ORDINANZA N. 261
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Daria de PRETIS
Giudici: Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni del senatore Matteo Renzi, disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze nell’ambito del procedimento penale a carico dello stesso senatore e altri, in assenza di una previa autorizzazione da parte del Senato della Repubblica, promosso da quest’ultimo con ricorso depositato in cancelleria l’11 maggio 2022 ed iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;
deliberato nella camera di consiglio del 24 novembre 2022.
Ritenuto che, con ricorso depositato l’11 maggio 2022 (reg. confl. poteri n. 10 del 2022), il Senato della Repubblica ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, per avere quest’ultima acquisito agli atti del procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro delle notizie di reato del 2019, instaurato nei confronti del senatore Matteo Renzi e di altri soggetti, corrispondenza scritta riguardante il medesimo senatore Renzi senza previa autorizzazione del Senato della Repubblica (in quanto mai richiesta), ledendo con ciò l’attribuzione garantita al ricorrente dall’art. 68, terzo comma, della Costituzione;
che il procedimento penale in questione ha in particolare ad oggetto il sostegno economico prestato dalla Fondazione Open, o per suo tramite, all’attività politica del senatore Renzi e di altri esponenti del Partito democratico, in asserita violazione della normativa sul finanziamento dei partiti politici;
che, premesso che il senatore Renzi era in carica dal 9 marzo 2018, data della proclamazione, e che da tale data dunque fruiva della prerogativa di cui al citato art. 68, terzo comma, Cost., il ricorrente deduce che, nell’ambito dell’attività investigativa relativa al procedimento penale dianzi indicato, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ha acquisito, a mezzo del sequestro di dispositivi mobili di comunicazione appartenenti a terzi, messaggi di testo scambiati sulla piattaforma WhatsApp tra il senatore Renzi e V. U. M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018, e tra il senatore Renzi e M. C. nel periodo 12 agosto-15 ottobre 2019, nonché corrispondenza intercorsa tramite e-mail fra quest’ultimo e il senatore Renzi tra il 1° e il 10 agosto 2018, nel numero di quattro missive;
che, a mezzo di apposito decreto, la Procura ha inoltre acquisito – sempre senza essere a ciò autorizzata dal Senato della Repubblica – l’estratto del conto corrente bancario personale del senatore Renzi relativo al periodo 14 giugno 2018-13 marzo 2020;
che, ad avviso del ricorrente, la nozione di «corrispondenza», richiamata, senza altra specificazione, dall’art. 68, terzo comma, Cost. e dalla disposizione attuativa di cui all’art. 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), si presterebbe senz’altro a ricomprendere, oltre alla tradizionale corrispondenza cartacea recapitata a mezzo del servizio postale e telegrafico, ormai nettamente recessiva, anche i messaggi scritti scambiati attraverso strumenti di tipo informatico e telematico, resi disponibili dall’evoluzione tecnologica;
che, sebbene un indirizzo della giurisprudenza di legittimità in tema di sequestro possa far pensare il contrario, la corrispondenza, anche elettronica, resterebbe tale, senza trasformarsi in un mero documento, anche dopo che è giunta a conoscenza del destinatario, almeno fin quando permanga l’interesse alla sua riservatezza: diversamente opinando, infatti, le garanzie di cui agli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. risulterebbero agevolmente aggirabili, in quanto basterebbe attendere che la corrispondenza venga ricevuta per poterne prendere cognizione senza particolari cautele;
che, agli effetti della prerogativa parlamentare in parola, costituirebbero pertanto «corrispondenza» anche i messaggi telematici che, dopo la ricezione, restano conservati nella casella di posta elettronica del destinatario (nel caso delle e-mail), ovvero nella memoria del dispositivo mobile su cui è installata l’applicazione utilizzata per la loro trasmissione (nel caso dei messaggi WhatsApp);
che, a parere del Senato della Repubblica, rientrerebbe nell’ambito della «corrispondenza» costituzionalmente tutelata anche l’estratto del conto corrente bancario, trattandosi di documento con il quale la banca comunica al cliente dati riservati, quali le operazioni di dare e avere compiute in un determinato periodo, con indicazione dei destinatari e delle causali, le quali rivelano contratti, obbligazioni e rapporti;
che sarebbe, d’altro canto, applicabile anche al sequestro di corrispondenza il principio, affermato da questa Corte in tema di intercettazioni di comunicazioni dei membri del Parlamento, in forza del quale, ai fini dell’operatività del regime di autorizzazione preventiva previsto dall’art. 68, terzo comma, Cost., quello che conta non è la titolarità dell’utenza captata, ma la direzione dell’atto di indagine: se questo è volto ad accedere nella sfera delle comunicazioni del parlamentare, l’intercettazione non autorizzata è illegittima, anche se l’utenza sottoposta a controllo appartiene a un terzo (è citata la sentenza n. 390 del 2007);
che nella specie, di conseguenza, i messaggi WhatsApp e di posta elettronica riguardanti il senatore Renzi non avrebbero potuto essere acquisiti senza autorizzazione del Senato della Repubblica solo perché memorizzati su telefoni cellulari appartenenti a terzi;
che i decreti di perquisizione e sequestro emessi il 20 novembre 2019 nei confronti di M. C. e di V. U. M., in forza dei quali erano stati sequestrati i telefoni cellulari, risultavano, infatti, dichiaratamente volti a reperire documentazione relativa ai rapporti economici della Fondazione Open (di cui M. C. e V. U. M. erano, rispettivamente, dirigente e finanziatore), sulla base dell’ipotesi investigativa che quest’ultima avesse prestato un indebito sostegno finanziario al senatore Renzi e ad altri parlamentari del Partito democratico;
che risulterebbe quindi evidente come gli atti di indagine mirassero a penetrare nella sfera delle comunicazioni di membri del Parlamento, e del senatore Renzi in particolare.
Considerato che, con ricorso depositato l’11 maggio 2022 (reg. confl. poteri n. 10 del 2022), il Senato della Repubblica ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, per avere quest’ultima acquisito agli atti del procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro delle notizie di reato del 2019, instaurato nei confronti del senatore Matteo Renzi e di altri soggetti, corrispondenza scritta riguardante il medesimo senatore Renzi (messaggi scambiati tramite la piattaforma WhatsApp e tramite e-mail, estratto del conto corrente bancario personale) senza previa autorizzazione del Senato della Repubblica, in quanto mai richiesta: con ciò ledendo l’attribuzione garantita al ricorrente dall’art. 68, terzo comma, Cost.;
che, nella presente fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali, restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità;
che, quanto al requisito soggettivo, il Senato della Repubblica è legittimato ad essere parte del conflitto di attribuzione, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona, in relazione all’applicabilità della prerogativa di cui all’art. 68, terzo comma, Cost. (ordinanze n. 276 e n. 275 del 2008; analogamente, quanto alla Camera dei deputati, ove ad essa appartenga il membro del Parlamento coinvolto, ordinanza n. 327 del 2011);
che, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere altresì riconosciuta la natura di potere dello Stato al pubblico ministero – e, in particolare, al procuratore della Repubblica (sentenza n. 1 del 2013, ordinanza n. 193 del 2018) – in quanto investito dell’attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all’esercizio obbligatorio dell’azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate (ex plurimis, sentenze n. 88 e n. 87 del 2012; ordinanze n. 273 del 2017, n. 217 del 2016, n. 218 del 2012, n. 241 e n. 104 del 2011, n. 276 del 2008 e n. 124 del 2007): funzione con riferimento alla quale il pubblico ministero, organo non giurisdizionale, deve ritenersi competente a dichiarare definitivamente, in posizione di piena indipendenza, la volontà del potere giudiziario cui appartiene (sentenza n. 183 del 2017);
che, quanto al requisito oggettivo, il ricorrente lamenta la lesione dell’attribuzione prevista dall’art. 68, terzo comma, Cost., che richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza: garanzia volta primariamente a proteggere l’autonomia e l’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, riverberando solo indirettamente i suoi effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza n. 38 del 2019, ordinanza n. 129 del 2020; analogamente, sentenze n. 74 del 2013 e n. 390 del 2007);
che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, promosso dal Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze;
2) dispone:
a) che la cancelleria di questa Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Senato della Repubblica;
b) che il ricorso e la presente ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 26, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2022.
F.to:
Daria de PRETIS, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2022.