Ordinanza n. 256 del 2021

ORDINANZA N. 256

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, nonché dell’art. 1, comma 1, del medesimo decreto-legge, introduttivo dell’art. 9-quinquies, comma 12, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, della deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 22 settembre 2021, della deliberazione del Collegio dei questori della Camera dei deputati del 12 ottobre 2021, della nota del Collegio dei questori della Camera dei deputati del 13 ottobre 2021, prot. n. 2021/0021473/GEN/CPA, promosso da Pino Cabras e altri, nella qualità di deputati, con ricorso depositato in cancelleria il 12 novembre 2021, iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2021, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

deliberato nella camera di consiglio del 15 dicembre 2021.

Ritenuto che con ricorso depositato il 12 novembre 2021 (reg. confl. poteri n. 8 del 2021) Pino Cabras, Raffaele Trano, Emanuela Corda, Francesco Forciniti, Paolo Giuliodori, Alvise Maniero, Arianna Spessotto e Andrea Vallascas, deputati appartenenti alla componente di opposizione del gruppo misto della Camera dei deputati, denominata “L’Alternativa C’è”, hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, della Camera dei deputati, dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati e del Collegio dei questori della Camera dei deputati, in riferimento a diversi atti;

che viene anzitutto lamentata l’adozione, da parte del Governo, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, il quale, introducendo l’art. 9-quinquies «e, segnatamente», il suo comma 12, nel precedente decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, ha imposto l’obbligo di possesso o esibizione della certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) ai lavoratori pubblici per l’accesso al luogo di lavoro nel periodo intercorrente dal 15 ottobre al 31 dicembre 2021;

che il suddetto comma 12 prevede, in particolare, che «gli organi costituzionali, ciascuno nell’ambito della propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni di cui al presente articolo» (art. 9-quinquies, comma 12), comprimendo – ad avviso dei ricorrenti – l’esercizio della funzione dei parlamentari (in violazione degli artt. 1 e 67 della Costituzione), poiché sarebbe impedito loro di svolgere l’attività legislativa (violando, altresì, gli artt. 71 e 72 Cost.), e ledendo, inoltre, l’autonomia del Parlamento (artt. 64 e 66 Cost.);

che, con analoghe argomentazioni e in riferimento ai medesimi parametri, i ricorrenti ritengono che le loro attribuzioni siano lese, altresì, da diverse delibere adottate da organi interni della Camera dei deputati, le quali prevedono anche per i deputati il possesso del certificato verde per poter svolgere i lavori parlamentari presso la Camera;

che i deputati ricorrenti impugnano, in particolare:

1) la delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 22 settembre 2021, recante «Misure per l’adeguamento dell’ordinamento della Camera dei deputati alle disposizioni in materia di certificazioni verdi recate dal decreto-legge del 21 settembre 2021, n. 127»;

2) la delibera del Collegio dei questori della Camera dei deputati del 12 ottobre 2021, che, a sua volta, richiede ai deputati di possedere la certificazione verde, ai fini dell’accesso alle sedi della Camera;

3) la nota 13 ottobre 2021, prot. n. 2021/0021473/GEN/CPA, con la quale i deputati questori hanno dato comunicazione ai presidenti dei gruppi parlamentari della citata decisione del 12 ottobre 2021;

che, con riferimento a tali tre provvedimenti, i ricorrenti sottolineano come gli stessi prescrivano, in caso di inosservanza, sanzioni irrogabili dall’Ufficio di presidenza ai sensi dell’art. 60, comma 4, del regolamento della Camera dei deputati. Tale disposizione prevede, che, «per fatti di eccezionale gravità che si svolgano nella sede della Camera, ma fuori dall’aula, il Presidente della Camera può proporre all’Ufficio di Presidenza le sanzioni previste nel comma 3». Ovverosia, i deputati che accedono alla Camera senza il possesso del green pass possono essere interdetti dal partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta;

che, inoltre, il ricorso propone che questa Corte sollevi di fronte a se stessa questioni di legittimità costituzionale del menzionato d.l. n. 127 del 2021, in riferimento agli artt. 3, 32, e 117 (recte, 117, primo comma) Cost., quest’ultimo in relazione al regolamento (UE) 2021/953, recante «Su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19», e al regolamento (UE) 2021/954, recante «Su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per i cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti o residenti nel territorio degli Stati membri durante la pandemia di COVID-19», entrambi del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021;

che agli odierni ricorrenti non pare dubbio che si sia determinata «un’illegittima totale e macroscopica compressione del mandato parlamentare», al punto da impedire loro l’accesso all’aula nella quale svolgere il predetto mandato e partecipare al procedimento legislativo, «proprio al fine di fare valere la loro contrarietà all’introduzione dell’obbligo di green pass nella procedura di conversione in legge del d.l. n. 127 del 2021» Da ciò, l’asserita violazione degli artt. 1, 67, 71 e 72 Cost.;

che il ricorso afferma di essere «diretto a ristabilire il corretto esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite con riferimento alla regolamentazione della funzione dei singoli parlamentari, […] tutelata da plurime disposizioni costituzionali e principi generali» (di cui agli artt. 1 e 67, 64 e 66, 71 e 72 Cost.), illegittimamente compresse;

che i ricorrenti aggiungono che l’Ufficio di Presidenza e il Collegio dei questori della Camera, con le delibere menzionate, hanno violato l’autonomia del Parlamento poiché l’introduzione del certificato verde sarebbe dovuta avvenire con una modifica del regolamento parlamentare, seguendo il procedimento di cui all’art. 16 regol. Camera e dunque con il coinvolgimento più ampio della Giunta per il regolamento e dell’aula;

che detti provvedimenti violerebbero gli artt. 64 e 66 Cost. sia da un punto di vista sostanziale, in quanto talmente invasivi delle prerogative dei singoli parlamentari da esorbitare dai limiti della disciplina della funzione dei medesimi, sia da un punto di vista formale, in quanto approvati da un nucleo ristretto di deputati;

che includere l’accesso alla Camera senza il certificato verde tra i «comportamenti idonei a turbare l’andamento dei lavori» sarebbe irragionevole, poiché atto del tutto estraneo e incompatibile alle violenze, ai tumulti, alle minacce, o alle espressioni ingiuriose, in genere riconducibili alle fattispecie turbative dei lavori dell’aula;

che l’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come convertito e modificato, ad avviso dei ricorrenti, implica un vero e proprio obbligo imposto agli organi costituzionali di recepire la normativa sul certificato verde, «azzerando» così il loro spazio di indipendenza, sia nell’an sia nel quomodo;

che gli atti oggetto del presente conflitto si porrebbero anche in contrasto con i principi di proporzionalità, ragionevolezza, adeguatezza e parità di trattamento (nella forma dell’illegittimo eguale trattamento di situazioni diverse), in violazione, così, anche dell’art. 3 Cost.;

che i ricorrenti ritengono, infatti, menomate le loro attribuzioni dalla normativa che introduce l’obbligo del certificato verde, poiché «inidonea, inadeguata e sproporzionata». Essa imporrebbe, infatti, un sacrificio eccessivo del diritto alla salute e all’autodeterminazione (art. 32 Cost.) di chi non può o non vuole sottoporsi al vaccino. Da qui, «l’inidoneità della misura individuata ad assolvere alle finalità per cui la stessa è stata prevista», in violazione dell’art. 3 Cost.;

che l’art. 3 Cost. sarebbe leso anche perché, in forza della normativa vigente, «alla Camera possono accedere non solo deputati che si sono sottoposti al tampone con esito negativo, ma anche deputati non sottoposti a tampone, vaccinati (o guariti), seppur questi ultimi possono essere diffusori del virus», insomma applicando eguali possibilità di accesso alla Camera a situazione diverse (possibile contagiosità di vaccinati e forse anche di guariti, da un lato; presunta non contagiosità di soggetti sottoposti a tampone con esito negativo, dall’altro);

che la predetta normativa si porrebbe, peraltro, «in contrasto con il diritto eurounitario, del quale il principio di proporzionalità costituisce uno dei principali fondamenti, e quindi con l’art. 117 Cost., in virtù del ruolo di “norma interposta”»;

che, quindi, sarebbero in particolare violati i citati regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021;

che la «finalità propostasi dal Governo e dagli organi interni delle Camere avrebbe potuto – e può – agevolmente, e anzi, più proficuamente, essere conseguita attraverso l’utilizzo di altre misure più efficaci (rispetto al vaccino) e di certo meno invasive dell’integrità fisica e psicologica delle persone (rispetto al vaccino ma anche agli stessi tamponi), non comportanti la lesione del diritto di autodeterminazione circa i trattamenti sanitari, di cui all’articolo 32 della Costituzione»;

che, quanto alla dedotta domanda di sospensione, anche «inaudita altera parte», si richiama la necessità di una pronuncia cautelare di questa Corte per il grave e irreparabile danno che subirebbero i ricorrenti nell’attesa di una pronuncia di merito, laddove quest’ultima intervenisse inutiliter data, ovverosia dopo il 20 novembre 2021, termine ultimo per la conversione del menzionato d.l. n. 127 del 2021.

Considerato che i deputati Pino Cabras, Raffaele Trano, Emanuela Corda, Francesco Forciniti, Paolo Giuliodori, Alvise Maniero, Arianna Spessotto e Andrea Vallascas, deputati appartenenti alla componente del gruppo di opposizione del gruppo misto della Camera dei deputati, denominata “L’Alternativa C’è”, hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, della Camera dei deputati, dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, e del Collegio dei questori della Camera dei deputati;

che il conflitto ha ad oggetto, quanto al Governo, il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127 (Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 2021, n. 165, con particolare riferimento all’art. 1, comma 1;

che tale disposizione ha introdotto l’art. 9-quinquies, nel corpo del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87, stabilendo, al comma 12, che «gli organi costituzionali, ciascuno nell’ambito della propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni» concernenti l’impiego delle certificazioni verdi COVID-19 in ambito lavorativo pubblico;

che le disposizioni alle quali la norma si riferisce impongono di «possedere ed esibire» la certificazione verde «ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro»;

che, con delibera dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 22 settembre 2021, si è adottato l’indirizzo di ascrivere all’art. 60, comma 4, del regolamento della Camera dei deputati la condotta del deputato che acceda alle sedi della Camera «senza previa esibizione di valida certificazione verde Covid-19», nel periodo compreso tra il 15 ottobre e il 31 dicembre 2021;

che, pertanto, tale fatto può comportare l’interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta, secondo quanto previsto dall’art. 60, comma 3, regol. Camera;

che, in conseguenza di ciò, il Collegio dei questori ha approvato la delibera del 12 ottobre 2021, con cui si sono specificate le modalità di esecuzione di quanto deciso dall’Ufficio di Presidenza;

che tale ultima delibera è stata comunicata ai presidenti dei gruppi parlamentari con nota dei deputati questori del 13 ottobre 2021;

che tutti gli atti appena indicati sono oggetto di conflitto;

che, infatti, i ricorrenti sostengono che l’intero fascio delle prerogative costituzionali proprie di ciascun deputato sia stato menomato da una catena di atti, tali da inibirne integralmente l’esercizio, posto che il parlamentare privo di valida certificazione verde può subire l’interdizione di partecipare ai lavori parlamentari, con menomazione delle attribuzioni garantite dagli artt. 1, 3, 64, 66, 67, 71 e 72 della Costituzione;

che, inoltre, la disciplina della certificazione verde (cosiddetto green pass), con riferimento a «tutti i lavoratori pubblici e privati», ed in particolare ai parlamentari, sarebbe lesiva dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, nonché del diritto alla salute e del diritto dell’Unione, con riferimento al Regolamento (UE) 2021/953, dal titolo «Su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19», e al Regolamento (UE) 2021/954, dal titolo «Su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per i cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti o residenti nel territorio degli Stati membri durante la pandemia di COVID-19», entrambi del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021;

che sarebbe infatti irragionevole e sproporzionato equiparare, ai fini del conseguimento della certificazione verde, chi sia vaccinato, da un lato, e chi sia sottoposto a tampone per verificare l’eventuale stato di positività, dall’altro;

che, a parere dei ricorrenti, «solo i tamponi, a differenza dello stato di vaccinato […] costituiscono strumento adeguato a tutelare la salute pubblica»;

che, pertanto, il rilascio della certificazione verde a chi sia vaccinato, e l’imposizione di essa per accedere ai luoghi di lavoro, si tradurrebbe in una misura «invasiva dell’integrità fisica e psicologica delle persone», alla quale avrebbero dovuto essere preferiti altri mezzi di contrasto del contagio, in forza dei principi costituzionali sopra rammentati;

che, quindi, il menzionato d.l. n. 127 del 2021 dovrebbe divenire oggetto, «nella sua interezza», di un incidente di legittimità costituzionale, che questa Corte dovrebbe sollevare, dinanzi a se stessa, autorimettendosi le relative questioni;

che, nelle more del conflitto, gli atti che ne sono oggetto andrebbero sospesi in via cautelare;

che, in questa fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata da norme costituzionali;

che l’ordinanza n. 17 del 2019 di questa Corte ha riconosciuto l’esistenza di una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare e ha affermato che esse possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, a condizione che vi sia una violazione manifesta della prerogativa, rilevabile nella sua evidenza già in sede di sommaria delibazione;

che, in ogni caso, tale violazione non può riguardare esclusivamente la scorretta applicazione dei regolamenti parlamentari e delle prassi di ciascuna Camera (ordinanze n. 193, n. 188, n. 186, n. 67 e n. 66 del 2021; n. 197, n. 176, n. 129, n. 86 e n. 60 del 2020; n. 275, n. 274 e n. 17 del 2019);

che, alla luce di tali principi, l’attuale ricorso è inammissibile;

che la «spiccata autonomia» di cui godono gli organi costituzionali (sentenza n. 129 del 1981) impone di escludere che la decretazione d’urgenza possa formulare condizioni atte ad interferire con (fino potenzialmente ad impedire) lo svolgimento dell’attività propria dell’organo;

che, difatti, «l’essenza della garanzia contro l’interferenza di altri poteri che la Costituzione riconosce alle Camere è data proprio dalla esclusività della capacità qualificatoria che il regolamento parlamentare possiede», anche quanto allo svolgimento dei lavori (sentenza n. 379 del 1996);

che, pertanto, l’art. 9-quinquies, comma 12, del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 127 del 2021, secondo cui gli organi costituzionali adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni concernenti la certificazione verde, può e deve essere interpretato nel senso che esso preservi integralmente la libera valutazione di opportunità dell’organo, e delle Camere nel caso di specie, in ordine all’an, al quando e al quomodo del processo di adeguamento. Di conseguenza, il citato d.l. n. 127 del 2021, né per tale parte, né, tantomeno, nella «sua interezza», può essere individuato quale fonte della lamentata menomazione delle prerogative costituzionali dei deputati ricorrenti, posto che, alla Camera, l’introduzione della certificazione verde consegue alla delibera dell’Ufficio di Presidenza del 22 settembre 2021, ed eventualmente agli atti parlamentari che ne sono derivati;

che il ricorso ha omesso di dimostrare adeguatamente se la certificazione e i presupposti che la consentono siano tali da costruire un effettivo impedimento all’esercizio delle attribuzioni proprie dei deputati anche con riferimento alla asserita violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, e alla violazione dell’art. 32 Cost. e del diritto dell’Unione europea;

che, sempre con riferimento alle delibere dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori impugnate, va anche escluso che esse siano afflitte da «una contraddizione logica, prima ancora che giuridica» perché l’attribuzione costituzionale del parlamentare gli consente non già di sottrarsi alle regole che siano state legittimamente introdotte anche a suo carico dalle fonti a ciò deputate, ma semmai di attivarsi perché tali regole vengano abrogate o modificate, fermo restando però il dovere di rispettarle, finché in vigore. Perciò, le misure contestate con il ricorso non producono alcuna manifesta violazione delle prerogative riconosciute dagli artt. 1, 67, 71 e 72 Cost.;

che, a parere dei ricorrenti, la lamentata menomazione delle attribuzioni parlamentari, con lesione degli artt. 64 e 66 Cost., si sarebbe prodotta a seguito della decisione di introdurre la certificazione verde per i deputati in forza di mere delibere dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori, anziché per il tramite di una modifica del regolamento della Camera, assunta a maggioranza assoluta dei suoi componenti;

che è del tutto improprio sostenere la necessità che il regolamento sia modificato, quando la fattispecie in esame è già disciplinata nelle forme emerse all’esito di un processo interpretativo;

che, infatti, il presupposto sul quale si è fondata la delibera dell’Ufficio di Presidenza del 22 settembre 2021 è che l’omesso possesso della certificazione verde da parte del deputato, in occasione dell’accesso alla sede parlamentare, fosse disciplinabile ai sensi dell’art. 60, comma 4, regol. Camera;

che, secondo tale norma, «per fatti di eccezionale gravità che si svolgano nella sede della Camera, ma fuori dell’Aula, il Presidente della Camera può proporre all’Ufficio di Presidenza le sanzioni previste nel comma 3», ovverosia l’interdizione dai lavori parlamentari da due a quindici giorni di seduta;

che, pertanto, e a prescindere da ogni altro profilo, gli atti oggetto del conflitto assunti dagli organi della Camera si limitano ad adottare una specifica interpretazione dell’art. 60 regol. Camera;

che, inoltre, le considerazioni dei ricorrenti in ordine alla erroneità di questa lettura dell’art. 60, comma 4, regol. Camera da parte dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei questori non possono avere ingresso in questa sede, posto che attengono in questo caso ad una eventuale cattiva applicazione del regolamento della Camera, ovvero a materia non deducibile a mezzo del conflitto (ex plurimis, ordinanza n. 17 del 2019);

che eccede l’oggetto del presente conflitto, a causa del palese difetto di rilevanza, anche la sollecitazione rivolta a questa Corte, affinché il menzionato d.l. n. 127 del 2021 sia oggetto di un’autorimessione concernente i plurimi profili di illegittimità costituzionale che i ricorrenti vi intravedono;

che, in definitiva, l’intero ricorso è inammissibile;

che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso preclude l’esame dell’istanza cautelare (ordinanze n. 193 del 2021, 197, n. 196, n. 195 del 2020).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dai deputati Pino Cabras, Raffaele Trano, Emanuela Corda, Francesco Forciniti, Paolo Giuliodori, Alvise Maniero, Arianna Spessotto e Andrea Vallascas, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2021.