SENTENZA N. 175
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 420, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1995 dal Tribunale di Livorno nel procedimento penale a carico di Berti Pasquale ed altri, iscritta al n. 728 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di costituzione di Berti Pasquale nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 5 marzo 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;
udito l'avvocato Tullio Padovani per Berti Pasquale e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. -- Il Tribunale di Livorno, con ordinanza del 26 giugno 1995, ha sollevato, su eccezione dei difensori degli imputati, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 420, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede nel caso di assenza del difensore per legittimo impedimento il rinvio dell'udienza preliminare.
2. -- In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta come tutti i difensori che hanno formulato l'eccezione di legittimità avevano dedotto e documentato davanti al Giudice per le indagini preliminari, il proprio legittimo impedimento a presenziare all'udienza per concomitanti impegni professionali e che il Giudice, pur non escludendo la legittimità degli addotti impedimenti, non aveva concesso il rinvio per l'ostacolo derivante dalla norma denunciata; un'interpretazione assolutamente corretta prevedendo l'art. 420, comma 3, in caso di assenza del difensore, la designazione di altro difensore. Con la conseguenza che ove la Corte dovesse ritenere illegittima la norma in contestazione il Tribunale dovrebbe dichiarare la nullità dell'udienza preliminare e del decreto che ha disposto il giudizio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 179, comma 1, dello stesso codice.
3. -- In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che l'udienza preliminare, pur assolvendo principalmente una funzione di controllo sull'esercizio dell'azione penale, può anche svolgere una funzione ulteriore nell'ambito della quale possono collocarsi "ampi e significativi interventi della difesa", in relazione sia alla scelta del rito abbreviato sia alla deduzione di nullità relative non deducibili in giudizio, sia, infine, all'anticipata assunzione della prova, a norma degli artt. 392 e seguenti del codice di procedura penale (v. sentenza n. 77 del 1994).
Dunque, conclude il giudice a quo, dalla mancata partecipazione all'udienza preliminare del difensore legittimamente impedito possono discendere gravi pregiudizi per l'imputato, così da rendere irragionevole la mancata applicazione, anche con riferimento a tale udienza, dell'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale. Con conseguenti, impliciti riverberi anche quanto alla conformità della norma denunciata all'art. 3 della Costituzione.
4. -- Si è costituita la parte privata Berti Pasquale rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Lorenzoni, Tullio Padovani e Natale Giallongo, chiedendo che la questione sia dichiarata ammissibile e fondata.
5. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domandando il rigetto della questione.
Rileva l'Avvocatura che, conformemente all'art. 2, numero 77, della legge-delega n. 81 del 1987, l'art. 420 del codice di procedura penale preclude l'applicabilità, per il caso di impedimento del difensore, dell'art. 486, comma 5, dello stesso codice, norma riferibile esclusivamente al dibattimento. D'altro canto, la tutela costituzionale del diritto di difesa non si estende fino a garantire che l'imputato debba sempre essere assistito da un difensore di fiducia.
La diversità fra udienza preliminare e dibattimento rende, quindi, non irragionevole la diversa misura della tutela predisposta dal legislatore.
Tale diversità, peraltro, sembrerebbe non così evidente nel caso in cui, attraverso l'utilizzazione dei riti di deflazione del dibattimento, il processo venga definito davanti al giudice per le indagini preliminari; il tutto senza che peraltro le due situazioni abbiano a identificarsi.
Nel caso di giudizio abbreviato vi è una profonda distinzione quanto al regime di utilizzabilità delle prove e quanto al ruolo della difesa in relazione ad una decisione da adottarsi allo stato degli atti senza contraddittorio.
Nel caso del patteggiamento, poi, provenendo la scelta "esclusivamente" dall'imputato e, per giunta, nei limiti dell'accordo, non sembra che dalla mancanza del difensore di fiducia possa derivare alcuna lesione del diritto di difesa.
Considerato in diritto
1. -- Il Tribunale di Livorno dubita, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, della legittimità dell'art. 420, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede, nel caso di assoluta impossibilità del difensore di comparire determinata da un legittimo impedimento, il rinvio dell'udienza preliminare. Il diritto di difesa dell'imputato risulterebbe vulnerato sotto il profilo dell'assistenza tecnica, tenuto con-to delle significative attività difensive che sono esplicabili in tale sede, riguardanti, oltre che gli epiloghi propri dell'udienza preliminare, rilevanti iniziative pro-cessuali per le quali è altrettanto determinante il ruolo del difensore, quali la scelta del rito abbreviato, la deduzione di questioni di nullità non più proponibili dopo il rinvio a giudizio, la richiesta di incidente probatorio. Pur non menzionando esplicitamente l'art. 3 della Costituzione, il giudice a quo prospetta anche una possibile le-sione del principio di uguaglianza, per il diverso trattamento riservato all'impedimento del difensore in sede dibattimentale dall'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale.
A ben vedere, anzi, quest'ultimo parametro viene ad assumere nella verifica di costituzionalità valore integrativo rispetto al primo, non foss'altro perché il diritto di difesa risulterebbe compromesso solo dalla mancata previsione, anche nella fase dell'udienza preliminare, dell'applicazione dell'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale.
2. -- La questione non è fondata.
Poiché il giudice a quo, pur denunciando l'art. 420, comma 3, del codice di procedura penale, ha di mira l'applicazione dell'art. 486, comma 5, dettato per il legittimo impedimento del difensore nella fase del dibattimento, appare necessario individuare, anzitutto, l'esatto valore prescrittivo di tale disposizione. Il detto precetto è stato introdotto in attuazione della direttiva di cui all'art. 2, numero 77, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che prescrive l'"obbligo di sospendere o rinviare il dibattimento quando risulti che l'imputato o il difensore sono nell'assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento".
L'originaria previsione, che si riferiva al solo imputato, venne estesa al difensore a seguito di un emendamento presentato dal Sen. Leone nella seduta pomeridiana dell'Assemblea del Senato del 20 novembre 1986, e, come risulta dai lavori preparatori della legge di delegazione, venne giustificata con l'esigenza di potenziamento del ruolo della difesa in un modello processuale di tipo accusatorio (v. in particolare l'intervento del Sen. Gallo nella seduta Ass. Senato del 21 novembre 1986).
Già la genesi di quello che sarebbe poi divenuto l'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale, dimostra, dunque, come lo specifico rilievo attribuito all'impedimento del difensore nel corso del dibattimento è del tutto conseguente all'autonomia che, in un processo accusatorio, è riservata alle parti nell'attività di individuazione ed elaborazione della prova. In un simile contesto sistematico, le richieste di ammissione della prova, l'esame diretto e la stessa discussione sul valore delle prove assunte nel dibattimento presuppongono una conoscenza della vicenda processuale che non può essere improvvisata, né potrebbe essere "supplita" (comunque impropriamente) dai circoscritti poteri di iniziativa probatoria del giudice, ignaro, di norma, del contenuto del fascicolo del pubblico ministero, da cui riceve impulso l'istruzione dibattimentale.
Il tutto secondo un'interpretazione affermata dalla Corte di cassazione, nel senso che il nuovo sistema presuppone che il difensore partecipi attivamente al dibattimento, ditalché "l'effettività della difesa - non ridotta a una mera formale presenza di un tecnico del diritto pur se non in grado, per mancanza di significativi rapporti con le parti, di padroneggiare il materiale di causa - è condizione per la validità dello stesso rapporto processuale" (Cass., Sez. un., 27 marzo 1992, Fogliani).
3. -- Diversa è la funzione delle parti, e quindi anche del difensore, nell'udienza preliminare.
Questo momento processuale, infatti, è stato concepito per dare ingresso a un contraddittorio orale sulla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero.
Nell'udienza preliminare, le parti sono chiamate, rispettivamente, a sostenere o contrastare la richiesta di giudizio sulla base dei risultati dell'attività di indagine preliminare, la cui documentazione è integralmente (v. sentenza n. 145 del 1991) depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice unitamente all'atto di esercizio dell'azione penale (art. 416, comma 2, del codice di procedura penale).
Un'attività, dunque, che si caratterizza in senso riduttivo rispetto a quella dibattimentale, non solo perché si risolve in una discussione sul significato e sulla concludenza di elementi di "prova" pre-formati, ma perché, come più volte ribadito da questa Corte, anche dopo la caduta della regola dell'"evidenza" originariamente inserita nell'art. 425 del codice di procedura penale, essa è funzionale a una decisione comunque di natura "processuale" (sentenza n. 71 del 1996), la quale non esprime "valutazioni sul merito dell'accusa", ma sulla "domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero" (ordinanza n. 24 del 1996).
4. -- Non è certamente controvertibile che nell'udienza preliminare, ed in molti altri momenti processuali, possano essere svolti, come osserva il giudice a quo, "ampi e significativi interventi della difesa"; ma, a ben vedere, questi non sono strettamente riferibili alla funzione propria di tale udienza, potendo semmai trovare in essa occasione.
Ciò appare evidente per alcuni degli esempi formulati dal giudice rimettente - peraltro, riferibili a situazioni non rilevanti nel processo a quo - come quelli relativi alla deduzione di nullità o alla richiesta di incidente probatorio. Ma, anche relativamente alle scelte verso i procedimenti speciali, va detto che esse non derivano, di norma, dagli sviluppi dell'udienza preliminare, sebbene dalla valutazione della consistenza dei risultati delle indagini e dalle prospettive circa l'esito di un eventuale giudizio di merito; tanto che, mentre il patteggiamento non riceve una preferenziale collocazione normativa in tale fase del procedimento (v. artt. 446 e 447 del codice di procedura penale), la richiesta di giudizio abbreviato può essere proposta anche prima dell'udienza preliminare (art. 439, comma 1, del codice di procedura penale), e, quindi, essere espressa da un imputato posto in grado di ricevere, a tal fine, una tempestiva consulenza dal proprio difensore. La possibilità che sia l'attività dell'udienza preliminare a influenzare la scelta verso il rito abbreviato si verifica nell'ipotesi particolare della assunzione di "sommarie informazioni ai fini della decisione" (art. 422 del codice di procedura penale), che rappresenta però una evenienza solo possibile, e per la quale non si applicano comunque le metodiche dell'esame diretto dibattimentale, decisive - come si è detto - per l'introduzione nel nostro sistema dell'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale.
5. -- L'esigenza che, nel corso del processo, all'imputato (e, ancor prima, nei casi previsti dalla legge, alla persona sottoposta alle indagini) sia costantemente assicurata l'assistenza difensiva non implica che sempre e comunque tale assistenza debba essere prestata dal difensore precedentemente nominato, essendo ragionevole che il legislatore, in relazione alla importanza della sede processuale e ai concreti contenuti in cui si sostanzia l'attività del difensore, operi un bilanciamento tra l'interesse dell'assistito alla presenza del difensore fiduciario e l'interesse pubblico alla speditezza del processo.
Né la legge processuale né, tantomeno, la Costituzione assicurano incondizionatamente all'imputato il diritto di essere assistito da un determinato difensore: se ciò fosse, non potrebbe farsi mai ricorso, in qualunque fase o momento del procedimento, alla sostituzione del difensore non comparso (art. 96, comma 4, del codice di procedura penale).
Perciò, fermo restando il principio, insistentemente evocato da questa Corte, che il diritto di difesa deve essere inteso come potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti, così da fare assumere a tale diritto un'importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale (v., già la sentenza n. 46 del 1957), è pacifico che le modalità del suo esercizio sono regolate secondo le speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, senza che le modalità stesse feriscano e menomino l'esistenza del diritto allorché di esso vengano assicurati lo scopo e la funzione (v., sentenze n. 46 del 1957, n. 16 del 1970, 126 del 1971, 125 del 1972, 150 del 1972, 119 del 1974). L'effettività del diritto non comporta, quindi, che il suo esercizio debba essere disciplinato in modo identico in ogni tipo di procedimento o in ogni fase processuale; anzi la modulabilità delle forme e dei contenuti in cui si articola il diritto di difesa in relazione alle caratteristiche dei singoli procedimenti o delle varie fasi processuali è stata costantemente ritenuta da questa Corte legittima espressione della discrezionalità legislativa (v., da ultimo, sentenze n. 220 e n. 48 del 1994).
6. -- D'altra parte, il risalto dato dal legislatore al ruolo del difensore nel dibattimento non è influenzato dalla particolare natura - fiduciaria od officiosa - della difesa tecnica, in quanto l'istituto disciplinato dal comma 5 dell'art. 486 del codice di procedura penale opera quale che sia la derivazione - privata o pubblica - della investitura difensiva. Da ciò può desumersi che la ratio di tale istituto si identifica esclusivamente nella esigenza di assicurare un'assistenza difensiva "informata", in relazione all'indefettibile e insostituibile ruolo che in questa fase processuale è assegnato, come sopra ricordato, all'iniziativa delle parti.
7. -- Ma una simile esigenza di informata difesa non è estranea ad alcuna occasione in cui il difensore è chiamato a svolgere la sua funzione. Questa funzione, tutelata dall'art. 24 della Costituzione, non potrebbe dirsi veramente assolta se non fosse "effettiva", e cioè esercitata con conoscenza di causa.
E' questo, certamente, il limite invalicabile entro il quale il diritto di difesa può essere adattato dal legislatore alle varie evenienze procedurali.
Ne deriva che, in ogni caso, e a seconda delle peculiarità delle singole fattispecie, al difensore, sia esso quello già in precedenza nominato sia esso quello officiato ad hoc, deve essere assicurata una adeguata possibilità di comprensione e approfondimento del thema decidendum, in modo che ogni iniziativa che valga a contrastare la tesi accusatoria e a produrre risultati favorevoli all'assistito possa essere concretamente ed efficacemente dispiegata.
8. -- Al di fuori dello scenario dibattimentale, resta dunque fermo che il legittimo impedimento del difensore, se non determina necessariamente il rinvio dell'incombente processuale per il quale sia prevista, come nell'udienza preliminare, la presenza necessaria del difensore, impone comunque che - come già a suo tempo affermato da questa Corte in un contesto ordinamentale in cui l'impedimento del difensore non riceveva specifica considerazione nemmeno per il dibattimento (sentenza n. 177 del 1972; v. anche ordinanza n. 51 del 1989) - non possa "essere negato al difensore d'ufficio" (ora, sostituto del difensore non comparso) "nominato statim in luogo di quello di fiducia" (o di quello precedentemente nominato d'ufficio), "che non si presenti, un congruo termine per lo studio degli atti e la preparazione della difesa, pena la nullità assoluta di cui all'art. 185, numero 3, del codice di procedura penale" (art. 178, comma 1, lettera c, del codice di procedura penale vigente).
Una simile conclusione è del tutto in linea anche con la più recente giurisprudenza costituzionale, per la quale spetta "al giudice di regolare le modalità di svolgimento dell'udienza preliminare anche attraverso differimenti congrui alle singole, concrete fattispecie, sì da contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio" (sentenza n. 16 del 1994), di cui è componente essenziale la difesa tecnica.
Ad analoga ratio, del resto, risponde l'art. 108 del codice di procedura penale, che, tra l'altro, nel caso di abbandono della difesa, prevede l'assegnazione di un termine congruo (di norma non inferiore a tre giorni) al nuovo difensore dell'imputato o a quello designato in sostituzione che ne faccia richiesta "per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento".
Tale considerazione da parte del giudice della esigenza di assicurare l'effettività della difesa è, naturalmente, tanto più doverosa quanto più la natura delle imputazioni o lo stesso svolgimento dell'udienza preliminare (ad esempio, in relazione all'evenienza di nuove contestazioni, o alla decisione del giudice di procedere a sommarie informazioni) implichi un'attività defensionale di particolare impegno.
9. -- Le considerazioni sopra esposte conducono dunque a ritenere infondata la proposta questione di costituzionalità, in riferimento ad entrambi i parametri invocati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 420, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Livorno con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.