Sentenza n. 2 del 2013

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SENTENZA N. 2

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                           

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            

-           Sabino                         CASSESE                                               

-           Giuseppe                     TESAURO                                              

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      

-           Giuseppe                     FRIGO                                                    

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         

-           Paolo                           GROSSI                                                  

-           Giorgio                        LATTANZI                                             

-           Aldo                            CAROSI                                                  

-           Marta                           CARTABIA                                            

-           Sergio                          MATTARELLA                                      

-           Mario Rosario              MORELLI                                               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima parte; 6, commi 3, lettera c), e 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, commi 3 e 5; 16, commi 2, 3 e 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 17 gennaio 2012 ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;

udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 7 gennaio 2012 e depositato il successivo 17 gennaio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima parte; 6, commi 3, lettera c), e 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, commi 3 e 5; 16, commi 2, 3 e 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri), deducendo la violazione degli artt. 3, 16, 34, 117, commi primo e secondo, lettere b), g) e m), e 120 della Costituzione, nonché degli artt. 4, 8, primo comma, numeri 1) e 25), 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige».

1.1.– Il ricorrente rileva, in primo luogo, come la legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 12 del 2011 – contenente norme finalizzate all’integrazione sociale dei cittadini stranieri – istituisca, con il comma 1 dell’art. 6, una «Consulta provinciale per l’immigrazione». Ai sensi del successivo comma 2, tale organo ha il compito di «presentare proposte alla Giunta provinciale per adeguare le norme provinciali alle esigenze che emergono in relazione al fenomeno migratorio», di «formulare proposte sul programma pluriennale» e di «esprimere pareri su ogni altro argomento inerente alla materia dell’immigrazione, su richiesta della Giunta provinciale».

Il comma 3, lettera c), dello stesso art. 6 include tra i componenti della Consulta anche «una persona in veste di rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la provincia di Bolzano»; mentre il successivo comma 6 aggiunge che «i membri di cui alle lettere a), b), c) ed f) possono essere sostituiti da una persona da essi delegata».

Ad avviso del ricorrente, con le disposizioni da ultimo citate la legge impugnata avrebbe attribuito funzioni obbligatorie ad organi dello Stato (quali la Questura di Bolzano e il Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano), imponendo loro di designare un rappresentante nella Consulta e di partecipare ai relativi lavori tramite il componente titolare o un suo delegato. In tal modo, la Provincia avrebbe violato tanto l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che prevede la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»; quanto l’art. 8, comma 1, numero 1), dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, che limita la potestà legislativa della Provincia di Bolzano in materia di organizzazione amministrativa ai soli organi della Provincia stessa.

1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, ulteriormente, come l’art. 10 della legge provinciale, dedicato alla disciplina dell’«assistenza sociale», stabilisca, al comma 1, che «hanno accesso ai servizi sociali i cittadini stranieri con residenza e dimora stabile sul territorio provinciale», e che il criterio regolatore dell’erogazione delle prestazioni debba essere quello dell’uguaglianza degli interventi a parità di bisogno.

Il comma 2 del medesimo articolo enuclea, peraltro, dall’insieme dei servizi sociali quelli consistenti in «prestazioni di natura economica», prevedendo che, per l’accesso a queste ultime, «è richiesto alle cittadine e ai cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea un periodo minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano». Tale disposizione si correla, dandole attuazione, alla generale previsione dell’art. 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, della medesima legge, in forza della quale «per le cittadine e i cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, l’accesso alle prestazioni, che vanno oltre le prestazioni essenziali, può essere condizionato alla residenza, alla dimora stabile e alla relativa durata».

Ad avviso del ricorrente, mentre non sussisterebbero ostacoli di ordine costituzionale a subordinare genericamente le prestazioni assistenziali alla residenza e alla dimora stabile dello straniero nel territorio nazionale e nelle sue articolazioni, sarebbe invece costituzionalmente illegittimo richiedere una durata minima di tale residenza e dimora e, in particolare, una durata minima quinquennale.

Sotto tale profilo, i citati art. 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima parte, e 10, comma 2, della legge provinciale n. 12 del 2011 violerebbero, anzitutto, l’art. 3 Cost. Sarebbe, infatti, contrario al principio di ragionevolezza prevedere dapprima – e correttamente – che l’erogazione degli interventi debba essere uguale a parità di bisogno, e poi escludere contraddittoriamente dai servizi sociali più rilevanti – quali quelli a contenuto economico – intere categorie di soggetti, selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma a un criterio privo di ogni collegamento con questo, quale la durata infraquinquennale della residenza e della dimora stabile: determinando, con ciò, disparità di trattamento tra situazioni identiche o analoghe, lesive del principio di eguaglianza.

Al riguardo, la difesa dello Stato ricorda come la Corte costituzionale abbia già ritenuto illegittime disposizioni similari a quelle denunciate, sul rilievo che una disciplina del tipo considerato introduce un elemento di distinzione arbitrario, proprio perché non vi è alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel tempo e i requisiti di bisogno e di disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del 2011).

Le norme in esame violerebbero, inoltre, gli artt. 8, numero 25), e 4 dello statuto, in forza dei quali la competenza legislativa della provincia di Bolzano in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» deve essere esercitata nel rispetto – oltre che della Costituzione e degli obblighi internazionali – dei principi dell’ordinamento giuridico e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. A tale riguardo, verrebbero segnatamente in rilievo l’art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e l’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001). Dette norme statali – costituenti principi fondamentali della materia dell’assistenza pubblica – prevedono, infatti, che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno sono equiparati ai cittadini italiani. Con le disposizioni censurate, la Provincia di Bolzano avrebbe, dunque, illegittimamente quintuplicato il limite temporale stabilito dalla conferente normativa statale.

Risulterebbe violata, infine, anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, stabilita dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. La durata minima della residenza nel territorio dello Stato richiesta allo straniero ai fini dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale concorrerebbe, infatti, in modo determinante a definire il livello essenziale delle prestazioni sociali.

I vulnera costituzionali denunciati non verrebbero, d’altra parte, meno a fronte di quanto disposto dal comma 3 del medesimo art. 10, ove si stabilisce che, «in funzione della specifica finalità e natura delle prestazioni erogate, per le prestazioni per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di cui all’articolo 8 della legge provinciale 26 ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono essere previsti dalle disposizioni di settore periodi di residenza e dimora inferiori a quanto previsto dal comma 2». Tale norma si limiterebbe, infatti, a prevedere una mera possibilità, del tutto discrezionale, di introdurre deroghe di settore al requisito quinquennale in esame: deroghe che potrebbero addirittura accrescere la disuguaglianza e l’irrazionalità del sistema.

Parimenti ininfluente sarebbe la generica enunciazione del comma 4 dell’art. 10, secondo cui «la Provincia garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il territorio nazionale dalla normativa statale». L’obbligo della Provincia – ribadito da tale disposizione – di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni sociali comporterebbe, infatti, «innanzitutto l’impossibilità di fissare requisiti temporali di ammissione più gravosi di quelli stabiliti dalla legge statale».

1.3.– Il Governo censura, ancora, l’art. 12, comma 4, della legge provinciale considerata, il quale prevede – nel quadro della disciplina delle «politiche abitative e di accoglienza» – che «i requisiti igienico-sanitari, quelli di idoneità abitativa degli alloggi, nonché i requisiti inerenti al reddito minimo annuo richiesti, all’atto della domanda, ai fini del ricongiungimento familiare delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, sono quelli applicati per le cittadine e i cittadini residenti nel territorio provinciale».

Ad avviso del ricorrente, questa disposizione, stabilendo specifici requisiti di reddito e di alloggio necessari affinché uno straniero possa stabilirsi nel territorio della Provincia di Bolzano a titolo di ricongiungimento familiare, verrebbe a determinare in via diretta le condizioni di operatività di tale istituto, attinente alle sole famiglie composte integralmente da cittadini extracomunitari, di cui uno residente in Italia e gli altri residenti all’estero. In tal modo, la norma censurata violerebbe tanto l’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., che attribuisce all’esclusiva competenza statale la legislazione in materia di immigrazione; quanto gli artt. 8, 9 e 10 dello statuto, che non includono tale materia fra quelle per le quali è prevista la potestà legislativa della Provincia di Bolzano.

L’istituto del ricongiungimento familiare è, infatti, compiutamente regolato dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale prevede che lo straniero che richiede il ricongiungimento debba dimostrare la disponibilità di un reddito minimo annuo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato secondo parametri specificamente indicati, e stabilisce, inoltre, che i requisiti relativi all’alloggio siano accertati dai competenti uffici comunali.

1.4.– Parimenti lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost. sarebbe l’art. 13, comma 3, della legge provinciale, in forza del quale «la Provincia promuove, per quanto di sua competenza, la piena attuazione sul suo territorio della direttiva 2005/71/CE relativa alla procedura per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, la relativa stipula di convenzioni di accoglienza e la conseguente parità di trattamento».

La direttiva 2005/71/CE prefigura, infatti, una particolare procedura di immigrazione riservata ai ricercatori scientifici, così che la sua attuazione rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di immigrazione: competenza che non potrebbe essere svuotata facendo leva sulla finalità per la quale l’ingresso degli stranieri è consentito, considerandola evocativa della competenza legislativa provinciale in materia di formazione professionale.

Lo Stato ha attuato, in effetti, la direttiva con il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 17 (Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica), il cui art. 1 ha inserito nel d.lgs. n. 286 del 1998 – e quindi nella cornice sistematica della normativa generale sull’immigrazione – l’art. 27-ter, recante un’articolata disciplina sostanziale e procedurale per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri per finalità di ricerca scientifica: disciplina che esclude del tutto competenze regionali o provinciali.

Proprio l’insussistenza di competenze provinciali in materia escluderebbe che la disposizione impugnata possa essere ritenuta costituzionalmente legittima facendo leva sulla clausola, in essa contenuta, secondo la quale la Provincia promuove l’attuazione della direttiva «per quanto di sua competenza».

1.5.– Il Presidente del Consiglio si duole, ancora, delle disposizioni dell’art. 14, commi 3 e 5, della legge provinciale, inserite nell’ambito della regolamentazione del «diritto allo studio». Il comma 3 prevede, in specie, che «per l’accesso alle agevolazioni per la frequenza di una scuola fuori provincia è richiesto agli alunni e alunne stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Se la scuola frequentata si trova nel territorio della Repubblica italiana o della Repubblica austriaca, il requisito della residenza di cui al presente comma è richiesto all’alunno o all’alunna o a uno dei genitori». Nel comma 5, si statuisce, inoltre, che «per l’accesso alle prestazioni di natura economica per il diritto allo studio universitario da parte delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea è richiesto il requisito di un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Per le studentesse e gli studenti frequentanti un’università sul territorio della provincia possono essere previsti periodi di residenza inferiori».

Il ricorrente ritiene che tali norme contrastino con l’art. 3 Cost. per le medesime ragioni già illustrate con riferimento all’impugnato comma 2 dell’art. 10, atteso che l’assistenza scolastica e universitaria, seppure prevista autonomamente dallo statuto come materia di competenza provinciale, rientra pur sempre nel campo dell’assistenza sociale, per cui il criterio di erogazione dei benefici deve essere la proporzione con l’effettiva necessità dell’interessato.

Introducendo il canone irragionevole della durata minima della residenza, le norme denunciate violerebbero anche il terzo e il quarto comma dell’art. 34 Cost., alla luce dei quali le provvidenze di assistenza scolastica e universitaria andrebbero erogate esclusivamente in base ai criteri del bisogno della famiglia e della meritevolezza dello studente: situazioni con le quali la durata della residenza in Provincia non ha alcun collegamento.

Le disposizioni in esame lederebbero, infine, il diritto allo studio, garantito dallo stesso art. 34 Cost. in tutte le sue proposizioni, nella misura in cui si tradurrebbero, per gli stranieri regolarmente residenti da meno di cinque anni o per i loro figli, in un ostacolo insormontabile a intraprendere taluni percorsi formativi.

Per le medesime ragioni sarebbero costituzionalmente illegittimi anche i commi 3 e 4 dell’art. 16 della legge impugnata, che adeguano, in conformità a quanto stabilito dai censurati commi 3 e 5 dell’art. 14, la legge provinciale 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio) e la legge provinciale 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto allo studio universitario). Dette norme integrano, in particolare, l’elencazione degli aventi diritto all’assistenza scolastica (art. 3 della legge prov. n. 7 del 1974) e universitaria (art. 2 della legge prov. n. 9 del 2004), includendo tra essi i cittadini extracomunitari che frequentano al di fuori del territorio provinciale istituzioni scolastiche o formative professionali non esistenti in Provincia, ovvero università, ma solo se residenti nel territorio provinciale da almeno cinque anni.

1.6.– È censurato, da ultimo, l’art. 16, comma 2, della legge provinciale n. 12 del 2011, che, modificando il comma 1 dell’art. 2 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 13 marzo 1987, n. 5 (Incentivazione della conoscenza delle lingue), prevede che i cittadini dell’Unione europea possono usufruire delle sovvenzioni previste per l’apprendimento delle lingue straniere, a condizione che risiedano ininterrottamente per un anno nella Provincia di Bolzano.

Premesso che nessuna simile limitazione è prevista dalla legislazione provinciale per i cittadini italiani, il ricorrente reputa la disposizione lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario». Il cittadino dell’Unione residente nel territorio nazionale non potrebbe, infatti, ricevere alcun trattamento differenziato rispetto al cittadino italiano, pena la violazione dei principi di non discriminazione e di libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione (artt. 18 e 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Al riguardo, l’art. 7 del d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, recante «Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri», prevede che il cittadino dell’Unione, nel concorso di determinate condizioni, possa essere progressivamente equiparato al cittadino residente qualora soggiorni nello Stato un periodo superiore a tre mesi. Sarebbe, dunque, contrario alla citata direttiva e alla normativa interna di recepimento escludere a priori dalle provvidenze in questione il cittadino dell’Unione che risieda in Provincia da più di tre mesi, ma da meno di un anno.

Per le stesse ragioni già esposte a proposito degli artt. 10, comma 2, e 14, commi 3 e 5, della legge impugnata, il requisito della durata minima della residenza determinerebbe, inoltre, nuovamente la violazione dell’art. 3 Cost.

1.7.– Quale notazione conclusiva, il ricorrente assume che tutte le disposizioni impugnate che prevedono requisiti temporali minimi di residenza in Provincia maggiori di quelli previsti per analoghe prestazioni dalla normativa nazionale e comunitaria – segnatamente, l’art. 10, comma 2, l’art. 14, commi 3 e 5, e l’art. 16, commi 2, 3 e 4 – violino altresì il principio di libertà di circolazione all’interno del territorio nazionale (art. 16 Cost.) e il divieto per le Regioni e le Province autonome di introdurre restrizioni anche indirette alla libera circolazione delle persone e al loro ingresso nei territori regionali o provinciali (art. 120 Cost.).

La necessità di possedere speciali requisiti temporali di residenza, non previsti altrove, per accedere nella Provincia di Bolzano alle prestazioni in questione si tradurrebbe, infatti, in «una vera e propria barriera all’ingresso» per gli stranieri residenti in altre parti del territorio nazionale e ivi usufruenti di servizi di assistenza, i quali potrebbero rinunciare a trasferirsi nel territorio provinciale – pure in presenza di favorevoli opportunità di inserimento o di lavoro – per non perdere dette provvidenze.

2.– Nel giudizio si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano, in persona del Presidente della Provincia pro tempore, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. Con successiva memoria, depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la resistente ha riproposto e ulteriormente specificato le proprie tesi.

2.1.– Secondo la Provincia, sarebbero infondate, anzitutto, le doglianze del Presidente del Consiglio dei ministri concernenti la composizione della Consulta provinciale per l’immigrazione (art. 6, commi 3, lettera c, e 6 della legge provinciale n. 12 del 2011).

Le disposizioni ora citate non violerebbero l’art. 8, primo comma, numero 1), dello statuto speciale, in forza del quale – come lo stesso ricorrente ricorda – la Provincia autonoma di Bolzano è titolare di competenze legislative esclusive in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», ed è, quindi, pienamente legittimata ad istituire un proprio organo ai fini dell’integrazione sociale degli stranieri.

Quanto, poi, all’inclusione di un componente statale nell’organismo, la scelta sarebbe giustificata dal fatto che i compiti assegnati alla Consulta investono molteplici materie, rispetto alle quali le disposizioni dello statuto prescrivono appositi meccanismi di confronto tra organi statali e provinciali: così, ad esempio, gli artt. 21, 22, 87 e 88 dello statuto, quanto alle questioni di ordine pubblico; l’art. 15, riguardo all’utilizzazione degli stanziamenti destinati a scopi assistenziali; o l’art. 19, in merito alle questioni scolastiche.

La presenza di un rappresentante statale risponderebbe, altresì, al principio di una leale ed effettiva collaborazione tra Stato e Provincia, conformemente alle indicazioni delle sentenze n. 134 del 2004 e n. 30 del 2006 della Corte costituzionale, assicurando allo Stato un luogo di confronto e uno strumento per l’esercizio delle proprie prerogative, nel rispetto del riparto di competenze stabilite dalla Costituzione e dallo statuto di autonomia.

La disciplina censurata non lederebbe, dunque, neppure l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., anche perché la partecipazione del rappresentante dello Stato ai lavori della Consulta avrebbe carattere meramente facoltativo, come si desumerebbe dall’assenza di correlate previsioni a contenuto «sanzionatorio»: sicché, ove lo Stato non intenda collaborare, potrebbe limitarsi a lasciare vacante il posto assegnatogli.

2.2.– Quanto all’art. 10, comma 2, della legge censurata, la Provincia sarebbe legittimata a disciplinare, anche con riferimento alla propria autonomia finanziaria (artt. 69 e seguenti dello statuto speciale, nonché art. 119 Cost.), le prestazioni economiche di assistenza e beneficenza da essa erogate e i relativi limiti, purché nel rispetto dei livelli essenziali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la determinazione dei quali è affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

La norma in esame sarebbe, pertanto, pienamente legittima, attenendo a prestazioni assistenziali di natura economica eccedenti quelle essenziali, come emergerebbe dal disposto del comma 4 dello stesso art. 10, che fa espressamente salvi i livelli essenziali delle prestazioni operanti su tutto il territorio nazionale.

La previsione di un periodo minimo di cinque anni di residenza e dimora stabile nel territorio provinciale, quale requisito per l’accesso alle prestazioni, non mirerebbe, d’altro canto, ad escludere da tali prestazioni gli stranieri, ma ad introdurre un meccanismo di accesso progressivo, imposto dalle esigenze di risparmio connesse alle misure statali di contenimento della spesa pubblica, le quali avrebbero determinato una continua diminuzione delle risorse disponibili. Ciò, peraltro, in linea con quanto stabilito dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, in forza della quale solo i soggiornanti di lungo periodo – intendendosi per tali i cittadini di Paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio degli Stati membri immediatamente prima della domanda (art. 4) – godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali e l’assistenza e protezione sociale (art. 11, paragrafo 1, lettera d).

La disposizione censurata sarebbe, pertanto, pienamente conforme al diritto dell’Unione europea e non violerebbe né il citato art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., né i limiti della potestà legislativa assegnata alla Provincia dall’art. 8, numero 25), in riferimento all’art. 4 dello statuto.

Neppure potrebbe ritenersi violato l’art. 3 Cost., non essendovi alcuna contraddizione tra il principio della uguaglianza di interventi a parità di condizioni di bisogno, sancito dal comma 1 dell’art. 10 della legge provinciale, e l’individuazione di un presupposto per l’accesso alle prestazioni. Il comma 2 dell’art. 10 è volto, infatti, unicamente a prevedere criteri per l’attribuzione del beneficio, il quale, una volta riconosciuto, è garantito, ai sensi del comma 1, conformemente al principio di uguaglianza sostanziale e in modo del tutto svincolato dalla durata dello stato di bisogno. A garantire la tenuta del sistema concorrerebbe, in ogni caso, la clausola di salvaguardia di cui al comma 3 dell’articolo in esame, la quale – consentendo di prevedere periodi inferiori di residenza e dimora con discipline di settore al fine del soddisfacimento dei bisogni fondamentali – sarebbe in grado di assicurare che l’intervento sia sempre proporzionato alla situazione di bisogno e non si verifichino ipotesi di «scollamento» tra la ratio della disciplina e il suo contenuto prescrittivo.

2.3.– Per quel che concerne, poi, l’art. 12, comma 4, tale disposizione – emanata nell’esercizio della potestà legislativa provinciale in materia di governo del territorio, di igiene e sanità e di assistenza e beneficenza pubblica – non lederebbe affatto la competenza legislativa esclusiva stabilita dall’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost.

Essa non disciplinerebbe, infatti, alcuna «fattispecie di immigrazione», limitandosi a stabilire che le strutture abitative destinate a ospitare la famiglia dello straniero «ricongiunta» devono presentare i medesimi requisiti di salubrità e sicurezza richiesti per i cittadini italiani (e di altri Stati membri dell’Unione europea) residenti sul territorio provinciale e che la situazione economica dello straniero che presenta la domanda deve raggiungere almeno la soglia individuata dalla normativa provinciale in materia di assistenza come idonea a consentire il soddisfacimento dei bisogni primari dell’individuo.

Del resto, l’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 già prevede la disponibilità di un reddito minimo annuo e di un alloggio idoneo quali requisiti del ricongiungimento familiare: la disposizione impugnata ne avrebbe operato solo la parificazione con quelli richiesti ai residenti nel territorio provinciale.

2.4.– La competenza legislativa statale esclusiva in materia di immigrazione non sarebbe lesa neanche dall’art. 13, comma 3, della legge provinciale, il quale si limita a prevedere che la Provincia promuova, sul proprio territorio, l’attuazione della direttiva 2005/71/CE «per quanto di sua competenza».

La direttiva 2005/71/CE, volta a disciplinare le condizioni per l’ammissione dei ricercatori dei Paesi terzi negli Stati membri, presenta, infatti, implicazioni anche con materie di competenza provinciale legislativa esclusiva – quali l’assistenza e la beneficenza pubblica, la formazione professionale e l’assistenza scolastica (art. 8, numeri 25, 27 e 29 dello statuto) – e di competenza legislativa concorrente – quali l’istruzione e la ricerca scientifica (art. 117, terzo comma, Cost., applicabile anche alla Provincia autonoma di Bolzano ai sensi dell’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione»).

2.5.– Quanto, poi, alle censure relative agli artt. 14, commi 3 e 5, e 16, commi 3 e 4, che prevedono il requisito della residenza minima quinquennale per l’accesso dei cittadini extracomunitari alle prestazioni assistenziali per la frequenza di scuole fuori provincia o università, i vulnera costituzionali denunciati dal ricorrente non sussisterebbero per le medesime ragioni evidenziate con riguardo alle censure che investono l’analogo requisito previsto dall’art. 10, comma 2.

Le norme in questione risulterebbero, d’altra parte, in linea con quanto previsto per i cittadini dell’Unione europea, per i quali l’accesso alle predette provvidenze, ove frequentino istituzioni scolastiche o formative professionali (art. 3, comma 1, della legge provinciale n. 7 del 1974) o atenei (art. 2, comma 1, lettera c, della legge provinciale n. 9 del 2004) situati al di fuori del territorio provinciale, è consentito solo se siano in possesso del requisito della residenza in Provincia di Bolzano.

Inoltre, l’ambito di applicazione delle disposizioni censurate, limitato sempre e comunque a prestazioni non inferiori ai livelli essenziali determinati dal legislatore statale, escluderebbe la configurabilità di una lesione del diritto allo studio, garantito dall’art. 34 Cost., a meno che si voglia sostenere l’inadeguatezza delle prestazioni statali in materia.

2.6.– Analoghe considerazioni varrebbero in rapporto al requisito della residenza in Provincia di Bolzano per almeno un anno, richiesto dall’art. 16, comma 2, per i cittadini dell’Unione europea che intendano avere accesso alle sovvenzioni per la promozione e l’apprendimento delle lingue straniere.

Che l’imposizione del requisito in questione non sia irragionevole risulterebbe del resto «evidente proprio in ragione della libertà di circolazione e di stabilimento che l’Ordinamento riconosce ai cittadini comunitari, considerando che la presenza di un dato che dimostri la presenza di un collegamento non occasionale del cittadino comunitario con il territorio della Provincia di Bolzano è necessario ove si tratti di ammettere il medesimo al godimento di benefici a contenuto economico».

Né la fissazione in un anno del periodo minimo di residenza contrasterebbe con l’art. 7 del d.lgs. n. 30 del 2007, attuativo della direttiva 2004/38/CE, che si limiterebbe «a stabilire a quali condizioni il cittadino dell’Unione europea ha diritto a soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi».

2.7.– Infine, la Provincia contesta l’assunto del ricorrente, secondo cui le disposizioni impugnate che prescrivono la residenza protratta per un determinato periodo di tempo come requisito di accesso a prestazioni assistenziali violerebbero gli artt. 16 e 120 Cost.

Dette disposizioni garantiscono infatti, per quanto detto, a tutti i cittadini, anche di Paesi terzi e di Paesi dell’Unione europea, i livelli essenziali delle prestazioni sociali validi in tutto il territorio nazionale, onde non si determinerebbe, nella Provincia di Bolzano, alcuna situazione di discriminazione o di «"deterioramento” delle ordinarie condizioni di accoglienza», tale da costituire una «barriera all’ingresso».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri propone questioni di legittimità costituzionale in via principale di plurime disposizioni della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri).

2.– Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 6, comma 3, lettera c), della citata legge provinciale, che include tra i componenti della «Consulta provinciale per l’immigrazione» – istituita dal comma 1 dello stesso articolo – anche «una persona in veste di rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la provincia di Bolzano»; nonché il successivo comma 6, nella parte in cui prevede che detto rappresentante possa essere sostituito da una persona da esso delegata.

2.1.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tali disposizioni, attribuendo unilateralmente funzioni obbligatorie ad organi statali, violerebbero tanto l’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, che demanda alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»; quanto l’art. 8, primo comma, numero 1), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), che limita la potestà legislativa della Provincia di Bolzano in materia di organizzazione amministrativa al solo «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto».

2.2.– In riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., la questione è fondata.

La normativa impugnata dal Governo, infatti, nell’inserire tra i membri dell’organo provinciale un rappresentante della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano, che partecipi ai lavori direttamente o per mezzo di un delegato, configura − in forma autoritativa e unilaterale − nuove e specifiche funzioni a carico di organi o amministrazioni dello Stato, con conseguente compromissione del parametro invocato (sentenze n. 10 del 2008, n. 30 del 2006 e n. 134 del 2004).

Né può valere in senso contrario la circostanza, evidenziata dalla resistente, che la complessità e la delicatezza delle problematiche legate al fenomeno della immigrazione, rispetto alle quali la Consulta è chiamata a presentare proposte ed esprimere pareri alla Giunta provinciale, rendano necessari meccanismi di confronto tra organi statali e provinciali. Nella specie, le forme di coordinamento che la Provincia avrebbe inteso realizzare, seppure auspicabili, non trovano «il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati», come invece sarebbe necessario alla luce della giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 30 del 2006 e n. 134 del 2004).

Neppure è conferente l’ulteriore rilievo della resistente, relativo al fatto che la partecipazione del rappresentante statale alle attività della Consulta non sarebbe obbligatoria, non essendo previste conseguenze di tipo sanzionatorio per la sua assenza. Anche se così fosse – malgrado la formulazione in termini imperativi dell’alinea del comma 3 dell’art. 6 della legge censurata – il rilievo evocherebbe comunque «un profilo di mero fatto, il quale non incide sul nuovo compito comunque demandato agli uffici coinvolti (designazione di un rappresentante cui riservare quelle determinate funzioni) e sulle funzioni attribuite al rappresentante, che evidentemente prescindono dal relativo concreto esercizio» (sentenza n. 30 del 2006).

Le disposizioni impugnate devono pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime. Rimangono assorbite le ulteriori censure.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 10, comma 2, ove si prevede che, per l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale aventi «natura economica», è richiesto ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea «un periodo minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano»; nonché, quanto alla sua ultima parte, l’art. 1, comma 3, lettera g), secondo periodo – al quale il citato art. 10, comma 2, si correla – ove si stabilisce, in via generale, che per gli stranieri in questione «l’accesso alle prestazioni, che vanno oltre le prestazioni essenziali, può essere condizionato alla residenza, alla dimora stabile e alla relativa durata».

3.1.– Secondo il ricorrente, il requisito della durata minima della residenza e dimora stabile, e in particolare della durata quinquennale, violerebbe l’art. 3 Cost., tanto in riferimento al principio di ragionevolezza che a quello di eguaglianza. Sotto il primo profilo, in quanto detto criterio sarebbe contraddittorio rispetto all’affermazione del comma 1 dello stesso art. 10, in forza della quale l’erogazione delle prestazioni sociali agli stranieri con residenza e dimora stabile sul territorio provinciale deve avvenire secondo il criterio dell’uguaglianza degli interventi a parità di bisogno. Sotto il secondo, in quanto creerebbe ingiustificate disparità di trattamento, non avendo il requisito in questione alcun collegamento con lo stato di bisogno.

Le norme impugnate lederebbero, altresì, gli artt. 8, numero 25), e 4 dello statuto, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali dell’assistenza pubblica fissati dall’art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e dall’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini italiani gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno.

Le medesime disposizioni violerebbero, ancora, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto il requisito di durata minima della residenza concorrerebbe a definire il livello essenziale delle prestazioni sociali; nonché gli artt. 16 e 120 Cost., giacché detto requisito si tradurrebbe in una «barriera all’ingresso» nel territorio provinciale per gli stranieri residenti in diverse parti del territorio nazionale e ivi fruenti di servizi di assistenza.

3.2.– Con riferimento all’art. 3 Cost., la questione è fondata.

In tema di accesso degli stranieri alle prestazioni di assistenza sociale, questa Corte ha già avuto modo di affermare che mentre la residenza (o, come nella specie, la «dimora stabile») costituisce, rispetto ad una provvidenza regionale (nella specie, provinciale), «un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio» (sentenza n. 432 del 2005), non altrettanto può dirsi quanto alla residenza (o «dimora stabile») protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, non risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto «introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari», non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011). Infatti, non è evidentemente possibile presumere, in termini assoluti, che gli stranieri immigrati nella Provincia da meno di cinque anni, ma pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, versino in stato di bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni.

Non rilevano, in senso contrario, le circostanze – su cui pone l’accento la difesa della Provincia – che il requisito in questione sia previsto in rapporto a prestazioni di natura economica eccedenti quelle essenziali, e che la sua introduzione risponda ad esigenze di risparmio, correlate al decremento delle disponibilità finanziarie conseguente alle misure statali di contenimento della spesa pubblica. Tanto l’una che l’altra circostanza non escludono, infatti, «che le scelte connesse alla individuazione dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse disponibili – debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza» (sentenze n. 40 del 2011 e n. 432 del 2005).

A maggior ragione ininfluente è la possibilità, prefigurata dal comma 3 dell’art. 10, che disposizioni di settore stabiliscano periodi di residenza e dimora stabile di durata inferiore al quinquennio per l’erogazione di prestazioni volte al «soddisfacimento di bisogni fondamentali», tenuto conto della «specifica finalità e natura» delle prestazioni stesse. Il decremento settoriale (che non equivale a eliminazione) del periodo minimo richiesto – peraltro meramente discrezionale – non rimuove il vulnus, e anzi, come nota il ricorrente, è suscettibile di determinare ulteriori irragionevoli discriminazioni.

Le disposizioni impugnate devono pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime: integralmente, quanto all’art. 10, comma 2; limitatamente alle parole «e alla sua durata», quanto all’art. 1, comma 3, lettera g), secondo periodo.

In via consequenziale, va dichiarata, altresì, l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 10, poco sopra citato: la possibilità di deroga, ivi prevista, resta infatti priva di significato una volta rimossa la disposizione del comma 2, cui essa si riferisce.

Rimangono assorbite tutte le ulteriori censure.

4.– Il Governo contesta, altresì, la legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4, il quale stabilisce che «i requisiti igienico-sanitari, quelli di idoneità abitativa degli alloggi, nonché i requisiti inerenti al reddito minimo annuo richiesti, all’atto della domanda, ai fini del ricongiungimento familiare delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, sono quelli applicati per le cittadine e i cittadini residenti nel territorio provinciale».

4.1.– A parere dell’Avvocatura dello Stato, la norma censurata – regolando in via diretta le condizioni per il ricongiungimento familiare degli stranieri – violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., che attribuisce alla competenza statale esclusiva la legislazione in materia di immigrazione, nonché gli artt. 8, 9 e 10 dello statuto, che non includono tale materia fra quelle nelle quali la Provincia di Bolzano è abilitata a legiferare.

4.2.– In relazione all’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., la questione è fondata.

In linea di principio, deve essere riconosciuta la possibilità di interventi legislativi delle Regioni e delle Province autonome con riguardo al fenomeno dell’immigrazione, del resto previsti dallo stesso art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, ove si stabilisce che le disposizioni contenute in tale testo unico costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost., nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, e norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, nelle materie di competenza delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (sentenza n. 300 del 2005).

La potestà legislativa delle Regioni e delle Province autonome non può, tuttavia, riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale – demandati in via esclusiva alla legislazione statale dall’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost. – ma altri ambiti, quali, ad esempio, il diritto allo studio o all’assistenza sociale, nei quali possa esercitarsi la competenza legislativa delle stesse Regioni o Province autonome (sentenze n. 299 e n. 134 del 2010, n. 50 del 2008, n. 156 del 2006).

Nella specie, non può dubitarsi che la determinazione dei requisiti per il ricongiungimento familiare attenga alla disciplina del flusso migratorio degli stranieri nel territorio nazionale. L’istituto del ricongiungimento consente, infatti, che facciano regolarmente ingresso nel territorio dello Stato ulteriori cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, oltre al familiare già soggiornante. Esso trova compiuta disciplina nell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, che, tra l’altro, impone allo straniero richiedente di dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari e di idoneità abitativa accertati dai competenti uffici comunali, e un reddito minimo annuo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato secondo parametri specificamente indicati.

Legiferare specificamente su tali requisiti, seppure solo per equipararli a quanto richiesto per gli altri residenti nella Provincia di Bolzano, si risolve, pertanto, nel regolare indebitamente un aspetto significativo del ricongiungimento, con conseguente lesione del parametro invocato.

La disposizione impugnata deve essere quindi dichiarata costituzionalmente illegittima. Rimangono assorbite le ulteriori censure, riferite ai parametri statutari.

5.– È impugnato, ancora, l’art. 13, comma 3, con riguardo alla disposizione del secondo periodo, in forza della quale «la Provincia promuove, per quanto di sua competenza, l’attuazione sul suo territorio della direttiva 2005/71/CE relativa alla procedura per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, la relativa stipula di convenzioni di accoglienza e la conseguente parità di trattamento».

5.1.– A parere del ricorrente, anche tale disposizione sarebbe lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., investendo materia attinente al fenomeno migratorio.

5.2.– La questione è fondata.

La direttiva 2005/71/CE disciplina «le condizioni per l’ammissione dei ricercatori dei paesi terzi negli Stati membri per una durata superiore a tre mesi al fine di svolgervi un progetto di ricerca nell’ambito di una convenzione di accoglienza con un istituto di ricerca» (art. l), e prevede, tra l’altro, che gli istituti di ricerca che desiderano accogliere un ricercatore «devono essere preventivamente autorizzati a tal fine dallo Stato membro interessato» (art. 5) e stipulare successivamente «con il ricercatore una convenzione di accoglienza» (art. 6).

Lo Stato ha dato attuazione alla direttiva con il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 17 (Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica), il cui art. 1 ha inserito nel titolo III del d.lgs. n. 286 del 1998, disciplinante l’ingresso per motivi di lavoro, l’art. 27-ter, che, tra l’altro, consente l’immigrazione temporanea di ricercatori qualificati, in sovrannumero rispetto alle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, previste dall’art. 3, comma 4, dello stesso decreto legislativo.

La normativa dell’Unione e dello Stato prefigura, quindi, una particolare procedura di immigrazione, mediante rilascio di uno speciale permesso di soggiorno riservato ai soli ricercatori scientifici di Paesi terzi. La materia, con tutta evidenza, rientra nella politica, di esclusiva competenza statale, di programmazione dei flussi.

Stante l’inesistenza in materia di competenze legislative della Provincia di Bolzano, l’illegittimità dell’intervento normativo attuato non è esclusa – come prospettato dalla resistente – dalla clausola «per quanto di sua competenza», contenuta nella disposizione impugnata.

Detta disposizione deve essere pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima.

6.– Il Presidente del Consiglio censura, inoltre, i commi 3 e 5 dell’art. 14, che richiedono, per i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, un periodo minimo di cinque anni di residenza ininterrotta nel territorio provinciale ai fini dell’accesso, rispettivamente, alle «agevolazioni per la frequenza di una scuola fuori della provincia di Bolzano», e alle «prestazioni di natura economica per il diritto allo studio universitario». Sono impugnati, correlativamente, anche i commi 3 e 4 dell’art. 16, nella parte in cui – aggiungendo, rispettivamente, la lettera e) all’art. 3, comma 1, della legge provinciale 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio) e la lettera e) all’art. 2, comma 1, della legge provinciale 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto allo studio universitario) – includono tra gli aventi diritti alle provvidenze considerate anche gli stranieri, ma solo se residenti nella Provincia da almeno cinque anni.

6.1.– Secondo il ricorrente, sarebbero ravvisabili, in rapporto a tali disposizioni, i medesimi profili di violazione degli artt. 3, 16 e 120 Cost. evidenziati con riferimento all’art. 10, comma 2, della legge provinciale, oltre che la violazione dell’art. 34 Cost., che garantisce il diritto allo studio.

6.2.– In riferimento agli artt. 3 e 34 Cost., la questione è fondata.

L’art. 14 della legge provinciale, sotto la rubrica «diritto allo studio», riconosce, al comma 2, «a tutti i cittadini stranieri presenti sul territorio provinciale e iscritti in una scuola in provincia di Bolzano l’accesso alle misure e alle agevolazioni dell’assistenza scolastica previste dalla normativa di settore». Analogo accesso generalizzato alle misure di assistenza è garantito dal comma 4 agli «studenti stranieri residenti in provincia e iscritti all’università».

Nelle norme oggetto di impugnazione, per quanto riguarda la frequenza di una scuola fuori della Provincia (comma 3) e le «prestazioni di natura economica» di supporto agli studenti universitari (comma 5), l’accesso alle prestazioni è, tuttavia, condizionato, con riferimento ai soli cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, al requisito della residenza quinquennale ininterrotta nel territorio provinciale.

Analogamente a quanto disposto all’art. 10, comma 2, con generico riferimento alle prestazioni assistenziali di natura economica, il legislatore provinciale ha dunque utilizzato il dato della residenza qualificata per diversificare l’accesso degli stranieri alle prestazioni eccedenti i limiti dell’essenziale destinate al sostegno allo studio, sia scolastico che universitario.

Anche in questo caso, per le ragioni precedentemente indicate, il criterio utilizzato contrasta con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.

Le misure di sostegno in questione trovano, d’altro canto, il loro fondamento nell’art. 34 Cost., che, per assicurare a tutti il diritto allo studio, sancisce che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», prevedendo, altresì, che le borse di studio, gli assegni alle famiglie e le altre provvidenze necessarie per rendere «effettivo questo diritto» siano attribuite per concorso.

Se la necessità del concorso rende legittima la previsione di forme di graduazione tra gli aventi diritto, esse devono tuttavia sempre avere un nesso con il bisogno e la meritevolezza dello studente: il che non può dirsi per la durata della residenza in Provincia.

Le disposizioni impugnate devono essere, dunque, dichiarate costituzionalmente illegittime: nella loro interezza, quanto ai commi 3 e 5 dell’art. 14; limitatamente al riferimento alla durata quinquennale della residenza, quanto alle disposizioni introdotte dai commi 3 e 4 dell’art. 16. Restano assorbite le ulteriori censure.

7.– Il Presidente del Consiglio contesta, infine, la legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, della legge provinciale n. 12 del 2011, che, sostituendo il comma 1 dell’art. 2 della legge provinciale 13 marzo 1987, n. 5 (Incentivazione della conoscenza delle lingue), prevede che i cittadini dell’Unione europea, che abbiano assolto l’obbligo scolastico, possono usufruire delle sovvenzioni previste per l’apprendimento delle lingue straniere solo se residenti ininterrottamente per un anno nella Provincia di Bolzano.

7.1.– A parere del ricorrente, la disposizione violerebbe il primo comma dell’art. 117 Cost., nella parte in cui stabilisce che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario». In assenza di analoga limitazione per i cittadini italiani, il requisito della durata minima della residenza comporterebbe, infatti, un trattamento differenziato per il cittadino dell’Unione europea, in contrasto con i principi di non discriminazione e di libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione stessa (artt. 18 e 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Sarebbero, inoltre, nuovamente violati gli artt. 3, 16 e 120 Cost.

7.2.– In riferimento all’art. 3 Cost., la questione è fondata.

L’art. 16, comma 2, introduce solo per i cittadini dell’Unione europea il requisito della residenza minima annuale nella Provincia di Bolzano per ottenere le sovvenzioni per i corsi di apprendimento delle lingue straniere.

Il canone di selezione previsto per diversificare l’accesso alle prestazioni risulta, anche in questo caso, incompatibile con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, dato che la mera durata della residenza non può essere ritenuta una circostanza idonea a differenziare in modo ragionevole le posizioni dei potenziali interessati alla provvidenza in questione.

La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui esige il requisito in discorso. Rimangono assorbite le ulteriori censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 3, lettera c), e 6, limitatamente al riferimento alla lettera «c)», della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, limitatamente alle parole «e alla relativa durata», e dell’art. 10, comma 2, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;

3) dichiara, in applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, secondo periodo, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;

6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 3 e 5, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;

7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, lettera e), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio), lettera aggiunta dall’articolo 16, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011, limitatamente alle parole «da almeno cinque anni»;

8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera e), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto allo studio universitario), lettera aggiunta dall’articolo 16, comma 4, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011, limitatamente alle parole «da cinque anni»;

9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 13 marzo 1987, n. 5 (Incentivazione della conoscenza delle lingue), come sostituito dall’articolo 16, comma 2, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011, limitatamente alle parole «ininterrottamente per un anno».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2013.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2013.