SENTENZA N. 285
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12 (Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), aggiunto dall’art. 45 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra la Società Mapia srl e il Comune di Acquaviva delle Fonti, la Regione Puglia e altra, con ordinanza del 22 dicembre 2014, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione della Società Mapia srl e della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi gli avvocati Mariangela Bux per la Società Mapia srl e Maria G. Scattaglia per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 dicembre 2014, il Consiglio di Stato, in funzione di giudice di appello, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12 (Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), introdotto dall’art. 45 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), e terzo comma, della Costituzione.
Il giudice rimettente premette, in fatto, che la parte appellante, Mapia srl, aveva proposto ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia, impugnando il bando e l’atto di aggiudicazione della gara indetta dal Comune di Acquaviva delle Fonti per l’affidamento del servizio di gestione del canile comunale, del quale la detta società era il gestore uscente, nella parte in cui tale atto restringeva la partecipazione alla procedura selettiva alle sole associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’albo regionale. Peraltro, poiché la clausola del bando in contestazione dava applicazione, riproducendone il dettato letterale, all’art. 14, comma 2-bis, della legge reg. Puglia n. 12 del 1995, come introdotto dall’art. 45 della legge reg. Puglia n. 4 del 2010 («Il ricovero e la custodia dei cani sono assicurati dai comuni mediante apposite strutture; la gestione è esercitata in proprio o affidata in concessione, previa formale convenzione, alle associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’albo regionale depositato presso l’Assessorato alle politiche della salute»), la ricorrente aveva eccepito, già innanzi al giudice di primo grado, l’incostituzionalità di tale disposizione, con riferimento agli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione.
All’esito del giudizio, in cui si era costituita anche la Regione Puglia, il TAR adito aveva, tuttavia, rigettato il ricorso, ritenendo manifestamente infondate le questioni di costituzionalità prospettate dalla Mapia srl.
Avverso tale decisione, la società soccombente aveva proposto appello innanzi al Consiglio di Stato, riproponendo le domande e le eccezioni di incostituzionalità disattese dal giudice di primo grado.
2.– Il giudice a quo, preliminarmente, argomenta la rilevanza delle questioni sollevate evidenziando che, ove la norma regionale censurata dovesse essere dichiarata costituzionalmente illegittima, ne conseguirebbe l’annullamento della clausola del bando preclusiva della partecipazione alla gara della società appellante e, quindi, l’accoglimento del gravame di questa; mentre, nel caso opposto, sottolinea che non potrebbe che essere confermata la decisione di primo grado.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato rappresenta, poi, che con la norma prevista dall’art. 4, comma 1, della legge 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), «il legislatore statale ha espresso con sufficiente chiarezza l’intenzione di non operare alcuna riserva in favore delle predette associazioni, ammettendo a concorrere ai fini dei relativi affidamenti, a tutela appunto della concorrenza, anche ogni altro soggetto privato (pur con il temperamento costituito dalla inserzione nelle loro strutture di volontari delle associazioni stesse per la gestione di specifiche aree di attività)»; e che a detta disposizione deve attribuirsi la natura di una specifica misura legislativa di promozione della concorrenza, per cui la disposizione regionale contenuta nell’art. 14, comma 2-bis, della legge reg. Puglia n. 12 del 1995, confliggendo con essa, verrebbe ad operare come misura anti-concorrenziale, invadendo così l’ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato stabilita dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
A conferma di tale assunto, il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, sottolineando come questa abbia ribadito, anche in recenti pronunce, che «“è alla competenza esclusiva dello Stato che spetta tale regolamentazione, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.”, essendo inibiti alle Regioni interventi normativi diretti ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato, finanche in modo interamente riproduttivo della stessa (sentenza nr. 245 del 2013, che richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, 153 e 29 del 2006)» (sentenza n. 49 del 2014); e che è stato confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale che «la tutela della concorrenza, attesa la sua natura trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi, da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di commercio (sentenze n. 38 del 2013 e n. 11 del 2012) o in altre materie» (sentenza n. 165 del 2014).
Infine, il giudice a quo rileva che, laddove la detta disposizione regionale dovesse essere, invece, ricondotta dalla Corte costituzionale esclusivamente alla materia della tutela della salute, il precetto da essa violato ben potrebbe essere considerato espressione di un principio fondamentale della legislazione statale, con la conseguente lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost. ovvero – in caso di sua qualificazione come norma di tutela ambientale – dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
In conclusione, il Consiglio di Stato solleva, di ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge reg. Puglia n. 12 del 1995, introdotto dall’art. 45 della legge reg. Puglia n. 4 del 2010, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e, in via subordinata, in conformità alle istanze di parte, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, e secondo comma, lettera s), Cost.
3.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato in data 11 giugno 2015, la Regione Puglia, sostenendo la manifesta infondatezza della questione, sulla base dell’assunto che la possibilità di riservare alle associazioni protezionistiche la gestione del ricovero e del mantenimento degli animali trovi specifico fondamento e giustificazione nella previsione del secondo comma dell’art. 41 Cost, che rinviene nell’utilità sociale un limite all’iniziativa economica privata; utilità sociale che, nel caso in esame, sarebbe rappresentata dalla garanzia del migliore trattamento possibile nella gestione e nel mantenimento degli animali.
Rileva, infatti, la Regione Puglia, che se «si opera una semplice comparazione degli interessi in gioco si può rilevare come quest’ultima risulti superiore alla finalità di lucro che l’impresa con la sua attività mira a realizzare. Infatti, i moduli aziendali sono improntati alla riduzione dei costi di esercizio per conseguire l’aumento dei profitti, in modo tale da conciliarsi difficilmente con la finalità di assicurare al meglio la vita degli animali che, ricoverati, abbisognano di assistenza. Per questo motivo l’esistenza di strutture quali quelle protezionistiche, sorte con la precipua finalità statutaria di assumere la cura e la tutela della razza animale, impone di riservare ad esse i servizi di ricovero e di mantenimento dei cani randagi. Nel caso di specie, quindi, non può giungersi ad affermare che il principio di libertà, che deve informare l’iniziativa economica, sia stato inciso oltre i limiti costituzionali in quanto, se un limite è ravvisabile nel caso di specie, esso è sicuramente contenuto e supportato da ragioni che travalicano il mero calcolo economico».
4.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato in data 25 giugno 2015, anche la Mapia srl, insistendo per l’accoglimento della questioni sollevate dal Consiglio di Stato. Con ordinanza dibattimentale, la costituzione della srl Mapia è stata dichiarata ammissibile, nonostante la sua tardività, in relazione alla dedotta irregolarità della notifica dell’ordinanza di rimessione della questione.
5.– In prossimità dell’udienza di discussione, in data 23 settembre 2016, la Mapia srl ha depositato una ulteriore memoria, con cui ha ribadito le conclusioni già formulate.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 22 dicembre 2014, il Consiglio di Stato, in funzione di giudice di appello, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12 (Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), introdotto dall’art. 45 della legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali).
2.– La legge reg. Puglia n. 12 del 1995, all’art. 14, comma 2-bis, prevede che «Il ricovero e la custodia dei cani sono assicurati dai comuni mediante apposite strutture; la gestione è esercitata in proprio o affidata in concessione, previa formale convenzione, alle associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all'albo regionale depositato presso l’Assessorato alle politiche della salute», riservando quindi il ricovero e la custodia dei cani esclusivamente alle associazioni protezionistiche o animaliste che abbiano ottenuto l’iscrizione all’albo regionale.
La norma statale di riferimento (art. 4, comma 1, della legge 14 agosto 1991, n. 281, recante «Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo») prevede, invece, che «I comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono a gestire i canili e gattili sanitari direttamente o tramite convenzioni con le associazioni animaliste e zoofile o con soggetti privati che garantiscano la presenza nella struttura di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni e degli affidamenti dei cani e dei gatti», consentendo quindi non solo alle associazioni animaliste la gestione dei canili ma anche ad altri soggetti privati, a condizione che siano in grado di garantire la presenza di volontari delle associazioni animaliste e zoofile.
L’ordinanza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha rimesso la questione di costituzionalità essenzialmente sotto il profilo della violazione della tutela della concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
In subordine, il giudice a quo ritiene che, laddove la detta disposizione venga, invece, ricondotta alla materia della tutela della salute o dell’ambiente, debba, comunque, ritenersi in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione del principio fondamentale della legislazione statale posto dall’art. 4, comma 1, della legge n. 281 del 1991, ovvero con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che stabilisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
La difesa della Regione Puglia ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione rivendicando la possibilità di riservare alle associazioni protezionistiche il ricovero degli animali, essendo tale attività ricompresa nel principio di utilità sociale che può quindi costituire un limite all’iniziativa economica privata; laddove un’attività di impresa, che mira al profitto, difficilmente è conciliabile con la finalità di assicurare al meglio la vita degli animali ricoverati.
3.– La questione è fondata.
4.– La giurisprudenza costituzionale che si è occupata «della legittimità di disposizioni regionali in tema di “tutela della concorrenza” ha costantemente sottolineato – stante il carattere “finalistico” della stessa – la “trasversalità” che caratterizza tale materia, con conseguente possibilità per essa di influire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni, ed, in particolare, il possibile intreccio ed interferenza con la materia “commercio” […]. Infatti, la materia “tutela della concorrenza” non ha solo un ambito oggettivamente individuabile che attiene alle misure legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio quelle che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, ma, dato il suo carattere “finalistico”, anche una portata più generale e trasversale, non preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al momento dell’esercizio della potestà legislativa sia dello Stato che delle Regioni nelle materie di loro rispettiva competenza» (sentenza n. 291 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 299 del 2012).
Nel caso in questione, quindi, la disposizione regionale censurata, pur rientrando nella disciplina dettata in tema di animali di affezione e di prevenzione del randagismo, appare riconducibile, per il suo specifico contenuto e le finalità perseguite, alla materia della tutela della concorrenza, in quanto misura volta, in concreto, a limitare la promozione del principio della concorrenza nel settore dell’affidamento in concessione dei canili e dei gattili.
5.– La giurisprudenza di questa Corte è costante, infatti, nell’affermare che laddove la materia «tutela della concorrenza», di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost., interferisca «con materie attribuite alla competenza legislativa residuale delle Regioni, queste ultime potrebbero dettare solo discipline con “effetti pro-concorrenziali”, purché tali effetti siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (sentenze n. 43 del 2011 e n. 431 del 2007)» (sentenza n. 97 del 2014).
Analogamente, la sentenza di questa Corte n. 165 del 2014, sempre con riferimento al tema della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ha evidenziato che «L’eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato (sentenze n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012), all’esito di un bilanciamento che deve compiere il soggetto competente nelle materie implicate, le quali nella specie afferiscono ad ambiti di competenza statale, tenendo conto che la tutela della concorrenza, attesa la sua natura trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi, da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di commercio (sentenze n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012) o in altre materie».
A fronte della costante giurisprudenza di questa Corte, nessun concreto rilievo può, invece, attribuirsi all’argomentazione formulata dalla Regione Puglia, secondo cui la norma regionale troverebbe giustificazione nel limite dell’utilità sociale, posto all’iniziativa economica privata dal comma secondo dell’art. 41 Cost., e rappresentata, nel caso in questione, dall’esigenza di garantire il migliore trattamento possibile degli animali.
L’argomento in esame, non considera, infatti, che l’art. 4, comma 1, della legge n. 281 del 1991 si fa già carico di tale esigenza, imponendo ai soggetti privati di garantire la presenza, nella loro struttura, di volontari delle associazioni animaliste e zoofile, allo scopo evidente di contemperare l’esigenza di non sottrarre alle regole di mercato l’affidamento dei canili e dei gattili, in una prospettiva di economicità ed efficienza della loro gestione, con quella di assicurare il coinvolgimento in tali attività di soggetti particolarmente sensibili ed esperti nella protezione degli animali.
Conseguentemente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge reg. Puglia n. 12 del 1995, introdotto dall’art. 45 della legge reg. Puglia n. 4 del 2010, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
6.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma Cost. restano assorbite.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-bis, della legge della Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12 (Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), nella parte in cui non consente a soggetti privati, che garantiscono la presenza nella struttura di volontari delle associazioni animaliste e zoofile preposti alla gestione delle adozioni e degli affidamenti dei cani e dei gatti, di concorrere all’affidamento di servizi di gestione di canili e gattili.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2016.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 18 ottobre 2016