SENTENZA N. 314
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 14 marzo 2002, relativa all’insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Cesare Previti nei confronti della signora Stefania Ariosto, promosso con ricorso del Tribunale di Monza – Sezione penale, notificato il 6 giugno 2003, depositato in cancelleria il 24 giugno 2003 ed iscritto al n. 24 del registro conflitti 2003.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
Nel corso di procedimenti penali riuniti, a carico del deputato Cesare Previti, imputato, in concorso con alcuni giornalisti e con il direttore responsabile di una testata giornalistica, del reato di diffamazione a mezzo stampa, per le dichiarazioni rilasciate su Stefania Ariosto e pubblicate nel periodo compreso tra il 26 maggio 1996 e il 13 dicembre 1997, il Tribunale di Monza, con atto del 26 marzo 2002, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della deliberazione del 14 marzo 2002 (doc. IV-quater, n. 22), con la quale la Camera dei deputati ha ritenuto insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, le dichiarazioni riguardo alle quali sono state formulate le imputazioni, risultanti dai fogli allegati all’atto introduttivo del conflitto; in tali dichiarazioni si fa, tra l’altro, riferimento alla Ariosto, teste in un procedimento penale nel quale il predetto deputato era coimputato, come ad una «una bugiarda calunniatrice», «un teste falso», che avrebbe inventato fatti, luoghi, tempi, persone, circostanze, prospettandosi, inoltre, la possibilità che la stessa fosse stata ricompensata da organismi pubblici con considerevoli somme di danaro o altri beni per le accuse che gli aveva rivolto, e che la sua testimonianza fosse un elemento di un impianto accusatorio costruito anche con una «inesistente intercettazione ambientale».
Secondo il Tribunale ricorrente, la descritta condotta del deputato Previti non potrebbe essere ricompresa nella previsione di cui al primo comma dell’art. 68 della Costituzione, dal momento che «non possono farsi rientrare tra gli atti tipici dell’attività di membro del Parlamento i discorsi pronunziati da un parlamentare nel proprio personale interesse e finalizzati ad ottenere – come nel caso di specie – il rigetto di una istanza di autorizzazione a procedere all’applicazione di una misura cautelare fra quelle specificate nel libro quarto, titolo primo, del codice di procedura penale». Pertanto, la deliberazione di cui si tratta avrebbe illegittimamente interferito nella sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantite, dell’autorità giudiziaria.
Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza di questa Corte n. 180 del 2003, depositata il 23 maggio 2003.
Il Tribunale di Monza ha provveduto a notificare tale ordinanza e l’atto introduttivo del giudizio innanzi a questa Corte alla Camera dei deputati in data 6 giugno 2003, depositandoli entrambi il 24 giugno 2003.
Si è costituita in giudizio, con memoria depositata il 26 giugno 2003, la Camera dei deputati, eccependo la inammissibilità e, in subordine, la irricevibilità del ricorso, e, nel merito, la infondatezza dello stesso. Sotto il primo profilo, si denuncia la assenza di una compiuta descrizione dei fatti di causa e, in particolare, del contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare di cui si tratta, emergente non già dall’atto introduttivo del giudizio, ma solo da alcuni «fogli», ritenuti di incerta natura, pervenuti alla Camera dei deputati unitamente ad esso e all’ordinanza della Corte.
Ulteriore ragione di inammissibilità viene ravvisata nella mancanza, nell’atto introduttivo del giudizio per conflitto di attribuzione – adottato nella forma della ordinanza, anziché del ricorso –, dei requisiti prescritti, con particolare riferimento alla indicazione del petitum. Infine, si lamenta che il ricorrente non abbia menzionato i parametri costituzionali nei quali si radicherebbero le sue attribuzioni.
In subordine, viene dedotta la irricevibilità dell’atto, alla luce del rilievo che la forma dell’ordinanza data allo stesso consentirebbe, in contrasto con il principio di parità tra le parti del giudizio, l’aggiramento della disposizione dell’art. 6 delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale, a tenore del quale la parte deve depositare i propri documenti in tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte e le parti.
Nel merito, la difesa della Camera conclude per il rigetto del ricorso, rilevando un inscindibile nesso funzionale tra le predette dichiarazioni e la funzione parlamentare. In proposito, si richiamano una serie di interrogazioni ed interpellanze, la prima delle quali risalente al 5 giugno 1996, facenti riferimento alla scarsa credibilità del teste Ariosto, ed aventi un contenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello delle opinioni espresse extra moenia dal deputato Previti. La difesa della Camera dei deputati, inoltre, sottolinea come la vicenda della Ariosto fosse stata discussa ampiamente in sede parlamentare in occasione della presentazione, da parte della Procura della Repubblica di Milano, il 3 settembre 1997, di un richiesta di autorizzazione a procedere all’arresto cautelare dello stesso deputato, richiesta ripresentata il 12 dicembre 1997, dopo un primo rinvio alla Procura da parte della Camera in data 18 settembre 1997. Nel corso del relativo procedimento parlamentare, il deputato Previti era stato ascoltato in data 8 gennaio 1998, ed aveva depositato una memoria scritta, tenuta poi presente dalla Giunta per le autorizzazioni, che aveva rivolto alla Camera la proposta, accolta, di diniego dell’autorizzazione all’arresto. Ed anche successivamente al predetto intervento, nel corso della discussione in assemblea sulla richiesta di autorizzazione, altri deputati avevano espresso riserve sulle testimonianze rese dalla Ariosto.
Né rileva, secondo la difesa della Camera, che i richiamati atti parlamentari tipici siano posteriori alle prime tra le dichiarazioni di cui si tratta, in quanto anche gli atti successivi alle opinioni manifestate extra moenia sarebbero utilizzabili al fine di identificare il nesso funzionale tra dichiarazioni e mandato parlamentare, ed, in ogni caso, dovrebbe ritenersi contestuale l’atto tipico che sia intervenuto in un momento non separato da soluzione di continuità da quello delle dichiarazioni.
Infine, nessuna influenza avrebbe la circostanza della mancata coincidenza tra gli autori di alcuni dei richiamati atti parlamentari tipici e l’autore delle dichiarazioni di cui si tratta, essendo evidente la utilizzabilità degli atti di altro parlamentare – in particolare, se, come nella specie, appartenente allo stesso gruppo parlamentare del deputato delle cui opinioni si discute – ai fini della ricostruzione del nesso funzionale.
Considerato in diritto1. – Il Tribunale di Monza ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata dall’Assemblea il 14 marzo 2002, con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Cesare Previti è imputato del reato di diffamazione nei confronti della signora Stefania Ariosto, nel procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Monza, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono, pertanto, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2. – Preliminarmente, deve essere confermata l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come già ritenuto da questa Corte nella ordinanza n. 180 del 2003.
3. – E’ infondata l’eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della Camera, per l’assenza, nello stesso, di una compiuta descrizione dei fatti di causa e, in particolare, del contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare di cui si tratta, emergente non già dall’atto introduttivo del giudizio, ma solo da alcuni «fogli», ritenuti di incerta natura, pervenuti alla Camera dei deputati unitamente ad esso e all’ordinanza della Corte.
E’ bensì vero che questa Corte ha recentemente affermato che va dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato con ordinanza priva di ogni riferimento agli specifici fatti per cui si procede, senza che «a colmare la lacuna della mancata descrizione della fattispecie del giudizio penale possano soccorrere gli atti del procedimento penale irritualmente trasmessi dal ricorrente, in quanto è nel solo atto introduttivo e negli eventuali documenti ad esso allegati che devono essere rinvenuti gli elementi identificativi della causa petendi e del petitum, relativi al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato» (v. ordinanza n. 129 del 2005).
Tuttavia, nella specie, il richiamato principio non è applicabile, dal momento che ognuno di quei «fogli», debitamente siglato dal giudice procedente, fa parte integrante dell’atto introduttivo del giudizio per conflitto, come emerge dalla lettura dello stesso, che vi fa espressa menzione, segnalando che si tratta dei fogli che riportano i capi d’imputazione per i quali si procede, sicché è da ritenere l’autosufficienza di tale atto agli effetti della identificazione degli elementi del giudizio.
4. – Parimenti infondata è l’altra eccezione di inammissibilità ravvisata nell’adozione della forma dell’ordinanza, anziché del ricorso, per l’atto introduttivo.
E’, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale quello secondo cui, riguardo ai conflitti proposti da una autorità giudiziaria, non ha rilievo il fatto che l’atto introduttivo abbia, anziché la forma del ricorso, quella dell’ordinanza, qualora, al di là del nomen iuris, l’ordinanza, come nella specie, possieda i requisiti di sostanza necessari per un valido ricorso (sentenze n. 193 del 2005 e n. 298 del 2004).
5. – La difesa della Camera deduce altresì la mancanza dei requisiti prescritti per l’atto introduttivo con particolare riferimento alla omessa indicazione del petitum, nonché la mancata indicazione dei parametri costituzionali nei quali si radicherebbero le attribuzioni del ricorrente.
L’eccezione di omessa precisazione del petitum va disattesa sulla base della costante giurisprudenza per la quale «va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per avere il ricorrente omesso di chiedere alla Corte una pronuncia di non spettanza alla Camera del potere in contestazione, cioè della deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare. Infatti non vi è alcuna norma – costituzionale o ordinaria – che imponga di adottare forme obbligate per proporre un conflitto di attribuzione tra poteri, essendo prevalente la sostanza della pretesa che il ricorrente introduce nel giudizio davanti alla Corte» (sentenza n. 164 del 2005). Nè rileva che le censure non abbiano investito nella sua totalità la deliberazione di insindacabilità, ma si siano concentrate su alcuni profili della medesima (v., per analoghe affermazioni, sentenza n. 146 del 2005).
Con riguardo alla mancata evocazione dei parametri costituzionali, l’eccezione deve essere respinta in quanto, nella specie, risulta chiara ed univoca la deduzione relativa alla menomazione delle attribuzioni funzionali.
6. – E’ infine infondata anche l’eccezione di irricevibilità dell’atto, per contrasto con il principio di parità tra le parti del giudizio, determinato dall’aggiramento, attraverso la forma dell’ordinanza data all’atto introduttivo, della disposizione dell’art. 6 delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale, a tenore del quale la parte deve depositare i propri documenti in tante copie in carta libera quanti sono i componenti della Corte e le parti.
L’utilizzazione della forma dell’ordinanza non implica, di per sé, l’inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 6 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, e «l’asserita violazione del citato art. 6 non risulta che abbia in alcun modo pregiudicato, o reso meno agevole, l’attività difensiva della Camera resistente. Ciò è dimostrato dal carattere meramente astratto della denunciata violazione del principio di eguaglianza e del principio di parità fra le parti del giudizio: principio che non consente di addossare oneri squilibrati alle parti di un medesimo giudizio, ma che certamente è male invocato quando si sostiene che la difesa della Camera, se ricorrente, si sobbarca all’onere di produrre numerose copie del ricorso laddove l’autorità giudiziaria, quando è ricorrente, si sottrae a tale “difficoltà materiale”. La par condicio non ha nulla a che vedere con una fattispecie che richiederebbe, nell’auspicio della difesa della Camera, una applicazione (non tanto rigorosa, quanto) rigidamente letterale dell’art. 6 citato da parte della cancelleria della Corte nel sanzionare una irregolarità formale, pur se non idonea a pregiudicare in qualsiasi modo la controparte.» (sentenza n. 193 del 2005, cit.).
7. – Nel merito, il ricorso è fondato.
Spetta a questa Corte valutare se le dichiarazioni rese dal parlamentare, di cui la Camera dei deputati ha dichiarato l’insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, siano legate da nesso funzionale con le attività svolte dallo stesso deputato nella sua qualità di membro della Camera, ed in particolare se esse siano «sostanzialmente riproduttive di una opinione espressa in sede parlamentare» (v., ex plurimis, sentenze n. 260 del 2006, n. 28 del 2005, n. 20 del 2000).
In tale indagine, non assumono rilievo – nonostante le contrarie deduzioni della difesa della Camera circa l’invocabilità di atti posteriori alle dichiarazioni, ovvero formulate da altri membri della Camera – né gli atti attribuibili ad altri parlamentari (v. sentenze numeri 193, 164 e 146 del 2005 e n. 347 del 2004), né quelli posti in essere dallo stesso deputato in data posteriore alle dichiarazioni oggetto del presente giudizio (sentenze numeri 223, 164, 146 e 28 del 2005; numeri 347 e 246 del 2004; n. 521 del 2002 e n. 289 del 1998).
La circostanza, poi, che gli altri parlamentari, ai cui atti si collegherebbero le dichiarazioni oggetto del giudizio penale, appartengano allo stesso gruppo dell’on. Previti non può influire sull’estensione della garanzia a soggetti diversi da quello cui si riferisce la delibera di insindacabilità.
Questa Corte ha recentemente affermato che «è vero che le guarentigie previste dall’art. 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori. Da questa esatta rilevazione non si può trarre tuttavia la conseguenza che […] esista una tale fungibilità tra i parlamentari iscritti allo stesso gruppo da produrre effetti giuridici sostanziali nel campo della loro responsabilità civile e penale per le opinioni espresse al di fuori delle Camere: l’art. 68, primo comma, Cost. non configura una sorta di insindacabilità del gruppo, per cui un atto o intervento parlamentare di un appartenente ad un gruppo fornirebbe copertura costituzionale per tutti gli altri iscritti al gruppo medesimo» (sentenza n. 249 del 2006).
Sulla base di tale principio deve, pertanto, escludersi la rilevanza delle interrogazioni e interpellanze presentate nei due rami del Parlamento dal 5 giugno 1996 al 14 luglio 1997 da parlamentari diversi dal deputato Previti, pur se tutte relative a valutazioni dei comportamenti della teste Stefania Ariosto.
Con riferimento poi alle prime dichiarazioni addebitate al deputato Previti, le stesse risalgono al 26 maggio 1996 e, cioè, ad un’epoca di gran lunga precedente la prima richiesta della Procura di Milano di autorizzazione all’arresto cautelare del deputato, risalente al 3 settembre, richiesta non esaminata dalla Camera perché avanzata prima che il Giudice per le indagini preliminari avesse emesso ordinanza di custodia cautelare, poi riproposta il 12 dicembre 1997 (e rigettata), ed in relazione alla quale lo stesso Previti fu ascoltato, e depositò una memoria scritta, solo in data 8 gennaio 1998.
L’indicata successione degli eventi esclude l’applicabilità dei principi enunciati nella sentenza n. 223 del 2005, che ha ritenuto coperte dalla garanzia di insindacabilità le dichiarazioni che – mentre è in corso il procedimento parlamentare, disciplinato dall’art. 18 del regolamento della Camera – il deputato destinatario della misura cautelare da autorizzare renda a proposito di essa, fuori dalla sede del Parlamento, prima di essere ascoltato dalla Giunta (o di avere altrimenti esercitato al riguardo le sue funzioni parlamentari), in quanto le stesse sono collegate alla pendenza di quel procedimento parlamentare, sì da restarne in tal senso qualificate.
In conclusione, per nessuna delle dichiarazioni rese all’esterno del Parlamento sussiste il nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare.
Le dichiarazioni del deputato Previti non rientrano, pertanto, nell’esercizio della funzione parlamentare e non sono garantite dall’insindacabilità. Conseguentemente, l’impugnata delibera della Camera dei deputati ha violato l’art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente, e deve essere annullata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che le dichiarazioni rese dal deputato Cesare Previti, oggetto del procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Monza, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 14 marzo 2002 (doc. IV-quater, n. 22).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2006.
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2006.