SENTENZA N. 16
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Giovanni AMOROSO
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria) e dell’art. 50, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, sull’istanza proposta da I. S., con ordinanza del 5 aprile 2024, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2024, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 10 dicembre 2024.
Udita nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2024 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2024.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 5 aprile 2024, iscritta al n. 100 del registro ordinanze del 2024, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), «nella parte in cui – per le vacazioni successive alla prima – prevede un onorario inferiore a quello previsto per la prima vacazione, anche in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 d.P.R. n. 115 del 2002», e dell’art. 50, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», «nella parte in cui prevede che le tabelle relative agli onorari a tempo individuino il compenso orario eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive, anche in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 d.P.R. n. 115 del 2002».
Il giudice a quo riferisce di dover decidere, in merito all’istanza di liquidazione dei compensi presentata da I. S., interprete di lingua araba che, iscritto nella relativa sezione dell’albo dei periti del Tribunale di Firenze, aveva prestato la propria attività nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto di E.A. E.H. (avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 dicembre 2023), per la cui celebrazione si era resa necessaria la nomina dell’ausiliare.
2.– In punto di rilevanza, il rimettente evidenzia che l’interprete era presente in aula dalle ore 9:00 del giorno 27 dicembre, come da attestazione di cancelleria, e che doveva comunque ritenersi, sulla base della prassi operativa dell’ufficio giudiziario e della polizia giudiziaria, che lo stesso fosse stato citato a comparire per tale ora. Il decreto di presentazione del pubblico ministero – prosegue il giudice a quo – riportava l’orario 12:40 e il verbale di udienza attestava che il procedimento a carico di E.A. E.H. era stato trattato solo alle ore 16:04 per concludersi alle ore 18:10 con la convalida dell’arresto, cui era seguito il rinvio ad altra udienza per la celebrazione del giudizio direttissimo.
L’attesa della chiamata del processo, la durata dell’udienza di convalida e i tempi necessari per gli adempimenti successivi (gli incombenti destinati all’estrazione e alla consegna delle copie dell’ordinanza e le interlocuzioni finali tra difensore ed assistito) avrebbero richiesto, secondo il rimettente, di riconoscere all’ausiliare, a fronte di un incarico espletato alla presenza dell’autorità giudiziaria, e per il quale non vale dunque il limite di quattro vacazioni al giorno, un onorario, commisurato al tempo impiegato, pari a cinque vacazioni, la cui liquidazione ammonterebbe, alla stregua della normativa censurata, a euro 47,28 (euro 14,68 per la prima vacazione ed euro 8,15 per le successive), importo suscettibile «di essere raddoppiato […] in ragione dell’urgenza», ai sensi dell’art. 4, terzo comma, della legge n. 319 del 1980; ovvero, qualora si consideri il solo arco temporale tra le 12:40 e le 18:10, a euro 30,98.
Tale normativa non è tale, nella prospettazione del Tribunale, da garantire un adeguato compenso all’attività dell’interprete.
Il rimettente ricorda che, se pure gli importi previsti per la liquidazione delle vacazioni sono stati oggetto di successivo adeguamento ad opera di fonti secondarie «ai sensi dell’art. 10 legge 319/1980 (e poi dell’art. 2 legge 13/1991)», le disposizioni censurate si connotano per «uno scarto (significativo)» tra l’importo relativo alla prima vacazione e le successive.
L’allineamento di queste ultime al valore superiore determinerebbe, nel caso concreto, la liquidazione di un importo pari ad euro 73,40, salva sempre la possibilità di raddoppio per l’urgenza, idoneo a ricondurre a più equi canoni la misura del compenso.
Onde la necessità di investire questa Corte, dipendendo dalla sua decisione l’entità finale della liquidazione spettante a I. S. per la prestazione professionale svolta.
3.– Passando all’illustrazione della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il rimettente muove dal contenuto sia dell’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980, nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, prevede un onorario inferiore a quello contemplato per la prima vacazione, sia dell’art. 50, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, laddove stabilisce che le tabelle relative agli onorari a tempo individuino il compenso orario eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive.
3.1.– Il giudice a quo osserva che l’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980 prevede, per quel che qui rileva, che gli onorari a tempo vengano determinati in base alle vacazioni, aventi durata di due ore e misura diversificata tra la prima e le successive.
Gli importi inizialmente contemplati – lire 10.000 per la prima vacazione e lire 5.000 per quelle ulteriori – sono stati oggetto di successiva rimodulazione, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge n. 319 del 1980 (poi abrogato dell’art. 299, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002), ad opera del d.P.R. 30 marzo 1984, n. 103 (Adeguamento degli onorari commisurati al tempo, spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, per le operazioni eseguite su richiesta dell’autorità giudiziaria in materia penale e civile), del d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), abrogato dall’art. 301, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, nonché, a seguito della legge 12 gennaio 1991, n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica), che aveva riallocato la competenza in materia, ad opera del decreto del Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro del tesoro, 5 dicembre 1997 (Adeguamento della misura degli onorari a vacazione spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori), e, infine, del decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale).
Per effetto di tale ultimo intervento normativo, in particolare, con l’art. 1, comma 1, l’onorario per la prima vacazione è stato elevato a euro 14,68 e per le successive a euro 8,15, importi ad oggi vigenti.
Ai sensi del terzo comma dell’art. 4 della legge n. 319 del 1980, l’onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando per il compimento delle operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni e può essere aumentato fino alla metà quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni.
I commi successivi del medesimo art. 4 dettano criteri integrativi sul computo delle vacazioni non ultimate e sul numero massimo delle vacazioni giornaliere.
3.2.– La disciplina dei compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria – prosegue il rimettente – è poi confluita nel d.P.R. n. 115 del 2002, recante la nuova regolamentazione organica delle spese di giustizia.
L’art. 50 di tale Testo Unico classifica gli onorari degli ausiliari del magistrato in fissi, variabili e a tempo, nella misura stabilita «mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 400/1988», avuto riguardo alle tariffe professionali esistenti, eventualmente in materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell’incarico.
Le tabelle relative agli onorari a tempo individuano il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima ora e le successive, nonché la percentuale di aumento per l’urgenza, il numero massimo di ore giornaliere e l’eventuale superamento di tale limite per attività svolte alla presenza dell’autorità giudiziaria.
Nonostante disponga l’abrogazione, nel resto, dell’intera legge n. 319 del 1980, l’art. 299, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 preserva la vigenza dell’art. 4 della legge n. 319 del 1980, mentre il successivo art. 54 ripropone un meccanismo di adeguamento periodico degli onorari, fissi, variabili e a tempo, da attuarsi, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dell’indice dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Ciò premesso, il giudice a quo sottolinea che tale ultimo meccanismo non ha mai trovato applicazione, poiché l’ultimo aggiornamento delle tariffe risale al d.m. 30 maggio 2002, emanato ancora in applicazione dell’art. 10 della legge n. 319 del 1980.
4.– Nell’ordinanza di rimessione si ricorda come questa Corte abbia già stigmatizzato, con la sentenza n. 41 del 1996, il «deplorevole inadempimento» dell’autorità amministrativa al compito di periodico adeguamento degli onorari, e abbia in seguito censurato la seria sproporzione, per difetto, della base tariffaria su cui calcolare la misura dei compensi dell’ausiliare del giudice, in caso di imputato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dichiarando, con la sentenza n. 192 del 2015, l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non esclude la diminuzione di un terzo dei relativi importi in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
Per il giudice rimettente, i rilievi formulati nella sentenza n. 192 del 2015 sarebbero «ancor più validi nel 2024», a fronte del persistere dell’inerzia dell’autorità amministrativa, tradottasi in una misura di onorari ormai irrisoria, con ricadute di sistema sia in termini di tendenziale allontanamento dal «circuito degli ausiliari» del giudice delle migliori professionalità, sia quanto al rischio che i collaboratori non profondano il necessario impegno nell’espletamento dell’incarico.
Il Tribunale di Firenze richiama ulteriori precedenti (sono citate le sentenze n. 166 del 2022 e n. 178 del 2017) con cui questa Corte, nel pronunciarsi sulla decurtazione degli onorari del consulente di parte in caso di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, e su analoghe riduzioni dei compensi degli ausiliari nel processo civile, ha ritenuto la violazione del principio di ragionevolezza, oltre che del diritto di difesa.
5.– Tali considerazioni sarebbero replicabili con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale oggi sollevate.
Secondo il rimettente, «un compenso orario di appena 4 euro lordi», in cui sono destinate a tradursi, allo stato, le previsioni della normativa censurata, per ciascuna vacazione successiva alla prima, compenso inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva, per «mestieri molto meno qualificati, risulta assolutamente insufficiente a garantire la qualità necessaria della prestazione» e l’equità del processo.
Al pregiudizio ricadente sul professionista incaricato, leso nel diritto a veder dignitosamente compensata l’attività prestata, si unirebbe quello risentito dall’amministrazione della giustizia e dallo stesso imputato, a causa dello scadimento della qualità della collaborazione dell’ausiliare e della tendenziale riduzione del novero dei soggetti disposti a prestarla.
Sebbene la previsione, per la prima vacazione, di un onorario superiore a quello previsto per le successive possa avere, in astratto, una sua ragionevolezza, i valori concretamente assunti dai compensi degli ausiliari – nella loro già modesta entità iniziale e nel loro successivo e protratto mancato adeguamento al costo della vita, dovuto ad un inadempimento dell’autorità amministrativa divenuto ormai «connotato strutturale del sistema» – sarebbero tali da determinare la lesione degli artt. 3 e 111 Cost.
6.– In via subordinata, la richiamata disciplina è ulteriormente sospettata di illegittimità costituzionale «limitatamente alle ipotesi di liquidazione dell’interprete per l’attività di interpretariato svolta nell’interesse dell’imputato alloglotto», per contrasto con gli artt. 111, terzo comma, e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 4 e 5 della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, attuata nel diritto interno con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32 (Attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali), e all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare sul diritto di ogni accusato di «farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza» (come prevede il paragrafo 3, lettera e, del citato articolo convenzionale).
6.1.– Il rimettente ricorda, al riguardo, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’indole, effettiva e concreta, del diritto in esame, citando espressamente la sentenza del 24 gennaio 2019 resa nel caso Knox contro Italia (paragrafo 182), che ha ritenuto sussistente «una violazione da parte dello Stato Italiano dell’art. 6 par. 3 lett. e) della Convenzione» a causa dell’inadeguatezza dell’assistenza garantita all’imputata.
Il giudice a quo rammenta, infine, l’esistenza di numerosi studi europei sulla relazione tra la qualità dell’interpretazione e la remunerazione del professionista, menzionati nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 18 dicembre 2018, sull’attuazione della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.
6.2.– Nell’evidenziare, dunque, lo stretto collegamento esistente tra la misura del compenso per l’attività di interpretazione, l’effettiva qualità della prestazione e il carattere equo del processo, il Tribunale di Firenze auspica, in via subordinata, che questa Corte dichiari – eventualmente, in caso di dubbio circa l’interpretazione da darsi alla citata direttiva 2010/64/UE, previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) – l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, legge n. 319 del 1980, e dell’art. 50, comma 3, del d.P.R. n 115 del 2002, nelle parti già indicate, per contrasto con gli artt. 111, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione ai citati parametri sovranazionali interposti.
7.– Secondo il giudice a quo, infine, la chiarezza e univocità del dato letterale escludono la possibilità di una interpretazione costituzionalmente conforme della normativa in esame, di per sé in grado di uniformare gli importi allineandoli al valore iniziale più elevato, mentre sarebbe «strumentale» ed «illegittim[o]» avvalersi della previsione (attualmente, l’art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002), che consente di aumentarne la misura in caso di eccezionale importanza, complessità e difficoltà della prestazione, all’improprio fine di sopperire al «fattore di inadeguatezza legato alla riduzione degli onorari per le vacazioni successive alla prima».
8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
9.– Hanno presentato opinione scritta in qualità di amici curiae, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’Associazione italiana traduttori e interpreti giudiziari (Assitig), in data 20 giugno 2024 e, congiuntamente tra loro, Fair Trials Europe, organizzazione non governativa, ed European Criminal Bar Association (ECBA), gruppo di avvocati penalisti indipendenti dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, il 24 giugno successivo.
Entrambe le opinioni sono state ammesse con decreto presidenziale del 22 ottobre 2024.
9.1.– In particolare, Assitig aderisce ai rilievi contenuti nell’ordinanza di rimessione, chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
L’amicus curiae rimarca la «disparità di trattamento economico» tra la prima e le successive vacazioni, individuandola come fattore in grado di pregiudicare la necessaria assistenza linguistica dell’imputato, che richiede una adeguata remunerazione dell’interprete a garanzia della «qualità sufficiente» della prestazione, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2010/64/UE.
9.2.– Anche Fair Trials Europe ed ECBA svolgono considerazioni a sostegno della fondatezza delle censure sollevate dal rimettente, dopo aver operato una articolata ricostruzione del quadro normativo internazionale di riferimento.
Essi rammentano la diversa consistenza delle tariffe di interpreti e traduttori nei vari ambiti europei (sono menzionati, tra gli altri, gli ordinamenti di Germania, Spagna e Francia) e affermano che la garanzia delle categorie indicate ad una adeguata remunerazione, in base alle particolari competenze richieste, integra il diritto ad un equo processo, in conformità con gli obblighi previsti dagli artt. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dal diritto derivato dell’Unione in materia processuale.
Gli amici curiae insistono, quindi, perché questa Corte riaffermi «con forza la rilevanza dei diritti in discussione», offrendo una interpretazione conforme a Costituzione delle norme censurate, ovvero dichiarandone l’illegittimità costituzionale, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, censura, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, l’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980, nella parte in cui, con riguardo alla determinazione dei compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria, prevede, per le vacazioni successive alla prima, un onorario inferiore a quello stabilito per la prima, anche ove si tratti di previsioni tariffarie non più adeguate al costo della vita a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002; nonché l’art. 50, comma 3, dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui stabilisce che le tabelle relative agli onorari a tempo individuino il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive.
Nella prospettiva del rimettente, la netta differenza operata dalla normativa censurata tra il compenso, già largamente inadeguato, relativo alla prima vacazione e quello, irrisorio, fissato per le vacazioni successive, darebbe luogo a un assetto normativo manifestamente irragionevole, tale da sacrificare il diritto all’adeguata remunerazione del professionista e ledere la garanzia dell’equo processo, non assicurando a tal fine la qualità minima della prestazione dell’ausiliare.
1.1.– In via subordinata, con specifico riferimento alla liquidazione del compenso degli interpreti per l’attività svolta nel processo penale a carico di imputato alloglotto, l’assetto normativo in esame è sospettato di violare anche gli artt. 111, terzo comma, e 117 Cost. (recte: art. 117, primo comma, Cost.), quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 4 e 5 della direttiva 2010/64/UE e all’art. 6 CEDU. Sarebbe, infatti, leso il diritto dell’imputato che non comprenda o non parli la lingua impiegata nel processo di giovarsi della prestazione di un interprete, la cui inadeguata remunerazione determinerebbe lo scadimento della relativa attività e limiterebbe il numero dei professionisti aspiranti a renderla, compromettendo la realizzazione di quel diritto.
2.– L’esame delle questioni sollevate richiede, preliminarmente, la ricostruzione della evoluzione della normativa che disciplina gli onorari a tempo, spettanti agli ausiliari del giudice per l’attività spiegata nel processo.
2.1.– La originaria regolamentazione legislativa di detti compensi risale al regio decreto 23 dicembre 1865, n. 2700 (Che approva la tariffa in materia civile) e al coevo regio decreto 23 dicembre 1865, n. 2701 (Che approva la tariffa in materia penale).
Tali leggi prevedevano, in particolare, per gli ausiliari del giudice, una distinzione dell’onorario contemplato per ciascuna vacazione, pari a due ore, a seconda della natura della prestazione e avendo riguardo al titolo di studio del consulente tecnico, del perito e dell’interprete, contemplando compensi più elevati per i laureati e inferiori, via via, per i diplomati e per i non diplomati.
Nella vigenza di tale assetto normativo nessuna distinzione era effettuata rispetto alla misura della prima vacazione e di quelle successive quanto all’entità del relativo compenso, sol prevedendosi che le vacazioni successive dovessero essere oggetto di un più puntuale vaglio da parte dell’autorità giudiziaria.
Il successivo regio decreto 3 maggio 1923, n. 1043 (Che stabilisce le competenze dovute ai testimoni, periti, giurati e ufficiali giudiziari e le indennità spettanti ai magistrati e cancellieri per le trasferte) ha introdotto due innovazioni di rilievo.
Per un verso, ha individuato un onorario specifico per determinate attività svolte dagli ausiliari, onorario dunque collegato allo svolgimento della prestazione in sé e per sé considerata, e, per un altro, ha introdotto una distinzione nell’ambito dell’art. 13 – peraltro non estesa agli ausiliari in possesso di laurea ma soltanto a quelli diplomati e a quelli privi di diploma – tra la misura della prima vacazione e quella delle vacazioni successive (fissandole, rispettivamente, negli importi di lire 8 e di lire 4).
La successiva legge 1° dicembre 1956, n. 1426 (Compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), ha continuato a distinguere tra compensi fissi e a tempo (art. 1), individuando gli importi "fissi” maturati dall’ausiliare per prestazioni predeterminate rese in materia sanitaria (art. 2), e prevedendo, per le prestazioni diverse, che gli onorari a vacazione dovessero essere liquidati in proporzione al tempo impiegato (art. 3).
Tale normativa ha confermato, inoltre, la durata di ciascuna vacazione, pari a due ore, dettando le relative modalità di computo, e ha individuato, come già in precedenza, il limite massimo giornaliero di quattro vacazioni (salvo che per gli incarichi svolti alla presenza del giudice).
Per quel che maggiormente rileva in questa sede, anche la legge n. 1426 del 1956 contemplava una distinzione della misura degli onorari "a tempo” per la prima vacazione e per quelle successive, prevedendo, peraltro, fasce crescenti in considerazione del titolo di studio dell’ausiliare (art. 4, primo comma). Era inoltre contemplata la possibilità di aumentare di un quarto il compenso per le vacazioni relative alle consulenze tecniche disposte dal giudice civile (art. 4, secondo comma).
Era altresì prevista una disciplina delle indennità di trasferta e delle spese (artt. 5 e 6), ma non era stabilito l’aggiornamento degli onorari.
La cornice normativa di riferimento comprendeva anche l’art. 24 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 (Disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile e disposizioni transitorie), il quale, dopo aver stabilito che la liquidazione del compenso al consulente tecnico dovesse essere effettuata con decreto dal giudice che lo aveva nominato, costituente titolo esecutivo, prevedeva altresì che «[i]l compenso è commisurato alle difficoltà delle indagini e alla durata di esse, tenuto conto della partecipazione del consulente alle udienze e dell’entità della materia controversa, e osservate le tariffe esistenti approvate dalla legge».
2.2.– La successiva legge n. 319 del 1980 ha riordinato in modo organico la materia, introducendo una più articolata classificazione degli onorari, distinti in «fissi, variabili o commisurati al tempo» (art. 1, secondo comma).
La citata legge n. 319 del 1980, all’art. 2, comma primo, ha disegnato, quanto alla determinazione degli onorari fissi e di quelli variabili, un sistema di tabelle, redatto con riferimento alle tariffe professionali, eventualmente relative a materie analoghe, «contemperate dalla natura pubblicistica dell’incarico e approvate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro del tesoro».
Nel sistema così definito, la legge distingueva dunque: a) prestazioni tabellate, remunerabili secondo tariffe fisse, o a previsione unica, ovvero secondo tariffe variabili, in quanto modulabili in base a fasce prefissate comprese tra un minimo e un massimo del valore percentuale dell’incarico; b) prestazioni non tabellate, compensabili "a vacazione”, secondo il tempo impiegato dall’ausiliare nell’espletamento dell’incarico. I relativi importi potevano essere raddoppiati per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà.
Il criterio della liquidazione in base alle vacazioni assumeva carattere, almeno formalmente, residuale. Il valore della prima vacazione era stabilito, nell’art. 4, secondo comma, in lire 10.000, quello di ciascuna vacazione successiva alla prima in lire 5.000, incrementabili in rapporto all’urgenza dell’incarico. Era tuttavia previsto, con l’art. 10, l’aggiornamento periodico triennale degli importi, raccordato agli incrementi ISTAT, rimesso a fonti di natura regolamentare.
L’ultimo aggiornamento è quello sancito dal d.m. 30 maggio 2002, il cui art. 1, comma 1, ancora in vigore, ha rideterminato gli importi per la prima e le successive vacazioni, rispettivamente, in euro 14,68 e in euro 8,15.
2.3.– Il descritto sistema ha conosciuto un ulteriore riordino a seguito dell’entrata in vigore, il 1° luglio 2002, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Il Titolo VII di tale Testo Unico, intitolato «Ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario», riclassifica gli onorari in «fissi, variabili e a tempo» (art. 49, comma 2), dettando poi la disciplina per la loro prima determinazione e per il successivo adeguamento.
L’art. 50, rubricato «Misura degli onorari», prevede, al comma 1, che l’entità dei compensi, di qualunque genere, sia stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Le tabelle, ai sensi del comma 2, devono essere redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell’incarico.
Per gli onorari a tempo, secondo il disposto dell’art. 50, comma 3, le tabelle individuano il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima ora e le ore successive, e stabiliscono altresì la percentuale di aumento per l’urgenza, il numero massimo di ore giornaliere e l’eventuale superamento di tale limite per le attività espletate alla presenza dell’autorità giudiziaria.
Ferma la facoltà di raddoppio per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà (art. 52, comma 1), l’art. 54 stabilisce che la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo sia adeguata ogni tre anni, in relazione alla variazione accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, finora non emanato.
La novità di maggiore rilievo dell’intervento riformatore è l’attrazione anche della determinazione degli onorari a tempo, come già di quelli fissi e variabili, nel sistema tabellare, al quale è rimessa la commisurazione iniziale degli importi, così come il successivo aggiornamento degli stessi. Tale sistema, tuttavia, non risulta ancora adottato. Al fine di dare ad esso impulso, ad oltre venti anni dalla sua previsione, è stata istituita, presso il Ministero della giustizia, con decreto ministeriale 4 dicembre 2023, la Commissione per la rideterminazione della misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, degli ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario.
2.4.– L’art. 275 del d.P.R. n. 115 del 2002, rubricato «Onorari degli ausiliari del magistrato» e collocato nella Parte IX, titolata «Norme transitorie», stabilisce che «[s]ino all’emanazione del regolamento previsto dall’articolo 50, la misura degli onorari è disciplinata dalle tabelle» adottate sotto il vigore della disciplina abrogata, nonché dall’art. 4 della legge n. 319 del 1980 (espressamente preservato nella sua vigenza), come modificato, per gli importi, dai successivi decreti ministeriali di adeguamento.
Abrogato, con effetto dal 1° luglio 2002, l’art. 10 della legge n. 319 del 1980, l’eventuale adeguamento degli onorari a tempo, transitoriamente disciplinati dall’art. 4 della stessa legge, mette dunque capo al meccanismo delineato dall’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 e all’emanazione dei decreti dirigenziali ivi contemplati, allo stato peraltro mai intervenuta. Tale sistema è confermato dalla previsione dell’art. 296 del d.P.R. n. 115 del 2002, che espressamente, al comma 1, stabilisce che i rinvii a disposizioni previgenti, primarie e secondarie, «si intendono riferiti alle modificazioni delle medesime, anche successive all’entrata in vigore del testo unico, salvo espressa esclusione del legislatore».
2.5.– La ratio della distinzione dell’entità del compenso contemplato per gli onorari "a tempo” tra prima vacazione e vacazioni successive non si individua nei lavori preparatori delle leggi che si sono succedute nel tempo.
La stessa Corte di cassazione, nell’unico lontano precedente che si è occupato della questione, senza chiarire il significato da attribuirsi alla distinzione tra prima vacazione e successive, si limitava a rimarcarne il fine precipuo di contenimento dei costi (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 15 marzo 1968, n. 847).
3.‒ Così ricostruito, anche in senso diacronico, il quadro normativo di riferimento, può passarsi all’esame delle questioni sollevate.
3.1.‒ La questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 50, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, è inammissibile per difetto di rilevanza.
Il giudice a quo non è infatti chiamato a fare applicazione di tale disposizione, che, pur formalmente in vigore, disciplinerà in concreto la materia solo a partire dall’adozione del regolamento ministeriale introduttivo del nuovo sistema tabellare, non ancora intervenuta, come sopra precisato.
Sino a quel momento, la liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice resta governata dall’art. 4 della legge n. 319 del 1980, in combinato disposto con il d.m. 30 maggio 2002, che ha sancito, come riferito, l’ultimo adeguamento dei relativi importi.
3.2.– La questione relativa all’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980, è fondata in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.
3.2.1.– Questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di pronunciarsi sull’adeguatezza dei compensi degli ausiliari del giudice per l’attività svolta nel processo.
Nello scrutinio di legittimità costituzionale la materia degli onorari non è stata mai disgiunta dalla connotazione pubblicistica del servizio reso, in considerazione della «relazione funzionale che, attraverso l’atto di designazione, si instaura tra l’ausiliario del magistrato e l’ufficio giudiziario [e che] costituisce un munus publicum (sentenze n. 102 del 2021 e n. 88 del 1970), dal cui utile svolgimento sorge un diritto al compenso» (sentenza n. 166 del 2022, punto 2.1. del Considerato in diritto).
In questo ambito, è stata purtuttavia avvertita l’esigenza di garantire un rapporto di proporzionalità tra i valori tabellari dei compensi e le corrispondenti tariffe libero-professionali, in modo da scongiurare l’esito per cui la riduzione, applicata in ragione dell’indole pubblicistica dell’istituto, finisse per svilire il valore dell’impegno assicurato dal professionista incaricato (sentenza n. 192 del 2015).
3.2.2.‒ È stato così gradualmente rilevato l’aspetto critico della decurtazione degli onorari dell’ausiliare, in una misura tale da sacrificare oltremodo, alle esigenze pubblicistiche del processo e alla necessità di ridurne i costi, l’entità dei compensi spettanti al perito, consulente tecnico, interprete e traduttore.
Quello che veniva definito, nelle più risalenti affermazioni della giurisprudenza costituzionale, come il «deplorevole inadempimento» (sentenza n. 41 del 1996, punto 5 del Considerato in diritto) delle pubbliche autorità preposte all’aggiornamento dei compensi degli ausiliari è divenuto, nel tempo, «dato caratterizzante della materia» (sentenza n. 192 del 2015, punto 5.1. del Considerato in diritto), entrando nell’ambito di valutazione proprio del giudizio di legittimità costituzionale alla luce del canone della ragionevolezza (salve le ipotesi nelle quali ad essere denunciata sia stata, piuttosto che la norma che prevedeva i compensi, l’inerzia dell’amministrazione nell’aggiornamento degli stessi, sanzionabile in altra sede: sentenza n. 89 del 2020).
Inizialmente, questa Corte si era limitata, infatti, a formulare un ampio auspicio al legislatore perché desse ingresso a «norme migliori» (sentenza n. 41 del 1996, punto 7 del Considerato in diritto), nel rilievo della insufficienza di una disciplina chiamata ad assicurare la congruenza dei livelli di remunerazione degli ausiliari del giudice rispetto al costo della vita.
Successivamente, in un quadro ordinamentale di ormai sistematica omissione, ad opera dell’autorità preposta, dell’onere di adeguamento triennale dei compensi degli ausiliari, pur introdotto proprio tenendo conto degli auspici formulati nella precedente giurisprudenza costituzionale dalla legge n. 319 del 1980 (sentenza n. 88 del 1970; ordinanze n. 102 del 1980 e n. 69 del 1979), questa Corte è intervenuta, nei termini propri del sindacato che ad essa compete, per contrastare il progressivo e ingiustificato impoverimento della remunerazione degli ausiliari del giudice.
3.2.3.– È stata, così, ritenuta la manifesta irragionevolezza della scelta legislativa che, nel processo penale, ove sia intervenuta l’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, non esclude che sia operata la diminuzione di un terzo degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato, sancita dall’art. 106-bis d.P.R. n. 115 del 2002, in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002 (sentenza n. 192 del 2015).
Con la successiva sentenza n. 178 del 2017, gli effetti della precedente pronuncia sono stati estesi alla fattispecie relativa alla liquidazione, a carico dell’erario, degli onorari al consulente tecnico di parte nel processo penale.
Quindi, con la sentenza n. 166 del 2022, questa Corte ha ravvisato i medesimi profili di manifesta irragionevolezza sul fronte del processo civile, e ha pertanto dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non esclude che sia operata la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato, prevista nei procedimenti in cui vi sia ammissione al patrocinio dello Stato, in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
La ratio che sorregge le indicate pronunce è quella di impedire il definitivo consolidamento di un sistema che suggelli l’assoluta e definitiva sproporzione tra onorari liquidabili all’ausiliare e principi di equa remunerazione del suo lavoro, nella necessità di preservare l’«elementare consistenza in rapporto alle variazioni del costo della vita» (sentenza n. 192 del 2015, punto del 5.1. del Considerato in diritto) della base tariffaria dei compensi degli ausiliari.
Come testualmente affermato nella sentenza n. 166 del 2022, «[i]l dispositivo delle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 sottende un’enunciazione di portata generale che […] trascende la ragione contingente che ha dato occasione allo scrutinio di irragionevolezza [e che è] identificabile nella obsolescenza degli importi tabellari» (punto 3.2. del Considerato in diritto).
3.2.4.– I principi affermati, trasposti dal sistema tabellare, all’interno del quale si è formato il richiamato indirizzo, alla materia delle prestazioni remunerate "a tempo”, inducono alla medesima affermazione di manifesta irragionevolezza del censurato art. 4 della legge n. 319 del 1980, nella parte in cui, al secondo comma, impone una rilevante diversificazione dei compensi legati al susseguirsi delle vacazioni, peraltro già scarsamente remunerate.
Ciò è accaduto, nonostante gli stessi, ormai risalenti, lavori preparatori sull’art. 4 della legge n. 319 del 1980 rivelassero la volontà del legislatore di approntare un più efficace meccanismo di remunerazione degli ausiliari del giudice, nell’avvertita insufficienza di quello previgente, ancorato esso stesso «alle cosiddette vacazioni mantenute in limiti che oggi [si era nell’anno 1980] appaiono meramente risibili ed agli onorari pur essi limitati a misura quasi simbolica» (Senato della Repubblica, VIII legislatura, 131ª seduta pubblica, resoconto stenografico 15 maggio 1980, pag. 6988).
Lo "scarto significativo” tra la prima vacazione e le successive – quale che ne fosse, in origine, il fondamento – accentua, nel descritto contesto, l’assoluta sproporzione tra l’entità del compenso da riconoscersi all’ausiliare e il valore della sua prestazione.
Questa assoluta sproporzione finisce con il ridondare in manifesta irragionevolezza rispetto al pur legittimo scopo perseguito di contenimento dei costi del processo, in quanto trascura l’esigenza primaria – che, invece, ha caratterizzato la legislazione di riferimento sino alla legge n. 1426 del 1956, la quale ancora distingueva gli onorari "a tempo” avendo riguardo al titolo di studio dell’ausiliare del magistrato – di una prestazione qualitativamente adeguata rispetto all’importanza del munus publicum conferito.
3.2.5.– L’istituto della vacazione, in realtà, non è più normato nella novellata disciplina degli onorari a tempo, ormai, come si è visto, interamente affidata, insieme a quella degli onorari fissi e variabili, alla previsione tabellare.
L’intervenuta costituzione presso il Ministero della giustizia, in data 4 dicembre 2023, della predetta Commissione per la rideterminazione della misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, degli ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, e la pendenza dei lavori della stessa, costituiscono un’occasione per riflettere sull’utilità di una distinzione, all’interno delle riordinate tabelle di liquidazione dei compensi, «tra la prima e le ore successive» (art. 50, comma 3, d.P.R. n. 115 del 2002), che, prevista dal legislatore come "solo eventuale”, rischia di riproporre, in caso di mancato tempestivo aggiornamento dei valori tabellari ai mutamenti del costo della vita, le deviazioni applicative in questa sede stigmatizzate.
4.– L’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980, va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione.
5.– Restano assorbite le ulteriori questioni sollevate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria) nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 2024.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2025