SENTENZA N. 269
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, commi 3 e 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), quest’ultimo aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca, in composizione collegiale, nel giudizio proposta da A.A. D.S., con ordinanza del 14 gennaio 2022, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 gennaio 2022, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Lucca, in composizione collegiale, nel corso di un giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso introdotto, ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), da A.A. D.S., ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, commi 3 e 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), quest’ultimo aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
2.– Il giudice a quo premette che l’attore ha dichiarato di manifestare da tempo risalente una disforia di genere di tipo MtF (Male to Female), come emergerebbe dalla relazione psicologica conclusiva eseguita da un consultorio transgenere, versata in atti, cioè una condizione di transessualismo che lo ha identificato irrevocabilmente nel genere femminile, e che richiede l’adeguamento dell’identità fisica a quella psichica; di aver contratto nel 2019 unione civile con R. I., e di avere interesse, così come il partner, alla conservazione del vincolo familiare attraverso l’automatica conversione in matrimonio per effetto della rettificazione anagrafica del sesso dello stesso attore. Quest’ultimo ha, pertanto, chiesto: 1) l’autorizzazione all’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso, da maschile in femminile; 2) la rettificazione anagrafica dei dati riguardanti il sesso e il nome; 3) l’ordine al competente ufficiale dello stato civile di procedere all’iscrizione del matrimonio con R. I. nel relativo registro.
Ciò posto, il Collegio rimettente censura: a) l’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 per contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento della unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilità di conversione in matrimonio previa dichiarazione congiunta dell’attore e dell’altro contraente dell’unione, in caso di accoglimento della domanda di rettificazione, senza soluzione di continuità con il precedente vincolo; b) lo stesso art. 1, comma 26, per lesione dell’art. 3 Cost., in considerazione della ingiustificata disparità tra il trattamento riservato dalla norma allo scioglimento dell’unione civile in seguito a rettificazione anagrafica di sesso di uno dei contraenti e quello previsto dal successivo comma 27, relativo alla rettificazione anagrafica di sesso di uno dei componenti di coppia unita in matrimonio, che ammette, invece, per comune manifestazione di volontà delle parti di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, la conversione del vincolo matrimoniale in unione civile; c) l’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione di sesso, di cui alla legge n. 164 del 1982, sia notificato anche all’altro contraente dell’unione civile; d) l’art. 31, comma 4-bis, del decreto legislativo del 1° settembre 2011, n. 150, aggiunto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, per vulnus ai medesimi parametri costituzionali, nella parte in cui non prevede che anche la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di unirsi in matrimonio, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti il regime patrimoniale e la conservazione del cognome comune, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale; e) l’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, sempre per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, come emendato al punto precedente, l’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nel relativo registro, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al regime patrimoniale.
3.– In punto di rilevanza, il giudice a quo, nella premessa che l’attore ha richiesto la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri dello stato civile senza essersi sottoposto ad intervento chirurgico demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma solo ad una terapia ormonale, e ha dedotto di aver acquisito, indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali, l’identità di genere femminile, attraverso un processo di natura psicologica, che attesterebbe la definitività ed irreversibilità di tale orientamento personale, evidenzia che, in base ai più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimità, è da escludere che l’intervento chirurgico costituisca una precondizione imprescindibile della pronuncia di mutamento del sesso (sono citate la sentenza di questa Corte n. 221 del 2015 e la sentenza della Corte di cassazione, prima sezione civile, 20 luglio 2015, n.15138).
Da tale rilievo desume che «ove le circostanze di fatto allegate trovassero riscontro nella documentazione in atti e nell’istruttoria in ipotesi espletabile, l’attore vanterebbe dunque, in abstracto, la legittima aspettativa all’acquisizione di una nuova identità di genere indipendentemente dall’intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari». È in tale contesto – prosegue il rimettente – che l’attore ha richiesto, in connessione logico-giuridica con la rettificazione anagrafica del sesso, che si proceda alla iscrizione nel registro degli atti di matrimonio dell’unione civile dallo stesso contratta con il partner R. I., che egli suppone debba sopravvivere a seguito della rettificazione. Al contrario, la normativa vigente – conclude il giudice a quo ‒ non autorizza tale conclusione.
3.1.– Al riguardo, nell’ordinanza di rimessione si sottolinea il carattere “lapidario” della disciplina dettata per l’unione civile, di cui è stabilito il solo automatico scioglimento all’esito dell’intervenuta rettifica del sesso (art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016), senza alcuna previsione – lacuna ritenuta non colmabile attraverso una lettura costituzionalmente orientata della norma ‒ analoga a quanto invece stabilito per il matrimonio, in relazione al quale si dispone che, in caso di rettifica anagrafica del sesso di uno dei suoi componenti, i coniugi possano manifestare, nel processo e fino alla precisazione delle conclusioni, la volontà di convertire il matrimonio in unione civile (art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016 e art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, aggiunto dall’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2017), per una effettiva tutela conservativa della formazione familiare alla base del vincolo giuridico preesistente.
Anche la tecnica normativa prescelta dal legislatore di dar corpo ad una disposizione autonoma − quale il richiamato art. 1, comma 26 −, anziché rinviare, nei limiti della compatibilità, alla disciplina del matrimonio, per regolamentare l’incidenza della rettificazione anagrafica del sesso in materia di unione civile, deporrebbe per la volontà di non equiparare l’uno all’altra.
Né la norma indubbiata potrebbe essere diversamente interpretata, con estensione della conversione del vincolo, attraverso il riferimento all’art. 3, comma 1, numero 2), lettera g), della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), non richiamato nella disciplina in esame.
Quest’ultima disposizione, che indica la rettificazione del sesso come una delle cause di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, riconducibile alla volontà delle parti, in quanto costituente esito di una domanda in tal senso proposta dalle stesse, non varrebbe, infatti, ad escludere il cosiddetto “divorzio imposto”, che opera nel nostro ordinamento, in caso di scioglimento, o cessazione degli effetti civili, del matrimonio per intervenuta sentenza di rettifica anagrafica del sesso di uno dei coniugi, vuoi per l’esistenza di un archetipo matrimoniale modellato sulla eterosessualità dei suoi componenti (si citano la sentenza di questa Corte n. 170 del 2014 e la ordinanza “interlocutoria” della Corte di cassazione, sezione prima civile, 6 giugno 2013, n. 14329), vuoi perché con la legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), il cui art. 7, comma 1, ha aggiunto la lettera g) all’art. 3, comma 1, numero 2), della legge n. 898 del 1970, si è inteso solo procedere alla razionalizzazione del sistema precedente e alla instaurazione di un modello processuale più spedito ed efficiente, nella impossibilità della permanente durata del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ancora, rileva il rimettente che la norma sullo scioglimento del matrimonio, in punto di conversione del vincolo matrimoniale in unione, non può nemmeno essere specularmente recuperata attraverso la clausola di rinvio di cui all’art. 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016, il quale stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, e quelle contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrano, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Osterebbe a tanto, infatti, il criterio selettivo adottato dal legislatore ai successivi commi, dal 22 al 25, che estendono all’unione civile solo alcune norme sul divorzio, e non quelle censurate.
In coerenza con le ricordate previsioni, rileva il rimettente, il legislatore «comanda» la notifica dell’atto di citazione, introduttivo del giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso, solo al «coniuge» e non all’altra «parte dell’unione civile» (ex art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011), per un incombente che, rispondendo ad una mera litis denuntiatio, sarebbe diretto a provocare, all’interno del processo sullo status, l’eventuale manifestazione del consenso alla conversione del matrimonio in unione civile (art. 31, comma 4-bis, dello stesso d.lgs. n. 150 del 2011), cui si correlano, poi, gli adempimenti dell’ufficiale dello stato civile sull’iscrizione nel relativo registro (art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000).
3.2.– La riconosciuta rilevanza della questione sulla conversione dell’unione civile in matrimonio nel giudizio di cui si tratta non verrebbe ad essere “affievolita” per il solo fatto che l’altro contraente non abbia manifestato il consenso ad unirsi in matrimonio con l’attore, essendo stato egli a tanto impedito dalle preclusioni imposte dal sistema vigente che, nella pendenza del giudizio di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, di contro a quanto previsto per la coppia coniugata, gli inibiscono di manifestare la volontà di contrarre matrimonio con l’attore.
3.3.– Il descritto quadro normativo osterebbe, dunque, ad avviso del giudice a quo, una volta accertati i presupposti per la pronuncia della rettificazione del sesso dell’attore, all’accoglimento della domanda volta a sentir ordinare all’ufficiale dello stato civile di procedere all’iscrizione del matrimonio tra A.A. D.S. e R. I.: donde la ritenuta rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente, premesso di dover vagliare il rispetto da parte del plesso normativo censurato degli evocati parametri congiuntamente considerati in ragione della loro intima connessione, muove dalla considerazione, con precipuo riguardo al primo di essi, l’art. 2 Cost., che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno inquadrato le convivenze more uxorio alla stregua di formazioni sociali, fonti non solo di doveri di natura morale e sociale, ma anche di rapporti giuridici vincolanti secondo il paradigma di cui all’art. 2 Cost. (sono citate, a titolo esemplificativo, le sentenze di questa Corte n. 213 del 2016, n. 140 del 2009, n. 394 del 2005, n. 404 del 1988, n. 237 del 1986, le ordinanze n. 192 del 2006 e n. 313 del 2000, e, con specifico riferimento alle unioni omosessuali, la sentenza n. 138 del 2010; nonché le sentenze della Corte di cassazione, sezione terza civile, 27 aprile 2017, n. 10377; sezione terza civile, 23 febbraio 2016, n. 3505; sezione prima civile, 25 gennaio 2016, n. 1266; sezione prima civile, 22 gennaio 2014, n. 1277; sezione seconda civile, 21 marzo 2013, n. 7214; sezione sesta civile-3, 29 maggio 2019, n. 14746). Vengono ancora riferite le affermazioni della Corte di cassazione sul riconoscimento, all’interno delle unioni omoaffettive, per un processo di costituzionalizzazione, di un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia, nonché sulla riconducibilità di tali relazioni nell’alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo della personalità umana (si cita la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 9 febbraio 2015, n. 2400). Viene pure richiamato, nella rimarcata necessità di preservare quel nucleo essenziale e di non retrocedere da tali contenuti “minimi”, il quadro convenzionale, le cui norme, e in particolare gli artt. 8 e 14 CEDU, sono destinate a valere da parametro interposto, ex art. 117, primo comma, Cost. (sono citate le sentenze di questa Corte n. 348 e n. 349 del 2007, e quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo 11 luglio 2002, Goodwin contro Regno Unito; 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria; grande camera, 16 luglio 2014, Hämäläinen contro Finlandia, sulla vita familiare e la non discriminazione).
4.1.– Il rimettente denuncia quindi il vulnus, inaccettabile ed irragionevole, in quanto idoneo a metterne a «repentaglio la stessa sopravvivenza nelle more della transizione verso l’unione matrimoniale», recato alle coppie omosessuali dalla insussistenza, nella normativa vigente, di un meccanismo, come quello definito dall’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, volto a convertire, senza soluzione di continuità, l’unione in matrimonio, in caso di rettificazione anagrafica di sesso di uno dei suoi componenti.
Nell’intervallo temporale che segue all’estinzione del vincolo per legge, il giudice a quo paventa eventi a fronte dei quali l’altro componente resterebbe privo di tutela, nella incapacità della normativa censurata di dare effettiva garanzia ai diritti nascenti da un rapporto ormai estinto.
Da qui la dedotta non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa indicata per irragionevole disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., riservata all’unione civile ove attraversata dal cambio di sesso di uno dei suoi componenti, rispetto a quella matrimoniale, quando attinta dalla medesima vicenda.
4.2.– L’esistenza per le due formazioni sociali di una differente disciplina quanto al momento costitutivo del vincolo non osterebbe poi all’adeguamento, nei termini indicati, della transizione da unione civile a matrimonio, sostenendo, anche ai sensi dell’art. 2 Cost., la relativa questione di legittimità costituzionale.
La mancanza, quanto all’unione civile, del meccanismo delle pubblicazioni di cui all’art. 93 del codice civile che, con carattere preventivo, si frapporrebbe alla costituzione del vincolo matrimoniale, legittimando le persone interessate all’opposizione ex art. 102 e seguenti cod. civ., o, ancora, l’omesso richiamo, tra i doveri gravanti sui componenti dell’unione civile, dell’obbligo di fedeltà (art. 1, comma 11, della legge n. 76 del 2016), «frutto di esasperato apriorismo ideologico», non varrebbero ad individuare differenze, ragionevolmente destinate a dare conto di una diversa disciplina.
Rileverebbe, piuttosto ed in senso contrario, l’attribuzione ai componenti dell’unione civile di un fascio di diritti e di doveri (art. 1, commi da 11 a 21, della legge n. 76 del 2016) «in larga parte conformati […] secondo lo schema dell’unione matrimoniale».
Il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, «nel travolgere con un rigido automatismo l’unione civile, senza alcuna possibilità per i contraenti di manifestare la volontà di proseguire il rapporto, in ipotesi con le sembianze di altra forma riconosciuta dall’ordinamento, provoca dunque una menomazione irreversibile ed irragionevole, non bilanciata comparativamente dalla salvaguardia di interessi contrapposti di pari rango», dei diritti e doveri scaturenti dalla costituzione dell’unione.
4.3.– Il rimettente richiama altresì la sentenza di questa Corte n. 170 del 2014, che, anteriormente alla entrata in vigore della legge sulle unioni civili e all’aggiunta del comma 4-bis all’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 e, in via conseguenziale, dell’art. 31, comma 6, dello stesso d.lgs. n. 150, nella speculare vicenda del cosiddetto divorzio imposto, per la mancata previsione che, su concorde richiesta dei coniugi, allo scioglimento del matrimonio che si accompagna al pronunciato cambio di sesso di uno di essi, consegua, in continuità, il mantenimento di un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia, con le modalità da statuirsi dal legislatore. La ricordata pronuncia – rileva il giudice a quo – ha riconosciuto centralità all’ingiustificato sacrificio dell’interesse della coppia a conservare una qualche forma di continuità con la dimensione relazionale precedente alla rettificazione del sesso di uno dei coniugi, a fronte della esclusiva salvaguardia dell’interesse statuale alla intangibilità della matrice eterosessuale dell’istituto matrimoniale. Il ragionamento è stato poi ulteriormente sviluppato – prosegue l’ordinanza di rimessione – nella sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097, che ha ritenuto costituzionalmente non tollerabile la caducazione automatica del matrimonio, poiché la interruzione del rapporto che essa determina instaura una soluzione di massima indeterminatezza nel rapporto affettivo già costituito, dovendosi pertanto conservare in capo ai coniugi, pur a seguito della rettificazione di attribuzione di sesso di uno di essi, il riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio sino all’intervento del legislatore, necessario per consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi.
4.4.– Nella erroneità dell’opzione ermeneutica, fatta propria da taluni giudici di merito (si cita il provvedimento del Tribunale ordinario di Brescia, 17 ottobre 2019, n. 11990), che, in via analogica, ai sensi dell’art. 12, secondo comma, delle preleggi, nella presupposta sussistenza di un vuoto normativo, hanno esteso ai componenti dell’unione civile il regime già previsto per la coppia unita in matrimonio, il rimettente deduce, a fronte del silenzio serbato dal legislatore, l’impossibilità di una interpretazione correttiva della norma indubbiata.
5.− Nel giudizio innanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato.
5.1.– La difesa erariale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza, non avendo il rimettente effettuato alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni richieste perché l’attore potesse essere autorizzato ad acquisire una nuova identità di genere.
Il giudice a quo si sarebbe limitato ad affermare che tanto sarebbe stato possibile “in astratto” là dove, invece, egli avrebbe dovuto fare applicazione della norma elevata a sospetto – relativa alla conversione dell’unione civile in matrimonio nel corso del giudizio di rettifica anagrafica del sesso di uno dei componenti – “in concreto” e, quindi, all’esito della accertata nuova identità del richiedente, nella natura di imprescindibile antecedente logico e giuridico assolto dalla domanda di rettificazione rispetto all’applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di pregiudizialità necessaria esistente tra giudizio principale e giudizio costituzionale (si menziona la sentenza di questa Corte n. 91 del 2013).
5.2.– L’Avvocatura generale eccepisce l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza anche sotto un altro profilo.
In seguito alla mancata partecipazione al giudizio, sia pure come interveniente, dell’altro componente dell’unione, ed in difetto della manifestazione della sua volontà di convertire l’unione civile in matrimonio, la disciplina vigente – anche ove si fosse ritenuto che l’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011 dovesse interpretarsi nel senso che non preveda la notifica all’altro contraente dell’unione civile – non avrebbe impedito né che la notifica venisse comunque effettuata, anche ai fini di una mera denuntiatio litis, né che l’altra parte potesse comunque intervenire volontariamente nel processo, anche solo ad adiuvandum, per esprimere la volontà che il vincolo venisse mantenuto senza soluzione di continuità.
In senso contrario, per le norme generali del codice di rito, non sarebbe valsa infatti l’affermazione del rimettente secondo cui l’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011 avrebbe inibito ai contraenti dell’unione civile di manifestare la volontà di unirsi in matrimonio: il fatto che un determinato soggetto non sia indicato tra i litisconsorti necessari non impedisce allo stesso di essere convenuto in giudizio o di intervenire nel processo, e il giudice a quo avrebbe dovuto motivare, in concreto, in ordine alla incidenza dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 sul procedimento al suo esame.
5.3.– Nel merito le questioni non sarebbero, comunque, fondate.
5.3.1.– Quanto alle prime due, osserva la difesa erariale che non sarebbero applicabili in via automatica all’ipotesi inversa le valutazioni espresse da questa Corte con la sentenza n. 170 del 2014 sulla coppia già unita in matrimonio ed «attraversata» dalla vicenda di rettificazione di sesso. Nella fattispecie all’esame del rimettente, allo scioglimento dell’unione civile sarebbe potuta, infatti, seguire la distinta celebrazione del matrimonio, mentre nel diverso caso della coppia unita in matrimonio, e sciolta per sopravvenuta nuova identità sessuale dei suoi componenti, non vi era, all’epoca della indicata sentenza, alcun istituto che ne tutelasse le ragioni.
5.3.2.– Non sussisterebbero poi le paventate violazioni degli artt. 8 e 14 CEDU perché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e in particolare l’art. 9 – che, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati – e la CEDU (art. 12) rinviano, in materia familiare, all’ampio margine di apprezzamento delle legislazioni nazionali ed ai principi ivi affermati (è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 15 marzo 2012, n. 4184).
5.3.3.– La non omogeneità delle situazioni a confronto (matrimonio ed unione civile) in punto di celebrazione (art. 93 cod. civ.), di disciplina dei diritti ereditari, di filiazione ed adozione, sarebbe poi ostativa al riconoscimento della violazione dell’art. 3 Cost., nel rilievo pubblicistico da attribuirsi all’istituto matrimoniale.
5.3.4.– Si aggiunge nell’atto di intervento che la disposizione dell’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016 – diretta a consentire ai coniugi, in caso di rettificazione anagrafica del sesso, la conversione del matrimonio in unione civile – dovrebbe intendersi quale esito di una scelta ben precisa del legislatore, non costituzionalmente imposta ma, in quanto relativa ad area connotata da contenuti etici ed assiologici, perseguibile solo in via normativa previo bilanciamento tra i valori fondamentali in conflitto (si citano le sentenze di questa Corte n. 230 del 2020, n. 84 del 2016, n. 221 del 2015 e n. 161 del 1985).
5.4.– Quanto alle ulteriori questioni, la terza non sarebbe fondata, essendo possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata. Infatti, l’art. 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016 stabilisce l’applicabilità delle disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole «coniuge», «coniugi», o termini equivalenti, ovunque ricorrenti (nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi), anche ad ognuna delle parti dell’unione civile. Sicché, sarebbe ben possibile interpretare la norma secondo la quale «l’atto di citazione è notificato al coniuge» come riferita anche all’altra parte dell’unione civile, che ha indubbiamente interesse ad essere messa in condizione di partecipare al procedimento di cui si tratta.
La quarta e la quinta questione, concernenti l’accordo di conversione e la disciplina regolamentare sulla trascrizione del matrimonio, poi sarebbero non fondate, per le ragioni indicate con riferimento a quelle già esaminate, rispetto alle quali sarebbero, comunque, consequenziali.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Lucca, in composizione collegiale, dubita della legittimità costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, 31, commi 3 e 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011 e 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.
1.1.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a pronunciarsi, nell’ambito di un giudizio di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, sulla domanda di autorizzazione all’intervento chirurgico, strumentale alla riassegnazione del sesso, e di rettificazione anagrafica di sesso e nome, con ordine al competente ufficiale dello stato civile di trascrizione del matrimonio con il partner dell’attore, con il quale questi aveva in precedenza contratto unione civile.
1.2.− Ciò premesso, il Tribunale di Lucca solleva questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, in riferimento all’art. 2 Cost., e, quali norme interposte nei termini di cui all’art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilità di conversione in matrimonio previa dichiarazione congiunta dell’attore e dell’altro contraente, in caso di accoglimento della domanda di rettificazione, senza soluzione di continuità con il preesistente legame; b) ancora dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, in riferimento all’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità tra il trattamento riservato dalla norma allo scioglimento dell’unione civile omoaffettiva, in seguito a rettificazione anagrafica di sesso di uno dei contraenti, e quanto stabilito dal successivo comma 27 nel caso in cui la medesima fattispecie attraversi il legame di due persone eterosessuali, unite in matrimonio, e, quindi, là dove non estende, con la norma censurata, all’unione civile, analogo regime; c) dell’art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualità di norme interposte nei termini di cui all’art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione venga notificato anche all’altro contraente dell’unione civile; d) dell’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, aggiunto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, sempre in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di unirsi in matrimonio, con eventuali dichiarazioni riguardanti il regime patrimoniale e la conservazione del cognome comune, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale; e) dell’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 306 del 2000, aggiunto dell’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, ancora in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, come emendato al punto precedente, il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nel registro degli atti di matrimonio, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al regime patrimoniale.
2.− Il rimettente sottolinea l’esigenza di protezione del nucleo dei diritti e doveri di assistenza e solidarietà riconosciuto dalle sentenze di questa Corte e della Corte di cassazione e, ancora, della Corte EDU, all’interno della vita di relazione familiare, alle due formazioni sociali in discorso, in ossequio agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost. e agli artt. 8 e 14 CEDU, esigenza che sarebbe obliterata dalla normativa censurata. E denuncia, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della disparità nel trattamento tra le stesse formazioni sociali di cui si tratta, non giustificata dai contenuti, diversi, che presiedono al momento genetico e costitutivo dei relativi vincoli – anche per gli impedimenti preventivi, previsti solo per la celebrazione del matrimonio, con le connesse opposizioni (artt. 93 e 102 e seguenti cod. civ.) – e ai rispettivi rapporti, quanto all’assunzione dell’obbligo di fedeltà, omesso tra i doveri nascenti dall’unione civile nell’art. 1, comma 11, della legge n. 76 del 2016, e stabilito per le sole coppie coniugate, a fronte della disciplina analitica con la quale la stessa legge riconosce ai componenti dell’unione civile un fascio di diritti identici a quelli attribuiti ai coniugi.
3.− Il quadro di riferimento in cui si inseriscono i sollevati dubbi di illegittimità costituzionale muove dalle affermazioni di principio contenute nella sentenza di questa Corte n. 170 del 2014.
3.1.− Con la richiamata pronuncia è stata dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 (e, in via consequenziale, dell’art. 31, comma 6, del d.lgs. n. 150 del 2011, che ha sostituito l’abrogato art. 4 della predetta legge n. 164 del 1982, riproducendone il contenuto), nella parte in cui non prevedevano che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, consentisse, ove entrambi lo richiedessero, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tutelasse, adeguatamente, i diritti e gli obblighi, con modalità da statuirsi dal legislatore.
Le norme in esame − ha rilevato in quella occasione la Corte, partendo dal presupposto incontrovertibile che la nozione di matrimonio contenuta nell’art. 29 Cost. sia quella di unione tra due persone di sesso diverso, con richiamo alla propria sentenza n. 138 del 2010 – risolvono il contrasto tra l’interesse statuale a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio e quello della coppia attraversata da una vicenda di rettificazione del sesso a non sacrificare integralmente la dimensione giuridica del preesistente rapporto in termini di tutela esclusiva del primo. Dette norme – ha proseguito la Corte – rimangono chiuse «ad ogni qualsiasi, pur possibile, forma di (…) bilanciamento con gli interessi della coppia, non più eterosessuale, ma che, in ragione del pregresso vissuto nel contesto di un regolare matrimonio, reclama di essere, comunque, tutelata come “forma di comunità”, connotata dalla “stabile convivenza tra due persone”, “idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” (sentenza n. 138 del 2010)» (sentenza n. 170 del 2014).
3.2.− In adempimento del dictum della ricordata pronuncia, oltre che in risposta alle sollecitazioni che in tal senso venivano dalla giurisprudenza della Corte EDU (basti pensare all’emblematico caso risolto con la sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), il legislatore è intervenuto introducendo l’istituto dell’unione civile con la legge n. 76 del 2016. Successivamente, in sede di attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 28, della stessa legge ai fini dell’adeguamento ad essa delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, ha inserito, con l’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, il comma 4-bis all’interno dell’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, che disciplina il rito per i procedimenti di rettificazione dell’attribuzione di sesso. La introduzione di tale disposizione − espressiva, come indicato nella relazione illustrativa del testo definitivo di legge, appunto della volontà del legislatore di dare concreta attuazione alla citata sentenza n. 170 del 2014 – adegua le norme su detti procedimenti alla previsione del comma 27 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016, secondo il quale «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso». Infine, il d.lgs. n. 5 del 2017 ha aggiunto al d.P.R. n. 396 del 2000 l’art. 70-bis, il quale, al comma 5, dispone che, nella ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, l’ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all’estero, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, procede alla iscrizione dell’unione civile nel relativo registro, con le eventuali annotazioni relative alla scelta del cognome e al regime patrimoniale.
Il legislatore ha voluto in tal modo recuperare il senso di quella pronuncia là dove, tra l’altro, si preoccupava di evitare il prodursi di un deficit temporale di tutela avuto riguardo ai diritti ed obblighi della coppia introducendo, con il citato comma 4-bis, un meccanismo che, destinato ad operare nei giudizi di rettificazione anagrafica del sesso, consente che «[f]ino alla precisazione delle conclusioni la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l’unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale».
4.− Dalle cennate premesse, normative e giurisprudenziali, traggono origine i dubbi di illegittimità costituzionale sollevati dal Tribunale di Lucca nei confronti del plesso normativo sottoposto all’esame di questa Corte sostanzialmente per il fatto di non attribuire alla coppia omoaffettiva che, unita civilmente, abbia conosciuto la rettifica anagrafica del sesso di uno dei suoi componenti, il diritto, nell’acquisita eterosessualità, di transitare verso il matrimonio, senza interruzione del pregresso vincolo, così conservando diritti ed obblighi in precedenza maturati.
4.1.− Suggerisce il carattere unitario della trattazione delle questioni, pure a fronte del ventaglio di quelle interessate dal sollevato dubbio, la circostanza che le norme oggetto di denuncia vengano trattate dal rimettente come una sorta di statuto unico, al quale riservare una unitaria lettura volta a valorizzare la disciplina da riservare all’unione civile tra persone dello stesso sesso di cui alla legge n. 76 del 2016 quando – cessata o sciolta la stessa per l’intervenuta eterosessualità della coppia in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei suoi componenti –, le parti, di comune accordo, intendano conservare, senza soluzione di continuità rispetto al preesistente vincolo, quei diritti e doveri di cura ed assistenza reciproci che connotavano il precedente legame attraverso il matrimonio. In detto contesto, il giudice a quo paventa, nella interruzione che il vincolo conoscerebbe nel passaggio tra sentenza di rettificazione anagrafica e successiva celebrazione del matrimonio davanti all’ufficiale dello stato civile, il verificarsi di eventi destinati a compromettere, irreversibilmente, la costituzione del nuovo legame, con perdita dei maturati diritti.
5.− Ciò posto, devono essere preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità delle questioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato per difetto di rilevanza, in ragione di un plurimo e articolato profilo.
5.1.– Anzitutto, secondo la difesa dello Stato, il rimettente non avrebbe effettuato alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni richieste perché l’attore potesse essere autorizzato ad acquisire una nuova identità di genere, limitandosi ad affermare che un tale accertamento sarebbe stato possibile “in astratto”, là dove, invece, egli avrebbe dovuto fare applicazione della norma elevata a sospetto “in concreto” e, quindi, all’esito della accertata nuova identità del richiedente. La domanda di rettificazione era, infatti imprescindibile antecedente logico e giuridico rispetto all’applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di pregiudizialità necessaria esistente tra giudizio principale e giudizio costituzionale.
5.2.– La eccezione è fondata nei termini che seguono.
Alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale in tema di accertamento del requisito della rilevanza, segnato dal nesso di pregiudizialità che correla il giudizio incidentale innanzi a questa Corte a quello principale di merito, detto requisito implica necessariamente che la sollevata questione di legittimità costituzionale abbia nel procedimento a quo un’incidenza attuale e non meramente eventuale. Il postulato della pregiudizialità della questione richiede infatti che questa si concreti solo quando il dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma dalla cui applicazione, ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere.
Il controllo di questa Corte sulla rilevanza della questione è, peraltro, limitato alla non implausibilità delle motivazioni sui «presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia chiamato a decidere» (ex plurimis, sentenza n. 110 del 2015; nello stesso senso, sentenza n. 35 del 2017).
In particolare, il giudice rimettente è chiamato a valutare, sia pure in via delibativa e prognostica, allo stato degli atti e dell’iter decisionale, la questione di legittimità costituzionale con riguardo ai requisiti di attualità e rilevanza che sono, del pari, oggetto del controllo in sede di giudizio di legittimità costituzionale, pur destinato a fermarsi alla non implausibilità delle motivazioni addotte dal rimettente (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017, n. 91 del 2013, n. 270 e n. 34 del 2010).
5.2.1.− In applicazione degli indicati principi, le questioni sollevate dal Tribunale di Lucca mancano di rilevanza per difetto di attualità e concretezza.
Come riferito dallo stesso rimettente, nel giudizio principale l’attore, premesso di manifestare una disforia di genere, che necessitava di «adeguamento dell’identità fisica a quella psichica», aveva chiesto anzitutto «l’autorizzazione all’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in femminile», e, quindi, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso e il nome, e l’ordine all’ufficiale dello stato civile di procedere alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva in passato contratto unione civile.
La disciplina di detto intervento chirurgico, prevista originariamente dagli abrogati artt. 2 e 3 della legge n. 164 del 1982, è attualmente posta dall’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, il quale dispone che «[q]uando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato. Il procedimento è regolato dai commi 1, 2 e 3».
Il giudice a quo ha del tutto obliterato l’esame della domanda dell’attore, superandolo con l’affermazione secondo la quale «[i]n base al diritto vivente […] l’intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari non integra un “prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione”, bensì un “possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico» (vengono citate in proposito la sentenza di questa Corte n. 221 del 2015 e quella della Corte di cassazione, sezione prima civile, 20 luglio 2015, n. 15138).
Così operando, egli non si è però fatto carico della esigenza, a fronte della specifica domanda dell’interessato, di svolgere un approfondimento in ordine alla effettiva necessità di un siffatto trattamento, limitandosi alla considerazione che l’attore non aveva effettuato alcun intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali (ciò che costituiva proprio l’oggetto della domanda di autorizzazione), ma solo una terapia ormonale, e che lo stesso aveva chiesto la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri dello stato civile assumendo di aver acquisito l’identità di genere femminile attraverso un processo psicologico attestante la irreversibilità di tale orientamento personale.
Il Collegio rimettente ha, quindi, proceduto alla illustrazione dei propri dubbi di illegittimità costituzionale del plesso normativo evocato ed ha sollevato innanzi a questa Corte le relative questioni in via del tutto ipotetica e, allo stato, eventuale, prescindendo dal caso sottoposto al suo esame.
5.2.2.− Peraltro, lo stesso non ha svolto alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni necessarie affinché l’attore del giudizio di rettificazione anagrafica potesse essere autorizzato ad acquisire una nuova identità di genere.
Se i requisiti dell’attualità e della rilevanza di una questione di legittimità costituzionale devono essere valutati allo stato degli atti e dell’iter decisionale, essi non possono ritenersi integrati sulla base di un’eventuale e teorica applicabilità della norma indubbiata. Tanto si realizza nel caso in esame, in cui il giudice a quo ha sollevato le questioni a tutela della continuità del preesistente vincolo, senza motivare sul diritto dell’attore ad ottenere la rettificazione del sesso: passaggio, questo, essenziale, nel suo carattere preliminare, in quanto volto a spiegare le ragioni per le quali il rimettente ritenga di essere necessariamente tenuto a fare concreta applicazione delle norme che censura.
Il Tribunale di Lucca sul preliminare accertamento si è limitato, infatti, ad affermare un’astratta e teorica esistenza del diritto alla rettificazione di sesso, peraltro qualificato in termini di «legittima aspettativa», arrestando in tal modo la propria verifica ad un apprezzamento condizionato ad un eventuale «riscontro nella documentazione in atti e nell’istruttoria in ipotesi espletabile» (punto 4.1.2. dell’ordinanza di rimessione).
Al riguardo, è appena il caso di richiamare la giurisprudenza di questa Corte, che, in tema di rettificazione di attribuzione di sesso, ha avuto modo di affermare che «l’interpretazione costituzionalmente adeguata della legge n. 164 del 1982 consente di escludere il requisito dell’intervento chirurgico di normoconformazione. E tuttavia ciò non esclude affatto, ma anzi avvalora, la necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza l’intento così manifestato». E ancora, che «va escluso che il solo elemento volontaristico possa rivestire prioritario o esclusivo rilievo ai fini dell’accertamento della transizione». Il ragionevole punto di equilibrio tra le molteplici istanze di garanzia è stato individuato affidando al giudice, «nella valutazione delle insopprimibili peculiarità di ciascun individuo, il compito di accertare la natura e l’entità delle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, che concorrono a determinare l’identità personale e di genere» (sentenza n. 180 del 2017; si veda anche sentenza n. 221 del 2015).
5.3.− L’Avvocatura generale dello Stato ha sollevato un’ulteriore eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni, collegata alla mancata manifestazione della volontà del partner dell’attore nel giudizio principale di convertire l’unione civile in matrimonio. Osserva la difesa statale che la disciplina vigente non avrebbe impedito che la notifica della pendenza del giudizio venisse comunque effettuata all’altro contraente, o che questi intervenisse volontariamente nel processo al fine di manifestare la volontà del mantenimento del vincolo in diversa forma e senza soluzione di continuità.
5.4.− Anche questa eccezione è meritevole di accoglimento.
Premesso che la partecipazione al giudizio, tra altri soggetti pendente, quantomeno in risposta ad una mera litis denuntiatio, è liberamente esercitabile, al di fuori della rigidità di forme proprie del litisconsorzio necessario, sempre che si realizzi il condiviso interesse del convenuto-interveniente alla domanda, ai sensi dell’art. 100 del codice di procedura civile, nella specie, perché le questioni sollevate potessero dirsi concrete ed attuali, sarebbe stata necessaria la dichiarazione congiunta dei contraenti dell’unione civile di convertire la stessa in matrimonio. Ciò proprio in adesione allo schema, invocato dal rimettente e mutuato dal meccanismo speculare previsto dal comma 27 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016 e dal comma 4-bis dell’art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, in base al quale soltanto alla manifestazione di volontà delle parti, già unite in un precedente vincolo attraversato dalla rettifica di sesso di uno dei suoi componenti, consegue l’effetto della permanenza del legame, nelle diverse forme. In difetto, invece, la fattispecie resta diversamente definita dalla mera caducazione del primo legame (sentenza n. 170 del 2014; vedi anche Corte di cassazione, sentenza n. 8097 del 2015).
6.– Alla stregua delle argomentazioni sopra esposte, le questioni devono essere dichiarate inammissibili.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), 31, commi 3 e 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), quest’ultimo aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Lucca, in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 novembre 2022.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2022.