Sentenza n. 145 del 1991

 

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SENTENZA N. 145

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 416, comma secondo, del codice di procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bergamo nel procedimento penale a carico di Giovanni Linzola iscritta al n. 727 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49 prima serie speciale dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo chiedeva, in data 13 giugno 1990, il rinvio a giudizio di Giovanni Linzola e Giovanni Paolo Codazzi, imputati del reato di detenzione di sostanze stupefacenti. Successivamente, il giudice per le indagini preliminari segnalava al p.m. la mancanza nel fascicolo trasmesso di alcuni atti processuali (fra i quali quelli relativi ad un ricorso per Cassazione avanzato dallo stesso p.m.) e restituiva il fascicolo medesimo al p.m. sollecitandone l'integrazione. Questi con propria missiva del 5 luglio 1990 respingeva la richiesta sostenendo che l'elencazione degli atti da inserire nel fascicolo a cura del p.m. è dettagliatamente prevista dall'art. 416, secondo comma, c.p.p. e che essa non contiene l'obbligo di trasmettere al giudice per le indagini preliminari l'intero fascicolo processuale. Il p.m. motivava il diniego richiamandosi anche al ruolo che il giudice per le indagini preliminari dovrebbe svolgere nell'udienza preliminare: poiché tale ruolo dovrebbe ritenersi limitato ad un "giudizio di rito", cioè alla valutazione del corretto esercizio dell'azione penale, non sarebbe necessaria da parte di tale giudice la cognizione piena del processo.

Nel corso dell'udienza preliminare, le parti richiedevano l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ma il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza emanata il 15 ottobre 1990 (r.o. n. 727/90), ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 416, secondo comma, c.p.p. in relazione agli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione.

Secondo tale ordinanza la norma impugnata - nell'interpretazione seguita dal p.m., a cui lo stesso giudice a quo dichiarava di adeguarsi - sarebbe in contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto consentirebbe al p.m. di sottrarre taluni atti al contraddittorio con la difesa, violando così il diritto dell'imputato a conoscere tutti gli elementi a proprio carico e discarico, emersi nel corso delle indagini preliminari. Nonostante che la mancata trasmissione di un atto comporti la sua inutilizzabilità nelle successive fasi del giudizio, l'imputato non sarebbe, comunque, posto in grado di conoscere eventuali elementi contrastanti con l'accusa, da utilizzare, nel corso dell'udienza preliminare, anche ai fini della scelta di riti alternativi.

La norma impugnata violerebbe altresì gli artt. 101 e 102 Cost. poiché il potere del p.m. di negare la trasmissione di alcuni atti processuali limiterebbe la cognizione del giudice in modo incompatibile con le attribuzioni proprie dell'organo giudicante, dal momento che lo stesso giudice si troverebbe nelle condizioni di assumere delle decisioni (ad es. sul rinvio a giudizio, sulla libertà personale, sui riti alternativi), senza la certezza di aver valutato tutto il materiale raccolto, eventualmente utile alla questione stessa.

2. - Nel giudizio ha spiegato intervento l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.

Secondo la difesa dello Stato, la questione in esame trarrebbe origine da una interpretazione errata della norma impugnata. Invero, sia dal combinato disposto degli artt. 416, secondo comma, c.p.p. e 130, disp. att. c.p.p., sia dai lavori preparatori emergerebbe chiaramente che il p.m. risulta tenuto alla trasmissione integrale del fascicolo delle indagini con la sola eccezione degli atti che concernano imputati diversi o imputazioni diverse da quella per cui viene esercitata l'azione penale.

L'intento del legislatore di rendere chiara la doverosità di una "discovery" integrale fin dall'udienza preliminare - sempre ad avviso dell'Avvocatura - risulterebbe palese sia dall'espressione usata nell'art. 416, secondo comma, c.p.p., ("documentazione relativa alle indagini espletate"), sia dalla indicazione specifica della pertinenza al fascicolo di atti che precedono l'attività di indagine (es. "notizie di reato") o che non si riferiscono direttamente all'attività investigativa del p.m. (es. "verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari"). Pertanto la sottrazione di atti dal fascicolo da trasmettere al giudice per le indagini preliminari da parte del p.m., salvo i casi specificamente previsti nell'art. 130 disp. att. c.p.p., sarebbe un comportamento illegittimo, idoneo a determinare una nullità ex art. 178, primo comma, lett. c) del c.p.p.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di costituzionalità in esame investe l'art. 416, secondo comma, del codice di procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447), dove si dispone che con la richiesta di rinvio a giudizio il pubblico ministero trasmette al giudice per le indagini preliminari "il fascicolo contenente la notizia del reato, la documentazione relativa alle indagini espletate ed i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato e le cose pertinenti il reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove".

Ad avviso del giudice remittente, la disposizione in questione - ove risulti interpretata nel senso che dalla stessa non discende un obbligo per il p.m. di mettere a disposizione del giudice per le indagini preliminari, ai fini dello svolgimento dell'udienza preliminare, l'intero fascicolo processuale - dovrebbe ritenersi incostituzionale per violazione: a) dell'art. 24 Cost., in quanto consentirebbe al p.m. di sottrarre al contraddittorio atti utilizzabili dalla difesa anche ai fini della scelta di un rito alternativo; b) degli artt. 101 e 102 Cost., in quanto limiterebbe indebitamente le attribuzioni spettanti all'organo giudicante, costringendo il giudice dell'udienza preliminare ad assumere le proprie determinazioni senza la certezza della conoscenza di tutto il materiale raccolto, utile ai fini della decisione.

2. - La questione non è fondata.

Ad avviso del giudice remittente la norma impugnata non determinerebbe a carico del p.m. l'obbligo di trasmettere al giudice dell'udienza preliminare l'intera documentazione relativa agli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, consentendo allo stesso p.m. un potere di scelta degli atti da trasmettere ai fini del sostegno della domanda di rinvio a giudizio.

Questa interpretazione non può essere accolta, dal momento che la norma impugnata - nel fare riferimento sia, in generale, alla "documentazione relativa alle indagini espletate" sia, in particolare, a taluni atti (quali quelli relativi alla notizia del reato ed ai verbali raccolti dal giudice per le indagini preliminari) - pone a carico del p.m. l'obbligo di trasmettere al giudice dell'udienza preliminare tutti gli atti attraverso cui l'indagine preliminare si è sviluppata e che concorrono a formare il fascicolo processuale nella sua interezza.

A dare fondamento a tale lettura della norma concorrono - oltre ai lavori preparatori, dove il contenuto del fascicolo da trasmettere con la richiesta di rinvio a giudizio viene indicato con riferimento all'"intera documentazione degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero" (cfr. Relazione al progetto preliminare, pag. 226, sub art. 413) - numerosi e convergenti elementi di ordine sistematico, da cui è possibile desumere che la scelta operata su questo punto dal legislatore è stata nel senso di una "discovery" piena, fin dall'udienza preliminare, degli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari.

A questo proposito va, in primo luogo, sottolineato che la disciplina espressa dalla norma impugnata trova il suo completamento nell'art. 130, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, secondo cui, quando gli atti dell'indagine preliminare riguardano più persone o più imputazioni, "il pubblico ministero forma il fascicolo previsto dall'art. 416, comma secondo, del codice, inserendovi gli atti ivi indicati per la parte che si riferisce alle persone ed alle imputazioni per cui viene esercitata l'azione penale". Questa previsione - se rappresenta una deroga all'obbligo generale che l'art. 416, secondo comma, pone a carico del p.m. - non conferisce allo stesso p.m. un potere discrezionale in ordine alla formazione del fascicolo da trasmettere al giudice dell'udienza preliminare, dal momento che la separazione dei fascicoli viene dalla norma collegata non ad un potere di scelta del p.m., ma all'esigenza oggettiva di procedere alla separazione dei processi in relazione all'esistenza di diversi imputati o di diverse imputazioni.

In secondo luogo, va aggiunto il richiamo alla disposizione formulata nel terzo comma dell'art. 419 dove, con riferimento agli atti introduttivi dell'udienza preliminare, si prevede che il giudice, nel dare comunicazione al p.m. dell'avviso relativo a tale udienza, inviti lo stesso p.m. "a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio". Anche questa norma concorre a sottolineare l'esigenza che la documentazione da sottoporre al vaglio dell'udienza preliminare non presenti lacune così da consentire al giudice ed alle parti una conoscenza piena di tutte le attività istruttorie fino a quel momento espletate.

Occorre, infine, tener presente la disciplina formulata negli artt. 431 e 433 c.p.p. ai fini della formazione del fascicolo per il dibattimento e del fascicolo del p.m. Tale disciplina conferisce al giudice delle indagini preliminari il potere di formulare le "prescrizioni" che devono guidare, dopo l'adozione del decreto che dispone il giudizio, la formazione da parte della cancelleria del fascicolo per il dibattimento, nel quale vengono raccolti gli atti elencati nell'art. 431, mentre gli atti diversi da quelli previsti dall'art. 431, insieme agli atti acquisiti nell'udienza preliminare ed al verbale dell'udienza, vengono trasmessi al p.m. ai fini della formazione del suo fascicolo. Anche da queste disposizioni risulta convalidata la tesi della completezza del fascicolo di cui il giudice per le indagini preliminari deve disporre ai fini dello svolgimento dell'udienza preliminare. Il fascicolo per il dibattimento, di cui all'art. 431, ed il fascicolo del p.m., di cui all'art. 433, raccolgono, infatti, l'intera documentazione assunta fino alla data del decreto che dispone il giudizio (non prevedendo la disciplina del processo la presenza di ulteriori fascicoli), ma tale documentazione non può non essere conosciuta dal giudice nella sua integralità, ove si voglia garantire allo stesso il potere, previsto dalla legge, di impartire, dopo il rinvio a giudizio, le "prescrizioni" volte a indirizzare la cancelleria sia ai fini della formazione del fascicolo per il dibattimento che ai fini della trasmissione degli atti residui al p.m.

3. - Una volta riconosciuto che l'art. 416, secondo comma, c.p.p., nella sua corretta lettura, non conferisce al p.m. un potere di scelta degli atti da trasmettere al giudice per le indagini preliminari insieme con la richiesta di rinvio a giudizio, imponendo allo stesso p.m. l'obbligo di trasmettere l'intera documentazione raccolta nel corso delle indagini, vengono a cadere le censure formulate con l'ordinanza di rimessione in riferimento sia all'art. 24 che agli artt. 101 e 102 Cost. La trasmissione dell'intero fascicolo processuale da parte del p.m. comporta, infatti, da un lato, che nessun atto inerente alle indagini espletate fino all'udienza preliminare possa essere sottratto alla piena conoscenza delle parti; dall'altro, che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla cognizione del giudice per le indagini preliminari ai fini dell'adozione delle determinazioni allo stesso spettanti.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, nei confronti dell'art. 416, secondo comma, c.p.p., in relazione agli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 20 marzo 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 5 aprile 1991.