Sentenza n. 521/2002

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SENTENZA N.521

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Cesare                         RUPERTO                       Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 23 maggio 2000 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’onorevole Pietro Armani nei confronti del prof. Romano Prodi, promosso con ricorso del Tribunale di Roma, prima sezione civile, notificato il 13 luglio 2001, depositato in cancelleria il 20 luglio 2001 ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 2001.

  Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

  udito nella udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Franco Bile;

  udito l’avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

Con ricorso in data 27 dicembre 2000, il Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera - adottata nella seduta del 23 maggio 2000, su conforme proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere - con la quale la Camera ha dichiarato che le dichiarazioni oggetto del giudizio civile di risarcimento del danno instaurato dal prof. Romano Prodi nei confronti del deputato Pietro Armani concernono opinioni da lui espresse nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il Tribunale riferisce che con atto notificato nel marzo 2000 il prof. Prodi aveva convenuto in giudizio avanti al Tribunale il deputato Armani, la Europa di Edizioni s.p.a. e il dott. Mario Cervi, direttore responsabile del quotidiano "Il Giornale", per sentirli condannare in solido – previo accertamento della commissione del reato di diffamazione - al risarcimento dei danni derivati dalla pubblicazione sul medesimo quotidiano, in data 30 novembre 1999, di un’intervista in cui il suddetto deputato, già vice presidente dell’IRI, aveva pronunciato, a proposito del cosiddetto "affare SME", affermazioni ritenute gravemente diffamatorie secondo cui il prof. Prodi: aveva voluto vendere la SME all’ing. De Benedetti; aveva accettato un prezzo curiosamente basso; aveva trattato segretamente con De Benedetti, fin dal marzo 1985; era stato molto vago nei particolari forniti in data 24 aprile 1985 al Consiglio dell’IRI e aveva taciuto la circostanza che acquirente era De Benedetti; aveva informato i consiglieri dell’IRI solo per via telefonica; aveva convocato una conferenza stampa per porre il Consiglio di amministrazione davanti al fatto compiuto; aveva di fatto coartato il medesimo Consiglio ad approvare la vendita.

Il Tribunale riferisce ancora che la Giunta per le autorizzazioni a procedere, nel proporre la valutazione di insindacabilità di tali dichiarazioni, aveva dato rilievo: 1) ad una precedente intervista rilasciata dal deputato Armani al Corriere della Sera il 7 febbraio 1995, per manifestare le medesime opinioni, cui non era seguita alcuna iniziativa giudiziaria del prof. Prodi; 2) a precedenti dichiarazioni critiche del deputato nei confronti del prof. Prodi, con riferimento alla tentata vendita della SME, in occasione di un suo intervento in aula nel corso del dibattito sulle comunicazioni del Governo (in data 21 luglio 1998); 3) a numerosi interventi di altri deputati in discussioni alla Camera sul tema della vendita della SME ed in particolare agli interventi del deputato Bruno nella seduta del 15 maggio 1998, e dei deputati Becchetti e Garra, rispettivamente nelle sedute del 30 novembre 1999 e nella seduta della commissione permanente Affari Costituzionali del 1° dicembre 1999, che avevano fatto specifico riferimento al contenuto dell’intervista in questione.

Secondo il Tribunale, l’insindacabilità di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione, non copre, per costante giurisprudenza della Corte, tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attività politica, ma solo quelle legate da nesso funzionale con le attività svolte nella sua qualità di membro della Camera, onde oggetto di protezione non è l’attività politica del parlamentare, genericamente considerata, <<né il contesto politico>>, bensì <<l’esercizio della funzione parlamentare e delle attività consequenziali e presupposte, con la precisazione che tali funzioni devono riguardare ambiti e modi giuridicamente definiti>>.

Ne discende <<che la semplice comunanza di argomento tra la dichiarazione lesiva e le opinioni espresse in sede parlamentare non può bastare ad estendere alla prima l’immunità che copre la seconda>>, in quanto il significato del nesso funzionale tra dichiarazione ed attività parlamentare si deve cogliere nella <<identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare>>, onde <<il problema specifico della riproduzione, all’esterno degli organi parlamentari, di dichiarazioni già rese nell’esercizio di funzioni parlamentari>> può dar luogo ad insindacabilità <<solo ove sia riscontrabile una corrispondenza sostanziale di contenuti con l’atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche>>.

Sulla base di questi principi, il Tribunale censura la delibera di insindacabilità, sostenendo in particolare che nessuna rilevanza può riconoscersi alle circostanze prima ricordate, in quanto: a) la precedente intervista, di analogo contenuto, rilasciata dal deputato Armani il 7 febbraio 1995, contiene una manifestazione di pensiero non inerente alla funzione parlamentare; b) l’intervento in aula del deputato Armani, nel corso del dibattito sulle comunicazioni del Governo (il 21 luglio 1998), seppure svolto in ambito e modi propri della funzione parlamentare, manca del requisito dell’identità sostanziale di contenuto con l’opinione manifestata nella sede esterna, con la quale ha soltanto una mera comunanza di tema; c) gli altri interventi, nelle discussioni alla Camera, peraltro di deputati diversi dal deputato Armani e talora successivi all’intervista, hanno contenuto generico ed approssimativo.

Il ricorrente ritiene pertanto che le dichiarazioni dal deputato Armani non siano state rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari, onde – non essendo per esse invocabile l’immunità di cui all’articolo 68, primo comma, della Costituzione - la deliberazione di insindacabilità deve essere annullata.

La Camera dei deputati si è costituita eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.

Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 250 del 2001.

Nell’imminenza dell’udienza, la Camera ha depositato una memoria illustrativa in cui specifica che l’inammissibilità del ricorso discenderebbe dal mancato deposito, da parte del ricorrente, della delibera di insindacabilità e dalla mancata richiesta di una pronunzia di non spettanza alla Camera della valutazione contenuta nella delibera stessa e del suo conseguente annullamento.

Nel merito la memoria enuncia le ragioni per le quali sarebbero rilevanti sia il complessivo <<contesto parlamentare>>, sia in particolare l’attività svolta da altri deputati appartenenti allo stesso gruppo cui è iscritto il deputato Armani.

Considerato in diritto

1. – Il conflitto di attribuzione, sul quale questa Corte è chiamata a decidere, è stato promosso dal Tribunale di Roma nei confronti della Camera dei deputati ed investe la deliberazione con cui l’Assemblea, nella seduta del 23 maggio 2000, ha dichiarato che le dichiarazioni oggetto del giudizio civile di risarcimento del danno instaurato dal prof. Romano Prodi nei confronti del deputato Pietro Armani concernono opinioni da questi espresse nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Dal ricorso risulta che le espressioni ritenute diffamatorie erano contenute in un’intervista pubblicata dal quotidiano "Il Giornale" il 30 novembre 1999, nella quale il deputato, già vice-presidente dell’IRI, aveva affermato che il prof. Prodi, nella qualità di presidente dell’Istituto, aveva voluto vendere la SME all’ing. De Benedetti; aveva accettato un prezzo curiosamente basso; aveva trattato segretamente con De Benedetti, fin dal marzo 1985; era stato molto vago nei particolari forniti in data 24 aprile 1985 al Consiglio di Amministrazione dell’IRI e aveva taciuto la circostanza che acquirente era De Benedetti; aveva informato i consiglieri dell’IRI solo per via telefonica; aveva convocato una conferenza stampa per porre il Consiglio di Amministrazione davanti al fatto compiuto; aveva di fatto coartato il Consiglio ad approvare la vendita.

2. – Secondo la Camera, il ricorso sarebbe inammissibile per il mancato deposito, da parte del Tribunale, della deliberazione impugnata.

L’eccezione non è fondata.

In tema di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, il ricorso, con l’ordinanza che lo ha dichiarato ammissibile, deve essere notificato agli organi interessati (articolo 37, commi 3 e 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87, <<Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale>>) e poi (articolo 26, comma 3, delle <<Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale>>) depositato nella cancelleria della Corte, entro venti giorni dall’ultima notificazione, <<con la prova delle notificazioni eseguite>>.

Tale deposito, fatto dal ricorrente, apre – secondo la costante giurisprudenza della Corte - la seconda fase del procedimento, senza ulteriori oneri di attività a suo carico.

Del resto, il ricorso del Tribunale ha ampiamente riportato il contenuto della delibera impugnata, ed altrettanto ha fatto la Camera nelle proprie memorie, con le quali sono stati depositati gli atti parlamentari in esse richiamati.

3. – Secondo la Camera, il ricorso sarebbe ulteriormente inammissibile perché in esso mancherebbe la richiesta di una pronunzia della Corte che dichiari la non spettanza alla Camera della <<valutazione contenuta nella deliberazione impugnata e che annulli quest’ultima>>.

L’eccezione non è fondata, in quanto nel ricorso il Tribunale afferma che la Corte <<è chiamata a controllare la correttezza sul piano costituzionale della pronunzia di insindacabilità>> e chiede che la Corte <<annulli la deliberazione>>.

4. – Nel merito il ricorso è fondato.

Questa Corte ha più volte affermato che il <<nesso funzionale>> tra la dichiarazione resa extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento esiste se ed in quanto la dichiarazione possa essere identificata come <<divulgativa all’esterno di attività parlamentari>>, ossia se ed in quanto esista una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni già espresse, o contestualmente espresse, nell’esercizio di funzioni parlamentari tipiche, non essendo sufficiente una mera comunanza di argomenti (da ultimo, sentenza n. 294 del 2002).

Nella specie, la Camera dei deputati – a sostegno della tesi secondo cui le dichiarazioni del deputato Armani presenterebbero una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari tipiche - richiama precedenti dichiarazioni con cui il deputato aveva espresso critiche nei confronti del prof. Prodi, con riferimento alla tentata vendita della SME, nonché numerosi interventi di altri parlamentari sul medesimo tema.

Nessuno di tali atti è idoneo a conferire alle dichiarazioni in esame l’insindacabilità garantita dal primo comma dell’articolo 68 della Costituzione.

5. – Quanto agli atti compiuti dal medesimo deputato Armani, l’intervista pubblicata dal quotidiano <<Il Corriere della sera>> il 7 febbraio 1995 (oltre quattro anni prima di quella oggetto del giudizio pendente dinanzi al Tribunale) sicuramente non costituisce <<attività parlamentare tipica>>.

Dal canto loro, le dichiarazioni pronunziate in Aula il 21 luglio 1998, in sede di dibattito sulle comunicazioni del Governo, pur presentando tale carattere, hanno con quelle rese nell’intervista del 1999 una mera comunanza di argomento, non certo una sostanziale corrispondenza di significato.

In esse infatti il deputato Armani si riferisce al prof. Prodi ed alla tentata vendita della SME, dichiarando che <<in fatto di diritto il presidente Prodi ha dei precedenti all’IRI: ricordo il caso della dismissione della SME, che certamente non rappresenta una medaglia al valore della sua gestione>>. Questa dichiarazione ha un contenuto generico, perché non menziona nessuna delle molte circostanze specificate nell’intervista, concernenti non solo il risultato finale cui l’operazione relativa alla SME tendeva, ma soprattutto il comportamento che sarebbe stato concretamente tenuto dal presidente dell’IRI per incidere sul Consiglio di amministrazione, in vista del raggiungimento di quel risultato.

Infine l’interrogazione presentata dal deputato Armani il 3 ottobre 1996 concerne non la SME, ma la società Nomisma, che avrebbe dato luogo a <<forme di distorsione della concorrenza (…) grazie all’influenza del nome del suo fondatore, Prodi>>.

6. – I rimanenti atti parlamentari richiamati dalla Camera non sono stati compiuti dal deputato Armani, ma da altri deputati.

A prescindere dal problema se, ai fini dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare possano essere ritenute insindacabili sotto il profilo della loro sostanziale corrispondenza di significato con opinioni espresse da altri parlamentari, appartenenti allo stesso o a diverso gruppo, nessuna delle dichiarazioni evocate dalla Camera dei deputati (quali risultano dalla documentazione in atti) presenta siffatta corrispondenza.

Alcuni parlamentari hanno bensì manifestato valutazioni negative circa la convenienza economica dell’operazione relativa alla SME, ma in termini generici e senza enunciare nessuna delle circostanziate affermazioni contenute nell’intervista.

Altri deputati si sono limitati a richiamare il contenuto dell’intervista già resa, la quale, quindi, non può avere avuto carattere divulgativo delle loro dichiarazioni.

Solo il deputato Cardiello, in una serie di interrogazioni presentate tra il 3 ed il 26 febbraio 1997, si è soffermato sulle stesse circostanze poi enunciate nell’intervista dal deputato Armani. Però, il cospicuo intervallo temporale fra tali interrogazioni e l’intervista, nonché il silenzio sulle interrogazioni, serbato dall’intervistato, inducono a ritenere che egli non abbia divulgato opinioni già espresse in Parlamento oltre due anni prima, ma riferito fatti da lui appresi come vice-presidente dell’IRI, non senza doversi comunque considerare che tali interrogazioni non sono state richiamate dalla Camera nella delibera di insindacabilità.

7. – Deve quindi concludersi che la Camera dei deputati, votando l’insindacabilità delle dichiarazioni di cui si tratta, ha violato l’articolo 68, primo comma, della Costituzione, ed ha leso le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i fatti per i quali è in corso presso il Tribunale di Roma il giudizio civile per risarcimento del danno proposto dal prof. Romano Prodi contro il deputato Pietro Armani ed altri, di cui al ricorso in epigrafe, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, conseguentemente, la deliberazione in tal senso adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 23 maggio 2000.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2002.