SENTENZA N. 8
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2122, terzo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1969 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e l'Ospedale Maggiore di Milano, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 113 del 6 maggio 1970.
Udito nella camera di consiglio del 25 novembre 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e l'Ospedale Maggiore di Milano in ordine all'appartenenza delle somme corrisposte dalla Philips S.p.a. all'Ospedale quale erede testamentario di Roberto Salici, già dipendente della società stessa e deceduto durante il rapporto di lavoro, il tribunale di Milano, con ordinanza del 14 novembre 1969, premesso che le dette somme costituivano l'importo dell'indennità d’anzianità e di mancato preavviso dovute in caso di morte del lavoratore, sollevava d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2122, comma terzo, del codice civile in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione.
Ad avviso del tribunale le dette indennità apparterrebbero al patrimonio del lavoratore alla stregua del salario, atteso il carattere retributivo che alle stesse sarebbe ormai universalmente riconosciuto.
E siccome relativamente ad esse, in mancanza delle persone di cui al primo comma dell'art. 2122, é disposta, col terzo comma dello stesso articolo, la successione legittima con l’esclusione di quella testamentaria, quest'ultimo divieto darebbe vita ad una disparità di trattamento in danno dei prestatori di lavoro e nei confronti di tutti gli altri cittadini, con violazione del principio d’eguaglianza. Del resto la disparità di trattamento non sarebbe sostenuta dall’ esistenza e prevalenza d’altri interessi.
Sempre secondo il tribunale, l'attribuzione delle somme allo Stato si risolverebbe in un’espropriazione senza indennizzo non giustificata da alcun interesse generale: la qualità d’erede necessario dello Stato non avrebbe ragione se non formale di essere invocata nella specie. Conseguentemente la norma sarebbe in contrasto con l'art. 42 della Costituzione.
L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Davanti a questa Corte non si é costituita alcuna delle parti né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. E pertanto la causa viene decisa, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, con la procedura di camera di consiglio.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Milano sostiene che l'art. 2122, comma terzo, del codice civile, nella parte in cui esclude che il lavoratore subordinato possa disporre per testamento delle indennità ivi indicate, sia in contrasto con il principio d’eguaglianza perché pone in essere un’ingiustificata disparità di trattamento in danno dei lavoratori subordinati e nei confronti di tutti gli altri cittadini; e che lo stesso articolo, là ove prevede che, in mancanza d’eredi legittimi entro il sesto grado, le dette indennità vadano attribuite allo Stato, violi l'art. 42 della Costituzione, perché dà luogo ad un’espropriazione senza indennizzo e nella carenza di motivi d’interesse generale.
2. - Con il terzo comma dell'art. 2122 del codice civile il legislatore presuppone che il diritto alle indennità indicate dagli artt. 2118 e 2120 dello stesso codice e dovute in caso di morte del lavoratore, faccia parte del di lui patrimonio.
Tali indennità, infatti, "sono attribuite secondo le norme della successione legittima", e cioé il diritto ad esse relativo spetta, jure successionis, agli eredi legittimi del lavoratore.
Intesa in questi termini l'anzidetta norma, la questione risulta fondata.
Con la disposizione sopra richiamata é ammessa, ai fini dell'attribuzione mortis causa, la sola delazione legittima: quella testamentaria é implicitamente esclusa, e correlativamente nella specie, siccome anche ritiene il giudice a quo, non trova applicazione l'art. 457 del codice civile, secondo cui "non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria".
Ora nell'esclusione della delazione testamentaria, risiede la particolarità della disciplina de qua nei confronti della regola per cui, nel rispetto delle norme sulla successione dei legittimari, ogni cittadino può disporre, "per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse" (art. 587, comma primo, del codice civile).
In relazione al diritto alle ripetute indennità e nei confronti del lavoratore subordinato, é perciò previsto un trattamento differenziato in danno di una categoria di cittadini.
E codesta disparità, d'altro canto, non trova un’adeguata e razionale giustificazione. É evidente, anzi, che con il disposto del terzo comma dell'art. 2122 non é stata convenientemente considerata la funzione previdenziale (che invece é stata tenuta presente nella disciplina di cui ai primi due commi dello stesso articolo) e che non può non essere collegata alle indennità in oggetto, atteso che di esse, in sostanza, la parte più cospicua é quella corrispondente alla indennità d’anzianità. Con l'esclusione, in particolare, della possibilità per il lavoratore di destinare le dette indennità a dati soggetti, diversi da quelli previsti dalla legge, si nega, tra l'altro, nell'ipotesi in esame, che persone facenti parte del nucleo familiare lautamente inteso del lavoratore possano, con la riscossione delle indennità, affrontare le difficoltà immediatamente connesse al venir meno, per morte, di chi comunque provvedeva al loro sostentamento.
Ricorre pertanto l'illegittimità costituzionale dell'art. 2122 comma terzo nella parte in cui esclude che il lavoratore subordinato possa per testamento disporre in ordine alle indennità dovute in caso di morte.
E ne consegue che al lavoratore é consentito di destinare le ripetute indennità in favore di qualsiasi soggetto e sempre che non gli sopravvivano le persone di cui al primo comma dell'art. 2122.
3. - Dichiarata la fondatezza della questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, non é necessario accertare se sussista o meno l'asserito contrasto con l'art. 42 della stessa Carta, della norma che prevede l'attribuzione delle ripetute indennità allo Stato.
Infatti, la seconda questione é stata in sostanza prospettata in via subordinata, per il caso in cui la Corte non avesse ritenuta sussistente la denunciata violazione dell'art. 3.
Ad ogni modo, dato che, invece, ricorre codesta illegittimità e può di conseguenza il lavoratore subordinato disporre per testamento, nei modi e limiti sopra precisati, delle dette indennità, l'attribuzione delle stesse allo Stato non darebbe luogo ad alcuna ablazione espropriativa, e sarebbe affatto conforme alla norma di cui all'art. 586 del codice civile, che prevede la devoluzione dell'eredità allo Stato in mancanza d’altri successibili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2122, comma terzo, del codice civile, nella parte in cui esclude che il lavoratore subordinato, in mancanza delle persone indicate nel primo comma, possa disporre per testamento delle indennità di cui allo stesso articolo.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1972.