Sentenza n. 264 del 1983

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SENTENZA N. 264

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma terzo, r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale) e 26 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (Modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249), promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1977 dal Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna, sul ricorso proposto da Mariotti Francesco contro il Comune di Rimini, iscritta al n. 561 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 1979; visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito, nella pubblica udienza del 12 aprile 1983 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso 1 ottobre 1971 al Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Mariotti Francesco, impiegato del Comune di Rimini, impugnò le deliberazioni 16 e 26 aprile 1971, 19 luglio 1971, con le quali il Consiglio Comunale di Rimini - nel procedere al riassetto dei ruoli, delle carriere e delle retribuzioni del personale - aveva considerato per intero il precedente servizio da lui prestato nella carriera direttiva quale funzionario di ruolo dal 26 febbraio 1956 e per metà il servizio prestato quale funzionario avventizio nella medesima carriera dal 1 luglio 1940.

Il TAR dell'Emilia - Romagna, con ordinanza 23 novembre 1977, ritenne rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata - in riferimento all'art. 36 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma terzo, r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale) e 26 legge 28 ottobre 1970, n. 775 (modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249).

L'ordinanza fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1979.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si é costituita la parte privata.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 16 ottobre 1979, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

L'art. 228, comma terzo, r.d. 3 marzo 1934, n. 383, prescrive, nella parte seconda, che il servizio prestato dagli impiegati e salariati dei Comuni e delle Province presso la stessa amministrazione, precedentemente alla nomina a posti di ruolo, in qualità di provvisori o avventizi, può essere riconosciuto in loro favore, agli effetti degli aumenti periodici di stipendio, nella stessa misura stabilita per gli impiegati dello Stato.

L'art. 26 legge 28 ottobre 1970, n. 775, recante modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249 (Delega al Governo per il riordinamento delle Amministrazioni dello Stato, per il decentramento delle funzioni e per il riassetto delle carriere e delle retribuzioni dei dipendenti), prevede la valutazione per metà del servizio, comunque prestato, anteriormente alla nomina nella stessa carriera, ai fini delle attribuzioni delle classi di stipendio o paghe nelle qualifiche o categorie di appartenenza alla data di entrata in vigore dei relativi decreti delegati. Tali norme, ad avviso del giudice "a quo", sarebbero in contrasto con l'art. 36 della Costituzione - il quale prescrive che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro - perché prevedono una valutazione del servizio prestato dall'impiegato del Comune quale avventizio diversa da quella del servizio di ruolo, mentre non vi sarebbe differenza sostanziale tra le prestazioni di un dipendente di ruolo e quelle del dipendente fuori ruolo, che ricoprono lo stesso posto, essendo eguali sia il titolo di studio e la preparazione professionale richiesti per la nomina, sia le mansioni svolte sia i rischi ed i disagi imposti, sia il grado di responsabilità.

Questa diversa valutazione non potrebbe ritenersi giustificata dalla mancata sottoposizione del dipendente avventizio a quella verifica della preparazione e capacità attraverso le prove di concorso di ammissione, alle quali é stato invece soggetto il personale di ruolo, sia perché la nomina degli impiegati di ruolo a seguito di concorso non costituisce un principio inderogabile e subisce eccezioni, sia perché il permanere dell'impiegato nella stessa attività comporta notoriamente un affinamento delle sue capacità lavorative ed un miglioramento del suo rendimento e, proprio per tale maggiore produttività individuale in connessione con la maggiore anzianità di qualifica, sono previsti gli aumenti periodici di stipendio nelle loro diverse denominazioni.

La questione non é fondata.

Il principio del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro - proclamato dall'art. 36, comma primo, della Costituzione - impone al legislatore di attribuire lo stesso trattamento economico a coloro che esplicano le medesime mansioni, e, quindi, per quanto concerne la fattispecie in esame, di corrispondere all'impiegato non di ruolo, all'atto dell'immissione in ruolo, lo stipendio con le relative indennità nella stessa misura spettante all'impiegato di ruolo, con la medesima qualifica, all'inizio del suo rapporto di pubblico impiego.

L'invocato principio tuttavia non opera retroattivamente né può dunque essere applicato nel senso di ritenere costituzionalmente garantita la completa equiparazione, sia pure ai soli effetti economici, del pregresso servizio non di ruolo a quello di ruolo.

Invero la proporzione della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato - prescritta dal citato art. 36 della Costituzione - va accertata con riferimento al momento in cui l'attività lavorativa é svolta nell'ambito di rapporti di impiego aventi le stesse caratteristiche, mentre l'equiparazione del precedente servizio non di ruolo a quello successivo di ruolo, effettuata dopo l'immissione in ruolo, comporterebbe il disconoscimento dei ben precisi caratteri distintivi delle due forme di rapporto, quello di ruolo e l'altro non di ruolo, che sono stati posti in evidenza da questa Corte con la sentenza n. 52 del 1981.

Al riguardo é sufficiente rilevare che l'impiegato di ruolo é assunto a seguito del superamento delle prove del concorso di ammissione, previsto e disciplinato da particolari norme in adempimento del precetto generale dell'art. 97, comma ultimo, della Costituzione, il quale prescrive che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Oltre a questa differenza del modo di costituzione, il rapporto non di ruolo si distingue da quello di ruolo perché ha la funzione di soddisfare esigenze eccezionali ed indilazionabili, ma transitorie della Pubblica Amministrazione; quindi, carattere fondamentale di esso é la sua precarietà, e la relativa disciplina giuridica, in linea generale, é ben diversa da quella dell'impiego di ruolo (sentenza citata n. 52 del 1981).

Il permanere dell'impiegato, prima non di ruolo, poi di ruolo, nella medesima attività ed il conseguente affinamento delle sue capacità lavorative e miglioramento del suo rendimento giustificano l'immissione dell'avventizio in ruolo, quale giusto riconoscimento del modo con cui ha svolto le sue mansioni, ma non comportano necessariamente, alla stregua dei principi costituzionali, la equiparazione del servizio non di ruolo a quello di ruolo, neppure ai soli effetti economici, per la netta distinzione tra queste due forme di rapporto di pubblico impiego, già posta in evidenza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma terzo, parte seconda, r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale) e 26 legge 28 ottobre 1970, n. 775 (modifiche ed integrazioni alla legge 18 marzo 1968, n. 249), proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 36, comma primo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 20 settembre 1983.