Sentenza n. 277 del 2019

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SENTENZA N. 277

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettera c), 6, comma 1, lettere d) ed e), 7, 8, 10, comma 4, 19, comma 1, 21, commi 3 e 4, 23, comma 2, e 34, comma 3, della legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di randagismo e tutela degli animali da compagnia o di affezione), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 gennaio–6 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 5 febbraio 2019, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato;

udito l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 30 gennaio–6 febbraio 2019 e depositato in cancelleria il 5 febbraio 2019 (reg. ric. n. 14 del 2019), ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettere g) e h), e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettera c), 6, comma 1, lettere d) ed e), 7, 8, 10, comma 4, 19, comma 1, 21, commi 3 e 4, 23, comma 2, e 34, comma 3, della legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di randagismo e tutela degli animali da compagnia o di affezione).

2.– In primo luogo, la parte ricorrente impugna l’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, secondo cui «[l]e aziende sanitarie locali provvedono alla soppressione, esclusivamente con metodi eutanasici, dei cani e gatti raccolti, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 19, comma 1», articolo ove si prevede che «[i]l responsabile degli animali da compagnia o d’affezione è tenuto a denunciare lo smarrimento o la sottrazione dell’animale, entro cinque giorni, al Servizio veterinario ufficiale o alle Forze dell’Ordine».

2.1.– Secondo la difesa statale la disposizione regionale impugnata consentirebbe alle aziende sanitarie locali di procedere alla soppressione, con metodi eutanasici, di cani e gatti in carenza della denuncia di smarrimento o sottrazione degli animali al servizio veterinario ufficiale e alle forze dell’ordine, entro il termine di cinque giorni dallo smarrimento o sottrazione.

Tale previsione contrasterebbe con i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 2, commi 2 e 6, della legge 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. La legislazione statale, infatti, stabilisce che «i cani vaganti ritrovati, catturati o comunque provenienti dalle strutture di cui al comma l dell’art. 4, non possono essere soppressi» (art. 2, comma 2), mentre gli animali ricoverati in tali strutture «possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità» (art. 2, comma 6).

3.– In secondo luogo, la difesa statale impugna l’art. 10, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018. Ivi, si prevede che «se non reclamati entro 30 giorni dalla cattura, previo espletamento dei controlli sanitari, i cani possono essere ceduti gratuitamente ai privati oppure ad Enti ed Associazioni protezionistiche, zoofile ed animaliste che dispongono obbligatoriamente di un ricovero».

3.1.– Siffatta disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», posti dall’art. 2, comma 5, della legge n. 281 del 1991, secondo cui «se non reclamati entro il termine di sessanta giorni i cani possono essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la rabbia, l’echinococcosi e altre malattie trasmissibili».

La disciplina regionale, quindi, derogherebbe, sia per il termine più breve, sia per la procedura, alle disposizioni statali di principio, riducendo così le garanzie a tutela della salute.

4.– La legge impugnata sarebbe altresì lesiva dell’art. 3 Cost., in riferimento a numerose disposizioni che consentirebbero alle sole associazioni di volontariato riconosciute ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge-quadro sul volontariato), ossia le organizzazioni di volontariato, le attività previste per le associazioni animaliste zoofile e di protezione animale di cui alla legge n. 281 del 1991.

Le disposizioni censurate, nella specie, sono: l’art. 6, comma 1, lettera d), ove si prevede che le aziende sanitarie locali possano stipulare accordi di collaborazione con i privati e le associazioni di volontariato animaliste (di cui al successivo art. 7) per la gestione delle colonie feline; l’art. 7, secondo cui le associazioni «di volontariato animalista […] riconosciute ai sensi della legge 266/1991 […] possono collaborare alla realizzazione degli interventi di educazione sanitaria e di controllo demografico della popolazione di cani e gatti che vivono in libertà» (comma 1), potendo partecipare e collaborare alle attività del canile (comma 2), con priorità nell’affidamento della gestione dei canili (comma 3); l’art. 8, laddove si stabilisce che i Comuni e i servizi veterinari possano avvalersi della collaborazione delle guardie volontarie e degli operatori zoofili volontari appartenenti alle associazioni di volontariato di cui all’art. 7; l’art. 21, commi 3 e 4, che contiene un riferimento alle sole associazioni di volontariato tra gli enti abilitati a stipulare accordi di collaborazione con i Comuni per la gestione delle colonie feline e il censimento delle zone sede delle stesse; l’art. 23, comma 2, il quale prevede che le associazioni animaliste idonee a essere cessionarie di cani e gatti siano esclusivamente le organizzazioni di volontariato; l’art. 34, comma 3, in forza del quale gli interventi di cui al piano operativo per la tutela del benessere degli animali, predisposto della Regione, possono essere attuati tramite specifiche convenzioni tra gli enti locali e le sole associazioni di volontariato animalista.

4.1.– La difesa statale sottolinea, a tal proposito, che la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo rientrerebbero tra le attività d’interesse generale di cui all’art. 5 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», che possono essere svolte senza fini di lucro dagli enti del Terzo settore, senza distinzioni tra associazioni di volontariato, di promozione sociale, nonché (una volta operativo il registro unico) altre tipologie di enti, anche non costituiti in forma associativa. La legge n. 281 del 1991, inoltre, non porrebbe alcuna limitazione di tipo soggettivo, facendo riferimento ad associazioni «protezioniste», «animaliste» e «zoofile».

La limitazione alle sole organizzazioni di volontariato, quindi, realizzerebbe una discriminazione ingiustificata, in particolare in danno delle associazioni di promozione sociale che, in base agli artt. 7 e 8 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale), avrebbero le stesse finalità e diritto al medesimo trattamento, così come altre tipologie di enti del Terzo settore.

5.– Oggetto d’impugnazione è anche l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, secondo cui la Regione detta norme in materia di randagismo e di tutela degli animali da affezione «al fine di reprimere ogni tipo di maltrattamento compreso l’abbandono».

5.1.– La disciplina regionale, in tal modo, avrebbe realizzato un illegittimo sconfinamento nella materia «ordine pubblico e sicurezza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Infatti, le condotte di maltrattamento e di abbandono configurano ipotesi di reato, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 544-ter e 727 del codice penale e, pertanto, la connessa attività di repressione rientrerebbe tra i compiti istituzionali affidati allo Stato.

6.– Infine, viene impugnato l’art. 19, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, ove si dispone che la denuncia di smarrimento dell’animale debba essere presentata, oltre che al servizio veterinario ufficiale, anche alle «Forze dell’Ordine».

6.1.– Oltre alla genericità di tale locuzione, la difesa statale asserisce che la Regione avrebbe travalicato le proprie competenze, individuando nelle forze di polizia il soggetto competente alla ricezione delle denunce.

In tal modo, sarebbe stata invasa la competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», ex art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. Infatti, come chiarito anche dalla sentenza di questa Corte n. 134 del 2004, le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, neppure nell’esercizio della loro potestà legislativa, ma devono trovare fondamento o presupposto in leggi statali, oppure in accordi tra gli enti interessati.

7.– La Regione Basilicata non si è costituita in giudizio.

8.– Con atto depositato in cancelleria il 25 luglio 2019, su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso limitatamente alla questione relativa all’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, in virtù dell’abrogazione di tale disposizione da parte dell’art. 21 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2019, ha impugnato gli artt. 1, comma 1, lettera c), 6, comma 1, lettere d) ed e), 7, 8, 10, comma 4, 19, comma 1, 21, commi 3 e 4, 23, comma 2, e 34, comma 3, della legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di randagismo e tutela degli animali da compagnia o di affezione).

2.– Oggetto di censura è anzitutto l’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, che, al fine di consentire alle aziende sanitarie locali la soppressione dei cani e dei gatti raccolti, rinvia alle condizioni di cui all’art. 19, comma 1, della stessa legge, ove si stabilisce l’obbligo di denuncia di smarrimento o di sottrazione dell’animale d’affezione entro cinque giorni dall’evento.

2.1.– Tale previsione contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 2, commi 2 e 6, della legge 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo); in virtù di tali principi, infatti, la soppressione degli animali vaganti ritrovati e ricoverati nelle apposite strutture sarebbe consentita «soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità».

2.2.– La disposizione impugnata è stata abrogata dall’art. 21 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata). A seguito di tale abrogazione la difesa statale ha rinunciato al ricorso limitatamente alla questione in esame.

2.3.– Poiché, in mancanza di costituzione in giudizio della Regione resistente, l’intervenuta rinuncia al ricorso in via principale determina, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo (ex plurimis, ordinanze n. 202 del 2019, n. 55 del 2018, n. 27 del 2016, n. 199 e n. 134 del 2015), il processo va dichiarato estinto limitatamente alla questione relativa all’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018.

3.– Con una seconda questione è impugnato l’art. 10, comma 4, della stessa legge, secondo cui, «se non reclamati entro 30 giorni dalla cattura, previo espletamento dei controlli sanitari, i cani possono essere ceduti gratuitamente ai privati oppure ad Enti ed Associazioni protezionistiche, zoofile ed animaliste che dispongono obbligatoriamente di un ricovero».

3.1.– Asserisce l’Avvocatura generale dello Stato che siffatta disciplina lederebbe i principi fondamentali nella materia della «tutela della salute» di cui all’art. 2, comma 5, della legge n. 281 del 1991, ove si indica un termine più lungo, pari a sessanta giorni, e una diversa procedura per la cessione dei cani vaganti catturati.

3.2.– La questione è fondata.

3.2.1.– La disciplina dettata dalla legge n. 281 del 1991 concerne principalmente la materia dell’assistenza e della polizia veterinaria, ascrivibile alla «tutela della salute», sebbene per taluni profili possano essere interessati anche ulteriori titoli di competenza (sentenza n. 193 del 2013 e, in vigenza della precedente formulazione del Titolo V della Costituzione, sentenza n. 123 del 1992).

A tal proposito, l’art. 2, comma 5, della legge n. 281 del 1991 stabilisce che i cani vaganti catturati, nonché i cani ospitati presso le apposite strutture, se non reclamati entro il termine di sessanta giorni, possano essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previa profilassi contro la rabbia, l’echinococcosi e altre malattie trasmissibili.

Tale disciplina persegue l’evidente finalità di garantire che la cessione degli animali abbandonati avvenga nel rispetto di regole uniformi sul territorio nazionale, onde assicurare l’espletamento delle opportune procedure veterinarie nonché tutelare la salute degli animali presso coloro a cui vengono affidati. Si tratta, dunque, di aspetti che certamente possono essere considerati espressione di un principio fondamentale in materia di «tutela della salute» (e, con specifico riferimento al termine, costituiscono anche un’uniforme regolazione di profili di diritto privato, concernendo la derelictio del cane, come già sottolineato dalla sentenza n. 123 del 1992).

3.2.2.– La disposizione regionale impugnata si discosta in modo evidente dalla disciplina statale di principio, stabilendo un termine inferiore decorso il quale i cani possono essere ceduti. Inoltre, vengono regolati diversamente gli adempimenti da espletarsi prima della cessione, ossia la profilassi veterinaria e la verifica delle garanzie di buon trattamento che devono fornire i privati cessionari.

La previsione di un termine più breve, in particolare, potrebbe compromettere il corretto svolgimento del trattamento profilattico contro la rabbia, l’echinococcosi e altre malattie trasmissibili, che, tra l’altro, non è espressamente richiamato dalla legislazione regionale, la quale fa generico riferimento al previo espletamento dei controlli sanitari.

3.2.3.– Ne deriva, in conclusione, che l’intervento del legislatore regionale è idoneo a pregiudicare quelle esigenze di uniformità espresse dalla legislazione statale di principio, con conseguente illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018

4.– La parte ricorrente ha impugnato altresì gli artt. 6, comma 1, lettera d), 7, 8, 21, commi 3 e 4, 23, comma 2, e 34, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018.

4.1.– Tali disposizioni, in particolare, limitano alle sole associazioni di volontariato animalista riconosciute ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Legge-quadro sul volontariato), ossia le organizzazioni di volontariato, la legittimazione a essere parti di accordi di collaborazione e la facoltà di concorrere all’erogazione di servizi in materia di tutela degli animali, quali, ad esempio, la gestione dei canili e delle colonie feline. La qual cosa comporterebbe una violazione dell’art. 3 Cost., risolvendosi in una discriminazione degli altri enti del Terzo settore, in particolare delle associazioni di promozione sociale che, in base agli artt. 7 e 8 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale), avrebbero le stesse finalità e diritto al medesimo trattamento.

4.2.– Le questioni sono fondate.

4.2.1.– Le disposizioni regionali impugnate regolano talune attività riconducibili alla tutela degli animali e alla prevenzione del randagismo, limitandone tuttavia l’esercizio alle sole organizzazioni di volontariato riconosciute, ora disciplinate dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» (da qui: codice del terzo settore).

Tuttavia, proprio il codice del terzo settore, all’art. 5, riconduce le attività in questione a quelle d’interesse generale che possono essere svolte da tutti i vari soggetti del Terzo settore. E anche l’art. 4 della legge n. 281 del 1991, con particolare riferimento all’affidamento della gestione dei canili e delle colonie feline, non pone alcuna limitazione in tal senso, consentendo l’affidamento in convenzione in via generale alle associazioni «protezioniste», «animaliste» e «zoofile» (nonché ai privati), senza nulla specificare riguardo alla tipologia di tali associazioni.

Dunque, sebbene le Regioni possano regolare le attività dei soggetti del Terzo settore nelle materie attribuite alla propria competenza, come nel caso in esame, limitare alle sole organizzazioni di volontariato animalista lo svolgimento delle attività consentite a tutte le associazioni animaliste risulta senz’altro discriminatorio. Non è possibile rinvenire, infatti, una ragione alla base dell’esclusione delle altre tipologie di soggetti (si veda la sentenza n. 166 del 2018), tenuto conto che la differenziazione si fonda esclusivamente sullo status giuridico di dette organizzazioni, che di per sé non è indice di alcuna ragionevole giustificazione della disciplina restrittiva della concorrenza dettata dalla Regione (sentenza n. 285 del 2016).

4.2.2.– Ne consegue l’illegittimità delle impugnate disposizioni nella parte in cui limitano alle sole associazioni di volontariato animalista «riconosciute ai sensi della legge 266/1991» lo svolgimento delle attività consentite alle associazioni animaliste dalla stessa legge regionale.

5.– Ulteriore questione è promossa in relazione all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, secondo cui la Regione detta norme in materia di randagismo e di tutela degli animali da affezione «al fine di reprimere ogni tipo di maltrattamento compreso l’abbandono».

5.1.– Asserisce la parte ricorrente che ciò comporterebbe una lesione della competenza esclusiva statale in materia di «ordine pubblico e sicurezza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., tenuto conto che le condotte di maltrattamento e di abbandono configurano ipotesi di reato (artt. 544-ter e 727 del codice penale) e, pertanto, la connessa attività di repressione rientrerebbe tra i compiti istituzionali affidati alle forze di polizia.

5.2.– La questione non è fondata.

5.2.1.– Come chiarito dalla costante giurisprudenza costituzionale, la materia «ordine pubblico e sicurezza» si riferisce all’adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale (ex multis, sentenze n. 118 del 2013, n. 300 e n. 35 del 2011, n. 226 e n. 21 del 2010 e n. 383 del 2005). Il che può riscontrarsi anche nello specifico settore in esame, come nel caso di norme statali tese a salvaguardare l’incolumità pubblica dall’aggressione da parte degli animali addestrati all’aggressività (tra tutte, sentenza n. 222 del 2006). Le Regioni, quindi, non possono adottare direttamente misure per la tutela dell’incolumità pubblica e della pubblica sicurezza, ma possono solo cooperare a tal fine attraverso disposizioni poste nell’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali (tra tutte, sentenza n. 63 del 2016). Ciò comporta che le discipline regionali non devono porre strumenti di politica criminale, né provocare «interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati» (sentenza n. 35 del 2012).

5.2.2.– Nessuna delle circostanze sopra descritte è rilevabile nel caso di specie.

Premesso che la disposizione impugnata ha carattere d’indirizzo, non individuando alcuna puntuale attività degli organi regionali, le Regioni, come già sottolineato, nell’esercizio delle proprie competenze in materia sanitaria e nel rispetto dei principi fondamentali posti dal legislatore statale, possono dettare misure e obblighi al fine di prevenire il randagismo e di tutelare il benessere animale. La qual cosa comporta che la legislazione regionale possa anche disciplinare le sanzioni amministrative tese a reprimere le violazioni di tali misure e obblighi (sentenza n. 123 del 1992).

Il richiamo alla repressione dell’abbandono e del maltrattamento degli animali di all’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, dunque, rientra in tale ambito, senza che possa venire in considerazione l’attività di repressione dei reati, la quale spetta certamente allo Stato, ma in alcun modo potrebbe essere lesa dalla previsione regionale in questione. Nulla esclude, d’altronde, che sanzioni amministrative e penali possano anche concorrere, come già nello schema della legge n. 281 del 1991, che all’art. 5 sanziona in via amministrativa l’abbandono di animali, in parallelo alla contravvenzione prevista dall’art. 727 cod. pen.

Non può quindi attribuirsi alla disposizione impugnata alcuna sovrapposizione all’attività di prevenzione dei reati propria degli organi statali.

6.– Da ultimo, oggetto di censura è l’art. 19, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, nella parte in cui prevede che la denuncia di smarrimento dell’animale da compagnia o d’affezione da parte del responsabile degli stessi animali debba essere presentata, oltre che al servizio veterinario ufficiale, anche alle «Forze dell’Ordine».

6.1.– Secondo la difesa statale, la Regione avrebbe invaso la materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., individuando, tra l’altro con espressione generica e poco chiara, nelle forze di polizia il soggetto competente alla ricezione delle denunce.

6.2.– La questione non è fondata.

6.2.1.– Va precisato che la disposizione regionale impugnata, effettivamente generica riguardo alla locuzione «Forze dell’Ordine», risulta censurata esclusivamente per quanto concerne l’obbligo di denuncia nei casi di smarrimento, non, quindi, per l’ipotesi di sottrazione, pur disciplinata dalla stessa disposizione. La sottrazione può delinearsi quale fattispecie penalmente rilevante, nella specie integrando i reati di furto (art. 624 cod. pen.) o appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.), per cui una denuncia alle forze di polizia appare un’eventualità del tutto fisiologica.

Nondimeno, anche lo smarrimento di un animale, come di qualsiasi bene, può essere oggetto di denuncia alle forze dell’ordine, che in tal caso sarebbero certamente obbligate a ricevere la stessa. Lo smarrimento, d’altronde, ben potrebbe essere una sottrazione non ancora nota al titolare. A ciò si aggiunga che la previsione della citata contravvenzione di cui all’art. 727 cod. pen., relativa all’abbandono di animali, rende possibile, anche nei casi di smarrimento, una segnalazione alle forze di polizia, se non altro da parte dell’autorità sanitaria. Né possono escludersi altre ipotesi di necessaria segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza, come in caso di smarrimento di animali aggressivi, idoneo a causare rischi per l’incolumità pubblica.

L’obbligo di denuncia posto dalla legge regionale in capo al responsabile dell’animale, quindi, di per sé non comporta l’attribuzione di competenze ulteriori alle forze di polizia, che sarebbero in ogni caso tenute a ricevere le denunce di smarrimento in virtù delle funzioni istituzionali già previste dalle norme statali, in cui trova quindi fondamento il coinvolgimento di organi dello Stato censurato dal ricorrente (tra le tante, sentenze n. 104 del 2010, n. 10 del 2008 e n. 454 del 2007).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge della Regione Basilicata 30 novembre 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di randagismo e tutela degli animali da compagnia o di affezione);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, lettera d), 7, 8, 21, commi 3 e 4, 23, comma 2, e 34, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, nella parte in cui limitano alle sole associazioni di volontariato animalista «riconosciute ai sensi della legge 266/1991» lo svolgimento delle attività consentite alle associazioni animaliste dalla stessa legge regionale;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara estinto il processo, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lettera e), della legge reg. Basilicata n. 46 del 2018, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.