SENTENZA N. 71
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 112, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1992 dal Tribunale di Avellino nel procedimento civile vertente tra Del Priore Concetta ed altro e l'I.N.A.I.L., iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.35, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di costituzione dell'I.N.A.I.L. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1992 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
uditi l'avv. Adriana Pignataro per l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri l. Nel giudizio promosso nei confronti dell'INAIL per conseguire le prestazioni dovute in forza dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro da Priore Concetta e Santoli Carmine, rispettivamente coniuge e figlio di Santoli Nicola, deceduto il 14 agosto 1984 a seguito di infortunio sul lavoro subito il 9 agosto dello stesso anno (infortunio per il quale il legale rappresentante della società datrice di lavoro era stato riconosciuto colpevole dei reati previsti dagli artt.589 c.p. e 14 d.P.R. 7 gennaio 1956 n.164 con sentenza divenuta irrevocabile il 16 aprile 1990), il Tribunale di Avellino, in sede di appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda ritenendo essere decorso il termine prescrizionale triennale previsto dall'art. 112 del d.P.R. n.1124 del 1965 per essere stato il ricorso depositato il 29 gennaio 1990 (ossia oltre cinque anni dopo l'infortunio, ancorchè pochi mesi prima del passaggio in giudicato della sentenza penale suddetta), ha sollevato (con ordinanza del 9 giugno 1992) questione incidentale di legittimità costituzionale (in riferimento agli artt. 3 e 38, 2° co., Cost.) del citato art. 112 nella parte in cui non prevede che il suddetto termine di prescrizione triennale decorra (anzichè dal giorno dell'infortunio) dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza che concluda il procedimento penale a carico del datore di lavoro (o di persona del cui operato debba rispondere civilmente) per l'infortunio subito dal lavoratore, così come in generale prescrive il terzo comma dell'art. 2947 cod.civ. per l'azione di risarcimento del danno.
Il Tribunale rimettente - partendo dal presupposto della ritenuta inapplicabilità alle pretese dell'assicurato nei confronti dell'INAIL del disposto previsto dal terzo comma dell'art. 2947 cod.civ. che fa decorrere la prescrizione del di ritto al risarcimento del danno dal passaggio in giudicato della sentenza penale avente ad oggetto la condotta causativa del danno - lamenta che tale differenziata disciplina non può trovare giustificazione nella diversa natura dell'azione risarcitoria rispetto a quella diretta al conseguimento delle prestazioni assicurative per essere quest'ultima svincolata dall'eventuale pendenza di un procedimento penale; non è infatti possibile una netta scissione tra diritto al risarcimento del danno e diritto alle prestazioni assicurative, se si tien conto dell'art. 10 d.P.R. n.1124/65 citato, che pone a carico del datore di lavoro, ove venga ritenuto (in sede penale) responsabile dell'infortunio, l'obbligo dell'integrale risarcimento del danno in favore del lavoratore infortunatosi per colpa del primo, sicchè le prestazioni assicurative dell'INAIL assumono nella sostanza carattere di anticipazione rispetto a tale obbligo risarcitorio.
É pertanto irragionevole ed ingiustificato il differente trattamento riservato al lavoratore che abbia subito un infortunio di cui sia stato riconosciuto penalmente responsabile il datore di lavoro rispetto ad altri soggetti danneggiati da fatto illecito costituente reato sotto il profilo che solo per questi ultimi (e non anche per il primo) il termine di prescrizione decorre dalla data in cui la sentenza penale sia divenuta irrevocabile.
Il Tribunale rimettente - nel prospettare anche la violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost. - rileva poi che la funzione del termine prescrizionale triennale consiste nell'esigenza che il diritto al risarcimento del danno da infortunio sul lavoro sia accertato nel più breve tempo possibile nell'interesse dello stesso danneggiato e per obiettive ragioni concernenti la raccolta delle prove. Ma la tempestiva instaurazione del procedimento penale soddisfa tale esigenza, consentendo di acquisire la prova dell'infortunio, sicchè la decorrenza della prescrizione dal giorno dell'infortunio anche quando sia pendente procedimento penale rappresenta una norma eccessivamente rigorosa, tenuto conto che, anche se l'inerzia del lavoratore a far valere i suoi diritti sia dovuta a sua negligenza, il privarlo per ciò solo di ogni indennizzo rappresenterebbe pur sempre violazione del canone costituzionale di cui all'art. 38 citato.
2. Si è costituito l'INAIL chiedendo che la questione di costituzionalità sia dichiarata inammissibile od infondata.
Rileva la difesa dell'Istituto che sono nettamente diverse le posizioni dell'infortunato, titolare delle prestazioni assi curative, e quella di chi abbia subito un danno economico a seguito del comportamento illecito del datore di lavoro, ma che non sia titolare di prestazioni assicurative. Tale diversità di situazioni giustifica l'applicabilità dell'art. 2947 , terzo comma, cod.civ. nel secondo caso e non anche nel primo (al quale viceversa trova applicazione la norma speciale dettata dall'art.112 d.P.R. n.1124/65).
Inoltre non è ravvisabile alcuna violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost. atteso che il suddetto termine prescrizionale è giustificato dalla necessità di indennizzare al più presto l'infortunato; mentre dilazionare il termine iniziale di decorrenza significherebbe alterare l'intero sistema previdenziale e comporterebbe un danno agli stessi lavoratori infortunati, che invece hanno un immediato diritto all'indennizzo non appena rimangono infortunati.
3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata non fondata perchè le situazioni poste a confronto non sono comparabili (atteso che l'art. 2947, terzo comma, cod.civ. riguarda il diritto al risarcimento del danno conseguente ad un fatto reato, mentre l'art. 112 censurato attiene al diritto al conseguimento delle prestazioni da parte dell'INAIL che prescinde dall'eventuale reato ascrivibile al datore di lavoro e trae origine dal rapporto assicurativo) e perchè la durata del termine triennale prescrizionale non esclude, nè rende eccessivamente incomodo, l'esercizio del diritto.
Considerato in diritto
l. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost. - dell'art. 112, primo comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n.1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) nella parte in cui non prevede che il termine di prescrizione triennale per conseguire le prestazioni dovute dall'INAIL in ragione dell'infortunio subito dal lavoratore assicurato decorra (anzichè dal giorno dell'infortunio) dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza che concluda il procedimento penale a carico del datore di lavoro, o di persona del cui operato egli debba rispondere civilmente, per l'infortunio stesso. Il giudice rimettente sospetta la violazione del principio di eguaglianza, atteso che il regime più favorevole, per il danneggiato, del differimento del termine prescrizionale è in generale previsto dal terzo comma dell'art.2947 cod.civ. per l'azione di risarcimento del danno conseguente ad un fatto-reato; prospetta poi la lesione del diritto del lavoratore, che abbia subito un infortunio sul lavoro, a mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, atteso che la decorrenza del suddetto termine prescrizionale dalla data dell'infortunio, anche nel caso di procedimento penale conclusosi con sentenza irrevocabile, si appalesa eccessivamente rigorosa e di fatto può privare il lavoratore del diritto all'indennizzo.
2. La questione non è fondata in relazione ad alcuno dei due parametri invocati.
Sotto il profilo dell'art. 3 Cost. deve rilevarsi la diversità delle situazioni tra le quali il giudice rimettente ha operato la comparazione.
Da una parte c'è una prestazione assicurativa, quale oggetto di un'obbligazione contrattuale scaturente dal rapporto di assicurazione obbligatoria che coinvolge il lavoratore (beneficiario della prestazione), l'INAIL (obbligato ad erogare la prestazione) ed il datore di lavoro (obbligato al pagamento del premio assicurativo). Ben diversa è la prestazione risarcitoria, che costituisce oggetto di un'obbligazione extracontrattuale scaturente da un atto illecito, quale violazione del generale obbligo del neminem laedere. Tale diversità strutturale dei rapporti dedotti in comparazione trova poi coerente e conseguenziale riscontro nella non omogeneità dei presupposti e dei criteri di quantificazione dell'obbligazione gravante rispettivamente sull'INAIL (in favore del lavoratore assicurato) e sull'autore dell'atto illecito (in favore del danneggiato). Nel primo caso è sufficiente, perchè sorga l'obbligo dell'INAIL di indennizzare il danno subito dal lavoratore, che l'evento lesivo sia qualificabile come < < infortunio sul lavoro>>, senza quindi necessità di indagine in ordine alla responsabilità del fatto (nè a titolo di colpa, nè - a maggior ragione - a titolo di dolo); di conseguenza - può subito rimarcarsi - nessun interesse ha il lavoratore infortunato a procrastinare all'esito del giudizio penale di accertamento di tale responsabilità per l'infortunio l'esercizio delle sue pretese indennitarie nei confronti dell'INAIL.
Invece l'insorgenza dell'obbligo risarcitorio da fatto illecito ex art.2043 cod.civ. presuppone, di norma, che il fatto stesso sia addebitabile al suo autore a titolo di dolo o di colpa, sicchè il danneggiato potrebbe cautelativamente attendere l'esito del giudizio penale prima di far valere la sua pretesa risarcitoria nei confronti dell'autore del fatto.
Inoltre, mentre la prestazione assicurativa dell'INAIL è commisurata alla perdita o riduzione della capacità lavorativa, il danno risarcibile è liquidato sulla base del danno emergente e del lucro cessante (ex art.2056 cod.civ., che richiama gli artt. 1223 e 1226 cod.civ.). Tale differenziazione è stata già evidenziata da questa Corte (sent. n.356 del 1991) che ha precisato che la copertura assicurativa non ha per oggetto esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto talchè l'INAIL è tenuto ad erogare le sue prestazioni < < a prescindere dalla sussistenza o meno di un'effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell'assicurato>>. Sicchè - tra l'altro - il danno biologico non è indennizzato dall'INAIL, ma grava sul responsabile del fatto; e proprio sul ritenuto presupposto della non computabilità del danno biologico per la quantificazione della prestazione a carico dell'INAIL, questa Corte, con sentenza n.485 del 1991, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, 6^ e 7^ comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n.1124 nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone ci vilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio è derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o alla riduzione della capacità lavorativa generica solo se e nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'INAIL.
3. Nè può obiettarsi che la prestazione assicurativa dovuta dall'INAIL si atteggia, sotto un aspetto sostanziale, ad anticipazione della prestazione risarcitoria dovuta dal datore di lavoro (in tal senso v. sent. n.134 del 1971). Infatti - non senza considerare che la mera ricognizione descrittiva del fenomeno non consente di obliterare la diversità ontologica dei rapporti giuridici dedotti in comparazione - mette conto rilevare che la responsabilità civile da illecito extracontrattuale è una fattispecie autonoma, conclusa in sè.
Invece, sia la prestazione previdenziale, che la responsabilità civile del datore di lavoro (che può atteggiarsi - in sè considerata - in senso sia contrattuale che extracontrattuale anche se la disciplina positiva, in materia di prescrizione, ne prescinde e tratta unitariamente ed autonomamente la fattispecie) non sono apprezzabili ciascuna ex se, come fattispecie ognuna conclusa ed autonoma, ma concorrono a costituire (con altri elementi quali la disciplina delle pretese creditorie dell'INAIL verso il datore di lavoro e - eccezionalmente, in caso di dolo - verso il lavoratore assicurato) una fattispecie normativa complessa. Da questo articolato sistema non può essere estrapolata una componente (ossia la disciplina posta dall'art. 112 citato) per compararla autonomamente con quella di cui all'art. 2947 cod.civ. perchè la regolamentazione del termine prescrizionale ex 112, comma primo, citato - pur vista la prestazione previdenziale come "anticipazione" del risarcimento dovuto dal datore di lavoro civilmente responsabile - non sta a sè, ma fa parte di un più complesso sistema predicato da connotati di specialità (cfr. sent. n. 22 del 1967 e n. 74 del 1981).
4. Non è infine priva di rilevanza la circostanza che, in ipotesi di pronuncia additiva di questa Corte quale auspicata dal giudice rimettente, il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione diretta a conseguire le prestazioni previdenziali si sposterebbe al momento della definizione del giudizio penale come già è previsto per l'azione di regresso dell'INAIL (ex art.112, ultimo comma, seconda parte), con la conseguenza - data la identità di durata del termine triennale - che quando l'assicurato proponesse la domanda contro l'INAIL alla scadenza del relativo termine diverrebbe impossibile per l'Istituto l'esercizio tempestivo dell'azione di regresso contro il datore di lavoro, rimanendo così frustrata quella esigenza di coordinamento riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (sent.n. 78 del 1972).
D'altra parte la conclusione alla quale si perviene (di ritenuta non vulnerazione del principio di eguaglianza) trova poi riscontro nella precedente giurisprudenza di questa Corte (ord. n.458 del 1987) che ha ritenuto che la durata del termine prescrizionale può essere diversamente disciplinata, senza violazione dell'art. 3 Cost., in caso rispettivamente di diritti derivanti da contratto di assicurazione contro gli infortuni e di pretese risarcitorie da fatto illecito.
5. Nè può, in questo giudizio, tenersi conto delle possibili implicazioni che, sulla differente regolamentazione del dies a quo del termine prescrizionale oggetto delle censure esaminate, può avere la disciplina degli atti interruttivi stragiudiziali.
Indubbiamente l'orientamento giurisprudenziale - secondo cui il decorso del termine di cui all'art. 112 citato non può, dal lavoratore infortunato, essere interrotto con atto stragiudiziale, mentre tale atto è in generale idoneo a questo fine ove posto in essere da un soggetto danneggiato che vanti una pretesa risarcitoria ex art. 2043 cod.civ. - accentua (ove lo si condivi da) la divaricazione delle due discipline (quella settoriale in materia di prestazioni a carico dell'INAIL e quella generale in materia di risarcimento del danno da fatto illecito). Ma si tratta di un (più limitato) profilo non dedotto dal giudice rimettente (nè rilevante nel giudizio a quo), profilo che - attenendo alla legittimità dello stesso art. 112 interpretato nel senso, appunto, che il termine ivi previsto non sia suscettibile di interruzione con atto stragiudiziale - non viene in questa sede all'esame della Corte.
6. Quanto poi al secondo parametro invocato (art. 38 Cost.) deve richiamarsi la precedente giurisprudenza di questa Corte (sentt. n. 33 del 1977, n. 31 del 1977, n. 33 del 1974, n. 116 del 1969) secondo la quale la funzione del termine triennale risponde sia alle esigenze dell'INAIL (in ragione della tempestività dell'accertamento dei fatti), sia dell'assicurato (in ragione del conseguimento con immediatezza della prestazione); il termine suddetto mira poi ad assicurare la pronta ricerca dei fatti (sentt. n. 129 del 1986 e n. 31 del 1977). Nè d'altra parte il rilievo del giudice rimettente, secondo il quale nel caso in cui sia iniziato (e pendente) il giudizio penale la (tempestiva) raccolta delle prove è assicurata e quindi la decorrenza della prescrizione dell'infortunio < < appare eccessivamente rigorosa>>, è sufficiente a giustificare un mutamento di orientamento. Può infatti osservarsi in senso contrario che il processo penale può non essere promosso tempestivamente e che l'INAIL può comunque rimanerne fuori e quindi trovarsi nella situazione di non partecipare direttamente alle tempestive indagini post factum (pur tenendo conto della non opponibilità all'INAIL, in tale situazione, dell'eventuale giudicato favorevole al datore di lavoro: v. sent. n. 102 del 1981). Del resto permane comunque la concorrente ragione della tutela - reputata meritevole di considerazione dal legislatore con valutazione oggettiva - dell'interesse a che il lavoratore assicurato consegua una sollecita definizione della sua posizione assicurativa.
D'altra parte è consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che l'art. 38 Cost. attiene all'adeguamento dei mezzi previdenziali per assicurare al cittadino inabile quanto necessario per vivere piuttosto che alle modalità necessarie a conseguirli, a meno che queste non siano tali da comprometterne il conseguimento (sentt. n. 33 del 1977;n. 33 del 1974; n. 10 del 1970).
In ogni caso l'intervenuta prescrizione delle prestazioni dovute dall'INAIL non esclude che il lavoratore infortunato possa domandare il risarcimento del danno sofferto alle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio è derivato atteso che a tale pretesa risarcitoria - che non subisce la decurtazione di cui all'art. 10, 6° comma, d.P.R. n.1124 citato in mancanza della liquidazione da parte dell'INAIL di alcuna indennità - si applica, secondo la disciplina comune, il differimento del termine prescrizionale di cui all'art. 2947, 3° comma, cod.civ. (per il diritto all'integrale risarcimento del danno al di là delle somme già erogate dall'INAIL v. sent. n. 74 del 1981).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.112 , primo comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento agli artt.e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Avellino con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/02/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 26/02/93.