Ordinanza n.36 del 1990

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.36

 

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1989 dal Pretore di Perugia - Sezione distaccata di Città di Castello - nel procedimento penale a carico di Franciosa Vincenzo ed altro, iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36/1a s.s. dell'anno 1989.

 

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 29 novembre 1989 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

 

Ritenuto che il Pretore di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, con ordinanza 25 maggio 1989-emessa nel corso di un procedimento penale a carico di Franciosa Vincenzo e Caterino Angelo, imputati del reato di cui all'art. 707 del codice penale perchè, essendo stati già condannati per delitti determinati da motivi di lucro, erano stati colti in possesso d'una chiave inglese, atta ad aprire o a sforzare serrature, della quale non giustificavano l'attuale destinazione-ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale, in riferimento agli artt.25, secondo comma, 24, secondo comma, 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost.;

 

che, invero, secondo il giudice a quo, la disposizione impugnata contrasterebbe innanzitutto con l'art. 25, secondo comma, Cost.

 

nella parte in cui non precisa le caratteristiche che dovrebbero avere gli < strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature> in essa contemplati, così rendendo incerto il precetto penale ed attribuendo al giudice un'eccessiva discrezionalità;

 

che, in secondo luogo, la medesima disposizione contrasterebbe con l'art.24, secondo comma, Cost., poichè, con l'imporre, a chi si trova nelle condizioni soggettive previste, di giustificare la destinazione a scopo lecito delle cose, stabilirebbe in realtà un'inversione dell'onere della prova, cosi vanificando il diritto dell'imputato di non rispondere all'interrogatorio;

 

che, secondo il giudice a quo alla predetta vanificazione non sopperisce la possibilità che la giustificazione del possesso si ricavi dalle prove fornite dalla difesa tecnica dell'imputato o raccolte ex officio dal giudice;

 

che, in terzo luogo, l'art. 707 del codice penale contrasterebbe con l'art.3, primo comma, Cost., poichè determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che sono pregiudicati per delitti contro il patrimonio e tutti gli altri soggetti, incriminando soltanto per i primi una vera e propria attività preparatoria di delitti in ragione di pretese esigenze di prevenzione;

 

che, infine, l'art. 707 del codice penale contrasterebbe con l'art. 27, terzo comma, Cost., poichè la pena in esso prevista, unitamente alla possibilità di applicare l'arresto in flagranza e d'irrogare la misura di sicurezza della libertà vigilata, sarebbe eccessivamente ed irrazionalmente afflittiva e quindi ispirata non alla funzione rieducativa costituzionalmente assegnata alla pena bensì ad intenti repressivi, che danno per certo che le pene precedentemente espiate non abbiano raggiunto l'effetto della rieducazione del condannato;

 

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

 

Considerato che l'eccezione d'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, non può essere accolta giacchè, avendo il giudice a quo precisato che nella specie gli imputati non hanno giustificato la destinazione degli strumenti di cui sono stati trovati in possesso, agli stessi imputati andrebbero applicate, senza la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 707 del codice penale, le sanzioni previste dallo stesso articolo;

 

considerato, in ordine ai dedotti profili di contrasto con gli artt. 3, primo comma e 24, secondo comma Cost., che identiche questioni sono state ritenute non fondate da questa Corte con sentenza n. 236 del 1975 e manifestamente infondate con ordinanza n. 146 del 1977 (cfr. anche sentenze n. 110 del 1968 e n. 14 del 1971) e che non sono stati prospettati, in questa sede, motivi nuovi o che possano comunque indurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza;

 

considerato, in ordine al profilo di contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost., che analoghe questioni sono state dichiarate non fondate con sentenze di questa Corte n. 110 del 1968 e n. 14 del 1971, le quali hanno affermato che il precetto costituzionale sulla funzione rieducativa della pena non può essere invocato per escludere la legittimità di norme contravvenzionali, quali quelle contenute negli artt. 707 e 708 del codice penale, il cui oggetto specifico della tutela è la prevenzione di taluni delitti contro il patrimonio;

 

che, d'altra parte, la pena prevista dall'art. 707 del codice penale, considerando anche i particolari presupposti soggettivi richiesti per la sua applicazione, non può certamente ritenersi eccessivamente ed irrazionalmente afflittiva, tanto da avere unicamente scopo repressivo e da non potere addirittura svolgere alcuna funzione rieducativa (cfr. anche l'ordinanza n 270 del 1984, la quale ha ritenuto che la contravvenzione di cui all'art.707 del codice penale non è incongruamente ed eccessivamente sanzionata rispetto ai delitti di furto e di danneggiamento);

 

considerato, in ordine al profilo di contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost., che l'art. 707 del codice penale, nel sanzionare, per determinati soggetti, il possesso ingiustificato anche di < strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature> non contiene una previsione generica ed indeterminata bensì pone un divieto di possesso di arnesi individuabili con esattezza attraverso l'indicazione della loro attitudine funzionale ad aprire o sforzare serrature;

 

che, pertanto, nel determinare se un dato strumento abbia l'idoneità a perseguire la finalità indicata, il giudice non fa altro che esercitare il normale compito ermeneutico ad esso istituzionalmente demandato (secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è legittimo, per la descrizione del fatto-reato, l'uso di espressioni meramente indicative o di comune esperienza , in quanto non impongono al giudice oneri esorbitanti dalla normale opera ermeneutica: cfr. le sentenze nn. 27 del 1961, 7 del 1965, 191 del 1970, 42 del 1972, 188 del 1975, 49 del 1980, 70 del 1982, 247 del 1989 e le ordinanze n. 156 e 169 del 1983, 5 e 84 del 1984, 75 del 1985, 159 del 1986);

 

che, di conseguenza, la sollevata questione va dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dal Pretore di Perugia, sezione distaccata di Città di Castello, con ordinanza del 25 maggio 1989.

 

Così deciso in Roma in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/01/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 26 Gennaio 1990.