Sentenza n. 236 del 1975
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SENTENZA N. 236

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          Prof. Antonino DE STEFANO

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 1 marzo 1973 dal pretore di Prato nel procedimento penale a carico di Mammolini Ezio, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 del 25 luglio 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 1975 il Giudice relatore Enzo Capalozza

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di un procedimento penale a carico di Ezio Mammolini, per la contravvenzione di cui all'art. 707 del codice penale, il pretore di Prato, con ordinanza 1 marzo 1973, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale articolo, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 3, primo comma, 27, secondo comma, e ancora 3 in relazione al 24, secondo comma, della Costituzione.

Sulle prime tre dedotte violazioni - che l'ordinanza asserisce già esaminate da questa Corte, pur se sotto profili non del tutto coincidenti, con le sentenze n. 110 del 1968 e n. 14 del 1971 - il pretore rispettivamente osserva:

a) nella norma incriminatrice, in contrasto col principio di stretta legalità, non sarebbe precisata la condotta quale elemento della fattispecie, mentre l'azione inerente al reato verso cui si sospetta finalizzato il possesso ingiustificato non sarebbe un "fatto commesso", ma soltanto da commettersi;

b) elemento essenziale nel fac-simile di reato, secondo la disposizione censurata, sarebbe la "condizione personale e sociale" di pregiudicato, in contrasto con il principio di eguaglianza. Né, in contrario, avrebbe pregio il dire che il codice penale tiene conto delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (art. 133, secondo comma), perché tali qualità personali sono assunte ai fini della misura della pena di cui all'art. 132 cod. pen., dopo che sia stata riconosciuta la responsabilità penale dell'imputato, ma non potrebbero, come nella specie, costituire il presupposto di un reato ancora da giudicare;

c) in violazione del principio della presunzione di non colpevolezza, starebbe l'inversione dell'onere della prova, posto a carico dell'imputato, il quale verrebbe punito "se non giustifichi l'attuale destinazione" degli oggetti di cui é colto in possesso.

La quarta ed ultima censura é la seguente: il far dipendere la liceità o l'illiceità del fatto dalle giustificazioni date o non date dall'imputato circa la destinazione degli arnesi di cui é colto in possesso vulnererebbe i diritti della difesa tra i quali é previsto quello di non rispondere (art. 1 legge 5 dicembre 1969, n. 932) e darebbe, altresì, luogo ad una disparità di trattamento rispetto agli imputati di altri reati, anche sul piano processuale.

Dinanzi alla Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l'Avvocatura, le prime tre censure non offrirebbero nessun elemento che scalfisca i principi già fissati da questa Corte nelle sù citate sentenze. Sul restante profilo deduce che il rifiuto di rispondere all'interrogatorio - fondamentale e irrinunciabile forma di difesa - non sarebbe da confondere col non fornire giustificazioni - che, d'altronde, ben potrebbero scaturire aliunde da indagini ad hoc - circa la destinazione attuale degli oggetti di cui l'imputato é colto in possesso.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza in epigrafe viene impugnato l'articolo 707 del codice penale nel suo testo vigente (a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità pronunciata con sentenza n. 14 del 1971), in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 3, primo comma, e 27, secondo comma, oltreché al ridetto art. 3 in relazione all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

2. - Quanto all'art. 25, secondo comma, Cost., é agevole obiettare che, nella specie, la materialità del reato consiste nel possesso non giustificato di chiavi alterate o contraffatte ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare una serratura. É questo il comportamento illecito e, come tale, punibile, analogamente ad altri comportamenti previsti e puniti dal codice e da leggi speciali.

Il reato che potrebbe commettersi con gli oggetti e gli strumenti indicati nell'art. 707 cod. pen. é del tutto estraneo alla materialità del fatto contestato, il quale viene assunto come ipotesi di reato solo perché il prevenuto non é in grado di giustificare l'attuale destinazione di detti oggetti o strumenti.

Contrariamente all'interpretazione che ne dà il giudice a quo, l'argomento addotto nella citata sentenza n. 14 del 1971 di questa Corte é che la condotta presupposta dal reato di cui all'art. 707 consiste nell'antecedente logico e imprescindibile del possesso degli oggetti o strumenti di cui trattasi. Viene comunemente ritenuto in dottrina che il possesso concreta già una condotta o, comunque, fa seguito ad una condotta, tanto é vero che se il possesso non é volontario (come nel caso che gli arnesi siano stati collocati da altri presso il soggetto ignaro), il reato non sussiste.

Sempre a proposito dell'art. 25, secondo comma, Cost., é da ricordare che questa Corte, con sua sentenza n. 44 del 1964, ha precisato che, "nell'indicare i fatti tipici costituenti reato, la legge a volte fa una descrizione minuta di essi, ma spesso si limita a dare un'ampia nozione del fatto, senza scendere a particolari di esecuzione". Orbene, la norma denunziata é, appunto, di quelle che contengono una descrizione sufficientemente delimitata della fattispecie.

Così, a fronte di identica censura mossa al parallelo articolo 708 cod. pen., sotto il profilo della violazione della riserva di legge, questa Corte, con sentenza n. 110 del 1968, ha ritenuto che la norma "offre una indicazione precisa del fatto punibile e pone il soggetto nella condizione di conoscere il divieto che forma oggetto della disposizione incriminatrice, tenuto conto, altresì, della possibilità che gli é offerta di dare una soddisfacente spiegazione del possesso (...)".

E, con la medesima sentenza, la Corte ha precisato che la giustificazione - la quale deve essere valutata dal giudice secondo i comuni principi del libero convincimento - é concetto giuridicamente distinto dalla prova.

Si ponga mente che la discrezionalità del magistrato non si limita all'applicazione in concreto della pena (artt. 132 e 133 cod. pen.), ma si estende, previamente, al giudizio sull'esistenza stessa del reato. Ed essendo a lui attribuito il più largo potere in ordine alle cause generali di giustificazione (i cosiddetti elementi negativi del reato), quali sono la legittima difesa, lo stato di necessità, l'uso legittimo di armi, ecc., non può negarsi che rientri nel sistema la sussunzione ad elemento oppure a condizione del reato della mancata giustificazione del possesso di determinati oggetti.

3. - L'art. 3 Cost. vieta una disparità di trattamento tra situazioni personali omogenee e non tra soggetti diversi, quali sono i già condannati per "delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio", rispetto ai non condannati per quei delitti o per quelle contravvenzioni.

Anche per chi é colto in stato di manifesta ubriachezza in luogo pubblico o aperto al pubblico (senza distinzione tra ubriachezza piena e semipiena e tra ubriachezza volontaria e colposa), é prevista una pena diversa e maggiore se il colpevole aveva già riportato condanne per delitti non colposi contro la vita o l'incolumità individuale (art. 688, cpv., cod. pen.); e questa Corte ha dichiarato manifestamente infondata la relativa questione con sua ordinanza n. 155 del 1971 (cfr. anche l'art. 692, cpv., cod. pen.).

Né l'art. 3 può essere addotto a paradigma di incostituzionalità sotto il profilo della ragionevolezza, dappoiché, all'opposto, é logico ed é razionale che la legge penale tenga conto della eventualità che stia per commettere un reato chi, colto in possesso di grimaldelli, chiavi ecc., sia stato già condannato per i reati specificati nell'art. 707.

4. - Non é consistente la censura di incostituzionalità per pretesa violazione dell'art. 3 Cost. in relazione all'art. 24, secondo comma: tra i diritti della difesa vi é, bensì, la facoltà di non rispondere all'interrogatorio in qualsiasi fase del procedimento (preistruttoria, istruttoria, giudizio: art. 367, secondo comma, cod. proc. pen.; art. 1 legge 5 dicembre 1969, n. 932); ma se é pur vero che la giustificazione circa le cose indicate nell'art. 707 cod. pen. implica che una risposta sia data, é altrettanto vero che anche la giustificazione é, essa stessa, un mezzo di difesa offerto dalla legge, al quale l'interessato può liberamente rinunciare qualora ritenga che, ai fini difensivi, sia preferibile il silenzio.

É lasciato, ovviamente, al giudice di valutare aliunde il fatto, sulla scorta di prove (documentali, testimoniali ecc.), che potrebbero essere fornite e addotte sia da chi si é rifiutato di fornire la giustificazione verbale, sia dalla sua difesa tecnica (che resta piena, incondizionata ed autonoma) o che potrebbero essere introdotte od ammesse ex officio.

Ciò dimostra che nella norma non esiste un'inversione dell'onere della prova e, quindi, non appare fondato il presupposto in base al quale il giudice ha fatto riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 3, primo comma, anche in relazione all'art. 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal pretore di Prato con l'ordinanza 1 marzo 1973.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 30 ottobre 1975.