ORDINANZA N. 241
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della richiesta di giudizio immediato da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 9 febbraio 2011 e del decreto di giudizio immediato emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano del 15 febbraio 2011, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, promosso dalla Camera dei deputati con ricorso depositato in cancelleria il 17 maggio 2011 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 17 maggio 2011, la Camera dei deputati ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano (di seguito: P.M.) e del Giudice per le indagini preliminari di quest’ultimo Tribunale (di seguito: G.i.p.), chiedendo che questa Corte: dichiari che non spettava al primo «esperire indagini nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica», on. Silvio Berlusconi, «nonché procedere alla richiesta di giudizio immediato» «relativamente al contestato delitto di concussione, omettendo di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali» (d’ora in poi: Collegio), ai sensi dell’art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione), «in tal modo precludendo alla competente Camera dei deputati l’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all’art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza dare la dovuta comunicazione»; dichiari che «non spettava» al secondo «procedere in via ordinaria ed emettere il decreto di giudizio immediato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, né affermare, in relazione al contestato delitto di concussione, la natura non ministeriale dello stesso, omettendo di rilevare la necessaria trasmissione degli atti» al Collegio «con i provvedimenti del caso, in tal modo precludendo alla competente Camera dei deputati l’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all’art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza dare la dovuta comunicazione» a quest’ultima; conseguentemente, provveda all’«annullamento delle attività poste in essere e degli atti adottati» dai citati P.M. e G.i.p.;
che, secondo la ricorrente, la Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati (di seguito: Giunta), in occasione della ricezione, in data 14 gennaio 2011, della domanda di autorizzazione del P.M. ad eseguire perquisizioni domiciliari (nell’ambito del procedimento penale n. 55781/2010 RGNR, per i delitti di cui agli artt. 317, 61, numero 2, 81 cpv e 600-bis, comma 2, del codice penale), integrata con ulteriori atti in data 26 gennaio 2011, apprendeva che, in relazione a tale procedimento penale, erano in corso indagini nei confronti del Presidente del Consiglio di ministri in carica, on. Silvio Berlusconi;
che la Giunta, con relazione adottata a maggioranza, in riferimento al contestato delitto di concussione: in primo luogo, osservava che, nonostante l’omissione da parte del P.M. «di qualsivoglia argomentazione circa la non ministerialità» del reato, sarebbe stata prospettabile, «in forza di una molteplicità di elementi, “l’ipotesi che si versi nel reato ministeriale”»; in secondo luogo, riteneva che la competenza a qualificare il reato come ministeriale sarebbe «essenzialmente attribuita dalla legge» al Collegio, «quanto meno per i fatti per i quali sussista un ragionevole dubbio circa il ricorrere di questo requisito», poiché «l’attivazione della procedura di rimessione» degli atti a tale organo avrebbe, «nella sistematica del procedimento, la funzione di garantire l’interesse costituzionalmente tutelato delle Camere ad operare un’autonoma valutazione sulla ministerialità del reato rispetto a quella operata dalla magistratura, garanzia» totalmente esclusa, qualora esso non sia «attivato»; in terzo luogo, proponeva di deliberare la restituzione degli «atti all’autorità giudiziaria procedente», proposta accolta in data 3 febbraio 2011 dall’Assemblea della Camera dei deputati;
che, ad avviso della ricorrente, il 1° marzo 2011 perveniva alla Presidenza della Camera dei deputati una missiva, con relativi allegati, sottoscritta da tre Presidenti di Gruppo, recante la richiesta di «accertare la sussistenza delle condizioni per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato», «a tutela delle prerogative della Camera lese [...] dall’operato omissivo della magistratura procedente», poiché la delibera di restituzione degli atti al P.M. non aveva «sortito alcun effetto» ed il G.i.p. si era espresso nel senso di «“confermare l’atteggiamento della procura”, con quel che ne conseguiva sotto il profilo della “portata lesiva delle prerogative della Camera”», in quanto, con decreto del 15 febbraio 2011, aveva disposto di procedere con giudizio immediato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, dando atto della relativa richiesta avanzata dal P.M. in data 9 febbraio 2011, della quale non era stata data comunicazione alla Camera competente;
che, secondo la Camera dei deputati, il G.i.p., in detto decreto, non avrebbe tenuto conto degli elementi emersi in sede parlamentare in ordine alla natura ministeriale del reato in questione, sull’implicito presupposto che a lui spettasse in via esclusiva il potere di accertarla, ed aveva rigettato, sulla scorta delle argomentazioni sintetizzate nel ricorso, l’eccezione di incompetenza funzionale sollevata dalla difesa rispetto alla cognizione riservata al Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Milano;
che la Giunta, in data 23 marzo 2011, approvava la proposta di parere diretta a sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti del P.M. e del G.i.p., per denunciare la lesione delle attribuzioni spettanti alla Camera dei deputati, ai sensi dall’art. 96 Cost., accolta dall’Assemblea nella seduta del 5 aprile 2011;
che, secondo la ricorrente, il P.M. ed il G.i.p. avrebbero violato l’art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, nella parte in cui stabilisce l’obbligo di trasmettere gli atti al Collegio, ai fini dell’attivazione delle indagini e, all’esito di queste, dell’adozione delle relative determinazioni, con conseguente «menomazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Camera dei deputati, a seguito della comunicazione che in tutti i casi» l’organo requirente avrebbe l’obbligo di assicurare (art. 8, comma 4, della legge costituzionale n. 1 del 1989), «in ordine alla qualificazione del reato addebitato nonché all’esercizio della potestà autorizzatoria di cui all’art. 96 Cost. e all’art. 9» di tale legge, «alla stregua delle ulteriori valutazioni di cui» al comma 3 di quest’ultima norma;
che, ad avviso della Camera dei deputati, il conflitto sarebbe ammissibile, poiché essa è abilitata ad esprimere in via definitiva la volontà del potere che rappresenta e sarebbe legittimata a denunciare, mediante conflitto di attribuzioni, la lesione delle prerogative costituzionali di cui all’art. 96 Cost., in quanto è titolare del potere di autorizzazione previsto da tale parametro costituzionale, dato che il Presidente del Consiglio dei ministri in carica, on. Silvio Berlusconi, è membro della Camera dei deputati;
che, a suo avviso, sarebbero legittimati a resistere al conflitto di attribuzioni il P.M., in quanto ufficio investito delle funzioni previste dall’art. 112 Cost., ed il G.i.p., organo giurisdizionale che svolge le funzioni allo stesso spettanti, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita;
che, secondo la ricorrente, sussisterebbe il requisito oggettivo del conflitto, poiché gli atti impugnati sarebbero stati posti in essere in violazione della disciplina stabilita dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 in materia di reati ministeriali di cui all’art. 96 Cost., riservati alla competenza del Collegio, e sarebbero, quindi, lesivi delle attribuzioni costituzionali ad essa spettanti, in quanto l’omessa «comunicazione delle risultanze delle indagini» non l’avrebbe posta in grado «di poter esprimere con cognizione di causa la propria valutazione in ordine al carattere ministeriale del reato nonché, ai fini della eventuale autorizzazione a procedere nei confronti del titolare della carica di Governo», mirando il conflitto «a reintegrare le specifiche attribuzioni di pertinenza della Camera che sono correlate alle competenze del c.d. Tribunale dei ministri»;
che, in contrario, non sarebbe evocabile l’art. 37, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), anzitutto, perché il conflitto di giurisdizione al quale fa riferimento detta norma concerne la definizione dei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale, quale non è il Collegio per i reati ministeriali; inoltre, in quanto i conflitti di giurisdizione e di competenza attengono al caso in cui più giudici contemporaneamente prendano, ovvero ricusino di prendere cognizione di uno stesso fatto, mentre nella specie essa ricorrente non rivendica funzioni giudiziarie, ma denuncia la menomazione delle attribuzioni costituzionali di cui è titolare in materia di reati ministeriali, destinate a rimanere altrimenti priva di tutela, poiché soltanto essa è legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato e la controversia va decisa all’esito dell’identificazione delle attribuzioni costituzionali spettanti al potere legislativo ed al potere giudiziario, mediante l’interpretazione di disposizioni di rango costituzionale, riservata dall’art. 134 Cost. a questa Corte;
che, secondo la ricorrente, il P.M. ed il G.i.p. hanno ritenuto di «poter procedere nelle vie ordinarie in quanto titolari in via esclusiva del potere di qualificazione dell’illecito»: il primo, senza fornire nessuna motivazione sul punto; il secondo, rigettando l’eccezione proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto ha escluso che l’ipotizzato delitto di concussione configuri un reato ministeriale; entrambi, omettendo di comunicare alla Camera dei deputati siffatte determinazioni, senza tenere conto delle osservazioni svolte nel provvedimento di restituzione della richiesta avente ad oggetto l’autorizzazione alle perquisizioni domiciliari;
che, a suo avviso, la disciplina stabilita dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, analiticamente riprodotta nel ricorso, evidenzierebbe, in primo luogo, che la stessa è preordinata a concentrare in capo al Collegio l’attività di indagine (finalità resa palese dalla previsione di un termine per la trasmissione a tale organo della notizia di reato da parte del P.M. e dal divieto per questi di procedere a qualunque indagine), allo scopo di realizzare le garanzie offerte dallo stesso, poiché sua «precipua finalità è assicurare che la Camera competente abbia contezza, ai fini dell’assunzione delle sue decisioni, di un esauriente materiale probatorio»; in secondo luogo, renderebbe palese che le norme di detta legge mirano a garantire che la Camera competente, sulla scorta delle indagini effettuate dal Collegio, nei casi di richiesta dell’autorizzazione a procedere e di archiviazione «anomala» (sentenza n. 241 del 2009), sia posta in grado di conoscere tutti gli elementi necessari per assumere le determinazioni di propria competenza in ordine al carattere ministeriale del reato ed alla sussistenza di eventuali esimenti;
che la brevità dei termini stabiliti dalla legge costituzionale in esame dimostrerebbe la strumentalità della disciplina rispetto al fine di assicurare che le ipotesi di reato, anteriormente all’eventuale esercizio dell’azione penale, siano sottoposte ad una duplice valutazione, concernente «la meritevolezza circa la prosecuzione del procedimento» (spettante al Collegio) e «l’esistenza dei presupposti per l’attivazione della relativa guarentigia» (riservata alla Camera di competenza), in considerazione degli «interessi di natura istituzionale» in gioco, anche in ragione dell’eventuale incidenza della pendenza del procedimento sulla compagine di Governo e sulla connessa relazione fiduciaria;
che l’inosservanza del procedimento sopra descritto, secondo la Camera dei deputati, vanificherebbe «l’intero sistema disegnato dal legislatore costituzionale nel quale si trovano contemperate “la garanzia della funzione di governo e l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”» (sentenza n. 241 del 2009), realizzate, da un canto, mantenendo fermo il potere dell’autorità giudiziaria ordinaria di svolgere le indagini necessarie rispetto alle notizie di reato a carico dei ministri; dall’altro, assicurando alla Camera competente, ai sensi dell’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1989, l’adeguata e tempestiva informazione sugli sviluppi e sull’esito dei procedimenti penali a carico dei componenti del Governo, costituente questo uno snodo essenziale del procedimento, comprovato dall’affermazione dell’obbligo di comunicazione anche nel caso di archiviazione conseguente alla ritenuta non ministerialità del reato oggetto della attività investigativa (sentenza n. 241 del 2009);
che sarebbe inesatto riferire l’iter procedimentale sopra sintetizzato al solo caso in cui «sia stato previamente accertato dall’autorità giudiziaria» il carattere ministeriale del reato, con tesi in contrasto con la disciplina stabilita dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, anche perché, ad avviso della ricorrente, l’equilibrio tra i poteri sarebbe garantito esclusivamente dalla riserva in capo al Collegio della definitiva qualificazione in ordine alla natura del reato (anche quando il P.M. lo abbia ritenuto non ministeriale), poiché questa assicura alla Camera competente l’informazione costituzionalmente dovutale (sentenza n. 241 del 2009), in ordine alle vicende processuali concernenti componenti del Governo, ai fini delle valutazioni di propria spettanza, eventualmente divergenti rispetto a quelle operate da detto Collegio, con le conseguenze prefigurate nella sentenza n. 241 del 2009;
che, peraltro, ciò non implicherebbe che lo status di componente del Governo costituisca condizione necessaria e sufficiente per ritenere sussistente il carattere ministeriale del reato, in quanto «sia la prima e “precaria” valutazione operata dal Procuratore, finalizzata alla presentazione delle sue “richieste” al Collegio», sia quella conclusiva di quest’ultimo «verteranno sui profili atti ad integrare il reato ministeriale», come risulterebbe comprovato dal divieto per il P.M. di effettuare indagini sulla notizia di reato a carico di un Ministro e dalla brevità del termine fissato per presentare le proprie richieste al Collegio, incompatibili con la possibilità di operare una ponderazione conclusiva ed adeguata in ordine alla natura del reato;
che, infatti, in virtù dell’art. 6, comma 2, della legge costituzionale n. 1 del 1989, il P.M., nel trasmettere gli atti al Collegio, deve formulare le proprie «richieste», concernenti anzitutto la qualificazione del reato, le quali non possono essere sottratte alla valutazione di tale organo;
che, ad avviso della Camera dei deputati, siffatta configurazione sarebbe confortata dai lavori preparatori della legge costituzionale n. 1 del 1989, analiticamente richiamati nel ricorso, mentre l’implausibilità dell’interpretazione sostenuta dall’autorità giudiziaria sarebbe confortata dal fatto che per il P.M. il breve lasso di tempo accordatogli da detta legge è sufficiente per adottare le determinazioni del caso, senza alcun ulteriore supporto investigativo, mentre al Collegio è concesso un termine di novanta giorni (prorogabili di altri sessanta giorni), per operare, in forza delle investigazioni esperite, la qualificazione del reato come ordinario, disponendo la cosiddetta archiviazione anomala;
che, peraltro, non sarebbe plausibile che, qualora il P.M. ritenga il reato non ministeriale, al Collegio sia impedito di esprimersi in ordine a tale determinazione, risultando tale esegesi inesatta, in considerazione dell’impossibilità di sottrarre all’organo parlamentare «una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria» (sentenza n. 241 del 2009) ed essendo desumibile dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 il principio, in virtù del quale la natura del reato non può essere fissata dal P.M., con determinazione suscettibile di impedire alla Camera competente la valutazione alla stessa spettante, pena la violazione dell’esigenza di certezza delle attribuzioni costituzionali, del ragionevole equilibrio nell’esercizio delle stesse e del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato;
che, secondo la Camera dei deputati, le circostanze emerse nel corso del dibattito parlamentare, la vicenda relativa alla deliberazione adottata sulla richiesta del P.M. di autorizzazione ad effettuare alcune perquisizioni domiciliari nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e le puntualizzazioni svolte in tale atto parlamentare anche in ordine alla posizione di quest’ultimo (analiticamente riportati nel ricorso), dimostrerebbero l’esistenza, nella specie, di dubbi in ordine alla natura ministeriale o meno del reato ‒ i quali avrebbero dovuto indurre P.M. e G.i.p. ad investire della relativa qualificazione il Collegio (Cass. penale, sez. VI, 6 agosto 1992, n. 2865) ‒ nonché la violazione dell’obbligo di leale collaborazione, conseguente alla mancata considerazione della delibera parlamentare di restituzione degli atti, contenente la sollecitazione ad attivare il procedimento stabilito dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, e, quindi, la sussistenza della denunciata lesione delle attribuzioni costituzionali in esame;
che, ad avviso della ricorrente, un «ulteriore profilo di lesività» sarebbe «riscontrabile nella motivazione del decreto del G.i.p.», nella parte in cui, per sostenere la natura non ministeriale del reato, questi «si è dovuto impegnare su svariati e problematici aspetti di ordine costituzionale inerenti la complessiva posizione istituzionale della figura del Presidente del Consiglio dei ministri», senza compiutamente apprezzare le valutazioni svolte sul punto da essa istante in ordine alle funzioni a questo spettanti (puntualmente riportate nel ricorso);
che, «in via subordinata», il comportamento del P.M. e del G.i.p. sarebbero lesivi delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Camera dei deputati, in quanto non avrebbero informato quest’ultima, «a tempo debito e nelle forme richieste», della conduzione del procedimento nelle vie ordinarie, «in particolare con riferimento alla richiesta di giudizio immediato avanzata dalla procura, nonché al relativo decreto adottato dal G.i.p.», e tale omissione avrebbe comportato la «inibizione del potere della Camera di procedere alle apposite determinazioni di sua pertinenza circa la natura del reato ed eventualmente circa la sussistenza delle esimenti» di cui all’art. 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 1989;
che, secondo la ricorrente, qualora detti organi si arroghino il potere di qualificare il reato come non ministeriale, sarebbero, infatti, tenuti ad osservare gli obblighi di comunicazione e di coinvolgimento della Camera competente, alla quale «non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria» (sentenza n. 241 del 2009), restando escluso che essa «debba rimettersi all’iniziativa del singolo titolare della carica di governo, peraltro non necessariamente interessato a far valere il carattere ministeriale del reato, posto che il compito assegnato alle Camere, a seguito della novellazione dell’art. 96 Cost., è oggi quello di assicurare nel suo complesso il corretto funzionamento del sistema parlamentare e dell’integrità delle funzioni di governo».
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, quanto alla sussistenza dei requisiti soggettivi, impregiudicata ogni ulteriore e diversa valutazione, la Camera dei deputati è legittimata a sollevare conflitto, al fine di difendere le attribuzioni che le spettano ai sensi dell’art. 96 Cost. (ordinanza n. 104 del 2011; sentenze n. 241 del 2009 e n. 403 del 1994; ordinanze n. 211 del 2010; n. 8 del 2008; n. 217 del 1994);
che la legittimazione a resistere nel presente conflitto va riconosciuta al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente, nel procedimento di cui è investito, la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell’esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita (in generale, sulla legittimazione del G.i.p. ad essere parte nel giudizio ex art. 37 della legge n. 87 del 1953, tra le molte, sentenza n. 82 del 2011);
che è ugualmente legittimato a resistere nel conflitto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in quanto direttamente investito delle funzioni previste dall’art. 112 Cost. e, quindi, gravato dall’obbligo di esercitare l’azione penale e di svolgere le attività di indagine a questa finalizzate (ordinanza n. 104 del 2011);
che, con riguardo ai presupposti oggettivi, il ricorso è indirizzato a garanzia di una sfera di attribuzioni costituzionali, desumibili, secondo la prospettazione della Camera dei deputati, dall’art. 96 Cost. e dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (da ultimo, in fattispecie analoga a quella in esame, ordinanza n. 104 del 2011);
che tale preliminare valutazione, adottata prima facie ed in assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione concernente la stessa ammissibilità del ricorso, avuto riguardo, fra l’altro, alla natura degli atti asseritamente lesivi e alla sussistenza di un’idonea “materia di conflitto”;
che, infine, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, va disposta la notificazione del ricorso e della presente ordinanza anche al Senato della Repubblica, stante l’identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle questioni di principio da trattare (sentenza n. 7 del 1996; ordinanze n. 104 del 2011; n. 211 del 2010; n. 8 del 2008; n. 102 del 2000; n. 470 del 1995).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Camera dei deputati nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano e del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con il ricorso in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Camera dei deputati;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, nonché al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni dall’ultima notificazione, a norma dell’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere