di un giudizio proposto, con atto di
citazione notificato il 26 gennaio 2001, dalla società D.M. s.a.s. di Abrusca Clara & c. nei confronti, ancora una volta, del
Comune di Roma, al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti in conseguenza
del mancato allaccio alla rete fognaria e della mancata "agibilità” di un
locale a destinazione negozio, di proprietà della società attrice.
2.1.– In
punto di rilevanza, in tutti e tre i giudizi il giudice a quo, evidenziato che
il Comune convenuto ha opposto il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario, osserva che, secondo le nuove previsioni in punto di riparto di
giurisdizione – che attribuiscono al giudice amministrativo, in sede di
giurisdizione esclusiva, le controversie aventi ad oggetto, tra gli altri, i
comportamenti della pubblica amministrazione in materia urbanistica –
l’eccezione sarebbe fondata: e invero, alla stregua dei consolidati e condivisi
orientamenti del Supremo Collegio, la materia urbanistica non si esaurisce
nell’aspetto normativo della disciplina dell’uso del territorio, ma comprende
anche il momento gestionale.
Nelle
ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003 peraltro, emesse in giudizi iniziati con
atti di citazione notificati il 20 luglio 2000, il rimettente precisa,
richiamando le puntualizzazioni espresse dalla Corte costituzionale nelle
pronunce n. 123
e n. 340 del
2002, che nella fattispecie la giurisdizione esclusiva si radica non già
sul testo originario dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, ma su quello
sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, il quale, da un lato, ha
innovato la natura giuridica della fonte, da legge materiale a legge formale
(così affrancandola dal vizio di eccesso di delega) e, dall’altro, per i
giudizi introdotti dopo il 10 luglio 1998 e pendenti al 10 agosto 2000 – date
in cui sono entrati in vigore, rispettivamente, il d.lgs. n. 80 del 1998 e la
legge n. 205 del 2000 – ha disciplinato direttamente la giurisdizione, in
deroga al principio sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., non avendo immutato il
dettato dell’art. 45, comma 18, del d.lgs. n. 80 del 1998, che prevede, a
decorrere dal 1° luglio 1998, la devoluzione al giudice amministrativo delle
controversie di cui agli artt. 33 e 34: tale ricostruzione della successione
temporale delle norme disciplinanti le controversie devolute alla sua
cognizione, impone al decidente di ritenere rilevante nel giudizio a quo la
questione di costituzionalità dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo
risultante dalla sostituzione operata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000.
2.2.– Quanto
alla non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità, il rimettente, che
svolge considerazioni sostanzialmente identiche in tutti e tre i provvedimenti
di rimessione, sostiene preliminarmente che il sistema dell’estensione della
giurisdizione esclusiva per blocchi di materie, seguito dal legislatore sia nel
1998 sia nel 2000, si discosta da quello delineato nella Carta costituzionale,
oltre ad apparire scarsamente razionale e ingiustificatamente squilibrato a
favore della pubblica amministrazione, la quale viene in effetti ad avere un
proprio giudice.
In
particolare, il contrasto con gli artt. 102, primo comma, 103, primo comma, e
113, primo comma, Cost., si radicherebbe sulla sostanziale ricezione,
nell’assetto accolto dal Costituente,
del sistema di tutela giurisdizionale del privato nei confronti della pubblica
amministrazione disciplinato dalla legislazione previgente e in particolare
dalla legge n. 2248 del 1865, All. E, e dal r.d. n. 1054 del 1924: sistema che
ruota tutto intorno alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo,
quali posizioni soggettive giustiziabili, rispettivamente, davanti al giudice
ordinario e al giudice amministrativo.
Posto allora
che, nel quadro istituzionale delineato dalla legge fondamentale del nostro
Stato, il giudice ordinario è giudice dei diritti e la sua giurisdizione viene
meno soltanto nei limitati casi in cui la cognizione, in considerazione
dell’intreccio, difficilmente districabile per talune controversie, di figure
giuridiche attive riconducibili all’una o all’altra categoria, è attribuita al
giudice amministrativo, il legislatore ordinario non potrebbe discostarsi da
tale modello, attribuendo determinate materie al giudice amministrativo in
considerazione della loro rilevanza pubblicistica. E ciò tanto più che il
contesto normativo di riferimento, ancorché caratterizzato dalla progressiva
estensione dell’area della giurisdizione esclusiva – in buona parte a
prescindere dalla qualificazione giuridica della situazione vantata nei
confronti della pubblica amministrazione (così l’art. 11, comma 5, della legge
n. 241 del 7 agosto 1990, sugli accordi con la pubblica amministrazione
sostitutivi dei provvedimenti; l’art. 33 della legge n. 287 del 10 ottobre 1990
e l’art. 7 del d.lgs. n. 74 del 25 gennaio 1992, come modificato dall’art. 5,
comma 11, del d.lgs. n. 67 del 25 febbraio 2000, sui provvedimenti
dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato; l’art. 6, comma 19,
della legge n. 537 del 24 dicembre 1993, come modificato dall’art. 44 della
legge n. 724 del 23 dicembre 1994, sui contratti per la fornitura di beni e
servizi alle pubbliche amministrazioni; l’art. 4, comma 7, della legge n. 109
dell’11 febbraio 1994, come modificato dall’art. 9, comma 9, della legge n. 415
del 18 novembre 1998, sui provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui
lavori pubblici; l’art. 2, comma 25, della legge n. 481 del 14 novembre 1995,
sui provvedimenti delle Autorità per i servizi di pubblica utilità; l’art. 1,
comma 26, della legge n. 249 del 31 luglio 1997, sui provvedimenti delle
Autorità per le telecomunicazioni) – non avrebbe, a giudizio del rimettente,
affatto obliterato la fondamentale funzione del giudice ordinario quale giudice
dei diritti. Non a caso, egli ricorda, nel disciplinare il giudizio di
opposizione alle sanzioni amministrative (legge 24 novembre 1981, n. 689), il
legislatore si è spinto nel riconoscimento di quella funzione, fino al punto di
attribuire al giudice ordinario il potere di intervenire direttamente
sull’atto, mentre, pur nell’ambito delle varie ipotesi di giurisdizione
esclusiva relative all’impugnazione dei provvedimenti emessi dalle Autorità
indipendenti, non mancano casi in cui è sancita la giurisdizione del giudice
ordinario.
Né
l’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie in materia di
urbanistica ed edilizia, operata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000,
estesa a tutti gli atti, i provvedimenti e i comportamenti non solo delle
pubbliche amministrazioni, ma anche "dei soggetti alle stesse equiparati”, a
prescindere dalla compresenza di situazioni di diritto soggettivo e di
interesse legittimo, potrebbe ritenersi legittimata dalla previsione di cui
all’art. 103, primo comma, Cost., posto che la lettera di tale norma evidenzia,
semmai, che il legislatore costituzionale si è mosso nell’ottica del carattere
eccezionale della riserva al giudice amministrativo di aree di giurisdizione
esclusiva.
Se dunque –
argomenta il rimettente – il sistema di riferimento risulta strutturato sulla
netta distinzione tra diritti e interessi legittimi, sulla "particolarità”
delle materie nelle quali far operare la giurisdizione esclusiva e sulla individuabilità delle stesse attraverso l’inscindibile
coesistenza di diritti e interessi, forte è il dubbio della legittimità di una
norma di legge ordinaria che da tale assetto palesemente si discosti.
Tale
convincimento, ad avviso del giudice a quo, sarebbe convalidato dall’avvenuta
presentazione, in data 28 novembre 2000, della proposta di legge costituzionale
Atto Camera 7465 della XIII Legislatura, in cui, disegnata l’area di
giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alle "controversie con
la pubblica amministrazione nelle materie indicate dalla legge”, venivano allo
stesso esplicitamente riservate in ogni caso quelle "riguardanti l’esercizio di
pubblici poteri”: modifica della Costituzione espressamente giustificata nella
relazione illustrativa anche col richiamo all’entrata in vigore della legge n.
205 del 2000, la quale avrebbe espresso "una decisa volontà del Parlamento nel
senso indicato”.
Quanto poi al
contrasto con gli artt. 102, secondo comma, e 3, primo comma, Cost., osserva il
rimettente che, se la ratio giustificatrice dell’istituto della giurisdizione
esclusiva è stata per tradizione individuata nella peculiarità delle
controversie nelle quali sia parte la pubblica amministrazione, stante la
rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco e la necessità di fare
applicazione di una normativa speciale, di natura amministrativa, derogatoria
rispetto al diritto comune – rilievo da taluno correlato alla tesi
dell’esistenza di un principio costituzionale di pluralità delle giurisdizioni
–, sarebbe palese la sua assenza con riguardo a quelle fattispecie in cui venga
lamentata la lesione di un diritto soggettivo, perché la pubblica
amministrazione ha leso posizioni attive di altri soggetti, agendo iure privatorum o ponendo in essere un’attività illecita: qui
occorrerà invero fare applicazione di nozioni quali danno ingiusto, nesso di
causalità e colpevolezza, tipiche del diritto civile. In tale contesto
normativo la norma impugnata, contraddicendo al principio per cui il giudice
amministrativo è organo di tutela della giustizia nell’amministrazione e non
già giudice dell’amministrazione, ingenera il sospetto di violazione del
divieto di istituire giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.), dubbio
vieppiù avvalorato dalla considerazione dei meccanismi di copertura di un
quarto dei posti di consigliere di Stato (art. 19, numero 2, della legge 27
aprile 1982, n. 186), di nomina del presidente del Consiglio di Stato (art. 22,
primo comma, della legge cit.) e di conferimento dell’incarico di segretario
generale (art. 4, comma 3); nonché dalla considerazione delle funzioni di "alta
sorveglianza” e di iniziativa in punto di promozione dei procedimenti
disciplinari, attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri su tutti i
magistrati amministrativi (artt. 31, primo comma, e 33, primo comma) e della
possibilità, per gli stessi, di accedere allo svolgimento di funzioni
giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato (art. 13,
secondo comma, numero 8, e art. 29, terzo comma).
Sostiene
anche il rimettente che devolvere una controversia a un giudice speciale in
funzione, soltanto, della natura pubblica di una delle parti o della pretesa
rilevanza pubblicistica degli interessi in contesa, desunta dall’esercizio di
funzioni amministrative, anche da parte di un soggetto privato, sarebbe scelta
foriera di una non giustificata disparità di trattamento tra i soggetti
dell’ordinamento, posto che essa recherebbe in sé il rischio dell’affermazione
di un diritto speciale della pubblica amministrazione, conformato su
valutazioni incompatibili con la natura privatistica del rapporto controverso e
su una posizione di ingiustificato privilegio attribuita ad una delle parti, la
pubblica amministrazione, alla quale invece la Costituzione non riconosce alcun
privilegio o statuto particolare, specie ove non agisca iure imperii o si
rapporti ai privati su un piano di parità.
Il sospetto
di lesione degli artt. 111, settimo e ottavo comma, e 24, primo comma, e, sotto
nuovo profilo, ancora una volta, dell’art. 3 della Costituzione viene radicato
sul fatto che il legislatore del 2000, istituendo un giudice amministrativo
munito di giurisdizione esclusiva in materie e con strumenti processuali
pressoché coincidenti con le materie e con gli strumenti processuali da sempre
appartenenti al giudice ordinario, si sarebbe mosso in palese controtendenza
con le ragioni della scelta che guidarono il Costituente il quale, mantenendo
in vita alcune delle giurisdizioni speciali preesistenti, operò in vista della
conservazione del patrimonio di conoscenze da questi acquisite.
L’irragionevolezza dell’opzione normativa, e la conseguente violazione
dell’art. 3 della Costituzione, risulterebbe vieppiù evidente in un contesto
storico segnato – come si evince dall’art. 11 della legge n. 241 del 1990 e
dalla notissima Cass. sezioni unite n. 500 del 1999 – dalla sempre più incisiva
affrancazione dei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione dal modello
c.d. autoritativo, e dalla loro evoluzione verso un modello c.d. negoziale,
centrato sull’accordo delle parti e sul loro fondamentale dovere di comportarsi
secondo buona fede.
Infine
l’attribuzione della cognizione di controversie sostanzialmente identiche, da
decidere, per giunta, facendo uso di poteri processuali in larga misura
coincidenti, a due plessi giurisdizionali distinti, unicamente in ragione della
natura soggettiva di una delle parti in causa, comporterebbe un sostanziale
svuotamento anche del fondamentale diritto di difesa, sancito dall’art. 24,
primo comma, della Costituzione, sotto il profilo che, limitando l’art. 111,
ottavo comma, della Costituzione, la ricorribilità
per Cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato ai "soli motivi inerenti
alla giurisdizione”, non vi sarebbe alcuna possibilità di composizione dei
contrasti giurisprudenziali fra giudici ordinari e giudici amministrativi.
2.3.– In
tutti e tre i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a
mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto
l’inammissibilità e l’infondatezza della questione proposta, richiamando le
argomentazioni (sub 1.3.) svolte nel giudizio relativo alla ordinanza n. 488
del 2002.
2.4.– Il 6
ottobre 2003, nei giudizi di cui alle ordinanze n. 226 e n. 227 del 2003, e il
26 novembre 2003, nel giudizio di cui all’ordinanza n. 680 del 2003,
l’Avvocatura ha poi depositato memorie di contenuto pressoché identico a quello
della memoria depositata nel giudizio n. 488 del 2002
(v. retro, sub 1.5.)
Considerato
in diritto
1.– Il
Tribunale di Roma solleva questione di legittimità costituzionale, con r.o. n. 488 del 2002, dell’art. 33, comma 1 e comma 2,
lettere b) ed e) e, con r.o. n. 226, n. 227 e n. 680
del 2003, dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come
sostituiti dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205; in tutte le
ordinanze di rimessione si assumono violati gli artt. 3, 24, 102, 103, 111 e
113 della Costituzione, mentre la prima ordinanza dubita, altresì, della
violazione degli artt. 25 e 100 della Costituzione.
I giudizi –
in ciascuno dei quali è adeguatamente motivata la rilevanza della questione –
devono essere riuniti in quanto, sia pure in relazione a due norme diverse
(artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 7 della
legge n. 205 del 2000), in tutti viene sostanzialmente posta la (medesima) questione
dei limiti che il legislatore ordinario deve rispettare nel disciplinare,
ampliandola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2.– Le
questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
2.1.– I
giudici rimettenti lamentano che la legge n. 205 del 2000, portando a
compimento un disegno di politica legislativa volto, a partire dal 1990, ad
estendere l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
abbia sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in
Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi
legittimi, il diverso criterio dei "blocchi di materie”: in tal modo sarebbe
stato alterato non soltanto il rapporto tra giurisdizione del giudice ordinario
e del giudice amministrativo – rapporto che, pur non essendo stato realizzato
il principio dell’unicità della giurisdizione, dovrebbe pur sempre essere di
regola ad eccezione quanto alla cognizione su diritti soggettivi – ma anche il
rapporto, all’interno della giurisdizione del giudice amministrativo, tra
giurisdizione (generale) di legittimità e giurisdizione (speciale, se non
eccezionale) esclusiva.
La violazione
degli artt. 102 e 103 Cost. (e dell’art. 100 – aggiunge l’ordinanza n. 488
del 2002 – con la trasformazione del Consiglio di Stato da giudice
"nell’amministrazione” in giudice "dell’amministrazione”) non si sarebbe
realizzata con i pur massicci interventi legislativi degli anni ’90, in quanto
le nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva concernevano pur sempre «talune
specifiche controversie» caratterizzate «dall’intreccio di posizioni giuridiche
riconducibili tanto al diritto soggettivo quanto all’interesse legittimo»: è
con il d.lgs. n. 80 del 1998, specie come trasfuso nell’art. 7 della legge n.
205 del 2000, che il legislatore ha abbandonato il criterio dello
«inestricabile nodo gordiano» ravvisabile in specifiche controversie correlate
all’interesse generale per accogliere quello dei «blocchi di materie», nelle
quali «la commistione di diritti soggettivi ed interessi legittimi non si debba
ricercare nelle varie tipologie delle singole controversie ma nell’atteggiarsi
dell’azione della pubblica amministrazione in settori determinati, anche se
molto estesi, connotati da una significativa presenza dell’interesse pubblico».
La
Costituzione, attribuendo al giudice ordinario «il ruolo di giudice naturale
dei diritti soggettivi tra privati e pubblica amministrazione», avrebbe
recepito e fatto propri i principi ispiratori della legge n. 2248 del 1865,
All. E, così conferendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
un carattere residuale, che può giustificare «eccezioni ma non stravolgimenti»
rispetto alla «tendenziale generalità ed illimitatezza delle attribuzioni del
giudice ordinario».
Anche a voler
prescindere dall’irragionevolezza della scelta legislativa di esaltare il ruolo
del giudice amministrativo nel momento in cui al c.d. modello autoritativo dei
rapporti cittadino-pubblica amministrazione viene sempre più sostituito il c.d.
modello negoziale, tale scelta – unita al conferimento al giudice
amministrativo di «pienezza di poteri decisori» e quindi anche risarcitori,
perfino «al di fuori della giurisdizione esclusiva e nell’ambito della sua
giurisdizione generale di legittimità» – farebbe sì che «il giudice
amministrativo sia ormai proiettato in una dimensione civilistica che fino a
ieri costituiva territorio esclusivo del giudice ordinario», per giunta senza
sottostare al controllo nomofilattico, che costituisce anche garanzia di parità
di trattamento, della Corte di cassazione.
2.2.– Del
tutto correttamente i rimettenti osservano che la Carta costituzionale ha
recepito – non senza conservare traccia nell’art. 102, primo comma, dell’orientamento
favorevole all’unicità della giurisdizione – il nucleo dei principi in materia
di giustizia amministrativa quali evolutisi a partire dalla legge abolitrice
del contenzioso amministrativo del 1865: ed i lavori della Costituente
documentano come «l’indispensabile riassorbimento nella Costituzione dei
principi fondamentali della legge 20 marzo 1865» conducesse, da un lato, alla
proposta di Calamandrei per cui «l’esercizio del
potere giudiziario in materia civile, penale e amministrativa appartiene esclusivamente
ai giudici ordinari» (art. 12, discusso dalla seconda Sottocommissione il 17
dicembre 1946) e, dall’altro lato, al testo (proposto dagli on.li Conti, Bettiol, Perassi, Fabbri e Vito
Reale) approvato dall’Assemblea costituente nella seduta pomeridiana del 21
novembre 1947, corrispondente agli attuali artt. 102 e 103 Cost.; e conducesse,
inoltre, alla esclusione della soggezione delle decisioni del Consiglio di
Stato e della Corte dei conti al controllo di legittimità della Corte di
cassazione, limitandolo al solo «eccesso di potere giudiziario», coerentemente
alla «unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi
implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in
sistemi autonomi, ognuno dei quali fa parte a sé» (così Mortati, seduta
pomeridiana del 27 novembre 1947).
In realtà,
come la dottrina ha da tempo chiarito, la legge n. 2248 del 1865, All. E, nel
momento stesso in cui assicurava tutela al cittadino davanti al giudice
ordinario per «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto
civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica
amministrazione» (art. 2), sanciva in ogni altro caso (per «gli affari non
compresi nell’articolo precedente») la totale sottrazione a qualsiasi controllo
giurisdizionale della sfera della c.d. amministrazione pura (art. 3): in tal
modo – anche grazie all’ampiezza con la quale questa zona "franca”
dell’amministrazione fu intesa dalla giurisprudenza, in ciò incoraggiata
dall’allora giudice dei conflitti, il Consiglio di Stato, e dal successivo
giudice ex legge 31 marzo 1877 n. 3761, le sezioni unite della Cassazione
romana – la legge del 1865 creava le premesse della legislazione successiva
volta a colmare il sempre più grave vuoto di tutela giurisdizionale da essa
lasciato con il puro e semplice ignorare tale esigenza negli «affari non
compresi» nell’art. 2.
La relazione Crispi al disegno di legge, divenuto la legge (istitutiva
della IV Sezione) 31 marzo 1889, n. 5992, chiarisce infatti che «la legge 20
marzo 1865, All. E, proclamò l’unità della giurisdizione, ma nulla avendo
sostituito al contenzioso amministrativo che abolì, rimase abbandonata alla
potestà amministrativa l’immensa somma di interessi onde lo Stato è
depositario»; e pur se soltanto la legge 7 marzo 1907, n. 62, istitutiva della
V Sezione, definì "giurisdizionale” questa e la IV Sezione, riconoscendo alle
loro decisioni l’efficacia del giudicato, la funzione giurisdizionale
dell’organo, che sarebbe stato chiamato a colmare il vuoto di tutela da essa
lasciato, era già insita nella legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
E’ evidente,
quindi, l’ambivalenza del richiamo – operato così da Calamandrei
come dai suoi oppositori nell’Assemblea costituente – all’«indispensabile
riassorbimento nella Costituzione dei principi fondamentali della legge 20
marzo 1865, All. E»: richiamo, che potrebbe dirsi "statico”, da parte di chi
voleva colmare, nel 1947, con il giudice ordinario (eventualmente attraverso
sue sezioni specializzate), il vuoto di tutela lasciato nel 1865 ed
"abusivamente” (rispetto ai principi proclamati nell’art. 2) poi riempito da un
Consiglio di Stato che aveva, ormai, «esaurito storicamente» il suo compito (Calamandrei, II Sottocommissione, seduta pomeridiana del 9
gennaio 1947); richiamo, che potrebbe dirsi "dinamico”, da parte di chi
sottolineava che «il Consiglio di Stato non ha mai tolto nulla al giudice
ordinario» (così Bozzi, ivi) in quanto la giurisdizione amministrativa è sorta
«non come usurpazione al giudice ordinario di particolari attribuzioni, ma come
conquista di una tutela giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti
della pubblica amministrazione; quindi non si tratta di ristabilire la tutela
giudiziaria ordinaria del cittadino che sia stata usurpata da questa
giurisdizione amministrativa, ma di riconsacrare la perfetta tradizione di una
conquista particolare di tutela da parte del cittadino» (Leone, Assemblea,
seduta pomeridiana del 21 novembre 1947).
Sembra allora
chiaro che il Costituente, accogliendo quest’ultima impostazione, ha
riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per
la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni
soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della
legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe diventato
l’art. 113 Cost., recepito il principio – «e fu per questo ritenuta una
conquista liberale di grande importanza» – «per il quale, quando un diritto
civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo
diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo
che la pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi,
in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione
… principio fondamentale che è stato completato poi con l’istituzione delle
sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato … dell’unicità della
giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27 novembre
1947).
2.3.– Se,
relativamente alla conservazione della giurisdizione generale di legittimità
del giudice amministrativo, l’esame dei lavori dell’Assemblea costituente offre
il quadro che si è tratteggiato, da essi non emergono particolari elementi di
chiarificazione relativamente alla previsione, nel testo dell’art. 103 Cost.,
della giurisdizione esclusiva: previsione che compare quasi come accessoria
rispetto a quella generale di legittimità, per «la inscindibilità delle
questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza
delle prime», le quali impongono di «aggiungere la competenza del Consiglio di
Stato per i diritti soggettivi, nelle materie particolari specificamente indicate
dalla legge» (Ruini, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 novembre 1947).
3.–
L’ambivalenza stessa della premessa, si è rilevato, esclude in radice che possa
sostenersi che la Costituzione abbia definitivamente ed immutabilmente
cristallizzato la situazione esistente nel 1948 circa il riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma deve anche
escludersi che dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il
legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio (più
volte riconosciutogli da questa Corte), deve contenere i suoi interventi volti
a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici: a ciò
non ostando la circostanza che, per la prima volta in un testo normativo, è nella
Costituzione che compare, e ripetutamente, la locuzione "interessi legittimi”.
Si è detto
della chiara opzione del Costituente in favore del riconoscimento al giudice
amministrativo della piena dignità di giudice: riconoscimento per il quale
milita, oltre e più che l’apprezzamento, più volte espresso nell’Assemblea
costituente, per l’indipendenza con la quale il Consiglio di Stato aveva
operato durante il regime fascista, la circostanza che l’art. 24 Cost. assicura
agli interessi legittimi – la cui tutela l’art. 103 riserva al giudice
amministrativo – le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto
alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della
tutela che questi deve loro accordare.
Si è anche
sostenuto che, in presenza di tale opzione, il principio dell’unicità della
giurisdizione – espresso dall’art. 102, con riguardo al giudice, e riflesso
nell’art. 113, con riguardo alle forme di tutela garantite al cittadino – sta a
significare che in nessun caso il legislatore ordinario può far sì che la
pubblica amministrazione sia, in quanto tale, assoggettata ad una particolare
giurisdizione, ovvero sottratta alla giurisdizione alla quale soggiace
«qualsiasi litigante privato»: la specialità di un giudice può fondarsi
esclusivamente sul fatto che questo sia chiamato ad assicurare la giustizia
"nell’amministrazione”, e non mai sul mero fatto che parte in causa sia la
pubblica amministrazione.
3.1.– Alla
luce di tali principi occorre valutare se la disciplina introdotta, in punto di
giurisdizione esclusiva, dalla legge n. 205 del 2000 è tale da confliggere con
essi; ciò che equivale a chiedersi se quei principi conformino la giurisdizione
esclusiva, ritenuta ammissibile dalla Costituzione, in modo incompatibile con
la disciplina dettata dalla legge de qua.
Si è rilevato
(sub 2.1.) che i rimettenti ricordano diffusamente come la giurisdizione
esclusiva – fino al 1990 confinata nei ristretti limiti segnati dagli artt. 29
del t.u. n. 1054 del 1924 e 5, comma 1, della legge n. 1034 del 1971 (ma adde gli artt. 11 della legge n. 1185 del 1967; 32 della
legge n. 426 del 1971; 16 della legge n. 10 del 1977; 6 della legge n. 440 del
1978; 35 della legge n. 47 del 1985; 11 della legge n. 210 del 1985) – sia
stata notevolmente estesa a partire da tale anno contemplando l’impugnazione
degli atti delle c.d. autorità amministrative indipendenti (artt. 33 della
legge n. 287 del 1990; 7 del d.lgs. n. 74 del 1992; 10 della legge n. 109 del
1994; 2 della legge n. 481 del 1995; 1 della legge n. 249 del 1997) nonché
quella degli accordi tra privati e pubblica amministrazione (artt. 11 e 15
della legge n. 241 del 1990; legge n. 537 del 1993); ma tale estensione non
appare loro confliggente con alcun parametro costituzionale in quanto, osservano,
pur sempre limitata a specifiche controversie connotate non già da una generica
rilevanza pubblicistica, bensì dall’intreccio di situazioni soggettive
qualificabili come interessi legittimi e come diritti soggettivi.
La
giurisdizione esclusiva introdotta, viceversa, dalla legge n. 205 del 2000
sarebbe qualitativamente diversa e, come tale, incompatibile con il dettato
costituzionale.
3.2.– Le
censure che si sono sinteticamente riferite (sub 2.1.) colgono nel segno nella
parte in cui denunciano l’adozione, da parte del legislatore ordinario del
1998-2000, di un’idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice
presenza, in un certo settore dell’ordinamento, di un rilevante pubblico
interesse; un’idea – come osservano i rimettenti – che presuppone
l’approvazione (mai avvenuta) di quel progetto di riforma (Atto Camera 7465
XIII Legislatura) dell’art. 103 Cost. secondo il quale «la giurisdizione
amministrativa ha ad oggetto le controversie con la pubblica amministrazione
nelle materie indicate dalla legge».
E’ evidente,
viceversa, che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al
legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità
nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari
materie” nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione”
investe "anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al
negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va
detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e
non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
Tale
necessario collegamento delle "materie” assoggettabili alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive
– e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine
tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103
laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari” rispetto a
quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono
partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza
che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale
è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
Il
legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva
purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in
assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la
pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità:
con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica
amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione
del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di
giudice "della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102,
secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il
generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché
questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
3.3.– E’
appena il caso di rilevare che, ove il legislatore ordinario si attenga ai
criteri appena enunciati, si risolve in radice anche il problema che i
rimettenti pongono con riguardo all’art. 111, settimo comma, Cost.: è
sufficiente osservare, infatti, che è la stessa Carta costituzionale a
prevedere che siano sottratte al vaglio di legittimità della Corte di
cassazione le pronunce che investono i diritti soggettivi nei confronti dei
quali, nel rispetto della "particolarità” della materia nel senso sopra (3.2)
chiarito, il legislatore ordinario prevede la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
3.4.– Alla
luce di tali criteri – desumibili dalla lettera delle norme nelle quali si è
incarnata, nella Costituzione, la storia della giustizia amministrativa in Italia
– la disciplina dettata dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in
cui sostituisce gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, non è conforme a
Costituzione.
3.4.1.– Va
premesso che la dichiarazione di incostituzionalità non investe in alcun modo –
nonostante i rimettenti ne adducano il disposto a sostegno delle loro censure –
l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui (lettera c)
sostituisce l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998: il potere riconosciuto al
giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun
profilo una nuova "materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno
strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o
conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti
della pubblica amministrazione.
L’attribuzione
di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice
riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato (sub 3), ma anche, e
soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il
quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione
amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di
adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro,
sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di
giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice
amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di
giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e
l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l’art.
13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione
comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui
all’art. 24 Cost..
3.4.2.– La
formulazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall’art. 7,
comma 1, lettera a), della legge n. 205 del 2000, confligge con i criteri,
quali si sono individuati sub 3.2. ai quali deve ispirarsi la legge ordinaria
quando voglia riservare una "particolare materia” alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
Ed infatti,
non soltanto (e non tanto) il riferimento ad una materia (i pubblici servizi)
dai confini non compiutamente delimitati (se non in relazione all’ipotesi di
concessione prevista fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), quanto, e
soprattutto, quello a "tutte le controversie” ricadenti in tale settore rende
evidente che la "materia” così individuata prescinde del tutto dalla natura
delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicché, inammissibilmente, la
giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale
coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi. Ma,
in tal modo, viene a mancare il necessario rapporto di species a genus che l’art.
103 Cost. esige allorché contempla, come "particolari”, rispetto a quelle nelle
quali la pubblica amministrazione agisce quale autorità, le materie devolvibili
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tale
conclusione è avvalorata dalla circostanza che il comma 2 della norma individua
esemplificativamente ("in particolare”) controversie, quale quella incardinata
davanti al giudice a quo, nelle quali può essere del tutto assente ogni profilo
riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità: e certamente le ipotesi
specificamente censurate (lettere b ed e) sono tali da non resistere al vaglio
di costituzionalità in quanto non soltanto (come le altre contemplate dal comma
2) travolte dalla censura che investe la previsione di "tutte le controversie
in materia di pubblici servizi”, ma anche perché, ex se, integrano ipotesi
nelle quali tali controversie non vedono, normalmente, coinvolta la pubblica
amministrazione-autorità.
La materia
dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo
potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di
adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si
vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere
autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990): sicché, conclusivamente, va
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, nella parte in
cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
«tutte le controversie in materia di pubblici servizi» anziché le controversie
in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi,
escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (così come
era previsto fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971), ovvero relative a
provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n.
241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico
servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (così come
era previsto dall’art. 33, comma 2, lettere c e d).
Va altresì
dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 2 della norma in esame.
3.4.3.–
Analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 80
del 1998, quale recata dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del
2000: formulazione che si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in
cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre "gli atti e i
provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente
ovvero attraverso "soggetti alle stesse equiparati”) svolgono le loro funzioni
pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia – anche "i comportamenti”, la
estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita –
nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti
intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere.
Poiché, mutatis mutandis, a tale
previsione dell’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998 si attagliano le
medesime considerazioni che si sono esposte (sub 3.4.2.) a proposito dell’art.
33, comma 1, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 34,
comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1,
lettera b), della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per
oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» in luogo che «gli atti e
i provvedimenti» delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito
dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in
materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui prevede che sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le
controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le
controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici
servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi,
ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal
gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato
dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un
pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore,
nonché»;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del medesimo decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera a, della
legge 21 luglio 2000, n. 205;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del medesimo decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera b, della
legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede che sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per
oggetto «gli atti, i provvedimenti e i comportamenti» anziché «gli atti e i
provvedimenti» delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati,
in materia urbanistica ed edilizia.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5
luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata
in Cancelleria il 6 luglio 2004.