SENTENZA
N. 183
ANNO
2018
Commenti alla decisione di
I.
Renzo Dickmann, Tricolore
italiano e bandiere locali nella Costituzione e nella giurisprudenza
costituzionale, per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali
II. Cosimo
Pietro Guarini, Sul
ponte sventola bandiera ... veneta. Notazioni a margine della sentenza della
Corte costituzionale n. 183 del 2018 sull’utilizzo di bandiera e simboli
ufficiali delle regioni, per g.c. di Diritti fondamentali
III. Patrizio Ivo D’Andrea, L’uso
delle bandiere regionali e i simboli dell’unità: alcune precisazioni dalla
Corte costituzionale, per g.c. di Diritti Comparati
IV.
Giada Brambilla, La
bandiera italiana: tra unità e differenziazione, in questa Rivista, a Rivista, Studi 2019/I, 203
V.
Giovanni Tarli Barbieri, Regione
Veneto o "Repubblica di San Marco”? Riflessioni sparse a partire dalla sent. 183/2018 della Corte costituzionale, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
VI. Giacomo
Delledonne, Obblighi
di esposizione di bandiere regionali nella Repubblica una e indivisibile: a
proposito della sentenza n. 183/2018 della Corte costituzionale, per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, della legge
della Regione Veneto 5 settembre 2017, n. 28 (Nuove disposizioni in materia di
uso dei simboli ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni
alla legge regionale 20 maggio 1975, n. 56 "Gonfalone e stemma della Regione”),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 9-11 ottobre 2017, depositato in cancelleria il 13 ottobre 2017,
iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza
pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello
Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati
Mario Bertolissi, Luigi Manzi e Ezio Zanon per la
Regione Veneto.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ricorso notificato il 9-11 ottobre 2017,
depositato il successivo 13 ottobre e iscritto al n. 83 del registro ricorsi
2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli
artt. 3, 5 e 117, secondo comma,
lettera g), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto 5
settembre 2017, n. 28 (Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli
ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge
regionale 20 maggio 1975, n. 56 "Gonfalone e stemma della Regione”), pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 87 dell’8 settembre 2017,
nella parte in cui aggiungono, rispettivamente, l’art. 7-bis, comma 2, lettere
a), d), f) ed n), e l’art. 7-septies, comma 1, alla legge della Regione Veneto
20 maggio 1975, n. 56 (Bandiera, gonfalone, fascia e stemma della Regione).
1.1.– Quanto alla prima delle disposizioni
impugnate, il ricorrente rileva che il nuovo art. 7-bis della legge reg. Veneto
n. 56 del 1975, sotto la rubrica «[u]so della bandiera e dei simboli ufficiali
della Regione», stabilisce i luoghi e i casi nei quali deve essere esposta la
bandiera della Regione Veneto.
Riguardo ai luoghi, il comma 2 del citato art.
7-bis prevede che la bandiera regionale debba essere esposta anche all’esterno
degli edifici sedi delle prefetture e degli uffici periferici delle
amministrazioni dello Stato, nonché degli «altri organismi pubblici» –
compresi, dunque, gli organismi pubblici statali e nazionali – diversi dalla
Regione, dai Comuni, dalle Province, dalla Città metropolitana, dai consorzi e
unioni di enti locali e dalle comunità montane (lettera a). L’obbligo di
esposizione della bandiera veneta è esteso, altresì, agli enti pubblici – tra i
quali rientrano anche gli enti pubblici statali e nazionali – che ricevono in
via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale
(lettera d), nonché alle imbarcazioni di proprietà di organismi pubblici, e
quindi anche ai natanti di proprietà di organismi statali e nazionali (lettera
n).
Per quel che attiene poi ai casi, la norma
censurata stabilisce che la bandiera della Regione debba essere esposta «ogni
qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o dell’Unione Europea»
(lettera f).
Ad avviso del ricorrente, nello stabilire
obblighi di esposizione della bandiera veneta all’esterno di edifici sedi di
organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici statali o nazionali,
nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi, la disposizione censurata
si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che
riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la materia dell’«ordinamento
e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
In proposito, il Presidente del Consiglio dei
ministri ricorda come i casi e i modi di esposizione della bandiera nazionale e
di quella dell’Unione europea siano disciplinati dalla legge statale 5 febbraio
1998, n. 22 (Disposizioni generali sull’uso della bandiera della Repubblica
italiana e di quella dell’Unione europea). Tale legge – emanata in attuazione
dell’art. 12 Cost. e in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione
europea – all’art. 2, commi 1 e 2, impone l’esposizione delle due bandiere
all’esterno di una serie di edifici pubblici.
Il secondo periodo del comma 2 dell’art. 1
qualifica le disposizioni della stessa legge n. 22 del 1998 come «norme
generali regolatrici della materia», autorizzando il Governo a emanare, nel
loro rispetto, un regolamento in delegificazione per i casi di cui alle lettere
a), b), d) ed e) del comma 1 e di cui al comma 2 dell’art. 2 (ossia in rapporto
all’esposizione delle bandiere presso le sedi degli organi costituzionali e di
rilievo costituzionale, i ministeri, gli uffici giudiziari, le scuole e
università statali, i seggi elettorali e le rappresentanze diplomatiche e
consolari italiane all’estero). Il primo periodo del medesimo comma 2 dell’art.
1 consente, invece, alle Regioni di emanare norme attuative limitatamente ai
casi di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2, ossia con esclusivo
riguardo all’esposizione della bandiera nazionale e dell’Unione europea presso
gli edifici sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali, in occasione
delle riunioni degli stessi.
Il successivo comma 3 dell’art. 2 stabilisce,
altresì, che il regolamento e le norme regionali possono, nei limiti delle
rispettive competenze dianzi indicate, dettare una disciplina integrativa in
merito alle modalità di uso ed esposizione della bandiera della Repubblica
italiana e di quella dell’Unione europea, nonché di gonfaloni, stemmi e
vessilli, anche con riferimento ad organismi di diritto pubblico diversi da
quelli compresi nel comma 1 dello stesso art. 2.
Sulla base delle previsioni della legge n. 22
del 1998, il regolamento adottato con d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 (Regolamento
recante disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e
dell’Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti
pubblici) impone l’esposizione delle bandiere nazionale ed europea anche
all’esterno degli edifici sedi di altri organismi di diritto pubblico, tra i
quali le autorità indipendenti e gli enti pubblici di carattere nazionale (art.
1, comma 1, lettera c), nonché all’interno degli uffici dei titolari di cariche
istituzionali (art. 6), regolando inoltre i modi e i tempi dell’esposizione.
L’art. 12 del regolamento stabilisce, altresì,
che «[l]’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno delle sedi delle
regioni e degli enti locali è oggetto dell’autonomia normativa e regolamentare
delle rispettive amministrazioni», con la precisazione che, «[i]n ogni caso la
bandiera nazionale e quella europea sono esposte congiuntamente al vessillo o
gonfalone proprio dell’ente ogni volta che è prescritta l’esposizione di
quest’ultimo, osservata la prioritaria dignità della bandiera nazionale».
La normativa ora ricordata prefigurerebbe –
secondo il ricorrente – un assetto di competenze pienamente rispettoso della
sfera di autonomia regionale. Lo Stato si sarebbe, infatti, riservato la
regolamentazione dell’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella
dell’Unione europea con riguardo agli edifici degli uffici pubblici statali e
degli enti pubblici di carattere nazionale, senza mai pretendere di
disciplinare casi, tempi e modi di esposizione dei simboli ufficiali –
gonfaloni, stemmi, vessilli e bandiere – delle Regioni relativamente alle sedi
di organi e uffici regionali.
Al contrario, con la disposizione censurata, la
Regione Veneto, in violazione della sfera di competenza legislativa garantita
allo Stato, pretenderebbe di conformare l’organizzazione amministrativa di
questo e degli enti pubblici nazionali, stabilendo dove, come e quando i
titolari e i preposti ad organi e uffici dello Stato e di organismi di rilievo
nazionale sono obbligati ad esporre la bandiera veneta sugli immobili e sulle
imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.
La disposizione censurata violerebbe, in questo
modo, anche l’art. 3 Cost., omologando irrazionalmente il trattamento di
situazioni diverse tanto per il «titolo dominicale […] o di godimento», quanto
sotto il «profilo funzionale» (gli edifici sedi di uffici pubblici statali, o
comunque sia non regionali, e quelli adibiti a sede di uffici regionali).
Violerebbe, ancora, l’art. 5 Cost., giacché,
imponendo agli edifici sedi di uffici statali o di enti pubblici nazionali il
simbolo ufficiale della Regione, attenterebbe «al principio stesso dell’unità e
indivisibilità nella Nazione».
Il ricorrente soggiunge che neppure l’obbligo di
esposizione congiunta della bandiera veneta con quella della Repubblica o
dell’Unione europea, previsto dalla lettera f) del comma 2 del nuovo art. 7-bis
della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, rimarrebbe esente da censura. Tale
previsione non potrebbe ritenersi, infatti, legittimata dal ricordato disposto
dell’art. 12 del d.P.R. n. 121 del 2000, secondo il quale la bandiera nazionale
e quella europea debbono essere esposte congiuntamente al vessillo o gonfalone
proprio dell’ente ogni volta che è prescritta l’esposizione di quest’ultimo,
«osservata la prioritaria dignità della bandiera nazionale». Tale disposizione
andrebbe, infatti, intesa nel senso che è lo Stato a stabilire quando le
bandiere nazionale ed europea debbano essere esposte congiuntamente alla
bandiera regionale o locale, e non già l’inverso.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna, in secondo luogo, l’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del
2017, che, introducendo l’art. 7-septies, comma 1, della legge reg. Veneto n.
56 del 1975, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile ai
trasgressori in caso di violazione delle disposizioni dettate dal precedente
art. 7-bis, comma 2.
Tale disposizione – accessoria rispetto a quella
che stabilisce l’obbligo di esposizione della bandiera veneta – sarebbe
costituzionalmente illegittima per le medesime ragioni indicate con riferimento
alla disposizione cui accede.
La giurisprudenza costituzionale – ricorda il
ricorrente – è, del resto, costante nell’affermare che, per le sanzioni
amministrative, la competenza legislativa non si radica in una autonoma
materia, ma accede alle materie sostanziali: la disciplina delle sanzioni
spetta, cioè, al soggetto competente a regolare la materia la cui inosservanza
costituisce l’atto sanzionabile. Nella specie, le Regioni potrebbero stabilire,
dunque, sanzioni amministrative solo in riferimento alla mancata o scorretta
esposizione dei propri simboli all’esterno e all’interno degli edifici adibiti
a sedi degli organi e degli uffici regionali, ma non anche con riguardo alle
sedi di organi statali o di enti di rilevanza nazionale.
Il ricorrente precisa che la caducazione, per le
ragioni ora indicate, della previsione del comma 1 dell’art. 7-septies della
legge reg. Veneto n. 56 del 1975 renderebbe inapplicabile anche la
disposizione, ad essa strettamente collegata, del comma 2 dello stesso
articolo, che rimette alla Giunta regionale la definizione delle modalità e dei
termini per l’applicazione della sanzione amministrativa in questione.
1.3.– Il ricorso si conclude con la formulazione
di una istanza di sospensione, in parte qua, dell’efficacia delle disposizioni
impugnate, ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito
dall’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3).
La richiesta è motivata con il grave e
irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico conseguente al «danno
d’immagine» che deriverebbe dall’eventuale irrogazione di sanzioni nei
confronti di titolari di cariche istituzionali di primaria importanza a livello
locale, quali i prefetti o i capi degli uffici giudiziari, per la mancata
esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici adibiti a sedi dei
loro uffici: irrogazione atta a ripercuotersi negativamente sul piano del prestigio,
dell’autorevolezza e della credibilità delle istituzioni.
2.– Si è costituita la Regione Veneto, chiedendo
il rigetto del ricorso.
2.1.– In via preliminare, la resistente osserva
come il fatto stesso che la Costituzione si occupi, all’art. 12, della bandiera
della Repubblica implichi il riconoscimento di uno stretto legame tra l’unità
costituzionale e il suo simbolo. Il valore del tricolore risulterebbe,
tuttavia, oggi profondamente diverso da quello che assumeva nello Stato
liberale. La bandiera, nello Stato pluralista, sarebbe, infatti, «simbolo di
una unità nazionale che, se esiste sul piano politico, è però da costruire, sul
piano dell’integrazione, […] nel rispetto del pluralismo e delle differenze»:
prospettiva nella quale essa sarebbe chiamata a convivere, con pari dignità,
con i molteplici altri simboli nei quali le componenti del pluralismo si
riconoscono.
Questa differente concezione della bandiera
risulterebbe sottesa alla giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto la
competenza legislativa delle Regioni, sia ordinarie sia speciali, in materia di
adozione e definizione di simboli rappresentativi della Regione, rilevando come
tale competenza poggi sul principio fondamentale dell’autonomia espresso
dall’art. 5 Cost.: principio teso a conferire il massimo rilievo alle
collettività locali, e particolarmente a quelle regionali (è citata la sentenza n. 365 del
1990).
In tale cornice, la dedotta violazione dell’art.
3 Cost. si rivelerebbe insussistente, in quanto il principio di eguaglianza
andrebbe coordinato con i principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza, sanciti all’art. 118, primo comma, Cost.
Altrettanto dovrebbe dirsi con riguardo alla
denunciata lesione dell’art. 5 Cost., che lo Stato avrebbe invocato menzionando
una parte soltanto del suo contenuto – vale a dire la qualificazione della
Repubblica come «una e indivisibile» – tacendo della successiva espressione
«riconosce e promuove le autonomie locali», che afferma il principio del
pluralismo.
Quanto, poi, all’asserita violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera g), Cost., la resistente osserva come l’ordinamento
e l’organizzazione amministrativa dello Stato – che la disposizione evocata assegna
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato – siano cosa ben diversa
dall’ordinamento della Repubblica.
Prevedendo, con la legge censurata, l’obbligo di
esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici statali e in ulteriori
circostanze, nonché ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o
dell’Unione europea, la Regione Veneto avrebbe inteso abbinare i principi
costituzionali di unità e indivisibilità della Repubblica al principio –
egualmente degno – del «pluralismo autonomistico». L’ordine formale delle
competenze, di cui all’art. 117 Cost., non sarebbe al riguardo risolutivo,
dovendo essere valutato in correlazione al disposto dell’art. 114 Cost. e al
principio di leale collaborazione, considerato il ruolo assegnato alle Regioni,
definite dalla Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 365 del
1990, come «soggetti reali del nostro ordinamento (che risulta
unitariamente dalla loro molteplicità), punti sicuri di riferimento della sua
consistenza democratica».
La legge n. 22 del 1998, richiamata dal
ricorrente, non detterebbe, a sua volta, una disciplina generale e inderogabile
in ordine all’esposizione di qualsiasi bandiera all’esterno di organismi di diritto
pubblico, ma si limiterebbe a individuare in modo uniforme le sedi degli organi
tenuti ad esporre la bandiera nazionale e quella della Unione europea,
affidando ad ulteriori norme di attuazione, statali e regionali, il compito di
introdurre una disciplina più circostanziata, nonché previsioni di carattere
integrativo.
La normativa regionale impugnata non inciderebbe
sugli aspetti regolati dalla citata legge statale, ma si limiterebbe ad
integrarla, garantendo, in ogni caso di esposizione della bandiera regionale,
la prioritaria dignità della bandiera nazionale. Si tratterebbe, quindi, di
«una volontà di addizione e non di sottrazione; di integrazione e non di
divisione». L’esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici che
ospitano le prefetture e gli uffici periferici dell’amministrazione statale
mirerebbe, in particolare, ad esaltare il raccordo tra tali uffici e la realtà
territoriale in cui operano, realizzando «quell’istanza di sintesi della
pluralità in una unità che non cancelli, ma piuttosto salvaguardi le
differenze»: istanza non dissimile, peraltro, da quella che giustifica
l’accostamento della bandiera nazionale alla bandiera dell’Unione europea nelle
sedi dei massimi organi dello Stato.
2.2.– Le medesime considerazioni sarebbero
riferibili anche alla norma, di natura accessoria, relativa alle sanzioni,
recata dall’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017.
2.3.– La resistente contesta, infine, la
sussistenza dei presupposti per la sospensione dell’efficacia delle disposizioni
impugnate, sottolineando, in ogni caso, come la legge reg. Veneto n. 28 del
2017 sia rimasta inattuata, «sia perché le autorità statali periferiche
attendono di sapere dai loro superiori come comportarsi, sia perché la Regione
del Veneto attende a sua volta […] la decisione [della] Corte».
3.– In prossimità dell’udienza pubblica, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale
ha replicato agli argomenti difensivi della Regione, insistendo per
l’accoglimento delle questioni.
Quanto all’assunto della resistente, secondo il
quale la normativa censurata troverebbe il proprio fondamento nel principio di
riconoscimento e promozione delle autonomie locali, affermato dall’art. 5
Cost., sarebbe agevole obiettare che lo Stato non ha mai inteso contestare la
potestà delle Regioni di disciplinare l’uso e le modalità di esposizione delle
proprie bandiere e, amplius, dei propri simboli
ufficiali. È stato contestato, invece, il potere delle Regioni, per un verso,
di imporre l’esposizione della loro bandiera su edifici e beni mobili – quali
le imbarcazioni – non di pertinenza regionale; per altro verso, di
disciplinare, direttamente o indirettamente, l’uso e le modalità di esposizione
della bandiera italiana – simbolo dell’unità nazionale – prescrivendo obblighi
di esposizione congiunta dei vessilli.
L’ulteriore affermazione della difesa regionale,
stando alla quale il principio di cui all’art. 3 Cost. andrebbe letto in
connessione con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza,
enunciati dall’art. 118 Cost., risulterebbe inconferente rispetto alla censura
formulata in rapporto al primo di tali parametri, intesa a porre in evidenza la
palese irrazionalità di una disciplina che omologa situazioni ictu oculi diverse.
Quanto, infine, alla lamentata violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., la tesi difensiva della
Regione – per cui l’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e
degli enti pubblici nazionali» sarebbe cosa diversa dall’ordinamento della
Repubblica – risulterebbe smentita dalla giurisprudenza costituzionale, la
quale ha avuto modo di chiarire come le Regioni non siano abilitate ad imporre
nuovi compiti od obblighi ai titolari di uffici statali, pena la violazione del
parametro evocato. Nella specie, di contro, prescrivendo l’esposizione della
bandiera veneta all’esterno di edifici sedi di uffici pubblici statali e di
organismi ed enti pubblici statali e nazionali, nonché sulle imbarcazioni di
questi ultimi, la Regione Veneto avrebbe automaticamente gravato del relativo
obbligo i titolari di quegli organi e uffici, assoggettandoli altresì alle
sanzioni previste per i casi di inadempienza.
Contrariamente a quanto sostiene la resistente,
l’ordine delle competenze stabilito dall’art. 117 Cost. sarebbe decisivo al
fine di escludere ogni possibilità di intervento delle Regioni nella materia
considerata, o, meglio, di circoscrivere tale intervento nei limiti fissati
dalle leggi dello Stato. Non gioverebbe, in senso contrario, fare appello alle
previsioni dell’art. 114 Cost., il quale, se pure riconosce che le Regioni – al
pari dello Stato, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni – sono
componenti costitutive della Repubblica (primo comma), precisa però che i
poteri e le funzioni degli enti autonomi diversi dallo Stato sono stabiliti e
si svolgono «secondo i principi fissati dalla Costituzione» (secondo comma) e,
dunque, quanto alle Regioni, secondo le regole enunciate dall’art. 117 Cost.
Ancora meno, poi, potrebbe giovare alla tesi
della Regione Veneto il richiamo al principio di leale collaborazione.
Quest’ultima si realizza, infatti – secondo le costanti indicazioni della
giurisprudenza costituzionale – tramite accordi e intese, e non certo mediante
l’imposizione unilaterale di obblighi, presidiati addirittura da sanzioni in
caso di inosservanza.
L’affermazione della resistente, per cui la
legge regionale impugnata si sarebbe limitata ad integrare la disciplina
stabilita dalla legge n. 22 del 1998, fraintenderebbe i termini del problema,
posto che, in base alla citata legge statale, la potestà attuativa e
integrativa delle Regioni risulta circoscritta alle sedi degli organi
consiliari regionali, provinciali e comunali. Sarebbe errato, d’altronde,
affermare che la legge regionale in discussione non ha inciso sulla disciplina
dei casi e dei modi di esposizione della bandiera italiana e di quella
dell’Unione europea, posto che tale disciplina è stata, al contrario,
sicuramente incisa – quantomeno in via indiretta – dalla previsione di un
obbligo di esposizione aggiuntiva della bandiera regionale.
4.– Anche la Regione Veneto ha depositato una
memoria, insistendo per il rigetto delle questioni.
La resistente rileva che la legge n. 22 del 1998
ha previsto l’esposizione delle bandiere italiana ed europea all’esterno di
edifici di organismi pubblici che fanno capo, non soltanto allo Stato, ma anche
alle Regioni e agli enti locali enumerati dall’art. 114 Cost. (art. 2, comma 1,
della legge n. 22 del 1998).
Con la legge impugnata, la Regione Veneto
avrebbe inteso, a sua volta, valorizzare – a prescindere dal mero dato della
titolarità dell’edificio – gli elementi del territorio e della popolazione:
elementi che rafforzerebbero, anziché svalutare, proprio l’unità e
indivisibilità della Repubblica, attraverso l’affermazione del principio
pluralistico. Si sarebbe voluto, in altri termini, «coprire un vuoto»,
prevedendo che la bandiera della Regione – che rappresenta tutti gli elementi
costitutivi dell’ente (territorio, popolazione e autorità democraticamente
eletta) – sia esposta, congiuntamente a quella della Repubblica italiana e
dell’Unione europea, anche nelle sedi di organismi statuali situati nell’ambito
del territorio della Regione.
La Regione non avrebbe, dunque, affatto preteso
di «conformare l’organizzazione amministrativa dello Stato», ma soltanto
attribuire il giusto risalto alle comunità che, ai sensi dell’art. 114 Cost.,
costituiscono l’ordinamento della Repubblica, in quella che è stata felicemente
definita come «alleanza delle autonomie».
In conclusione, quindi, la legge reg. Veneto n.
28 del 2017 non violerebbe l’art. 5 Cost., ma anzi lo attuerebbe, senza
interferire con la riserva di competenza di cui all’art. 1, comma 2, della
legge n. 22 del 1998, la quale concerne la bandiera italiana e quella europea,
e non la bandiera regionale.
Considerato
in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
promosso, in riferimento agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera g),
della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3,
comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Veneto 5 settembre 2017, n. 28
(Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali della Regione del
Veneto modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 maggio 1975, n. 56
"Gonfalone e stemma della Regione”).
La prima delle due disposizioni è impugnata dal
ricorrente nella parte in cui, aggiungendo l’art. 7-bis, comma 2, lettere a),
d), f) ed n), alla legge della Regione Veneto 20 maggio 1975, n. 56 (Bandiera,
gonfalone, fascia e stemma della Regione), prevede l’obbligo di esposizione
della bandiera della Regione Veneto all’esterno degli edifici sedi delle
prefetture, degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato e degli
altri organismi pubblici, anche statali o nazionali (lettera a), all’esterno
degli enti pubblici – comprensivi anche degli enti pubblici statali e nazionali
– che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del
bilancio regionale (lettera d), sulle imbarcazioni di proprietà di organismi
pubblici, e quindi anche sui natanti di proprietà di organismi statali e
nazionali (lettera n), nonché ogni qualvolta sia esposta la bandiera italiana o
europea (lettera f).
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei
ministri, la norma impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g),
Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia
dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali», introducendo obblighi – per di più sanzionati – a carico
dei soggetti preposti a organi e uffici statali e ad organismi ed enti a
carattere nazionale, in contrasto con l’assetto delle competenze delineato
dalla legge 5 febbraio 1998, n. 22 (Disposizioni generali sull’uso della
bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea) e dal
d.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 (Regolamento recante disciplina dell’uso delle
bandiere della Repubblica italiana e dell’Unione europea da parte delle
amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici).
La disposizione regionale censurata violerebbe,
altresì, l’art. 3 Cost., omologando il trattamento di situazioni palesemente
diverse, tanto sul piano del titolo dominicale o di godimento, quanto sotto il
profilo funzionale (gli edifici sedi di uffici statali, o comunque sia non
regionali, e gli edifici sedi di uffici regionali), nonché l’art. 5 Cost.,
perché, imponendo agli edifici sedi di uffici statali o di enti pubblici
nazionali il simbolo ufficiale della Regione, attenterebbe al principio di
unità e indivisibilità della Repubblica.
Per le medesime ragioni sarebbe
costituzionalmente illegittimo anche l’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto
n. 28 del 2017, nella parte in cui, aggiungendo l’art. 7-septies, comma 1, alla
legge reg. Veneto n. 56 del 1975, stabilisce la sanzione amministrativa
applicabile ai trasgressori nel caso di violazione delle disposizioni in tema
di obblighi di esposizione della bandiera veneta di cui al nuovo art. 7-bis,
comma 2, di tale ultima legge, e dunque anche nei confronti dei soggetti
preposti a organi e uffici statali e ad organismi ed enti a carattere statale o
nazionale.
2.– Giova far precedere lo scrutinio delle
questioni da una ricognizione del quadro normativo di riferimento.
2.1.– La Costituzione dedica, come è noto, alla
bandiera un apposito articolo – l’art. 12 – collocato nella partizione
preliminare intitolata «[p]rincipî fondamentali». In
base ad esso, «[l]a bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde,
bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni».
L’inserimento nella Costituzione di una
disposizione sulla bandiera nazionale fu ritenuto pacificamente opportuno in
sede di Assemblea costituente, in quanto, come ebbe a rilevare il Presidente
della Commissione dei 75, on. Ruini, esso rispondeva all’esigenza, «che vi è in
tutte le Costituzioni, di precisare, anche per ragioni internazionali, i
caratteri del vessillo della propria Nazione». La bandiera rappresenta, in
effetti, sin da epoche remote, un segno distintivo della personalità dello
Stato sul piano internazionale. Nell’età moderna, essa ha peraltro assunto
anche un altro e più profondo significato: quello, cioè, di strumento di
identificazione della Nazione nel suo Stato. La bandiera costituisce, in altri
termini, l’espressione in simbolo dello Stato nazionale.
La bandiera è, peraltro, l’unico dei simboli
della Repubblica del quale la Costituzione si occupa. Per corrente notazione,
l’effetto più rilevante di tale scelta risiede nel carattere rigido impresso
all’emblema nazionale: individuando nel «tricolore italiano» la bandiera della
Repubblica ed erigendolo a simbolo dell’unità nazionale, il Costituente ha
escluso che tale strumento di identificazione possa essere mutato dalla
maggioranza politica del momento, aggiungendovi, ad esempio, i simboli della
propria ideologia, che non riflettono, per necessità di cose, quella unità.
Questa Corte ha avuto modo, peraltro, di porre
in evidenza la diversa valenza che la bandiera nazionale assume nella
democrazia pluralista delineata dalla Costituzione repubblicana, rispetto al
regime che l’ha preceduta. Ciò è avvenuto, in specie, con la sentenza n. 189 del
1987, dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 3
della legge 24 giugno 1929, n. 1085 (Disciplina della esposizione delle
bandiere estere), nella parte in cui prevedevano il divieto, penalmente
sanzionato, di esporre in pubblico bandiere estere senza la preventiva
autorizzazione delle autorità politiche locali. Nell’occasione, questa Corte ha
rilevato come, nello Stato autoritario, la bandiera costituisse il simbolo
«della sovranità nazionale, d’uno Stato che "non riconosce” altri valori oltre
quelli dei quali si fa detentore ed impositore»: da ciò, e dalla conseguente
«impossibilità "in radice” d’un confronto tra valori "validi”, quelli
nazionali, ed ideologie "non valide”», il generale divieto di esposizione di
bandiere estere.
Nel mutato clima politico, per converso, le
bandiere «non costituiscono più l’emblema, il simbolo della sovranità
territoriale, concepita nel senso sopra indicato, ma designano simbolicamente
un certo Paese, l’identità d’un determinato Stato» e, eventualmente, le
idealità che esso propone al confronto internazionale. Situazione nella quale
la ragione del divieto è venuta meno: «[l]o Stato democratico non può temere il
confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni
diverse».
2.2.– Per lungo tempo, peraltro, l’unica
disciplina a carattere generale dell’uso della bandiera nazionale da parte
delle pubbliche istituzioni – profilo che particolarmente interessa in questa
sede – è rimasta quella recata da norme emanate nel precedente periodo fascista
(segnatamente, il regio decreto-legge 24 settembre 1923, n. 2072, recante
«Norme per l’uso della bandiera nazionale», convertito, con modificazioni,
nella legge 24 dicembre 1925, n. 2264).
La prima regolamentazione della materia di epoca
repubblicana la si deve ad un atto di normazione secondaria (il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 3 giugno 1986, recante «Disposizioni per
l’uso della bandiera della Repubblica da parte delle amministrazioni dello
Stato e degli enti pubblici»). Tale provvedimento è stato indi surrogato dalla
legge n. 22 del 1998, tuttora vigente e ampiamente richiamata dal Presidente
del Consiglio dei ministri a sostegno del ricorso: legge che regola, peraltro,
l’uso non soltanto della bandiera della Repubblica, ma anche di quella
dell’Unione europea.
La legge del 1998 – che si autodichiara
adottata «in attuazione dell’articolo 12 della Costituzione e in conseguenza
dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» (art. 1, comma 1) – prevede,
in specie, l’esposizione permanente delle due bandiere all’esterno di una serie
di edifici pubblici, a cominciare da quelli ove hanno la sede centrale gli
organi costituzionali e di rilievo costituzionale (art. 2, commi 1 e 2).
Qualificando le proprie disposizioni come «norme
generali regolatrici della materia» (art. 1, comma 2), la legge del 1998
affida, peraltro, a un regolamento governativo in delegificazione e alla
normazione regionale il compito di emanare disposizioni attuative e
integrative. Il discrimen tra l’area di intervento
dell’uno e dell’altra è segnato dalla tipologia dell’edificio. È infatti
previsto che le Regioni possano emanare norme di attuazione solo in rapporto ai
casi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n. 22 del 1998,
ossia esclusivamente per ciò che concerne l’esposizione delle bandiere,
nazionale ed europea, presso le sedi dei consigli regionali, provinciali e
comunali (in occasione delle loro riunioni). In tutti gli altri casi indicati
dal citato art. 2, è deputato a provvedere il regolamento (art. 1, comma 2).
Nei medesimi limiti di competenza ora indicati,
regolamento e norme regionali vengono abilitati, altresì, a dettare una
disciplina integrativa riguardo alle modalità di uso ed esposizione delle
predette due bandiere, nonché di «gonfaloni, stemmi e vessilli», anche con
riferimento a ulteriori organismi di diritto pubblico (art. 2, comma 3).
Il regolamento governativo, emanato con d.P.R.
n. 121 del 2000, amplia il novero degli edifici all’esterno dei quali debbono
essere esposte la bandiera della Repubblica italiana e quella dell’Unione
europea, includendovi, tra gli altri, quelli adibiti a sede centrale o a
ufficio periferico, con circoscrizione non inferiore alla provincia, delle
autorità indipendenti e degli enti pubblici di carattere nazionale (art. 1,
comma 1); prevede, altresì, una serie di casi nei quali le bandiere debbono
essere esposte anche all’interno degli uffici pubblici (art. 6); regola, poi,
le modalità e i tempi di esposizione (articoli da 2 a 5 e da 7 a 11).
Il regolamento si chiude con una disposizione
specifica – l’art. 12 – relativa alle Regioni e agli enti locali. In base ad
essa, «[l]’esposizione delle bandiere all’esterno e all’interno delle sedi
delle regioni e degli enti locali è oggetto dell’autonomia normativa e
regolamentare delle rispettive amministrazioni». Si prevede, nondimeno, che la
bandiera nazionale e quella europea debbano essere «esposte congiuntamente al
vessillo o gonfalone proprio dell’ente ogni volta che è prescritta
l’esposizione di quest’ultimo, osservata la prioritaria dignità della bandiera
nazionale».
2.3.– Uno degli aspetti maggiormente innovativi
della legge del 1998 e del regolamento del 2000 è consistito, dunque, nella
presa d’atto del carattere decentrato della Repubblica e del fatto che la
bandiera nazionale si trovi conseguentemente a dover convivere con i simboli
delle autonomie territoriali. Tale presa d’atto si è manifestata sotto due
aspetti: da un lato, si è consentito alle Regioni e agli enti locali di
disciplinare l’esposizione delle bandiere, compresa quella nazionale,
all’esterno e all’interno delle proprie sedi; dall’altro, si è riconosciuta
l’esistenza di «vessilli» e «gonfaloni» di tali enti, la cui disciplina resta
affidata all’autonomia normativa e regolamentare dei medesimi.
Per quanto attiene, in particolare, alle
Regioni, sia ad autonomia differenziata che ordinaria, già prima della legge
del 1998 loro plurimi statuti prevedevano che la Regione avesse propri simboli
ufficiali. Ed alcune leggi regionali erano, in effetti, intervenute ad
individuare tali simboli.
Con la sentenza n. 365 del
1990, questa Corte ha riconosciuto alle Regioni la competenza a legiferare in
materia di adozione e definizione dei propri simboli anche in assenza di una
espressa previsione statutaria, individuandone il generale fondamento nel
principio di autonomia enunciato dall’art. 5 Cost., in relazione agli artt. 115
e seguenti Cost.: principio «teso a conferire il massimo rilievo alle
collettività locali, e […] particolarmente a quelle regionali, come soggetti
reali del nostro ordinamento (che risulta unitariamente dalla loro
molteplicità), punti sicuri di riferimento della sua consistenza democratica».
La portata del principio stesso, così individuata, «implica che non può non
ritenersi contenuto minimale dell’autonomia della regione il potere di
scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività
che essa rappresenta».
2.4.– Di seguito alla legge n. 22 del 1998, si è
registrato, in fatto, un ampio e diffuso intervento della legislazione
regionale sulla materia, particolarmente con riguardo alle bandiere. La
legislazione regionale successiva al 1998 non si limita, d’altro canto, come
quella precedente, a descrivere i simboli ufficiali della Regione, ma regola in
modo specifico i luoghi, i casi e i modi della loro esposizione: dettando,
così, una disciplina parallela a quella recata dalla legge n. 22 del 1998 e dal
d.P.R. n. 121 del 2000 con riguardo alla bandiera nazionale.
Per quel che attiene in particolare alla Regione
Veneto, essa è intervenuta a disciplinare i propri simboli ufficiali già con la
legge reg. Veneto n. 56 del 1975. Tale legge, già nel testo originario,
includeva tra i simboli ufficiali della Regione, accanto al gonfalone e allo
stemma, anche la bandiera (art. 3, secondo comma). Conformemente all’indirizzo
dell’epoca, la legge si limitava peraltro a individuare le caratteristiche di
quest’ultima, senza regolare in alcun modo l’uso della stessa da parte delle
pubbliche autorità.
Disposizioni in ordine all’uso e all’esposizione
della bandiera regionale sono state introdotte – all’indomani della legge
statale n. 22 del 1998 – con la legge della Regione Veneto 10 aprile 1998, n.
10 (Disposizioni per l’uso e l’esposizione della bandiera della Regione del
Veneto), successivamente integrata dalla legge della Regione Veneto 24 novembre
2003, n. 35 (Modifica alla legge regionale 10 aprile 1998, n. 10 "Disposizioni
per l’uso e l’esposizione della bandiera della Regione del Veneto” e successive
modificazioni). Tale legge prevedeva, in specie, che la bandiera dovesse essere
esposta (con limiti temporali diversi a seconda dei casi) all’esterno delle
sedi degli organi regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, nonché
dei «seggi elettorali durante le consultazioni» tenute nella Regione Veneto e
degli «edifici scolastici» (art. 2).
Dopo che la legge regionale statutaria del
Veneto 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) aveva stabilito, all’art. 1,
comma 4, che «[l]a Regione è rappresentata dalla bandiera, dal gonfalone e
dallo stemma», la materia è stata, peraltro, ridisciplinata
ex novo, e in senso fortemente ampliativo, dalla legge reg. Veneto n. 28 del
2017 – oggi impugnata – la quale, abrogando la citata legge reg. n. 10 del
1998, ha inserito, tramite novellazione, le
disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali all’interno della legge
reg. Veneto n. 56 del 1975.
L’art. 3, comma 1, della legge denunciata
aggiunge, in specie, alla legge del 1975 l’art. 7-bis, il cui comma 1
stabilisce che la bandiera veneta è esposta all’esterno degli edifici pubblici
nella Regione Veneto «nei casi previsti dalla legge e, previa espressa
disposizione od autorizzazione del Presidente della Giunta regionale, in
occasione di avvenimenti che rivestano particolare importanza e solennità
regionale o locale».
Di seguito a tale previsione, il comma 2 del
medesimo art. 7-bis reca un lungo elenco di ipotesi nelle quali la bandiera
«viene altresì esposta»: formula che, con l’impiego dell’indicativo presente,
imprime inequivocabilmente all’adempimento connotati di doverosità. Ciò è
peraltro confermato dalla disposizione di cui al successivo art. 7-septies
(aggiunto dall’art. 8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017) – sulla
quale parimente si appuntano le censure del ricorrente – ove si stabilisce che
«[l]a violazione delle norme di cui al comma 2 dell’articolo 7-bis comporta a
carico dei trasgressori l’applicazione della sanzione amministrativa da euro
100 (cento) a euro 1.000 (mille)».
Il dato saliente agli odierni fini –
costituente, al tempo stesso, anche un tratto distintivo della legislazione
veneta nel folto panorama della normativa regionale in materia – è che,
diversamente dall’abrogato art. 2, comma 2, della legge reg. Veneto n. 10 del
1998, la disposizione impugnata prescrive l’esposizione del vessillo regionale
anche su edifici adibiti a sede di organi e uffici statali, nonché su edifici e
natanti di enti e organismi pubblici nazionali.
Le censure del Presidente del Consiglio dei
ministri investono in modo specifico le previsioni di cui alle lettere a), d),
f) ed n) del comma 2 del nuovo art. 7-bis, in forza delle quali la bandiera
veneta deve essere esposta: «a) all’esterno degli edifici sedi della Prefettura
e degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato, della Regione, dei
comuni e delle province, della Città metropolitana, nonché sedi di consorzi ed
unioni di enti locali, delle comunità montane e degli altri organismi pubblici»
(locuzione, quest’ultima, che nella sua genericità si presta a ricomprendere
anche gli organismi pubblici nazionali); «d) all’esterno degli enti pubblici
che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio
regionale» (non esclusi, dunque, anche in questo caso, gli enti pubblici
nazionali); «f) ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica o
dell’Unione Europea»; «n) sulle imbarcazioni di proprietà della Regione, dei
comuni, delle province e della Città metropolitana e degli altri organismi
pubblici nonché delle imbarcazioni private acquistate con il contributo, anche
parziale, della Regione del Veneto» (laddove, di nuovo, l’indifferenziata
espressione «organismi pubblici» risulta atta a conglobare anche gli organismi
nazionali).
3.– Ciò premesso, le questioni con le quali si
denuncia l’incompatibilità dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28
del 2017 con gli artt. 5 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., sono fondate.
3.1.– Seguendo l’ordine delle censure
prospettato dal ricorrente, che riflette il relativo rapporto di
pregiudizialità logico-giuridica (sul carattere pregiudiziale delle censure che
denunciano la violazione del riparto delle competenze legislative rispetto a
quelle che investono il contenuto della norma regionale denunciata, sentenza n. 81 del
2017), deve rilevarsi, anzitutto, come la disposizione impugnata invada la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento e
organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»
(art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.).
La giurisprudenza di questa Corte è, infatti,
costante nell’affermare che le Regioni – pena la violazione del parametro
costituzionale ora indicato – «non possono porre a carico di organi e
amministrazioni dello Stato compiti e attribuzioni ulteriori rispetto a quelli
individuati con legge statale» (sentenze n. 9 del 2016, n. 104 del 2010,
n. 10 del 2008
e n. 322 del
2006; in senso analogo, altresì, sentenze n. 2 del 2013, n. 159 del 2012
e n. 134 del
2004).
Tale preclusione opera anche con riguardo alla
previsione di «forme di collaborazione e di coordinamento», le quali, ove
coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, «non possono essere
disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno
nell’esercizio della loro potestà legislativa», dovendo trovare il loro
fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le
consentano, o in accordi tra gli enti interessati (sentenze n. 9 del 2016, n. 104 del 2010,
n. 10 del 2008,
n. 322 e n. 30 del 2006;
analogamente, sentenza
n. 213 del 2006). Ciò, a prescindere dalla improprietà del richiamo
dell’odierna resistente al principio di leale collaborazione, di fronte ad una
previsione normativa introdotta in modo affatto unilaterale dalla Regione.
Con riguardo a tematica che presenta qualche
assonanza con quella dei simboli, questa Corte ha avuto anche modo di
affermare, in sede di conflitto di attribuzioni, che non spetta alla Regione il
potere di disciplinare l’ordine delle precedenze tra le cariche pubbliche,
coinvolgendo in tale ordine anche organi statali, trattandosi di intervento che
– se pure limitato alle sole cerimonie locali – incide, comunque sia, sulla
materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali», attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
alla competenza esclusiva dello Stato per assicurarne l’esercizio unitario (sentenza n. 311 del
2008).
Va da sé, per altro verso, che, alla luce
dell’univoco tenore della norma costituzionale evocata, i principi ora
ricordati sono destinati a valere allo stesso modo anche in rapporto agli
organi degli «enti pubblici nazionali».
Nel caso in esame, la disposizione regionale
impugnata pone a carico di organi e amministrazioni dello Stato (a cominciare
dai prefetti), nonché di organismi ed enti pubblici nazionali, uno specifico
obbligo di facere (l’esposizione della bandiera
veneta all’esterno degli edifici in cui gli uffici in questione hanno sede, o
sulle imbarcazioni di proprietà degli organismi).
Il carattere meramente materiale dell’attività,
in sé e per sé considerata, non esclude che si tratti di obbligo riconducibile
alla sfera dell’«organizzazione amministrativa», posto che l’esposizione
pubblica di un simbolo ufficiale è destinata ad assumere una valenza
connotativa delle funzioni che gli uffici ed enti considerati sono chiamati ad
esercitare (e degli stessi uffici ed enti).
Né può farsi leva, in senso contrario – come
ipotizza la resistente – sul ricordato riconoscimento, da parte di questa
Corte, già prima della riforma del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione, della competenza delle Regioni a legiferare in materia di adozione
e definizione dei simboli regionali, sulla base del generale principio di
autonomia espresso dall’art. 5 Cost. (sentenza n. 365 del
1990). Nel frangente non è infatti in discussione – per valersi delle
parole della sentenza ora citata – il potere della Regione «di scegliere i
segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività che essa
rappresenta», ma la pretesa della Regione di imporre l’uso di tali segni ad
organi ed enti che, se pure operanti nel territorio regionale, sono espressivi
di una collettività distinta e più vasta (quella dell’intiera
nazione).
Questa stessa considerazione rende non rilevante
la circostanza – sulla quale pure pone l’accento la difesa regionale – che la
norma impugnata intervenga in un ambito distinto da quello regolato dalla legge
n. 22 del 1998, la quale si occupa della sola esposizione della bandiera
nazionale e di quella della Unione europea, affidando ad ulteriori norme di
attuazione, statali e regionali, il compito di introdurre una disciplina più
circostanziata, nonché previsioni di carattere integrativo. Da ciò non è
lecito, comunque sia, inferire che il legislatore regionale sia abilitato a
vincolare all’impiego del vessillo veneto anche organi dello Stato e di enti
pubblici nazionali.
3.2.– Fondata è, peraltro, anche la censura di
violazione dell’art. 5 Cost., nella parte in cui enuncia il principio di unità
e indivisibilità della Repubblica.
Per questo verso, il citato art. 5 Cost. deve
essere letto alla luce della specifica disposizione costituzionale – collocata
anch’essa, come detto, tra i «[p]rincipî
fondamentali» – relativa alla bandiera: ossia l’art. 12, pur non evocato come
parametro dal ricorrente, che individua nel «tricolore italiano» la bandiera
della Repubblica, erigendola a simbolo dell’unità nazionale.
Traguardato alla luce dell’art. 12, l’art. 5
Cost. esclude che lo Stato-soggetto possa essere costretto dal legislatore
regionale a fare uso pubblico di simboli – quali, nella specie, le bandiere
regionali – che la Costituzione non consente di considerare come riferibili
all’intera collettività nazionale.
Non è condivisibile, al riguardo, la tesi della
difesa della Regione, secondo la quale la disposizione censurata, lungi dal
violare l’art. 5 Cost., lo attuerebbe, nella parte in cui, pur qualificando la
Repubblica come «una e indivisibile», le affida però il compito di promuovere
le autonomie locali, affermando così il principio del pluralismo. L’esposizione
della bandiera veneta, in aggiunta alla (e non già in sostituzione della)
bandiera nazionale, mirerebbe – secondo la resistente – segnatamente ad
esaltare il raccordo tra gli uffici statali e la realtà territoriale in cui
operano, realizzando una istanza di sintesi della pluralità in unità non
dissimile, nella sostanza, da quella che giustifica l’accostamento – voluto
dallo stesso legislatore statale – della bandiera nazionale alla bandiera
dell’Unione europea nelle sedi dei massimi organi dello Stato.
Al riguardo, va osservato che l’unità e
l’indivisibilità della Repubblica, costituzionalmente imposte come tratti che
qualificano lo Stato-soggetto espressivo della comunità nazionale, comportano
che le Regioni non possano avanzare la pretesa di affiancare imperativamente
alla bandiera della Repubblica, configurata dalla Costituzione quale elemento
simbolico "tipizzante”, i vessilli delle autonomie locali in tutte le ipotesi
in cui il simbolo stesso sia chiamato a palesare il carattere "nazionale”
dell’attività svolta da determinati organismi, enti o uffici.
Né è probante, in contrario, il richiamo della
Regione alla esposizione congiunta delle bandiere italiana e dell’Unione
europea, prevista dalla stessa legislazione statale. A prescindere dalla chiara
eterogeneità dei rapporti tra Unione europea e Stati membri rispetto ai
rapporti tra Repubblica italiana e Regioni, vale osservare che con la legge n.
22 del 1998 lo Stato ha disposto la contemporanea esposizione delle due
bandiere, italiana ed europea, all’esterno degli uffici pubblici italiani, allo
stesso modo in cui le Regioni ben possono prevedere l’esposizione congiunta
delle bandiere regionale e italiana – nonché europea – nei loro uffici e negli
uffici degli enti locali. Lo Stato italiano non ha preteso, per contro, di
imporre l’esposizione della bandiera nazionale ad organi e uffici
rappresentativi della comunità sovranazionale di cui l’Italia è parte, come
invece ha inteso fare, mutatis mutandis,
la Regione Veneto con la norma impugnata, nei rapporti con lo Stato.
3.3.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto
n. 28 del 2017, va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui, aggiungendo alla legge reg. Veneto n. 56 del 1975 l’art. 7-bis,
comma 2, lettere a), d), f) ed n), prevede l’obbligo di esporre la bandiera
regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di organi e uffici statali e di
enti e organismi pubblici nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di
questi ultimi.
3.4.– La questione sollevata in riferimento all’art.
3 Cost. resta assorbita.
4.– Per quanto attiene, invece, alle questioni
che investono la disposizione sanzionatoria di cui all’art. 7-septies, comma 1,
della legge reg. Veneto n. 56 del 1975, introdotta dall’art. 8, comma 1, della
legge reg. Veneto n. 28 del 2017, occorre rilevare che tale disposizione
individua le condotte sanzionate tramite mero rinvio alla norma impositiva
dell’obbligo di esposizione della bandiera regionale (nuovo art. 7-bis, comma
2, della legge reg. Veneto n. 56 del 1975).
L’ablazione parziale di quest’ultima norma,
conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale nei termini
dianzi indicati, comporta, dunque, che la disposizione sanzionatoria resti
applicabile esclusivamente in rapporto a fattispecie diverse da quelle
dichiarate illegittime e alle quali si riferiscono le censure del ricorrente,
senza che sia necessario alcun ulteriore ed autonomo intervento di limitazione
della sfera di operatività della disposizione stessa.
Le questioni aventi ad oggetto il citato art. 8,
comma 1, debbono essere dichiarate pertanto non fondate (per una ipotesi
analoga, sentenza
n. 121 del 2018, punto 11.3 del Considerato in diritto).
5.– La decisione sul merito del ricorso assorbe,
infine, l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia delle disposizioni
impugnate, formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri (sentenze n. 5 del 2018, n. 145 e n. 141 del 2016).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione
Veneto 5 settembre 2017, n. 28 (Nuove disposizioni in materia di uso dei
simboli ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge
regionale 20 maggio 1975, n. 56 "Gonfalone e stemma della Regione”), nella
parte in cui, aggiungendo l’art. 7-bis, comma 2, lettere a), d), f) ed n), alla
legge della Regione Veneto 20 maggio 1975, n. 56 (Bandiera, gonfalone, fascia e
stemma della Regione), prevede l’obbligo di esporre la bandiera regionale
all’esterno di edifici adibiti a sede di organi e uffici statali e di enti e
organismi pubblici nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi
ultimi;
2)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
8, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, nella parte in cui aggiunge
l’art. 7-septies, comma 1, alla legge reg. Veneto n. 56 del 1975, promosse, in
riferimento agli artt. 3, 5 e 117, secondo comma, lettera g), della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2018.