Sentenza n. 208 del 1986

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SENTENZA N. 208

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9, quarto comma, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207 (Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 novembre 1978 dal TAR per la Lombardia sul ricorso proposto da Previderé Ambrogina c/ il Comune di Vigevano, iscritta al n. 595 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 298 dell'anno 1979;

2) ordinanza emessa il 24 gennaio 1980 dal TAR per la Liguria sul ricorso proposto da Dasso Leonilde c/ il Comune di Lavagna, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'anno 1980;

3) ordinanza emessa il 9 febbraio 1982 dal TAR per l'Emilia - Romagna - Sezione di Parma - sui ricorsi riuniti proposti da Teodoldi Anna ed altri c/ l'Amministrazione Provinciale di Parma, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 262 dell'anno 1982;

4) ordinanza emessa il 29 aprile 1982 dal TAR per la Liguria sul ricorso proposto da Spinelli Ascanio c/ Ministero della P.I. ed altro, iscritta al n. 615 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 dell'anno 1983;

5) ordinanza emessa il 18 giugno 1981 dal TAR per il Veneto sul ricorso proposto da Rubaltelli Enrico c/ l'Ospedale Civile di Rovigo, iscritta al n. 921 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 142 dell'anno 1983;

6) ordinanza emessa il 17 febbraio 1983 dal TAR per l'Umbria sul ricorso proposto da Socciarello Nilo c/ il Comune di Piegaro, iscritta al n. 1009 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 dell'anno 1984.

Visti gli atti di costituzione di Dasso Leonilde e di Socciarello Nilo;

udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1986 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avv. Enrico Bastreri per Dasso Leonilde e l'avv. Si ro Centofanti per Socciarello Nilo.

Ritenuto in fatto

1. - Con sei ordinanze emesse rispettivamente dal TAR della Lombardia il 22 novembre 1978 (r.o. 595/79), dal TAR della Liguria il 24 gennaio 1980 (r.o. 227/80) ed il 29 aprile 1982 (r.o. 615/82), dal TAR del Veneto il 18 giugno 1981 (r.o. 921/82), dal TAR dell'Emilia - Romagna - Sezione di Parma - il 9 febbraio 1982 (r.o. 264/82) e dal TAR dell'Umbria il 17 febbraio 1983 (r.o. 1009/83) é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, quarto comma, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, nella parte in cui dispone che l'indennità prevista dallo stesso art. 9 per il personale non di ruolo all'atto della sua cessazione dal servizio non é dovuta nel caso di passaggio in ruolo.

Nei casi di specie, predetti tribunali erano chiamati a decidere su ricorsi di dipendenti di ruolo di enti locali (comuni, provincie, enti ospedalieri) che, a seguito del collocamento a riposo, chiedevano il riconoscimento del diritto all'indennità di fine servizio prevista dalla citata norma per periodi - in genere assai lunghi (15,20,23,24 anni) - di servizio non di ruolo prestato prima del passaggio nel ruolo dei medesimi enti anteriormente all'entrata in vigore della legge 8 marzo 1968, n. 152. Nel solo caso di cui all'ord. 615/82 trattavasi di un ex dipendente del Ministero della Pubblica Istruzione che chiedeva il riconoscimento della suddetta indennità per il servizio prestato quale insegnante non di ruolo presso scuole statali nel periodo 1950 - 74.

2. - All'esposizione delle censure mosse alla norma impugnata giudici rimettenti premettono un'analitica esposizione (specie nelle ordd. 595/79 e 264/82) della normativa interessante la materia e delle precedenti pronunce della Corte su di essa, ricordando in particolare:

a) che con la legge 8 marzo 1968, n. 152 era stato, per la prima volta, riconosciuto, ai fini previdenziali, il servizio non di ruolo prestato alle dipendenze degli enti locali, mediante l'estensione a tale personale dell'iscrizione obbligatoria all'INADEL; b) che, quanto al precedente servizio non di ruolo, la medesima legge 152/ 1968 disponeva, all'art. 16, secondo comma, che il diritto all'indennità per cessazione dal servizio, "se spettante in base alle vigenti disposizioni, é conservato relativamente ai periodi di servizio non valutabili ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla presente legge. In tal caso l'indennità é computata, secondo le disposizioni vigenti, sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge"; c) che all'epoca vigeva il D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, il cui art. 9 attribuiva ai dipendenti non di ruolo dello Stato un'indennità di fine servizio - non cumulabile con la pensione - fissata in misura pari a una mensilità della sola retribuzione in godimento all'atto della cessazione del rapporto per ogni anno di servizio: peraltro stabilendo, al quarto comma, che la medesima indennità "non é dovuta nel caso... di passaggio in ruolo"; d) che tale disciplina era stata estesa ai dipendenti non di ruolo degli enti pubblici locali con il D.L.C.P.S. 5 febbraio 1948, n. 61.

3. - I giudici a quibus ricordano poi che la disciplina di cui al citato D.L.C.P.S. n. 207/1947 era stata in gran parte caducata, ed in particolare: a) quanto all'esclusione dall'indennità per cessazione dal servizio del personale non di ruolo pensionato, con l'art. 254, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 e con la sentenza di questa Corte n. 236/ 1974; b) quanto all'esclusione della medesima indennità in caso di licenziamento per motivi disciplinari o di dimissioni volontarie, con l'art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424 e con le sentt. nn. 156 e 184 del 1973; c) quanto alla commisurazione dell'indennità in questione alla "sola retribuzione", con la sentenza n. 116/1976.

4. - In punto di rilevanza della questione sollevata, la sola ord. 264/82 del TAR dell'Emilia - Romagna, Sezione di Parma, aggiunge che la caducazione della predetta norma determinerebbe l'automatica applicazione del citato art. 16, secondo comma, sicché per base di computo dovrebbe intendersi la retribuzione corrisposta alla data di entrata in vigore della legge 152/1968 ovvero alla data eventualmente anteriore in cui sia avvenuto il passaggio in ruolo.

Ciò - prosegue l'ordinanza - "non comporterebbe alcuna violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Infatti, il riferimento all'art. 36 é sempre stato ricondotto al diritto ad un'indennità di fine servizio, ma non già a quello ad una anzianità di un certo ammontare. Quanto all'art. 3 della Costituzione, devesi osservare che la base di computo dell'indennità (un mese di retribuzione - comprensiva degli emolumenti fissi e ricorrenti: sent. Corte Cost. n. 116 del 1976 - per ogni anno di servizio) può essere ritenuta congrua nel caso dei dipendenti rimasti sempre in posizione non di ruolo (attesa la mancata stabilità di tale posizione, che accentuava la natura previdenziale e indennizzatoria dell'indennità) ma non nel caso dei dipendenti passati in ruolo.

Appunto in previsione del conseguimento del beneficio della stabilizzazione del rapporto la legge privava infatti tali dipendenti dell'indennità; e d'altra parte, occorre considerare che l'indennità premio di servizio corrisposta dall'INADEL non soltanto presuppone il versamento di un contributo anche a carico del dipendente ma é sempre stata molto inferiore a quella di licenziamento (attualmente, ammonta a un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi mesi, considerata in ragione dell'80%: v. gli artt. 4 e 11 della legge n. 152 del 1968), di modo che il maggiore importo della prima a favore di dipendenti già fuori ruolo ma cessati dal servizio in posizione di ruolo condurrebbe, qualora dovesse farsi riferimento, come base di computo, all'ultima retribuzione in posizione di ruolo, all'assurda conseguenza di un trattamento deteriore riservato ai dipendenti in posizione di ruolo dall'inizio della carriera".

5. - Il citato art. 9, quarto comma, nella parte concernente il personale passato in ruolo (unica ipotesi rimasta in vita di esclusione del diritto all'indennità di fine servizio) é impugnato da tutte le ordinanze in esame in riferimento all'art. 36 Cost., argomentando in particolare dalla natura di retribuzione differita e dalla concorrente funzione previdenziale riconosciuta all'indennità in questione con la sent. n. 236 del 1974, nonché dalla speciale protezione assicurata da dette norme alla retribuzione e, conseguentemente, alla indennità di fine rapporto.

Al riguardo, giudici a quibus richiamano numerose sentenze di questa Corte (3/66, 156/73, 184/73, 236/74, 116/ 76), nonché le disposizioni in materia di cui alle leggi nn. 424/ 1966 (art. 1), 604/1966 (art. 9) e 1077/1966 (artt. 1 - 3). Nell'ord. 264/82 si osserva, in particolare, che "la corresponsione di un'indennità di fine servizio limitata, ad opera della norma qui in esame, per il caso di passaggio in ruolo ad una sola parte del servizio, e cioé a quello di ruolo, sembra lesiva dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, che é sempre stato interpretato nel senso che l'indennità spettante all'atto della cessazione del rapporto debba considerare l'intero servizio, senza distinzione fra quello di ruolo e quello non di ruolo. Né potrebbe obiettarsi che, a norma dell'art. 12 della legge 8 marzo 1968, n. 152, il personale degli Enti locali possa ottenere il riscatto dei servizi anteriori all'entrata in vigore della legge non valutati ai fini della liquidazione dell'indennità premio di servizio, dal momento che tale riscatto é subordinato, a norma del successivo art. 13, al pagamento di un contributo a totale carico dell'interessato, a differenza del contributo previdenziale versato all'INADEL che é sempre stato in parte a carico del dipendente ed in parte a carico dell'Ente (v. l'art. 11 della legge)".

Le (sole) ordd. nn. 227/80, 615/82, 1009/83 e 264/82 censurano le norme impugnate anche in riferimento all'art. 3 Cost.. Le prime tre si limitano, al riguardo, ad assumere come tertium comparationis "le corrispondenti situazioni del rapporto d'impiego privato". Nella quarta si osserva, ulteriormente, che "la mancata valutazione, ai fini dell'indennità di fine servizio, del periodo non di ruolo sembra violare il principio di parità di trattamento con quanti si trovano in analoghe situazioni (e cioé gli altri dipendenti privati e pubblici non soggetti a tale limitazione). Tale sperequazione é ancora più evidente se si faccia un confronto con il caso di chi, all'atto dell'entrata in vigore della legge n. 152 del 1968, si trovasse in posizione non di ruolo e tale sia rimasto fino alla cessazione del rapporto, potendo fruire, a quest'ultima data, dell'indennità premio di servizio a carico dell'INADEL per periodi di servizio successivi alla legge (art. 1) e dell'indennità per cessazione dal servizio a carico dell'Ente per periodi anteriori (art. 16, secondo comma, della legge)".

Nei giudizi instaurati con le ordinanze in esame il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto. Si sono invece costituite, nei giudizi di cui alle ordd. 227/80 e 1009/ 83, le parti private Dasso Leonilde e Socciarello Nilo, aderendo alle argomentazioni dei giudici a quibus. Il secondo, peraltro, ha chiesto che la Corte, ex art. 27 1. 87/1953, voglia dichiarare in via conseguenziale l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, secondo comma, della legge n. 152/1968, nella parte in cui dispone che l'indennità per cessazione dal servizio eventualmente spettante sulla base della pregressa normativa "é computata, secondo le disposizioni vigenti, sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata in vigore della legge". Così computata, infatti - argomenta la parte privata - l'indennità acquisterebbe un carattere puramente "simbolico" attesa la rilevantissima svalutazione monetaria verificatasi nel frattempo: sicché occorrerebbe o rivalutarla dalla data di entrata in vigore della predetta legge n. 152/ 1968, ovvero computarla sulla base dell'ultimo stipendio o salario corrente alla data di cessazione del rapporto.

In una memoria aggiunta depositata nell'imminenza dell'udienza la suddetta parte privata insisteva sulla predetta tesi, richiamando la sentenza della Corte 142/80 ed aggiungendo che, attesa l'unicità del rapporto d'impiego e l'infrazionabilità dell'indennità di anzianità, questa non potrebbe rapportarsi al momento del passaggio in ruolo; e che, per altro verso, la legge 152/68 non consentiva di liquidarla al momento della sua entrata in vigore. Il fatto che, poi, dal riferimento alla data di cessazione del rapporto consegua per dipendenti non di ruolo passati in ruolo un trattamento più favorevole rispetto a quelli di ruolo fin dall'origine sarebbe giustificato dalla considerazione che solo questi ultimi avevano diritto alla maturazione di un trattamento pensionistico. Tale riferimento, del resto, sarebbe conforme a quello previsto per dipendenti privati dagli artt. 2120 - 2121 c.c. e per dipendenti degli enti pubblici dall'art. 13 1. n. 70/1975.

L'illegittimità conseguenziale dell'art. 16 cpv. 1. 152/68 - sosteneva infine la difesa del Socciarello - deriverebbe dall'essere stata con tale norma disciplinata la fase di concreta determinazione dell'indennità prevista dall'impugnato art. 9 D.L.C.P.S. 207/1947.

Sull'accoglimento della questione principale insisteva invece, in una memoria aggiunta, la parte privata Dasso Leonilde, sostenendo che tale conclusione sarebbe coerente con tutta la giurisprudenza della Corte in materia.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze indicate in epigrafe, pur nella varietà dei parametri evocati, hanno tutte ad oggetto l'art. 9, quarto comma, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, nella parte in cui dispone che l'indennità prevista dallo stesso art. 9 per il personale non di ruolo all'atto della sua cessazione dal servizio non é dovuta nel caso di passaggio in ruolo: pertanto relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - L'art. 9 del Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 4 aprile 1947 n. 207 - concernente il "Trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato" - stabilisce nel suo primo comma che "a decorrere dalla data di entrata in vigore" del decreto, "in caso di cessazione del rapporto di impiego", al personale non di ruolo con qualsiasi qualifica "é dovuta una indennità commisurata ad una mensilità della sola retribuzione in godimento all'atto del licenziamento per ciascun anno di servizio o frazione di anno superiore a sei mesi". Nei commi quarto e quinto del predetto decreto si stabilisce che tale indennità "non é dovuta nel caso di licenziamento per motivi disciplinari o di dimissioni volontarie o di passaggio in ruolo"; ed inoltre "al personale pensionato comunque assunto in servizio civile non di ruolo".

Il trattamento previsto dall'art. 9 del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, per il personale civile non di ruolo delle Amministrazioni statali veniva esteso, con l'art. 7 del D.L.C.P.S. 5 febbraio 1948, n. 61, al "personale non di ruolo in servizio presso gli Enti pubblici locali". Successivamente la legge 8 marzo 1968, n. 152 - recante "nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali" - prevedendo, all'art. 1, l'estensione a tale personale dell'iscrizione obbligatoria all'INADEL, operava, per la prima volta, il riconoscimento, ai fini previdenziali, del servizio non di ruolo prestato alle dipendenze degli enti locali. Prima dell'entrata in vigore di tale legge, infatti, il personale non di ruolo degli enti locali veniva iscritto, ai fini pensionistici alla C.P.D.E.L. (Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali), ma non anche all'INADEL: e l'iscrizione alla Cassa escludeva il diritto alla corresponsione dell'indennità di cui all'art. 9 D.L.C.P.S. n. 207/1947, discendendo dall'ultimo comma di tale disposizione che essa non fosse comunque cumulabile con un trattamento di quiescenza. In correlazione con l'avvenuta iscrizione all'INADEL ai fini previdenziali, l'art. 16 della predetta legge 152/1968 stabiliva, al primo comma, che "non é dovuta la indennità per cessazione dal servizio prevista dalle vigenti disposizioni di legge a favore del personale non avente diritto a pensione". Peraltro il secondo comma del medesimo articolo aggiungeva che "il diritto alla predetta indennità se spettante in base alle vigenti disposizioni é conservato relativamente ai periodi di servizio non valutabili ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla presente legge. In tal caso l'indennità é computata, secondo le disposizioni vigenti, sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge".

La medesima legge 152/1968 ammetteva d'altra parte (anche) per il personale non di ruolo "ai fini della liquidazione dell'indennità premio di servizio il riscatto dei servizi anteriori all'entrata in vigore" della medesima legge, purché per un periodo non "complessivamente superiore a quattordici anni" (art. 12); ciò, peraltro, "previo pagamento di un contributo a totale carico del personale interessato" (art. 13).

Al riguardo, é inoltre opportuno ricordare che la legge 6 dicembre 1966, n. 1077, nel disporre l'"estensione ai dipendenti civili non di ruolo delle Amministrazioni dello Stato delle norme sul trattamento di quiescenza e di previdenza vigenti per dipendenti di ruolo", stabiliva (v. artt. 1, 2, 3) che per periodi di servizio non di ruolo anteriori alla sua entrata in vigore "l'indennità per cessazione dal servizio prevista dalle vigenti disposizioni" non era più dovuta, in quanto sostituita dalla quota di indennità di buonuscita ENPAS ottenibile col riscatto degli stessi periodi mediante versamento di contributi a totale carico dei dipendenti. All'art. 3, secondo comma, era peraltro stabilito che "il diritto alla predetta indennità é conservato relativamente al servizio non di ruolo che non sia riscattato", con ciò prevedendosi un diritto di opzione del dipendente tra indennità di fine servizio e indennità previdenziale fondata sulla contribuzione.

3. - La suesposta disciplina - come ricordano giudici rimettenti - ha peraltro subito rilevanti modifiche per effetto di talune pronunce di questa Corte e di successivi interventi legislativi.

L'ultimo comma dell'art. 9 D.L.C.P.S. n. 207/1947, in quanto escludeva dall'indennità per cessazione dal servizio il personale non di ruolo pensionato, veniva dichiarato costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 36, primo comma, Cost. - con la sentenza n. 236 del 1974 ed espressamente abrogato con l'art. 254, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).

Il quarto comma del medesimo art. 9 D.L.C.P.S. n. 207/ 1947, nella parte in cui disponeva che l'indennità per cessazione dal servizio "non é dovuta (al personale non di ruolo) nel caso di licenziamento per motivi disciplinari o di dimissioni volontarie" era stato abrogato, per quanto attiene alla prima ipotesi, dall'art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424 e dichiarato costituzionalmente illegittimo, in entrambe le ipotesi - per contrasto con l'art. 36 Cost. - con la sent. n. 156 del 1973

 (cui si era poi aggiunta, nello stesso senso, in riferimento alla seconda ipotesi, la sent. n. 184 del 1973).

Ancora: il primo e secondo comma del medesimo art. 9 D.L.C.P.S. n. 207/1947, nella parte in cui disponevano che l'indennità per cessazione dal servizio é commisurata alla "sola retribuzione" e non ad ogni altro tipo di emolumento fisso e ricorrente, erano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi - per contrasto con l'art. 3 Cost. - con la sent. n. 116 del 1976. Inoltre, l'art. 18 del medesimo D.L.C.P.S. n. 207/1947, nella parte in cui negava l'indennità per cessazione dal servizio di cui al più volte citato art. 9 al personale insegnante non di ruolo, era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 3 Cost. - con la sent. n. 65 del 1977.

Tra le "vigenti disposizioni" richiamate dall'art. 16, secondo comma, della 1. n. 152/1968, - concludono perciò giudici rimettenti - l'unica ipotesi, rimasta in vita, di esclusione del diritto all'indennità di fine servizio per il personale non di ruolo é quella concernente il personale "passato in ruolo".

4. - Nei giudizi principali, la predetta disposizione é venuta in considerazione in quanto ai ricorrenti - cinque dipendenti di enti locali e un insegnante non di ruolo - era stato negato il diritto alla suddetta indennità, relativamente a lunghi periodi di servizio (da un minimo di 15 ad un massimo di 24 anni), solo per effetto del loro passaggio in ruolo, avvenuto: quanto ai dipendenti di enti locali, anteriormente al 1968; per l'insegnante non di ruolo, nel 1974. Peraltro, parte del servizio non di ruolo era stato da taluni riscattato al fine di poter usufruire dell'indennità premio di servizio, a norma dell'art. 13 della citata legge 152/1968.

In riferimento a tali situazioni, giudici rimettenti, argomentando dalla natura retributiva e dalla concorrente funzione previdenziale riconosciuta all'indennità per cessazione dal servizio, sostengono che l'esclusione dal relativo diritto dei dipendenti non di ruolo "nel caso di... passaggio in ruolo" contrasti con l'art. 36, primo comma, Cost., avuto riferimento, in particolare, alla protezione accordata alla retribuzione da detta norma costituzionale ed ai criteri di proporzionalità in essa stabiliti.

Alcune ordinanze, poi, censurano la norma impugnata anche in riferimento all'art. 3 Cost., non ritenendo osservato, per un verso, il principio di uguaglianza rispetto a corrispondenti situazioni del rapporto di impiego privato, ed evidenziando, per altro verso, la sperequazione tra il dipendente passato in ruolo prima della legge del 1968 - che viene privato della indennità in discussione - e chi era in posizione non di ruolo fin dall'origine e tale é rimasto anche dopo la predetta legge: il quale viceversa usufruisce dell'indennità per cessazione dal servizio relativamente ai periodi anteriori alla citata legge e dell'indennità premio di servizio, a seguito dell'iscrizione all'INADEL, per periodi successivi.

Con tali prospettazioni, TAR rimettenti muovono dal presupposto interpretativo della non spettanza dell'indennità in questione per servizi non di ruolo in caso di passaggio in ruolo, essendo solo consentito il riscatto previsto dall'art. 12 1. 152/1968; con ciò disattendendo, implicitamente, la tesi sostenuta da altri TAR quali - o attraverso una diversa lettura dell'art. 161.152/1968, o attraverso il richiamo alla cennata disciplina di cui alla 1. 1077/1966 - sostengono invece che essa spetti per periodi non riscattati.

Poiché peraltro l'interpretazione dei giudici a quibus é condivisa dalla giurisprudenza prevalente (ed in particolare dal Consiglio di Stato), questa Corte non può che partire dal medesimo presupposto.

In tali termini, la questione é fondata.

5. - Come ricordano giudici a quibus, questa Corte, con le già richiamate sentenze n. 236 del 1974 e n. 156 del 1973, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del quarto e quinto comma dell'art. 9 D.L.C.P.S. n. 207/1947, quest'ultimo in quanto escludeva dal diritto all'indennità per cessazione dal servizio il personale non di ruolo pensionato, il primo nella parte in cui dettava analoga esclusione per dipendenti non di ruolo licenziati a seguito di condanna penale, provvedimento disciplinare o dimissioni volontarie. Inoltre, con la sentenza 20 aprile 1977, n. 65 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di un'altra norma (l'art. 18) dello stesso decreto legislativo, che escludeva l'applicabilità dell'art. 9 - e quindi l'erogazione della ivi prevista indennità - al personale insegnante non di ruolo.

In tali decisioni, la Corte ha fatto applicazione del principio, già enunciato, in riferimento all'art. 36 Cost., nella sentenza n. 3 del 1966, secondo cui "la retribuzione dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, ai fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore o ai suoi aventi causa - rappresenta, nel vigente ordine costituzionale (che, tra l'altro, l'art. 1 Cost. definisce fondato sul lavoro), una entità fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione".

Ora, l'indennità per cessazione dal servizio di cui al più ,volte citato art. 9 "rientra, con la sua natura retributiva e la concorrente sua funzione previdenziale, nel complessivo trattamento economico spettante al dipendente non di ruolo" (sent. 236/74); dati, questi, in considerazione dei quali la Corte ha in varie occasioni dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni comportanti l'esclusione o la riduzione, per le più varie cause, di tali trattamenti (cfr., in particolare, tra le altre, per quanto attiene all'indennità qui in esame, oltre alle decisioni dianzi citate, le sentt. 184/73, 116/ 76 e 65/77; per quanto attiene all'indennità di anzianità, le sentt. 75/68, 204/71, 8/72, 85/72, 188/73; per quanto attiene all'indennità di buonuscita spettante agli autoferrotranvieri, la sent. 140/71

; cfr. inoltre, più in generale, le sentt. 78/67 e 288/83, nonché, più di recente, la sent. 308/83, relativa all'esclusione dei dipendenti non di ruolo dalle prestazioni erogate dal Fondo di cui all'art. 1 della legge n. 37/1942)

La ragione per la quale deve ritenersi "contrastante con l'art. 36 Cost. qualsiasi disposizione che privi il lavoratore o suoi aventi causa, per qualsiasi ragione, di detto trattamento (di fine rapporto), conquistato attraverso la prestazione dell'attività lavorativa e come frutto di essa" (sent. 156/73), sta, appunto, nel fatto che le indennità di fine rapporto costituiscono "parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita allo scopo di agevolare il superamento delle difficoltà economiche, possibili ad insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione. Per assolvere a tale finalità, che sta a base del differimento del pagamento, la misura dell'indennità viene determinata in proporzione alla durata del lavoro prestato ed alla complessiva retribuzione di carattere continuativo" spettante al dipendente (sentt. 184/73 e 75/68).

6. - La disposizione impugnata si pone, all'evidenza, in contrasto, con tali principi. Poiché, ai sensi dell'art. 36 Cost. l'indennità di fine rapporto deve essere proporzionale alla durata del lavoro prestato, non può ritenersi costituzionalmente legittima una normativa che, a tali fini, ne pretermetta una parte (per di più assai cospicua nei casi di specie). Né un tale risultato può essere giustificato dal beneficio della stabilizzazione del rapporto conseguita dal dipendente non di ruolo per effetto del passaggio in ruolo: da un lato, perché é intrinsecamente contraddittorio instaurare una sorta di rapporto sinallagmatico tra il conseguimento di uno status (posizione di ruolo) e la perdita di una parte (differita) del compenso per il lavoro prestato, trattandosi evidentemente di entità eterogenee e non comparabili; dall'altro, perché la distinzione tra servizio di ruolo e non di ruolo - se può giustificare differenziazioni agli effetti economici (cfr. sent. 264/83), ivi compresa la misura dell'indennità di fine rapporto - non può certo legittimare la totale perdita di questa relativamente al servizio non di ruolo, stante la particolare protezione da cui essa é assistita nel vigente ordinamento costituzionale.

7. - Né é possibile opporre al diritto del dipendente non di ruolo di percepire l'indennità per cessazione dal servizio, in caso di passaggio in ruolo, il fatto che gli sia consentito (per l'art. 12 della legge 152/1968) di riscattare ai fini del diritto alla indennità premio di servizio (acquisito col passaggio in ruolo) il periodo di servizio prestato prima del passaggio in ruolo e in ogni caso prima dell'entrata in vigore della citata legge del 1968. Questa Corte ha invero affermato (v. sentenza 181/84) che "la legge in parola lungi dall'avere inteso di modificare in pejus la posizione del personale non di ruolo ha esteso anzi a questo l'iscrizione all'INADEL prima riservata al personale di ruolo e conseguenti benefici". Il legislatore non ha, cioé, inteso sostituire l'indennità per cessazione dal servizio di cui all'art. 9 del D.L.C.P.S. 207/47 con il beneficio, accordato dall'art. 12, di riscattare, con contributo ad esclusivo carico del dipendente, il periodo di servizio anteriormente prestato come dipendente non di ruolo. Una tale sostituzione, infatti, può in determinati casi comportare un netto peggioramento per il dipendente, tenuto conto dell'entità dei contributi a suo carico connessi all'esercizio del riscatto, e quindi contrasterebbe con l'intento perseguito dal legislatore di migliorare e non di peggiorare il trattamento di fine rapporto. Perciò la possibilità di riscatto dei periodi di servizio non di ruolo non può precludere il diritto al conseguimento della indennità per cessazione dal servizio. La preclusione potrebbe invero avvenire solo se la richiesta del riscatto fosse la conseguenza di una libera scelta (necessaria ad evitare il cumulo delle indennità per lo stesso periodo di tempo) - sulla base di presupposti idonei alla sua effettuazione - tra il conseguimento per lo stesso periodo dei benefici previdenziali connessi al riscatto in ordine alla indennità premio di servizio e l'indennità per cessazione dal servizio di cui all'art. 9 del D.L.C. P.S. n. 207/47 (cfr., al riguardo, la citata sentenza 181/84, in fine; in modo analogo, del resto, dispone la dianzi richiamata disciplina di cui alla legge n. 1077/1966).

Stante l'accoglimento della questione ex art. 36, restano assorbite le censure proposte in riferimento all'art. 3 Cost.

8. - Il quesito, prospettato da una delle parti private, circa la rivalutabilità o meno dell'indennità per cessazione dal servizio - che ai sensi dell'art. 16, secondo comma, della legge 152/1968 "é computata, secondo le disposizioni vigenti, sull'ultimo stipendio o salario in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge" - esula dall'ambito delle questioni sollevate dai giudici a quibus, ed attiene, per altro verso, a problemi interpretativi che non spetta a questa Corte risolvere. Né d'altra parte, con riguardo alla disposizione ora citata, può farsi applicazione dell'art. 27 1. n. 87 del 1953, facendo nella specie difetto il nesso di conseguenzialità all'uopo necessario.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, quarto comma, del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947 n. 207, nella parte in cui dispone che l'indennità prevista dallo stesso art. 9 per il personale non di ruolo all'atto della cessazione del rapporto non é dovuta nel caso di passaggio in ruolo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1986.

 

Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1986.