Sentenza n. 125 del 1972

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 SENTENZA N. 125

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, delle disposizioni d’attuazione del codice di procedura civile (approvato col r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368), promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1970 dal pretore d’Orvieto nel procedimento civile vertente tra Torrini Ruggero e Del Sole Alvaro, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1972 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 2 maggio 1970 nel corso del giudizio d’opposizione all'esecuzione promosso, ai sensi dell'articolo 615 del codice di procedura civile, dal debitore esecutato Torrini Ruggero (erroneamente indicato nell'ordinanza col nome di Alessio) contro Del Sole Alvaro, il pretore d’Orvieto ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 del r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368, recante le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

Premesso in fatto che nella causa di divisione ereditaria pendente davanti al tribunale di Orvieto fra i germani Torrini, con decreto del giudice istruttore, era stato liquidato al geometra Del Sole il compenso per una consulenza tecnica di ufficio ed affermato, sotto il profilo della rilevanza, che l'eventuale declaratoria di illegittimità della norma predetta "priverebbe di ogni validità l'esecuzione intrapresa" dal creditore risolvendo "in radice il giudizio di opposizione", il pretore ha osservato che l'art. 24 delle ricordate disposizioni di attuazione sembra contrastare in primo luogo con la garanzia costituzionale della tutela dei diritti e della difesa in giudizio.

E ciò in quanto, egli assume, questa norma consentirebbe al giudice di imporre alla parte, neppur preventivamente interpellata, il pagamento del compenso, con provvedimento munito di efficacia esecutiva, senza possibilità del contraddittorio e di impugnazione.

In contrasto, poi, con l'art. 111, primo comma, della Costituzione, la norma impugnata, discostandosi dalla disciplina dettata dall'art. 135 c.p.c., non richiederebbe la motivazione del suddetto decreto, pur avente indubbio contenuio condennatorio.

L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per la non fondatezza delle questioni.

Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale ed autorevole dottrina, ha chiarito l'Avvocatura, il decreto con il quale viene liquidato il compenso al consulente tecnico, a norma dell'impugnato art. 24 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, costituisce, per il suo contenuto, per l'effetto giuridico che é destinato a produrre e per l’individuazione del destinatario dell'ordine di pagamento, un provvedimento speciale a carattere monitorio.

Ancorché immediatamente esecutorio, esso é oggetto di opposizione da parte di chiunque vi abbia interesse. Non escluderebbe, cioé, il contraddittorio, ma ne rinvierebbe lo svolgimento ad una fase successiva di contestazione, secondo modalità di difesa riconosciute conformi all'art. 24 Cost. dalla giurisprudenza di questa Corte.

Erroneamente prospettata sarebbe altresì la questione in riferimento all'art. 111, primo comma, della Costituzione.

Una corretta esegesi della norma impugnata porta a ritenere, assume l'Avvocatura, che il decreto di liquidazione del compenso deve essere motivato, sia pur succintamente, richiedendosi che il giudice determini l'ammontare di esso in ragione delle difficoltà e della durata delle indagini, tenuto conto della partecipazione del consulente alle udienze e della entità della materia controversa.

 

Considerato in diritto

 

1. - Nell'art. 24, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (approvate col r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368) é stabilito che la liquidazione del compenso al consulente tecnico é fatta con decreto del giudice che lo ha nominato. Il decreto costituisce titolo esecutivo contro la parte a carico della quale é posto il pagamento.

Nel secondo comma é previsto che il compenso é commisurato alle difficoltà e durata delle indagini, tenuto conto della partecipazione del consulente alle udienze e dell'entità della materia controversa ed osservate le tariffe esistenti approvate dalla legge.

Dopo aver richiamato l'art. 135, terzo comma, del codice di procedura civile, nel quale é disposto che il decreto non é motivato salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge, il pretore di Orvieto ha denunziata l'illegittimità della norma di attuazione sopramenzionata in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione: sotto un primo profilo, in quanto la norma non stabilisce che il decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico sia pronunziato in contraddittorio con il soggetto a carico del quale é posto il relativo obbligo di pagamento, mentre allo stesso non é data potestà di contestare la pretesa del consulente in successive fasi di procedimento o in sede di impugnazione; sotto un secondo profilo, inoltre, nella parte in cui non viene disposto espressamente che il decreto predetto sia motivato.

Le questioni non sono fondate.

2. - Sono noti i contrasti che la disposizione in esame ha suscitato fra gli interpreti impegnati nella ricerca volta a delineare, così sul piano dogmatico come su quello applicativo, la configurazione giuridica del procedimento di liquidazione del compenso al consulente tecnico, i requisiti formali del decreto, i rimedi riservati alla parte condannata alla prestazione.

Ma é noto altresì che, anche sulla base di orientamenti dottrinali, la ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, con argomentazioni giuridiche alle quali si ritiene di aderire, ha ricondotto il decreto in esame fra i provvedimenti speciali a carattere monitorio, emessi dal giudice in via provvisoria e senza preventiva contestazione della domanda.

Nell'ambito di questa categoria, ha precisato ancora la Corte di cassazione, detto decreto deve assimilarsi al decreto ingiuntivo disciplinato dagli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile nel titolo concernente i procedimenti sommari.

Ad esso si é ritenuto, in particolare, applicabile, con opportuni adattamenti procedurali, la normativa concernente l'opposizione degli interessati, ammettendosi contro il predetto decreto un mezzo di impugnazione idoneo ad introdurre un giudizio ordinario di cognizione anche sul merito della domanda creditoria, con l'osservanza della regola del contraddittorio.

3. - Considerata, quindi, in siffatta più ampia prospettiva sistematica la disposizione impugnata, deve ammettersi che essa non preclude il contraddittorio, ma ne differisce l'attuazione alla fase processuale di opposizione, nella quale appunto può realizzarsi la piena cognizione del giudice sulle domande e sulle difese delle parti. In questa fase trova congrua applicazione la garanzia del diritto di difesa preveduta dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, la quale, come più volte affermato da questa Corte, esige che siano assicurati effettivamente lo scopo e la funzione dialettica del processo, per l'attuazione dell'ordinamento giuridico secondo il principio di parità delle parti. Ma il diritto di difesa non resta infirmato dalla legge che ne adegua le modalità di esercizio alle speciali caratteristiche di struttura dei singoli procedimenti.

4. - Alla stregua dei criteri interpretativi sopra esposti deve ritenersi priva di fondamento altresì la questione sollevata dal giudice a quo in riferimento all'art. 111, primo comma, della Costituzione.

L'obbligo della enunciazione, da parte del giudice, delle argomentazioni di fatto e di diritto che sorreggono il decreto medesimo, assoggettato come sopra detto alla disciplina monitoria, deriva ovviamente dalla natura giurisdizionale e dalle finalità decisorie di esso nonché dall'esigenza che attraverso la motivazione possa svolgersi concretamente, in sede di opposizione, il sindacato sul merito della decisione con speciale riguardo alle circostanze ed agli elementi di cui il giudice deve tener conto ai fini della determinazione del compenso.

Ciò toglie congruenza al collegamento che il giudice del merito ha inteso ravvisare fra la norma impugnata e l'art. 135 del codice di procedura civile e fa ritenere adeguata la norma stessa al dettato costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate nei sensi di cui in motivazione le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, approvate col r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368, sollevate dal pretore di Orvieto, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Nicola REALE

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1972.