ORDINANZA N. 84
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 17, lett. b, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promosso con ordinanza 16 dicembre 1982 del pretore di Piombino nel procedimento penale a carico di Galgani Silvana iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 dell'anno 1983. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 1984 il Giudice relatore Oronzo Reale.
Ritenuto che con ordinanza emessa in data 16 dicembre 1982 (n. 82 del reg. ord. 1983) il pretore di Piombino ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 17, lett. b, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, per preteso contrasto con gli articoli:
a) 3 della Costituzione, in quanto la norma suddetta sottoporrebbe ad identica pena edittale coloro che, sprovvisti di concessione, abbiano edificato in contrasto con la normativa edilizia e coloro che, pure senza avere ottenuto previamente la concessione, abbiano però edificato in conformità alla suddetta normativa e agli strumenti urbanistici; si tratterebbe di situazioni obiettivamente diverse trattate, quoad poenam, dal legislatore alla stessa stregua, e ciò irrazionalmente;
b) 25 della Costituzione, atteso che la stessa norma conterrebbe una descrizione della condotta penalmente sanzionata così generica da rendere difficile l'individuazione del comportamento tipico astrattamente determinato, con conseguente violazione del principio della tassatività della normativa penale;
c) 27, primo comma, della Costituzione, in quanto, ferma la suesposta censura di cui alla precedente lett. b, la norma violerebbe altresì il principio del carattere personale della responsabilità penale, atteso che il reato in questione non sarebbe definito dalla legge, né potrebbe essere definito dall'interprete, in modo univoco, sicché il reo, in assenza di qualunque altra specificazione idonea a tipizzare la condotta vietata, non sarebbe in grado di acquisire piena consapevolezza della rilevanza penale del comportamento posto in essere.
Considerato che, con riferimento alla prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione, la giurisprudenza di questa Corte é consolidata nel ritenere che la configurazione delle fattispecie criminose e le valutazioni in ordine alla congruenza tra i reati e le pene sono censurabili in sede di costituzionalità soltanto ove il legislatore abbia dato luogo a sperequazioni di tale gravità da risultare palesemente inique (sentenze nn. 1 e 170 del 1982; ordinanza n. 186 del 1983);
che, nel caso di specie, tale estremo non é ravvisabile, in primo luogo in quanto rientra nella politica legislativa sottoporre ad analoga sanzione edittale comportamenti formalmente identici, pur se diversificabili quanto all'entità del danno sociale che ne scaturisce, ed anche perché il bene giuridico che la impugnata norma tutela é anche quello inteso ad ottenere che qualsiasi iniziativa di fabbricazione edilizia sia previamente vagliata e controllata in sede amministrativa:
che, in ogni modo, a parte i poteri di graduazione della pena che spettano istituzionalmente al giudice che, alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 c.p., ben potrà esprimere un giudizio sulla maggiore o minore gravità del fatto, la legge 24 novembre 1981, n. 689, trova nel caso di specie, possibilità di applicazione, sicché ben può il giudicante, in relazione alla fattispecie sottoposta al suo esame, irrogare, ove del caso, le sanzioni sostitutive ivi previste.
Considerato inoltre, per ciò che concerne la prospettata violazione dell'art. 25 della Costituzione, che questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha più volte ribadito che il ricorso ad espressioni di comune esperienza é consentito, spettando all'opera ermeneutica del giudice di dare contenuto concreto alle dette espressioni, e che tale principio ha più volte trovato specifica applicazione proprio nella materia edilizia (sentenza n. 49 del 1980; ordinanze nn. 156/1983 e 5/1984);
che, infine, la prospettata violazione dell'art. 27, primo comma, della Costituzione, si risolve nella stessa censura, vista da prospettiva diversa, mossa alla norma impugnata con riferimento all'art. 25 della Costituzione di cui sopra;
che nell'ordinanza non sono prospettati motivi nuovi o diversi, tali da indurre la Corte a modificare i surricordati precedenti giurisprudenziali.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 153, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, lett. b, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sollevata, con riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, dal pretore di Piombino, con l'ordinanza in data 16 dicembre 1982, di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 29 marzo 1984.