SENTENZA N. 237
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Antonio LA PERGOLA. Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 384 e 307 del codice penale promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 giugno 1980 dal Tribunale di Novara nel procedimento penale a carico di Miali Rosa iscritta al n. 751 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1980;
2) ordinanza emessa il 1 aprile 1983 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Sinopoli Concetta iscritta al n. 945 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 95 dell'anno 1984;
3) ordinanza emessa il 14 luglio 1983 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Dall'Ara Patrizia iscritta al n. 1116 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 bis dell'anno 1985;
4) ordinanza emessa il 6 febbraio 1985 dal Giudice istruttore del Tribunale di Camerino nel procedimento penale a carico di Ottaviucci Fabrizio iscritta al n. 193 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 bis dell'anno 1985;
5) ordinanza emessa il 28 maggio 1985 dalla Corte di assise di Rovigo nel procedimento penale a carico di Major Laura iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8/1 s.s. dell'anno 1986.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 1986 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;
udito l'avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con proprie rispettive ordinanze i Tribunali di Novara (R.O. n. 751/1980) e di Torino (R.O. n. 945/1983 e R.O. n. 1116/1984), il Giudice istruttore del Tribunale di Camerino (R.O. n. 193/1985) e la Cortedi assise di Rovigo (R.O. n. 573/1985) hanno sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, ultimo comma, e 384 c.p., nella parte in cui non si prevede che la scriminante di cui all'art. 384 c.p. possa estendersi al convivente more uxorio. Più in particolare il Tribunale di Novara e la Cortedi assise di Rovigo hanno impugnato specificamente l'art. 384 in relazione all'art. 307 c.p., il Tribunale di Torino gli artt. 384 e 307 mentre il Giudice istruttore del Tribunale di Camerino soltanto l'art. 384.
I giudizi nell'ambito dei quali é stata sollevata la questione riguardano, tutti, soggetti imputati di favoreggiamento personale nei confronti di persona con la quale convivevano more uxorio.
La questione viene prospettata nelle ordinanze del Tribunale di Novara, del Giudice istruttore del Tribunale di Camerino e della Corte di assise di Rovigo in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, mentre nelle due ordinanze del Tribunale di Torino viene sollevata in riferimento al solo art. 3.
In particolare, secondo l'ordinanza emessa dal Tribunale di Novara nel procedimento a carico di Miali Rosa, "il legislatore, elencando tassativamente all'art. 307 c.p. le ipotesi che permettono ad un soggetto di qualificarsi "prossimo congiunto", ha omesso di considerare quelle situazioni affettive di natura familiare, basate sulla convivenza di fatto, in realtà oggettivamente identiche a quelle appunto disciplinate".
Tale omissione contrasterebbe con la ratio dell'art. 384 che ha lo scopo di evitare, per motivi etici, che un soggetto sia costretto ad arrecare grave nocumento ad un congiunto. Motivi etici che "si pongono e vanno rispettati nell'ipotesi di famiglia di fatto non legittimata dal vincolo del matrimonio, poiché tali situazioni - convivenza fondata su vincolo giuridico e convivenza di fatto - appaiono sostanzialmente identiche, essendo entrambe improntate a quei principi di "società naturale" cui fa riferimento l'art. 29 della Costituzione".
Sostanzialmente conformi appaiono le motivazioni adottate dal Tribunale di Torino nell'ordinanza 1 aprile 1983 (R.O. n. 945 del 1983) nel procedimento a carico di Sinopoli Concetta, nella quale vengono rimarcati gli intenti di reciproca assistenza di fatto che sorreggono le situazioni affettive di natura familiare, basate sulla convivenza ed oggettivamente identiche a quelle disciplinate dalle norme.
Quanto all'altra ordinanza del Tribunale di Torino del 14 giugno 1983 (R.O. n. 1116 del 1984) nel procedimento a carico di Dall'Ara Patrizia si rileva che la situazione derivante dalla convivenza more uxorio in nulla si distingue da quella c.d. legale se non per l'assenza di una sanzione legale del vincolo, onde riesce difficile giustificare la esclusione dall'elencazione di cui all'art. 307 della persona convivente more uxorio, dal momento che la ratio dell'esimente di cui all'art. 384 é da individuarsi nell'esistenza di un profondo vincolo affettivo, coltivato quotidianamente. Il richiamo ai motivi etici, ispiratori dell'art. 384 c.p., da ritenere presenti anche per la convivenza more uxorio, si ritrova altresì nell'ordinanza del Giudice istruttore del Tribunale di Camerino del 6 febbraio 1985 (nel procedimento a carico di Ottaviucci Fabrizio) unitamente alla considerazione che l'ordinamento, sia pure ad altri fini, tende, se non ad equiparare la famiglia di fatto al vincolo matrimoniale, ad apprestarne idonea tutela; questa, se non discende automaticamente dall'art. 29 Cost., certo in tale norma trova presupposto di applicazione analogica.
Anche l'ordinanza della Corte di assise di Rovigo, nel procedimento a carico di Major Laura, sostiene la ricorrenza delle stesse ragioni di non punibilità poste a salvaguardia del nucleo familiare.
Nel giudizio promosso con l'ordinanza del Tribunale di Novara é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato. Nella memoria di intervento si deduce l'infondatezza della questione giacché la disparità di trattamento riguarda due situazioni non obiettivamente uguali, bensì sostanzialmente diverse, per l'ovvia diversità fra la famiglia e la convivenza di fatto, derivante dal rilievo che nel primo caso la famiglia esiste e nel secondo caso non esiste.
Si tratta - secondo la memoria - di una diversità fondamentale su cui poggia l'intero ordinamento sia civile che penale e che trova la sua consacrazione nell'art. 29 della Costituzione secondo cui "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio".
Considerato in diritto
1. - L'identità delle questioni comporta la riunione delle relative cause per formare oggetto di unica pronuncia.
2a) - Agli effetti della legge penale, l'art. 307, comma quarto, del relativo codice fornisce l'elencazione tassativa dei prossimi congiunti e vi ricomprende il coniuge. Questi, pertanto, non é punibile, giusta il successivo art. 384, allorché costretto a salvare da grave ed inevitabile nocumento l'altro coniuge, così incorrendo con la sua condotta, tra le altre ipotesi contemplate, nel reato di favoreggiamento personale.
Ma il Tribunale di Novara (ord. 751/80), il Giudice istruttore del Tribunale di Camerino (ord. 193/85), la Cortedi assise di Rovigo (ord. 573/85) sospettano di illegittimità costituzionale le richiamate disposizioni, assumendone contrasto con l'art. 29, primo comma, della Costituzione: l'omesso inserimento nella elencazione dei prossimi congiunti del convivente more uxorio alla pari del coniuge mostrerebbe - ad avviso dei remittenti - il non volersi tener conto, nella realtà sociale e nell'ordinamento, dei vincoli di solidarietà pur insiti nella famiglia di fatto. Per contro, la relativa tutela - tanto più opportuna e ravvivata quando esiste prole - troverebbe presupposto di applicazione analogica, così testualmente il Giudice istruttore di Camerino, proprio nel dettato dell'art. 29 Cost.
2b) - Prospettata in tali precisi termini di riferimento, la questione é priva di fondatezza.
L'art. 29 riguarda, infatti, la famiglia fondata sul matrimonio (sent. n. 30 del 1983): come del resto fu pressoché univocamente palesato in sede di Assemblea Costituente la compagine familiare risulta, nel precetto, strettamente coordinata con l'ordinamento giuridico, sì che rimane estraneo al contenuto delle garanzie ivi offerte ogni altro aggregato pur socialmente apprezzabile, divergente tuttavia dal modello che si radica nel rapporto coniugale.
E che gli stessi Costituenti così divisassero doversi intendere la ripetuta norma, fornisce una obiettiva riprova la votazione per divisione, che ne seguì in aula. Fu esplicitamente rifiutato, infatti, un voto inteso a disgiungere, nell'art. 29, primo comma, la locuzione "diritti della famiglia come società naturale" dall'altra "fondata sul matrimonio"; si procedette - all'incontro - dapprima al voto sul riconoscimento dei diritti familiari, accorpandosi, in successiva votazione, la frase "come società naturale fondata sul matrimonio", rimasta avvinta in inscindibile endiadi.
3a) - Senonché, i giudici a quibus cui si aggiunge il Tribunale di Torino (ordd. 945/83 e 1116/84) deducono ancora l'illegittimità della normativa penale di cui innanzi, in relazione all'art. 3 Cost.
La convivenza di fatto, si assume, rivestirebbe oggettivamente connotazioni identiche a quelle scaturenti dal vincolo matrimoniale: e dunque una diversità di garanzie - o addirittura l'assenza di queste - verrebbe a vulnerare il principio di uguaglianza.
Orbene, la Corte - sia pure per oggetti specifici insorti da diversa fattispecie - ha avuto modo di pronunciarsi, in passato, sul merito della situazione di convivenza more uxorio anche nei termini del confronto sopra descritti. E, in punto specifico, ebbe già a rilevarsi la inapprezzabilità del rapporto di fatto poiché privo esso delle caratteristiche di certezza e di stabilità, proprie della famiglia legittima, osservandosi - tra l'altro - che la coabitazione può venire a cessare unilateralmente e in qualsivoglia momento (sentenza n. 45 del 1980).
Va poi ricordato, per completezza, come non avesse mancato la Corte, peraltro, di porre l'accento (sentenza n. 6 del 1977) sulla opportunità di una valutazione legislativa degli interessi dedotti, carenti, allo stato, di tutela positiva.
3b) - In effetti, un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine - costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.). Tanto più - in ciò concordando con i giudici remittenti - allorché la presenza di prole comporta il coinvolgimento attuativo d'altri principi, pur costituzionalmente apprezzati: mantenimento, istruzione, educazione.
In altre parole, si é in presenza di interessi suscettibili di tutela, in parte positivamente definiti (si vedano ad es. gli artt. 250 e 252 del codice civile nel testo novellato con la legge 19 maggio 1975 n. 151), in parte da definire nei possibili contenuti.
Comunque, per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione.
Nella fattispecie, tuttavia, l'adeguatezza in concreto di misure protettive d'ordine positivo scaturenti dalla valorizzazione di legami affettivi esistenti di fatto (cfr. sentenza n. 198 del 1986) trascende - e proprio per l'esigenza di una complessa chiarezza normativa - i ristretti termini del caso, rivolto al mero intento di parificare il binomio coniuge/convivente in presenza dei reati richiamati dall'art. 384 c.p., tra cui il 378.
Più incisivamente, va osservato che l'impugnato art. 307, comma quarto racchiude la nozione positiva di prossimo congiunto con una portata di integrazione generale nel sistema legislativo penale: la prospettata parificazione della convivenza e del coniugio, varrebbe, adunque, a coinvolgere automaticamente non solo le altre ipotesi di reato contenute nell'art. 384 pure impugnato, ma - ben più ampiamente - altri istituti di ordine processuale penale, quali la ricusazione del giudice (art. 64, nn. 3 e 4 cod. proc. pen.); la facoltà di astensione dal deporre (art. 350) già esaminata dalla Corte nella ricordata sentenza n. 6 del 1977; la titolarità nella richiesta di revisione delle sentenze di condanna e di connesso esercizio dei relativi diritti (artt. 556,564) ovvero nella presentazione di domanda di grazia (art. 595).
D'altronde, una volta parificato, in ipotesi, il rapporto di fatto a quello del coniugio, non sarebbe dato sottrarsi, contestualmente, alla necessità di regolare la posizione dell'eventuale coniuge separato, sia per il caso di coerenza d'intenti che di conflittualità con il convivente.
Ma su di una regolamentazione esaustiva di tal sorta, necessariamente involgente, senz'altro, scelte e soluzioni di natura discrezionale, questa Corte non avrebbe facoltà di pronunciarsi senza invadere quelle competenze che spettano al Parlamento, nel razionale esercizio di un potere che il solo legislatore é chiamato ad esercitare; per il che la Corte rinnova la sollecitazione contenuta nella sentenza n. 6 del 1977.
Consegue l'inammissibilità dell'odierna dedotta questione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi:
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, comma quarto, e 384 del codice penale, in relazione all'art. 29 Cost., sollevata con ordinanze n. 751/80, n. 193/85, n. 573/85, rispettivamente dal Tribunale di Novara, dal Giudice istruttore del Tribunale di Camerino, dalla Corte d'assise di Rovigo;
b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, comma quarto, e 384 codice penale, in relazione all'art. 3 Cost., sollevata con ordinanze n. 945/83 e n. 1116/84 dal Tribunale di Torino, nonché dal Tribunale di Novara, dal Giudice istruttore del Tribunale di Camerino, dalla Corte d'assise di Rovigo con le ordinanze di cui al punto a) del presente dispositivo.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1986.
Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 18 novembre 1986.