Sentenza n.188 del 1973
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SENTENZA N. 188

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2120, secondo comma, del codice civile e dell'articolo unico del d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, nella parte in cui ha esteso erga omnes l'art. 27, lett. a, del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del 10 gennaio 1959, promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1971 dalla Corte di appello di Messina nel procedimento civile vertente tra Sabbatino Salvatore e la Società editrice siciliana "Gazzetta del Sud", iscritta al n. 459 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 26 gennaio 1972.

Udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1973 il Giudice relatore Guido Astuti.

Ritenuto in fatto

Nel corso di una causa di lavoro vertente tra Salvatore Sabbatino e la Società editrice siciliana S.p.A. Gazzetta del Sud, la Corte di appello di Messina, con ordinanza in data 27 maggio 1971 ha sollevato di ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120, secondo comma, del codice civile e dell'art. 27, lett. a, del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del 10 gennaio 1959, esteso erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, per contrasto con gli artt.3 e 36 della Costituzione.

Ritiene la Corte di appello di Messina che la norma impugnata, nella parte in cui statuisce che il giornalista dimissionario, che non abbia superato i cinque anni di servizio nella azienda, ha diritto alla indennità di anzianità nella misura ridotta del 50%, non sarebbe compatibile con il carattere retributivo riconosciuto dalla Corte costituzionale alla indennità di anzianità. Infatti, una volta intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 2120 cod. civ. (sent. n. 75 del 1968), non sarebbe più lecito ridurre l'ammontare dell'indennità di anzianità in relazione al motivo che ha dato luogo alla risoluzione del rapporto (colpa del lavoratore o dimissioni volontarie). Una eventuale limitazione, legittima in quanto più favorevole al lavoratore, fino a quando era applicabile l'ultima parte del primo comma dell'art. 2120 cod. civ., che addirittura negava la indennità di anzianità al lavoratore dimissionario, una volta intervenuta la dichiarazione di illegittimità di quest'ultima norma, non potrebbe più ritenersi conforme ai principi vigenti, in forza dei quali la indennità di anzianità spetta tutta intera in ogni caso.

Nessuno é comparso innanzi a questa Corte, e il procedimento ha avuto corso nelle forme di cui all'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di rimessione viene sollevata d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120, secondo comma, del codice civile e dell'art. 27 del contratto nazionale di lavoro per i giornalisti 10 gennaio 1959 (esteso erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153), in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui si stabilisce che al giornalista dimissionario, il quale non abbia superato i cinque anni di anzianità di servizio nell'azienda, la indennità di anzianità deve essere corrisposta nella misura ridotta del cinquanta per cento.

Nella motivazione e nel dispositivo dell'ordinanza detta riduzione é riferita all'ipotesi che il dimissionario non abbia superato i tre anni di anzianità di servizio: ma trattasi di evidente errore materiale - peraltro irrilevante ai fini della decisione - che deve essere rettificato in base al testo del contratto collettivo annesso al d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, quale risulta dal Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 79 del 29 marzo 1961.

2. - Poiché la norma applicabile per la decisione del giudizio a quo é quella contenuta nell'art. 27 del contratto nazionale di lavoro sopraindicato, la questione, nella parte in cui si riferisce all'art. 2120, secondo comma, del codice civile, deve essere dichiarata inammissibile per assoluto difetto di rilevanza.

3. - La disposizione del primo comma dell'art. 2120 del codice civile, abrogata con l'art. 9 della legge 15 luglio 1966, n. 604, é già stata da questa Corte dichiarata costituzionalmente illegittima, rispetto ai rapporti anteriori, con sentenza n. 75 del 1968, nella parte in cui escludeva il diritto del prestatore di lavoro all'indennità di anzianità quando la cessazione del rapporto derivasse da licenziamento per colpa o da dimissioni volontarie; ciò in quanto detta indennità, avendo carattere retributivo, é dovuta in ogni caso di risoluzione del rapporto, indipendentemente dai motivi che possano averla determinata, come parte della retribuzione il cui pagamento viene differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Le stesse considerazioni valgono anche rispetto alla disposizione dell'art. 27 del contratto collettivo per i giornalisti del 1959, che, pur non escludendo il diritto del giornalista dimissionario a percepire l'indennità di anzianità, ne riduce tuttavia la misura al cinquanta per cento, quando non abbia superato i cinque anni di anzianità di servizio. Questa riduzione, prevista dal contratto unicamente per il caso delle dimissioni, integra una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri casi di risoluzione del rapporto, in palese contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. É infatti evidente che a parità di lavoro prestato, e ricorrendo le stesse condizioni poste dalla legge come elementi essenziali per la sua determinazione, la misura dell'indennità non possa essere diversa per effetto delle circostanze concernenti la cessazione del rapporto.

4. - Come ha esattamente osservato la Corte di appello di Messina nell'ordinanza di rinvio, "nella specie non si fa questione della determinazione della misura dell'indennità di anzianità, ma della riduzione, anzi della parziale soppressione dell'indennità già stabilita altrove, per il caso di dimissioni". Per vero, il principio sancito dall'art. 2120 del codice civile, per cui al lavoratore é dovuta una indennità "proporzionale agli anni di servizio", non esige che la misura dell'indennità debba sempre essere determinata in base ad un rapporto fisso e costante con il numero degli anni del servizio prestato, e pertanto non esclude che, in sede convenzionale, - come di fatto avviene in numerosi contratti collettivi -, la durata del rapporto di lavoro possa essere frazionata in più periodi, ad ognuno dei quali corrisponda un diverso coefficiente o una diversa aliquota di valore crescente per i successivi scaglioni. Sotto questo profilo, - semprechè la misura-base dell'indennità, ovvero l'aliquota retributiva stabilita per il periodo minimo di anzianità, possa ritenersi idonea ad assicurare al lavoratore la soddisfazione delle esigenze derivanti dalla cessazione del rapporto ai sensi dell'art. 36 della Costituzione -, l'attribuzione a tutti gli appartenenti ad una stessa categoria, per i primi cinque anni di servizio, di un'indennità in misura inferiore rispetto a quella prevista per gli anni successivi, non potrebbe giudicarsi illegittima, né contrastante con il principio di eguaglianza.

Ma nella fattispecie la norma contrattuale, dopo aver stabilito in via generale un'indennità di anzianità "pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno o frazione di anno di servizio prestato", riduce tale indennità nella misura del cinquanta per cento per il solo caso di dimissioni, sia pur limitatamente a coloro che non abbiano superato i cinque anni di servizio: e questa riduzione appare sicuramente illegittima, non potendosi ammettere né giustificare la previsione di un trattamento deteriore in correlazione con i motivi determinanti la risoluzione del rapporto di lavoro. In questi termini, la dedotta questione di legittimità costituzionale deve riconoscersi fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo unico del d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153: "Norme sul trattamento economico e normativo dei giornalisti", che rende esecutivo erga omnes il contratto collettivo nazionale per i giornalisti 10 gennaio 1959, limitatamente all'art. 27, terzo comma, di detto contratto, nella parte in cui riduce l'indennità di anzianità nella misura del cinquanta per cento, in caso di dimissioni, ai giornalisti che non abbiano superato i cinque anni di servizio;

dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120, secondo comma, del codice civile.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1973.