SENTENZA N. 6
ANNO 1977
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 307, ultimo comma, del codice penale e dell'art. 350 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1975 dal pretore di Cagliari, nel procedimento penale a carico di Stefania Sinigaglia, iscritta al n. 174 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 166 del 25 giugno 1975.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento penale, con istruzione formale, contro Tommaso Gino Liverani ed altri per il reato di cui all'art. 306 del codice penale, in data 29 gennaio 1975 il giudice istruttore del tribunale di Cagliari provvedeva all'audizione della teste Stefania Sinigaglia.
La Sinigaglia assumeva di essere convivente da sette anni con il Liverani e di avere avuto da lui un bambino e dichiarava di ritenersi a tutti gli effetti sua moglie; pertanto, chiedeva di potersi avvalere della facoltà di astenersi dal deporre. Fattole presente dal giudice istruttore che la legge non le consentiva tale facoltà ed avvertita delle conseguenze previste dalla legge, la teste persisteva nel suo atteggiamento.
Pertanto, essendosi rifiutata la teste di deporre senza legittimo motivo, il giudice istruttore emetteva sotto la stessa data mandato provvisorio di arresto in relazione all'art. 372 del codice penale e provvedeva all'interrogatorio dell'imputata.
Il Procuratore della Repubblica chiedeva per il delitto di cui al citato art. 372 del codice penale l'emissione del mandato di cattura rilevando tra l'altro che la legge processuale penale vigente non tutela situazioni di fatto come quella addotta e che da ciò non derivi la pretesa facoltà di astenersi dal deporre per la semplice convivente more uxorio.
Dei procedimenti penali contro il Liverani ed altro e contro la Sinigaglia veniva ordinata la separazione ed essendo il secondo di competenza del pretore di Cagliari, a questo venivano trasmessi i relativi atti.
Il pretore di Cagliari disponeva che si procedesse a giudizio direttissimo.
Al dibattimento venivano interrogati la Sinigaglia ed i testi Liverani, Gidoni e Strampelli.
Dopo di che, il pretore, in accoglimento delle richieste avanzate dal Pubblico Ministero e dal difensore, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307 del codice penale e 350 del codice di procedura penale in riferimento all'art. 3 della Costituzione. E contestualmente concedeva alla Sinigaglia la libertà provvisoria.
Premesso che allo stato non appariva fondata la pretesa della teste di avere riconosciuta la facoltà di astenersi dal deporre che l'art. 350 del codice di procedura penale attribuisce ai prossimi congiunti dell'imputato, in quanto la qualità di prossimo congiunto di cui a tale articolo é definita in via tassativa, ai fini della legge penale, dall'ultimo comma dell'articolo 307 del codice penale, e questo non comprende la situazione prospettata dall'imputata ed accertata come vera in dibattimento; il pretore di Cagliari reputava evidente l'omessa considerazione da parte del legislatore, nella elencazione tassativa delle ipotesi di cui all'art. 307 del codice penale, di "quelle situazioni affettive di natura familiare, basate sulla convivenza ed animate da intenti di reciproca assistenza e da propositi educativi della prole comune, di fatto ed oggettivamente identiche a quelle ivi disciplinate".
E rilevava altresì che la ratio della norma processuale sopra richiamata "determinata dalla particolare considerazione attribuita al motivo per cui il prossimo congiunto si é indotto a commettere un fatto altrimenti dalla legge preveduto come reato (motivo che il sentimento etico comune esige sia rispettato)", ricorresse immutata anche nella ipotesi di una famiglia di fatto costituitasi, se pure non legittimata dal vincolo familiare.
Situazioni obiettivamente eguali sarebbero trattate, a causa di tale omissione, in maniera differente con la violazione del principio di cui all'art. 3, comma primo, della Costituzione.
La rilevanza giuridica della detta situazione di fatto non sarebbe negata o esclusa dagli artt. 29 e seguenti della Costituzione che tutelano esclusivamente la famiglia legittima ma dal cui disposto non deriva "una generica illegittimità di ogni altra situazione di fatto eguale, se pure non é fondata su un vincolo giuridico".
E del resto é riconosciuta, con riguardo ad altre ipotesi di reato (art. 572 del codice penale), dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha equiparato alla famiglia legittima anche il legame di puro fatto tra due persone, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio.
Comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza davanti a questa Corte, spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocato generale dello Stato che concludeva per la non fondatezza della questione.
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato le sopraddette due situazioni non sono obiettivamente eguali ma sostanzialmente diverse: la ovvia diversità tra la famiglia e la convivenza di fatto sta nel rilievo che la famiglia nel primo caso esiste e nel secondo caso non esiste.
Tale diversità fondamentale su cui poggia l'intero ordinamento sia civile che penale, trova la sua consacrazione nell'art. 29 della Costituzione che, riconoscendo i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, riporta all'esistenza o meno del matrimonio stesso la ragione di differenza tra la famiglia e la società semplicemente naturale e la giustificazione del diverso regolamento giuridico dell'una e dell'altra. Dall'art. 29 della Costituzione non può farsi discendere una generica illegittimità di ogni situazione di fatto uguale seppure non fondata su un vincolo giuridico; ma deve necessariamente ricavarsi che a quel vincolo é riconosciuta una particolare rilevanza.
Osservava, infine, l'Avvocatura generale dello Stato che la denunciata disparità di trattamento appariva razionalmente giustificata anche per un'altra ragione e cioè per la necessità di circoscrivere, con la necessaria certezza, l'ipotesi di esenzione dall'obbligo di testimoniare, ricollegandola all'esistenza di un fatto giuridico certo (nella specie il matrimonio) e non all'esistenza di situazioni di ordine materiale ed affettivo di ben difficile accertamento e la cui allegazione renderebbe eludibile con facilità tale obbligo.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Cagliari, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, ultimo comma, del codice penale e 350 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Rileva che la qualità di prossimo congiunto di cui all'articolo 350 del codice di procedura penale é definita in via tassativa, ai fini della legge penale, dall'ultimo comma dell'articolo 307 del codice penale; che il legislatore nella previsione operata con il citato art. 307 non ha compreso e quindi ha omesso di considerare come meritevoli della tutela ivi accordata "quelle situazioni affettive di natura familiare basate sulla convivenza ed animate da intenti di reciproca assistenza e da propositi educativi della prole comune, di fatto ed oggettivamente identiche a quelle ivi disciplinate"; e che lo stesso legislatore ha trascurato che "la ratio della norma processuale sopra richiamata, determinata dalla particolare considerazione attribuita al motivo per cui il prossimo congiunto si é indotto a commettere un fatto altrimenti dalla legge preveduto come reato (motivo che il sentimento etico comune esige sia rispettato), sussiste immutata anche nell'ipotesi di una famiglia di fatto costituitasi, seppur non legittimata dal vincolo matrimoniale".
E ritiene che a causa di questa omissione, si evidenzi "una disparità di trattamento tra situazioni obiettivamente eguali" in contrasto con il principio di eguaglianza.
2. - Nonostante che la questione formalmente risulti sollevata nei termini all'inizio ricordati, a questa Corte é sostanzialmente chiesto di dire se sia o meno conforme all'art. 3 della Costituzione la norma dell'art. 350 del codice di procedura penale nella parte in cui non consente che possa astenersi dal deporre, in aggiunta ai prossimi congiunti di cui all'art. 307, ultimo comma, del codice penale, chi, nei confronti dell'imputato o di uno dei coimputati del medesimo reato, si trovi in una situazione affettiva di natura familiare, basata sulla convivenza e animata da intenti di reciproca assistenza e da propositi educativi della prole comune, di fatto ed oggettivamente identica a quelle disciplinate nel citato articolo del codice penale.
All'individuazione in tal senso della questione si perviene infatti solo che si tengano presenti la portata ampia del disposto dell'ultimo comma dell'art. 307 del codice penale per cui "agli effetti della legge penale, si intendono per prossimi congiunti" determinati soggetti e il richiamo che ne viene fatto nell'art. 350 del codice di procedura penale, da un canto, e dall'altro si consideri che il giudice a quo si limita a mettere in evidenza la ratio dell'art. 350 del codice di procedura penale e non fa riferimento agli interessi e alle esigenze che il legislatore ha inteso tutelare in altre norme in cui, in vario modo, rileva la qualità di prossimo congiunto (e così negli artt. 307, 384, 386, 390, 391, 399, 418, 551, 578, 592 e 597 del codice penale e negli artt. 64, nn. 3, 4 e 5, 450, 556 e 564 del codice di procedura penale).
3. - La situazione che, si assume, sarebbe stata omessa nella previsione di cui alla normativa denunciata, sarebbe propria di chi (come l'imputata nel processo a quo, di falsa testimonianza) sia legato ad altro soggetto di sesso diverso da una relazione sentimentale e da rapporti sessuali (con la nascita di un figlio dall'unione), ed essa sarebbe identica, di fatto ed oggettivamente, a quella che caratterizza il rapporto coniugale.
La relazione é instaurata, quindi, tra il coniuge e l'unione di fatto tra le dette persone. Ed infatti solo codesta situazione é descritta. Ed il riferimento che viene operato in narrativa, alla esistenza di un figlio nato dall'unione tra i due conviventi e nella motivazione, ai loro propositi educativi della prole comune, non tende a cogliere e mettere in rilievo un rapporto genitore-figlio suscettibile d'essere accostato alla parentela discendente ma giova unicamente a colorare sul piano soggettivo e psicologico l'unica soluzione come sopra rappresentata.
Ad avviso della Corte, le due situazione poste a raffronto, come é evidente, sono nettamente diverse.
Manca pertanto il necessario presupposto perché di fronte ad un trattamento differenziato (quale é quello che risulta dal contenuto positivo e negativo dell'art. 350 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 307, ultimo comma, del codice penale) possa utilmente prospettarsi e quindi dirsi fondato il denunciato contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
4. - D'altra parte non si può ritenere, facendo riferimento alla ratio dell'art. 350 del codice di procedura penale, che gli interessi, i quali stanno a base delle situazioni ivi previste, siano ricorrenti anche in quelle omesse, con la conseguenza, che codesto elemento o profilo comune possa bastare perché tutte le anzidette situazioni (previste e omesse) debbano essere considerate identiche o perché le situazioni omesse siano assimilate a quelle previste.
Giova, a tal riguardo, tener preliminarmente presente che il legislatore ha accordato ai prossimi congiunti la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale, perché ha ritenuto meritevole di tutela il sentimento familiare (latamente inteso) e, nel possibile contrasto tra l'interesse pubblico, della giustizia, che su tutti gravi il dovere di deporre, e l'interesse privato, ancorato al detto sentimento, che i prossimi congiunti dell'imputato, non siano travagliati dal conflitto psicologico tra il dover deporre e dire la verità ed il desiderio o la volontà di non deporre per non danneggiare l'imputato, ha altresì ritenuto prevalente l'interesse privato e non in generale ed in modo assoluto ma se ed in quanto l'interessato (e cioè il teste) reputi di non dovere o potere superare quel conflitto, ed a tale fine non ha imposto un divieto di testimoniare (come invece disponeva l'art. 147 del codice di procedura civile prima della pronuncia di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 248 del 1974), ma solo una facoltà di astenersi dal deporre.
Ciò posto, va considerato che per i prossimi congiunti di cui all'ultimo comma dell'art. 307 del codice penale, nell'articolo 350 del codice di procedura penale si ha una tutela per categorie di soggetti, individuate sulla base di tipici rapporti giuridici (coniugio, parentela e affinità), presupponendosi che - secondo l'id quod plerumque accidit - tali soggetti sono portatori dei detti interessi e perseguono quei determinati scopi; e che a proposito delle situazioni che sarebbero state omesse, l'esistenza degli stessi interessi e il perseguimento degli stessi scopi si presentano come dati del tutto eventuali e comunque non necessari ed in ogni caso da dimostrare.
Che in concreto nelle situazioni previste ed in quelle omesse possano anche ricorrere eguali interessi, in sé e finalisticamente considerati, non rileva. Nei due casi, la loro presenza é rispettivamente presunta o da dimostrare. Ciò comporta che, nel processo, solo nel primo di detti casi il giudice possa con immediatezza e sicurezza accertare se il soggetto chiamato a deporre debba essere avvertito, a sensi del terzo comma dell'art. 350 del codice di procedura penale, della facoltà di astenersi dal deporre. Per accertare, nel secondo dei due casi, se la situazione (ivi considerata) presenti i caratteri per cui in fatto possa essere accostata al rapporto di coniugio, e se in essa in concreto ricorra il sopraddetto interesse privato, con il relativo sentimento familiare, occorre, invece, una indagine che può anche non essere breve né facile. Ed allora per tale caso affiora in modo prevalente l'esigenza pubblicistica che il corso del processo non subisca ingiustificate remore in contrasto con il carattere inquisitorio e con i principi della oralità e della concentrazione.
5. - De iure condendo, la normale presenza di quegli interessi, però, non dovrebbe rimanere senza una tutela per le dette situazioni omesse ed in particolare per quella che ricorre nella specie. E sarebbe, quindi, compito del legislatore di valutare, per detti interessi, l'importanza e la diffusione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 307, ultimo comma, del codice penale e 350 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Cagliari con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 12 gennaio 1977.