SENTENZA N. 48
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 del D. L. L. 21 marzo 1946, n. 144, promosso con ordinanza del 24 settembre 1958 del Tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Niedermayer Guglielmo, iscritta al n. 41 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 312 del 27 dicembre 1958.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 17 giugno 1959 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
La Sezione speciale della Corte d'Assise di Belluno, nel procedimento penale a carico di Niedermayer Guglielmo, maresciallo della Gestapo, imputato di collaborazionismo, violenza mediante omicidio aggravato e continuato e di furto aggravato e continuato, con sentenza 4 marzo 1947, assolveva il Niedermayer dalla imputazione di collaborazionismo, rinviandolo al Tribunale militare di Padova per gli altri reati. Con sentenza 11 gennaio 1955 il Giudice istruttore presso il predetto Tribunale militare, esclusa la competenza del giudice militare per i reati di omicidio, e ciò in forza della connessione soggettiva col reato comune di furto, rimetteva gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Belluno. Il Giudice istruttore presso questo Tribunale, ritenendo che in base all'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167, modificativa del sistema precedente, la connessione puramente soggettiva non fosse più sufficiente ai fini della competenza, con sentenza 31 dicembre 1957, dichiarava il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per i reati di omicidio ed ordinava la trasmissione degli atti relativi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova. Il predetto Tribunale, con ordinanza del 24 settembre 1958, ordinò la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte, proponendo la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 D. L. L. 21 marzo 1946, in riferimento all'art. 103 della Costituzione, in quanto tale norma della Costituzione avrebbe posto confini invalicabili alla competenza dei Tribunali militari in tempo di pace, con lo stabilire che essi dovessero conoscere soltanto dei reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate dello Stato italiano. Il predetto Tribunale militare tuttavia, nella citata ordinanza, considerava l'art. 6 in questione anche sotto il profilo dell'abrogazione, manifestando l'avviso che l'art. 103 della Costituzione, di indubbio carattere precettivo, avesse tacitamente abrogata, ai sensi dell'art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale, la norma per la quale, in tempo di pace, la cognizione dei reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi dagli appartenenti alle forze armate nemiche era attribuita alla giurisdizione militare. Nonostante tali considerazioni, il Tribunale militare riteneva però opportuno di invocare da questa Corte il sindacato di legittimità costituzionale dell'accennato art. 6 D. L. L. 21 marzo 1946.
L'ordinanza del Tribunale, regolarmente notificata, fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 27 dicembre 1958. Il 6 dicembre 1958 si costituiva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato. Con tali deduzioni l'Avvocatura dello Stato, manifestando l'avviso che l'art. 103, ultimo comma, della Costituzione avesse automaticamente abrogato, in quanto norma precettiva perfetta, l'art. 6 del D. L. L. 21 marzo 1946, e ritenendo che l'abrogazione comporti la radiazione della norma abrogata dall'ordinamento giuridico, concludeva col richiedere che questa Corte dichiarasse inammissibile e manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale. Tuttavia la stessa Avvocatura, con memoria depositata il 3 giugno 1959, dichiarando di aver proceduto a più approfondito esame della questione, richiedeva che questa fosse dichiarata infondata nel merito, dovendosi la formula "reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate" ritenere estensibile anche agli appartenenti alle forze armate nemiche.
Considerato in diritto
É da ritenere privo di fondamento l'asserito contrasto fra l'art. 6 del D. L. L.21 marzo 1946, n. 144, e l'art. 103 della Costituzione.
L'art. 6 é una norma transitoria, come del resto tutte le disposizioni dello stesso decreto, le quali sono dirette a regolare il passaggio, che é fatto per sua natura transitorio, dall'applicazione della legge militare di guerra all'applicazione di quella di pace. In vista della cessazione delle stato di guerra e del conseguente scioglimento dei tribunali militari di guerra (art. 22 C. P. M. G.), fu dall'art. 6 attribuita ai tribunali militari di pace la competenza per i reati preveduti dal Codice penale militare di guerra e commessi durante lo stato di guerra. Una siffatta disposizione é in fondo priva di un vero e proprio carattere innovativo, in quanto si inserisce in un sistema di preesistenti norme della legge penale militare (articoli 264 a 266, 297 a 300 Cod. pen. mil. g.), le quali appunto riguardano la rimessione dei procedimenti pendenti, alla data della cessazione dello stato di guerra, davanti ai tribunali militari di guerra, e trovano il loro fondamento nello stesso carattere temporaneo della giurisdizione dei tribunali militari di guerra.
Ben diverso carattere ha la norma dell'art. 103, ultimo comma, della Costituzione. Nel regolare la competenza dei tribunali militari in tempo di pace e in tempo di guerra, essa si pone come disciplina permanente ed organica della materia, con la quale le ridotte e contingenti finalità della norma impugnata non vengono punto in collisione.
Secondo l'ordinanza del Tribunale militare di Padova, il preteso contrasto si ravviserebbe in ciò: che mentre l'art. 6 del D. L. L. 21 marzo 1946, n. 144, contiene da ultimo anche una esplicita attribuzione ai tribunali militari di pace della competenza per i reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi dagli appartenenti alle forze armate nemiche, l'art. 103 della Costituzione, con l'adottare puramente e semplicemente la locuzione "appartenenti alle Forze armate", senza alcuna specificazione, si sarebbe riferito soltanto agli appartenenti alle Forze armate dello Stato italiano, escludendo con ciò dalla competenza dei tribunali militari di pace quella categoria di cui aveva fatta espressa menzione il citato art. 6.
In effetti deve ritenersi che l'art. 103 abbia inteso riferirsi alle Forze armate dello Stato italiano; ma non per ciò é valida la illazione che se ne trae ai fini della sussistenza del denunciato contrasto.
A tal proposito é da considerare in primo luogo che la categoria dei reati contro le leggi e gli usi della guerra, sebbene sia stata oggetto, nel predetto art. 6, di un esplicito richiamo, probabilmente dovuto a qualche dubbio di interpretazione sorto nella pratica, si inquadrava anch'essa nel preesistente sistema della legge penale militare. E ciò da un lato in forza dell'art. 13 Cod. pen. mil. g., per il quale le disposizioni di questo Codice relative ai reati contro le leggi e gli usi della guerra si applicano anche ai militari e a ogni altra persona appartenente alle forze armate nemiche, quando alcuno di tali reati sia commesso a danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano, ovvero di uno Stato alleato o di un suddito di questo; e dall'altro per la natura stessa di questi reati, i quali costituiscono né più né meno che una categoria di reati militari del tempo di guerra, formante materia dell'intero titolo IV del libro terzo del Codice penale militare di guerra. Contro il sistema della legge penale militare in ordine a questo punto non v'é manifestazione concreta di sorta di quel diverso orientamento della invocata norma costituzionale, che si vorrebbe ora ravvisare nella omissione, da parte dell'art. 103 della Costituzione, di quella esplicita menzione, relativa ai reati contro le leggi e gli usi di guerra, contenuta nell'art. 6.
In secondo luogo va tenuto presente che l'art. 103, nella sua organica disciplina della materia, contiene due distinte previsioni:
l'una riguarda la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di guerra, la cui determinazione é riservata alla legge: l'altra riguarda la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace, e questa viene limitata soltanto ai reati militari commessi da militari appartenenti alle Forze armate. Per intendere lo spirito di questa disposizione, e quindi la sua estraneità ad esigenze contingenti come quelle tenute presenti dall'art. 6 del D. L. L. 21 marzo 1946, bisogna risalire all'art. 102 della Costituzione e al principio della unità della giurisdizione, che esso volle, almeno in via generale, affermare. Questo principio non fu condotto alle estreme conseguenze, e appunto l'art. 103 ne disciplina le principali eccezioni, consistenti nel mantenimento del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amministrativa (primo comma), della Corte dei conti (secondo comma), e dei Tribunali militari di guerra e di pace (terzo ed ultimo comma). In vista di questi fondamentali problemi é da ritenere che la particolarissima questione della competenza per i reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi da militari nemici non si sia neanche presentata. Ed infatti nel corso dei lavori preparatori le discussioni sorte sul significato della locuzione "appartenenti alle Forze armate" riguardano essenzialmente, in vista sempre del principio della unità della giurisdizione, le categorie di cittadini da includere oppure no nell'ambito della giurisdizione speciale, occasionalmente mantenuta.
Posto il raffronto fra la norma impugnata e la norma della Costituzione nei termini di cui innanzi, é sicuramente da escludere che l'art. 103 abbia avuto una incidenza qualsiasi sulla disposizione dell'art. 6 del citato D. L. L., la quale svolge per suo conto, e senza ledere alcun principio costituzionale, la sua efficacia, in rapporto ad una esigenza del tutto transeunte, manifestatasi nel passaggio dall'una all'altra legge militare. D'altra parte non sarebbe ravvisabile alcun ragionevole motivo a giustificazione di una contraria volontà del Costituente, la quale poi, in un sistema che mantiene - sia pure eccezionalmente -la giurisdizione dei tribunali militari, avrebbe dovuto praticamente tradursi nel sottrarre a questi, e devolvere al giudice ordinario, proprio una così speciale materia, destinata, oltre tutto, ad esaurirsi nel tempo.
É infine evidente, in forza delle considerazioni che precedono, che ogni altra questione sollevata dall'ordinanza, in rapporto all'art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale, rimane assorbita.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con ordinanza del Tribunale militare territoriale di Padova del 24 settembre 1958, sulla legittimità costituzionale dell'art. 6 del D. L. L. 21 marzo 1946, n. 144, contenente norme dirette a regolare il passaggio dall'applicazione della legge penale militare di guerra all'applicazione di quella di pace, in riferimento all'art. 103, terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1959.