ORDINANZA N. 274
ANNO 2019
I. Renzo Dickmann, L’illegittimità delle norme intruse dei decreti-legge tra conflitto di attribuzione promosso da singoli parlamentari e giudizio di legittimità costituzionale (Osservazioni a Corte cost., ordd. n. 274 e 275 del 2019 e sent. n. 247 del 2019), per g.c. di Federalismi.it
II. Cosimo Pietro Guarini, La Corte costituzionale ancora su conflitti tra poteri sollevati da singoli parlamentari tra conferme e prospettive di sviluppo (a margine delle ordinanze nn. 274 e 275 del 2019), per g.c. dell’Osservatorio AIC
III. Federica Fabbrizzi, Le ordd. 274 e 275/2019 su conflitti di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevati da singoli parlamentari. Dialogando con l’ord. 17/2019, per g.c. dell’Osservatorio AIC
IV. Marco Armanno, Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato come strumento di verifica della regolarità del procedimento legislativo e l’invalicabile soglia del controllo di ammissibilità, per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Aldo CAROSI;
Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’emendamento del Senato della Repubblica 29 gennaio 2019, n. 11.0.43, promosso da Stefano Collina e Daniele Manca, nella qualità di senatori, con ricorso depositato il 25 marzo 2019 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2019, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2019 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 25 marzo 2019, due senatori in carica per la XVIII legislatura, Stefano Collina e Daniele Manca, hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Senato della Repubblica, «nonché, per quanto occorra, la Camera dei Deputati e il Governo della Repubblica», in relazione «all’abuso del procedimento legislativo» che si sarebbe consumato mediante l’inserimento, in sede di conversione del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), dell’emendamento 11.0.43 (testo 4), A.S. n. 989 (Conversione in legge del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), poi divenuto art. 11-ter del citato d.l., come convertito nella legge 11 febbraio 2019, n. 12;
che i ricorrenti assumono che tale emendamento introdurrebbe nell’originario decreto-legge una «norma intrusa», così da configurare «una ipotesi di grave abuso del procedimento legislativo, in spregio degli artt. 67, 68, 70, 71 e 77 Cost.»;
che, in particolare, in ordine alle disposizioni introdotte con il citato emendamento, sarebbero violati: l’art. 67 della Costituzione in quanto non sarebbe stata garantita ai senatori la facoltà di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni, così impedendo loro l’esercizio del libero mandato parlamentare; l’art. 68 (recte: 68, primo comma) Cost., in quanto sarebbe stata compressa la loro facoltà di esprimere opinioni e voti; l’art. 71 (recte: 71, primo comma) Cost., in quanto sarebbe stato impedito ai medesimi senatori di esercitare il loro potere di iniziativa legislativa, nella forma della proposta di emendamenti; l’art. 72 Cost., in quanto non sarebbe stato loro consentito di esercitare in maniera effettiva le facoltà di esame, valutazione, emendamento, né in commissione né in assemblea; gli artt. 70 e 77 Cost., in quanto sarebbe stata negata l’essenza stessa della funzione legislativa delle Camere, imponendo al Parlamento di ratificare scelte maturate altrove;
che i ricorrenti ricordano che l’art. 11-ter del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, interviene su una materia assai complessa e dibattuta negli ultimi anni (le cosiddette trivelle) e, in particolare: sospende i permessi di prospezione, esplorazione e ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, sia per aree in terraferma che in mare, con una moratoria di 18-24 mesi, onerosa per il bilancio dello Stato; affida al Ministero dello sviluppo economico, entro 18 mesi, il compito di approvare il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), al fine di individuare le aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto a valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle stesse; e, infine, aumenta di 25 volte i canoni di concessione;
che il ricorso ricostruisce il procedimento di conversione del d.l. n. 135 del 2018, a partire dalla sua presentazione in prima lettura al Senato della Repubblica in data 14 dicembre 2018 fino alla sua approvazione in via definitiva nel termine di sessanta giorni, e illustra dettagliatamente le fasi dell’esame svolto all’interno del Senato (A.S. 989) – in sede referente presso le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VIII (Lavori pubblici, comunicazioni); in sede consultiva presso la V Commissione (Bilancio) e la X (Commissione industria, commercio e turismo); e infine in aula – con ampia produzione di documenti relativi alle diverse fasi dei lavori parlamentari, mentre dà conto in modo sintetico della successiva conclusione dell’iter legislativo presso la Camera dei deputati (A.C. 1550);
che in relazione ai lavori svolti presso la Camera dei deputati i ricorrenti ricordano che il Comitato per la legislazione, nel suo parere del 31 gennaio 2019, depositato in allegato al ricorso: ha raccomandato al legislatore di attenersi alle indicazioni di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014 in materia di decretazione d’urgenza, evitando «la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei»; ha osservato che «il decreto-legge, originariamente composto da 12 articoli, risulta incrementato, a seguito dell’esame al Senato, a 28 articoli complessivi; in termini di commi si è passati dai 39 commi iniziali a 152 commi complessivi»; e ha concluso che «destano comunque perplessità, sotto il profilo della riconducibilità alle finalità del provvedimento e al contenuto del testo originario, alcune norme inserite nel corso dell’iter», tra le quali l’emendamento oggetto del presente conflitto;
che, quanto all’ammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo, i senatori affermano di agire nella loro qualità di poteri dello Stato a tutela delle proprie prerogative costituzionali (artt. 67, 68, 70, 71, primo comma, e 72 Cost.), anche relative al procedimento legislativo, conformemente al più recente orientamento della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto ai singoli parlamentari la qualifica di potere dello Stato, abilitato a sollevare conflitti di attribuzione in caso di “abuso del potere legislativo” , richiamando ampi passaggi dell’ordinanza di questa Corte n. 17 del 2019;
che, quanto all’ammissibilità del conflitto sotto il profilo oggettivo, sarebbero innanzitutto soddisfatti i requisiti previsti dall’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere a oggetto «la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali», perché si tratterebbe di un conflitto «di evidente tono costituzionale»;
che le lesioni lamentate si risolverebbero in violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione, in quanto le prerogative costituzionali dei senatori ricorrenti di cui agli artt. 67, 68, 70, 71, 72 Cost. sarebbero state «palesemente pregiudicate da un evidente abuso della funzione legislativa, anche in ragione della illegittima utilizzazione dei meccanismi di cui all’art. 77 Cost.» (si richiama ancora l’ordinanza di questa Corte n. 17 del 2019);
che, nel merito, i ricorrenti sostengono che l’aggiunta in sede di conversione di norme eterogenee rispetto al decreto-legge implichi uno stravolgimento dell’istituto del decreto-legge e della funzione ascritta al procedimento di conversione (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 32 del 2014, n. 22 del 2012, n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007);
che l’eterogeneità dell’emendamento 11.0.43, aggiunto in sede di conversione, sarebbe palese, come segnalato e contestato più volte nel corso dell’iter parlamentare al Senato;
che i ricorrenti ricordano che nella seduta del 28 gennaio 2019 il Presidente del Senato ha ritenuto inammissibili e quindi stralciato 62 degli 85 emendamenti approvati in sede referente dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavori pubblici, ma avrebbe tuttavia salvato 23 emendamenti comunque difficilmente riconducibili alle finalità e al contenuto del testo originario del decreto-legge il quale rispondeva alla finalità di introdurre, come specificato nel titolo, «disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione», al fine di «imprimere ulteriore slancio alla modernizzazione dell’azione pubblica»;
che a tali finalità sarebbe del tutto estraneo l’emendamento in questione, oltre a quelli stralciati dalla Presidenza, dato che esso, affrontando «il controverso tema delle attività di prospezione e ricerca degli idrocarburi», non apparirebbe riconducibile ad alcuno dei contenuti già disciplinati dal decreto-legge né alla sua ratio complessiva;
che, sempre nel corso della trattazione in aula al Senato, sul punto era stata presentata a firma del senatore Malan una apposita questione pregiudiziale, nella quale si sottolineava proprio l’abuso delle forme di conversione del decreto-legge in cui sarebbero incorsi il Parlamento e il Governo aggiungendo emendamenti quali appunto quello contestato;
che, in definitiva, secondo i ricorrenti, l’art. 11-ter «pone una norma intrusa, vale a dire una regolamentazione priva di qualsiasi collegamento contenutistico o funzionale rispetto al decreto-legge», con l’effetto di spezzare quel nesso di interrelazione tra il decreto-legge e la legge di conversione, presupposto dalla sequenza delineata dall’art. 77, secondo comma, Cost. (si richiama ancora la sentenza di questa Corte n. 32 del 2014);
che il venir meno del legame essenziale tra decreto-legge e legge di conversione, oltre a rappresentare un vizio di legittimità costituzionale della legge di conversione, comprometterebbe le ordinarie dinamiche del confronto parlamentare e di conseguenza menomerebbe le prerogative costituzionali del singolo parlamentare;
che, sempre secondo i ricorrenti, le attività di ricerca, esplorazione e prospezione di idrocarburi sarebbero da anni «oggetto di vivace scontro non solo politico, oltre che di un apposito referendum abrogativo nel 2016 (questione trivelle)»;
che, di conseguenza, «[u]na riforma di tale materia avrebbe dovuto essere inserita all’interno di provvedimenti specifici, mediante un disegno di legge ordinario, oggetto di dibattito nelle relative commissioni competenti per materia, lasciando così spazio adeguato ai singoli parlamentari per effettuare approfondimenti e audizioni, presentare testi alternativi ed emendamenti, esprimere opinioni anche in contraddittorio e votare in maniera consapevole e informata, dando piena esplicazione alle forme di cui agli artt. 70 e ss. Cost. e non certo essere “infilata” impropriamente nella conversione di decreto-legge del tutto eterogeneo»;
che la compressione dell’iter legislativo avrebbe precluso «al singolo senatore di assolvere a quella funzione di confronto e di garanzia indispensabili nel procedimento di formazione della volontà parlamentare»;
che, per quel che riguarda l’andamento dei lavori parlamentari, i ricorrenti sottolineano che, nel corso delle sedici sedute delle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VIII (Lavori pubblici, comunicazioni) in sede referente, l’emendamento sugli idrocarburi – dopo diversi rinvii – sarebbe stato esaminato e discusso solamente nella seduta pomeridiana del 24 gennaio, nella quale sono stati esaminati 98 emendamenti dalle ore 18 alle ore 20,20, con un tempo di discussione di circa un l minuto e 30 secondi per emendamento;
che, ancora, la X Commissione (Industria, commercio, turismo) competente per materia non avrebbe avuto modo di esprimersi;
che le lesioni delle prerogative dei singoli senatori apparirebbero «gravissime» anche nella fase dell’esame in assemblea, dove il termine per la presentazione degli emendamenti sarebbe risultato essere pari a solo due ore lavorative;
che, in definitiva, secondo i ricorrenti, sarebbe «stato pregiudicato uno dei momenti essenziali dell’iter legis, vale a dire il confronto e la discussione tra le diverse forze politiche» e quindi sarebbero state menomate le prerogative del singolo senatore, attraverso «una forma evidente di abuso del procedimento legislativo».
Considerato che in questa fase del giudizio la Corte costituzionale è chiamata a verificare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, se sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);
che sotto il profilo soggettivo, questa Corte ha già riconosciuto che «la Costituzione individua una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle che gli spettano in quanto componente dell’assemblea» (ordinanza n. 17 del 2019);
che, tuttavia, la stessa ordinanza n. 17 del 2019 ha precisato che «la legittimazione attiva del singolo parlamentare deve […] essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto»;
che, in particolare, «il sindacato di questa Corte [deve] essere rigorosamente circoscritto ai vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari ed è necessario che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione»;
che ai fini dell’ammissibilità del conflitto è pertanto necessario che dalla stessa prospettazione di parte contenuta nel ricorso emerga «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita» al singolo parlamentare;
che i senatori ricorrenti lamentano davanti a questa Corte che le modalità con cui il Senato della Repubblica ha approvato l’emendamento 11.0.43 (testo 4), A.S. n. 989, inserito quale norma asseritamente «intrusa» in sede di conversione del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), avrebbero violato le prerogative proprie di ogni rappresentante della Nazione garantite dagli artt. 67, 68, primo comma, 70, 71, primo comma, e 72 della Costituzione, anche in relazione all’art. 77 Cost.;
che è vero – come più volte riconosciuto da questa Corte (sentenze n. 226 e n. 181 del 2019, n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012) – che in sede di conversione non è consentito introdurre emendamenti privi di qualsiasi collegamento contenutistico o funzionale rispetto al testo originario del decreto-legge, i quali avrebbero l’effetto di spezzare il nesso di interrelazione tra il decreto-legge e la legge di conversione, presupposto dalla sequenza delineata dall’art. 77, secondo comma, Cost.; e ciò allo scopo di evitare che l’iter procedimentale «peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario» (sentenza n. 154 del 2015), previsto per l’approvazione della legge di conversione, possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano la decretazione d’urgenza e vada a detrimento delle ordinarie dinamiche del confronto parlamentare;
che se – in astratto – la palese estraneità delle disposizioni introdotte in fase di conversione potrebbe costituire un vizio procedimentale di gravità tale da determinare una menomazione delle prerogative costituzionali dei singoli parlamentari, tuttavia – in concreto, nel caso di specie – il ricorso non offre elementi tali da portare all’evidenza di questa Corte né l’asserito difetto di omogeneità dell’emendamento oggetto del presente conflitto, né la conseguente palese violazione delle prerogative dei senatori ricorrenti;
che nel ricorso l’eterogeneità dell’emendamento è solo asserita sulla base di un mero raffronto tra la materia regolata dall’emendamento stesso e il titolo del decreto-legge;
che, d’altra parte, dalla narrativa offerta dal ricorso appare non essere del tutto mancato il confronto parlamentare, né sui contenuti dell’emendamento, né sulla sua ammissibilità, come dimostra il dibattito culminato con la comunicazione del 28 gennaio 2019 (Senato della Repubblica, XVIII legislatura, 84ª seduta) con cui il Presidente di assemblea ha reso noto di avere stralciato, proprio per carenza di omogeneità con il decreto-legge, 62 degli 85 emendamenti approvati in sede referente dalle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VIII (Lavori pubblici, comunicazioni);
che, in queste specifiche circostanze, dalla prospettazione del ricorso «non emerge un abuso del procedimento legislativo tale da determinare quelle violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari», rilevabili «nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione», che assurgono a requisito di ammissibilità di questo tipo di conflitti (ordinanza n. 17 del 2019);
che, di conseguenza, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2019.