SENTENZA N. 2
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima
parte; 6, commi 3, lettera c), e 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, commi
3 e 5; 16, commi 2, 3 e 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28
ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri),
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7
gennaio 2012, depositato in cancelleria il 17 gennaio 2012 ed iscritto al n. 10
del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di
costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;
udito nell’udienza
pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l’avvocato
dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli
avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la
Provincia autonoma di Bolzano.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 7 gennaio
2012 e depositato il successivo 17 gennaio, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale degli
articoli 1, comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima parte; 6, commi 3,
lettera c), e 6; 10, comma 2; 12, comma 4; 13, comma 3; 14, commi 3 e 5; 16,
commi 2, 3 e 4, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre
2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri), deducendo
la violazione degli artt. 3, 16, 34, 117, commi primo e secondo, lettere b), g)
e m), e 120 della Costituzione, nonché degli artt. 4, 8, primo comma, numeri 1)
e 25), 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.
670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige».
1.1.– Il ricorrente rileva, in primo
luogo, come la legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 12 del 2011 –
contenente norme finalizzate all’integrazione sociale dei cittadini stranieri –
istituisca, con il comma 1 dell’art. 6, una «Consulta provinciale per
l’immigrazione». Ai sensi del successivo comma 2, tale organo ha il compito di
«presentare proposte alla Giunta provinciale per adeguare le norme provinciali
alle esigenze che emergono in relazione al fenomeno migratorio», di «formulare
proposte sul programma pluriennale» e di «esprimere pareri su ogni altro
argomento inerente alla materia dell’immigrazione, su richiesta della Giunta
provinciale».
Il comma 3, lettera c), dello stesso
art. 6 include tra i componenti della Consulta anche «una persona in veste di
rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo
per la provincia di Bolzano»; mentre il successivo comma 6 aggiunge che «i
membri di cui alle lettere a), b), c) ed f) possono essere sostituiti da una
persona da essi delegata».
Ad avviso del ricorrente, con le
disposizioni da ultimo citate la legge impugnata avrebbe attribuito funzioni
obbligatorie ad organi dello Stato (quali la Questura di Bolzano e il
Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano), imponendo loro di
designare un rappresentante nella Consulta e di partecipare ai relativi lavori
tramite il componente titolare o un suo delegato. In tal modo, la Provincia
avrebbe violato tanto l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che prevede
la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento e
organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»;
quanto l’art. 8, comma 1, numero 1), dello Statuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige, che limita la potestà legislativa della Provincia di
Bolzano in materia di organizzazione amministrativa ai soli organi della
Provincia stessa.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
rileva, ulteriormente, come l’art. 10 della legge provinciale, dedicato alla
disciplina dell’«assistenza sociale», stabilisca, al comma 1, che «hanno
accesso ai servizi sociali i cittadini stranieri con residenza e dimora stabile
sul territorio provinciale», e che il criterio regolatore dell’erogazione delle
prestazioni debba essere quello dell’uguaglianza degli interventi a parità di
bisogno.
Il comma 2 del medesimo articolo
enuclea, peraltro, dall’insieme dei servizi sociali quelli consistenti in «prestazioni
di natura economica», prevedendo che, per l’accesso a queste ultime, «è
richiesto alle cittadine e ai cittadini stranieri di Stati non appartenenti
all’Unione europea un periodo minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e
dimora stabile in provincia di Bolzano». Tale disposizione si correla, dandole
attuazione, alla generale previsione dell’art. 1, comma 3, lettera g), secondo
periodo, della medesima legge, in forza della quale «per le cittadine e i
cittadini stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, l’accesso
alle prestazioni, che vanno oltre le prestazioni essenziali, può essere
condizionato alla residenza, alla dimora stabile e alla relativa durata».
Ad avviso del ricorrente, mentre non
sussisterebbero ostacoli di ordine costituzionale a subordinare genericamente
le prestazioni assistenziali alla residenza e alla dimora stabile dello
straniero nel territorio nazionale e nelle sue articolazioni, sarebbe invece
costituzionalmente illegittimo richiedere una durata minima di tale residenza e
dimora e, in particolare, una durata minima quinquennale.
Sotto tale profilo, i citati art. 1,
comma 3, lettera g), secondo periodo, ultima parte, e 10, comma 2, della legge
provinciale n. 12 del 2011 violerebbero, anzitutto, l’art. 3 Cost. Sarebbe,
infatti, contrario al principio di ragionevolezza prevedere dapprima – e
correttamente – che l’erogazione degli interventi debba essere uguale a parità
di bisogno, e poi escludere contraddittoriamente dai servizi sociali più
rilevanti – quali quelli a contenuto economico – intere categorie di soggetti,
selezionati non in base all’entità o alla natura del bisogno, ma a un criterio
privo di ogni collegamento con questo, quale la durata infraquinquennale
della residenza e della dimora stabile: determinando, con ciò, disparità di
trattamento tra situazioni identiche o analoghe, lesive del principio di
eguaglianza.
Al riguardo, la difesa dello Stato
ricorda come la Corte costituzionale abbia già ritenuto illegittime
disposizioni similari a quelle denunciate, sul rilievo che una disciplina del
tipo considerato introduce un elemento di distinzione arbitrario, proprio
perché non vi è alcuna ragionevole correlazione tra la residenza protratta nel
tempo e i requisiti di bisogno e di disagio della persona che costituiscono il
presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del
2011).
Le norme in esame violerebbero, inoltre,
gli artt. 8, numero 25), e 4 dello statuto, in forza dei quali la competenza
legislativa della provincia di Bolzano in materia di «assistenza e beneficenza
pubblica» deve essere esercitata nel rispetto – oltre che della Costituzione e
degli obblighi internazionali – dei principi dell’ordinamento giuridico e delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. A tale
riguardo, verrebbero segnatamente in rilievo l’art. 41 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e l’art.
80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001). Dette norme statali – costituenti principi fondamentali della materia
dell’assistenza pubblica – prevedono, infatti, che, ai fini della fruizione
delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale,
gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di
durata non inferiore ad un anno sono equiparati ai cittadini italiani. Con le
disposizioni censurate, la Provincia di Bolzano avrebbe, dunque,
illegittimamente quintuplicato il limite temporale stabilito dalla conferente
normativa statale.
Risulterebbe violata, infine, anche la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, stabilita dall’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. La durata minima della residenza nel
territorio dello Stato richiesta allo straniero ai fini dell’accesso alle
prestazioni di assistenza sociale concorrerebbe, infatti, in modo determinante
a definire il livello essenziale delle prestazioni sociali.
I vulnera costituzionali denunciati non
verrebbero, d’altra parte, meno a fronte di quanto disposto dal comma 3 del
medesimo art. 10, ove si stabilisce che, «in funzione della specifica finalità
e natura delle prestazioni erogate, per le prestazioni per il soddisfacimento
dei bisogni fondamentali di cui all’articolo 8 della legge provinciale 26
ottobre 1973, n. 69, e successive modifiche, possono essere previsti dalle
disposizioni di settore periodi di residenza e dimora inferiori a quanto
previsto dal comma 2». Tale norma si limiterebbe, infatti, a prevedere una mera
possibilità, del tutto discrezionale, di introdurre deroghe di settore al
requisito quinquennale in esame: deroghe che potrebbero addirittura accrescere
la disuguaglianza e l’irrazionalità del sistema.
Parimenti ininfluente sarebbe la
generica enunciazione del comma 4 dell’art. 10, secondo cui «la Provincia
garantisce i livelli essenziali delle prestazioni previsti su tutto il
territorio nazionale dalla normativa statale». L’obbligo della Provincia –
ribadito da tale disposizione – di assicurare i livelli essenziali delle
prestazioni sociali comporterebbe, infatti, «innanzitutto l’impossibilità di
fissare requisiti temporali di ammissione più gravosi di quelli stabiliti dalla
legge statale».
1.3.– Il Governo censura, ancora, l’art.
12, comma 4, della legge provinciale considerata, il quale prevede – nel quadro
della disciplina delle «politiche abitative e di accoglienza» – che «i
requisiti igienico-sanitari, quelli di idoneità abitativa degli alloggi, nonché
i requisiti inerenti al reddito minimo annuo richiesti, all’atto della domanda,
ai fini del ricongiungimento familiare delle cittadine e dei cittadini
stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, sono quelli applicati
per le cittadine e i cittadini residenti nel territorio provinciale».
Ad avviso del ricorrente, questa
disposizione, stabilendo specifici requisiti di reddito e di alloggio necessari
affinché uno straniero possa stabilirsi nel territorio della Provincia di
Bolzano a titolo di ricongiungimento familiare, verrebbe a determinare in via
diretta le condizioni di operatività di tale istituto, attinente alle sole
famiglie composte integralmente da cittadini extracomunitari, di cui uno
residente in Italia e gli altri residenti all’estero. In tal modo, la norma
censurata violerebbe tanto l’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., che
attribuisce all’esclusiva competenza statale la legislazione in materia di
immigrazione; quanto gli artt. 8, 9 e 10 dello statuto, che non includono tale
materia fra quelle per le quali è prevista la potestà legislativa della
Provincia di Bolzano.
L’istituto del ricongiungimento
familiare è, infatti, compiutamente regolato dall’art. 29, comma 3, del d.lgs.
n. 286 del 1998, il quale prevede che lo straniero che richiede il ricongiungimento
debba dimostrare la disponibilità di un reddito minimo annuo non inferiore
all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato secondo parametri
specificamente indicati, e stabilisce, inoltre, che i requisiti relativi
all’alloggio siano accertati dai competenti uffici comunali.
1.4.– Parimenti lesivo dell’art. 117,
secondo comma, lettera b), Cost. sarebbe l’art. 13, comma 3, della legge
provinciale, in forza del quale «la Provincia promuove, per quanto di sua
competenza, la piena attuazione sul suo territorio della direttiva 2005/71/CE
relativa alla procedura per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di
ricerca scientifica, la relativa stipula di convenzioni di accoglienza e la
conseguente parità di trattamento».
La direttiva 2005/71/CE prefigura,
infatti, una particolare procedura di immigrazione riservata ai ricercatori
scientifici, così che la sua attuazione rientrerebbe nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di immigrazione: competenza che
non potrebbe essere svuotata facendo leva sulla finalità per la quale
l’ingresso degli stranieri è consentito, considerandola evocativa della
competenza legislativa provinciale in materia di formazione professionale.
Lo Stato ha attuato, in effetti, la
direttiva con il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 17 (Attuazione della direttiva
2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione
di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica), il cui art. 1 ha
inserito nel d.lgs. n. 286 del 1998 – e quindi nella cornice sistematica della
normativa generale sull’immigrazione – l’art. 27-ter, recante un’articolata
disciplina sostanziale e procedurale per l’ingresso e il soggiorno degli
stranieri per finalità di ricerca scientifica: disciplina che esclude del tutto
competenze regionali o provinciali.
Proprio l’insussistenza di competenze
provinciali in materia escluderebbe che la disposizione impugnata possa essere
ritenuta costituzionalmente legittima facendo leva sulla clausola, in essa
contenuta, secondo la quale la Provincia promuove l’attuazione della direttiva
«per quanto di sua competenza».
1.5.– Il Presidente del Consiglio si
duole, ancora, delle disposizioni dell’art. 14, commi 3 e 5, della legge provinciale,
inserite nell’ambito della regolamentazione del «diritto allo studio». Il comma
3 prevede, in specie, che «per l’accesso alle agevolazioni per la frequenza di
una scuola fuori provincia è richiesto agli alunni e alunne stranieri di Stati
non appartenenti all’Unione europea un periodo minimo di cinque anni di
residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Se la scuola frequentata si
trova nel territorio della Repubblica italiana o della Repubblica austriaca, il
requisito della residenza di cui al presente comma è richiesto all’alunno o
all’alunna o a uno dei genitori». Nel comma 5, si statuisce, inoltre, che «per
l’accesso alle prestazioni di natura economica per il diritto allo studio
universitario da parte delle cittadine e dei cittadini stranieri di Stati non
appartenenti all’Unione europea è richiesto il requisito di un periodo minimo
di cinque anni di residenza ininterrotta in provincia di Bolzano. Per le
studentesse e gli studenti frequentanti un’università sul territorio della
provincia possono essere previsti periodi di residenza inferiori».
Il ricorrente ritiene che tali norme
contrastino con l’art. 3 Cost. per le medesime ragioni già illustrate con
riferimento all’impugnato comma 2 dell’art. 10, atteso che l’assistenza
scolastica e universitaria, seppure prevista autonomamente dallo statuto come
materia di competenza provinciale, rientra pur sempre nel campo dell’assistenza
sociale, per cui il criterio di erogazione dei benefici deve essere la
proporzione con l’effettiva necessità dell’interessato.
Introducendo il canone irragionevole
della durata minima della residenza, le norme denunciate violerebbero anche il
terzo e il quarto comma dell’art. 34 Cost., alla luce dei quali le provvidenze
di assistenza scolastica e universitaria andrebbero erogate esclusivamente in
base ai criteri del bisogno della famiglia e della meritevolezza
dello studente: situazioni con le quali la durata della residenza in Provincia
non ha alcun collegamento.
Le disposizioni in esame lederebbero,
infine, il diritto allo studio, garantito dallo stesso art. 34 Cost. in tutte
le sue proposizioni, nella misura in cui si tradurrebbero, per gli stranieri
regolarmente residenti da meno di cinque anni o per i loro figli, in un
ostacolo insormontabile a intraprendere taluni percorsi formativi.
Per le medesime ragioni sarebbero
costituzionalmente illegittimi anche i commi 3 e 4 dell’art. 16 della legge
impugnata, che adeguano, in conformità a quanto stabilito dai censurati commi 3
e 5 dell’art. 14, la legge provinciale 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza
scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio) e la legge
provinciale 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto allo studio universitario). Dette
norme integrano, in particolare, l’elencazione degli aventi diritto all’assistenza
scolastica (art. 3 della legge prov. n. 7 del 1974) e universitaria (art. 2
della legge prov. n. 9 del 2004), includendo tra essi i cittadini
extracomunitari che frequentano al di fuori del territorio provinciale
istituzioni scolastiche o formative professionali non esistenti in Provincia,
ovvero università, ma solo se residenti nel territorio provinciale da almeno
cinque anni.
1.6.– È censurato, da ultimo, l’art. 16,
comma 2, della legge provinciale n. 12 del 2011, che, modificando il comma 1
dell’art. 2 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 13 marzo 1987, n. 5
(Incentivazione della conoscenza delle lingue), prevede che i cittadini
dell’Unione europea possono usufruire delle sovvenzioni previste per
l’apprendimento delle lingue straniere, a condizione che risiedano
ininterrottamente per un anno nella Provincia di Bolzano.
Premesso che nessuna simile limitazione
è prevista dalla legislazione provinciale per i cittadini italiani, il
ricorrente reputa la disposizione lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost.,
nella parte in cui stabilisce che «la potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario». Il cittadino dell’Unione residente nel territorio nazionale non
potrebbe, infatti, ricevere alcun trattamento differenziato rispetto al
cittadino italiano, pena la violazione dei principi di non discriminazione e di
libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione (artt. 18 e 45 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
Al riguardo, l’art. 7 del d.lgs. 6
febbraio 2007, n. 30, recante «Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa
al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri», prevede che il
cittadino dell’Unione, nel concorso di determinate condizioni, possa essere
progressivamente equiparato al cittadino residente qualora soggiorni nello
Stato un periodo superiore a tre mesi. Sarebbe, dunque, contrario alla citata
direttiva e alla normativa interna di recepimento escludere a priori dalle
provvidenze in questione il cittadino dell’Unione che risieda in Provincia da
più di tre mesi, ma da meno di un anno.
Per le stesse ragioni già esposte a
proposito degli artt. 10, comma 2, e 14, commi 3 e 5, della legge impugnata, il
requisito della durata minima della residenza determinerebbe, inoltre,
nuovamente la violazione dell’art. 3 Cost.
1.7.– Quale notazione conclusiva, il
ricorrente assume che tutte le disposizioni impugnate che prevedono requisiti
temporali minimi di residenza in Provincia maggiori di quelli previsti per
analoghe prestazioni dalla normativa nazionale e comunitaria – segnatamente,
l’art. 10, comma 2, l’art. 14, commi 3 e 5, e l’art. 16, commi 2, 3 e 4 –
violino altresì il principio di libertà di circolazione all’interno del
territorio nazionale (art. 16 Cost.) e il divieto per le Regioni e le Province
autonome di introdurre restrizioni anche indirette alla libera circolazione
delle persone e al loro ingresso nei territori regionali o provinciali (art.
120 Cost.).
La necessità di possedere speciali
requisiti temporali di residenza, non previsti altrove, per accedere nella
Provincia di Bolzano alle prestazioni in questione si tradurrebbe, infatti, in
«una vera e propria barriera all’ingresso» per gli stranieri residenti in altre
parti del territorio nazionale e ivi usufruenti di servizi di assistenza, i
quali potrebbero rinunciare a trasferirsi nel territorio provinciale – pure in
presenza di favorevoli opportunità di inserimento o di lavoro – per non perdere
dette provvidenze.
2.– Nel giudizio si è costituita la
Provincia autonoma di Bolzano, in persona del Presidente della Provincia pro
tempore, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque,
infondate. Con successiva memoria, depositata nell’imminenza dell’udienza
pubblica, la resistente ha riproposto e ulteriormente specificato le proprie
tesi.
2.1.– Secondo la Provincia, sarebbero
infondate, anzitutto, le doglianze del Presidente del Consiglio dei ministri
concernenti la composizione della Consulta provinciale per l’immigrazione (art.
6, commi 3, lettera c, e 6 della legge provinciale n. 12 del 2011).
Le disposizioni ora citate non
violerebbero l’art. 8, primo comma, numero 1), dello statuto speciale, in forza
del quale – come lo stesso ricorrente ricorda – la Provincia autonoma di
Bolzano è titolare di competenze legislative esclusive in materia di
«ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», ed è,
quindi, pienamente legittimata ad istituire un proprio organo ai fini
dell’integrazione sociale degli stranieri.
Quanto, poi, all’inclusione di un
componente statale nell’organismo, la scelta sarebbe giustificata dal fatto che
i compiti assegnati alla Consulta investono molteplici materie, rispetto alle
quali le disposizioni dello statuto prescrivono appositi meccanismi di
confronto tra organi statali e provinciali: così, ad esempio, gli artt. 21, 22,
87 e 88 dello statuto, quanto alle questioni di ordine pubblico; l’art. 15,
riguardo all’utilizzazione degli stanziamenti destinati a scopi assistenziali;
o l’art. 19, in merito alle questioni scolastiche.
La presenza di un rappresentante statale
risponderebbe, altresì, al principio di una leale ed effettiva collaborazione
tra Stato e Provincia, conformemente alle indicazioni delle sentenze n. 134 del 2004
e n. 30 del 2006
della Corte costituzionale, assicurando allo Stato un luogo di confronto e uno
strumento per l’esercizio delle proprie prerogative, nel rispetto del riparto
di competenze stabilite dalla Costituzione e dallo statuto di autonomia.
La disciplina censurata non lederebbe,
dunque, neppure l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., anche perché la
partecipazione del rappresentante dello Stato ai lavori della Consulta avrebbe
carattere meramente facoltativo, come si desumerebbe dall’assenza di correlate
previsioni a contenuto «sanzionatorio»: sicché, ove lo Stato non intenda
collaborare, potrebbe limitarsi a lasciare vacante il posto assegnatogli.
2.2.– Quanto all’art. 10, comma 2, della
legge censurata, la Provincia sarebbe legittimata a disciplinare, anche con
riferimento alla propria autonomia finanziaria (artt. 69 e seguenti dello
statuto speciale, nonché art. 119 Cost.), le prestazioni economiche di
assistenza e beneficenza da essa erogate e i relativi limiti, purché nel
rispetto dei livelli essenziali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost., la determinazione dei quali è affidata alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato.
La norma in esame sarebbe, pertanto,
pienamente legittima, attenendo a prestazioni assistenziali di natura economica
eccedenti quelle essenziali, come emergerebbe dal disposto del comma 4 dello
stesso art. 10, che fa espressamente salvi i livelli essenziali delle
prestazioni operanti su tutto il territorio nazionale.
La previsione di un periodo minimo di
cinque anni di residenza e dimora stabile nel territorio provinciale, quale
requisito per l’accesso alle prestazioni, non mirerebbe, d’altro canto, ad
escludere da tali prestazioni gli stranieri, ma ad introdurre un meccanismo di
accesso progressivo, imposto dalle esigenze di risparmio connesse alle misure
statali di contenimento della spesa pubblica, le quali avrebbero determinato
una continua diminuzione delle risorse disponibili. Ciò, peraltro, in linea con
quanto stabilito dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre
2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti
di lungo periodo, in forza della quale solo i soggiornanti di lungo periodo –
intendendosi per tali i cittadini di Paesi terzi che hanno soggiornato
legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio degli Stati
membri immediatamente prima della domanda (art. 4) – godono dello stesso
trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali
e l’assistenza e protezione sociale (art. 11, paragrafo 1, lettera d).
La disposizione censurata sarebbe,
pertanto, pienamente conforme al diritto dell’Unione europea e non violerebbe
né il citato art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., né i limiti della
potestà legislativa assegnata alla Provincia dall’art. 8, numero 25), in
riferimento all’art. 4 dello statuto.
Neppure potrebbe ritenersi violato
l’art. 3 Cost., non essendovi alcuna contraddizione tra il principio della
uguaglianza di interventi a parità di condizioni di bisogno, sancito dal comma
1 dell’art. 10 della legge provinciale, e l’individuazione di un presupposto
per l’accesso alle prestazioni. Il comma 2 dell’art. 10 è volto, infatti, unicamente
a prevedere criteri per l’attribuzione del beneficio, il quale, una volta
riconosciuto, è garantito, ai sensi del comma 1, conformemente al principio di
uguaglianza sostanziale e in modo del tutto svincolato dalla durata dello stato
di bisogno. A garantire la tenuta del sistema concorrerebbe, in ogni caso, la
clausola di salvaguardia di cui al comma 3 dell’articolo in esame, la quale –
consentendo di prevedere periodi inferiori di residenza e dimora con discipline
di settore al fine del soddisfacimento dei bisogni fondamentali – sarebbe in
grado di assicurare che l’intervento sia sempre proporzionato alla situazione
di bisogno e non si verifichino ipotesi di «scollamento» tra la ratio della disciplina e il suo contenuto prescrittivo.
2.3.– Per quel che concerne, poi, l’art.
12, comma 4, tale disposizione – emanata nell’esercizio della potestà
legislativa provinciale in materia di governo del territorio, di igiene e
sanità e di assistenza e beneficenza pubblica – non lederebbe affatto la
competenza legislativa esclusiva stabilita dall’art. 117, secondo comma,
lettera b), Cost.
Essa non disciplinerebbe, infatti,
alcuna «fattispecie di immigrazione», limitandosi a stabilire che le strutture
abitative destinate a ospitare la famiglia dello straniero «ricongiunta» devono
presentare i medesimi requisiti di salubrità e sicurezza richiesti per i
cittadini italiani (e di altri Stati membri dell’Unione europea) residenti sul
territorio provinciale e che la situazione economica dello straniero che
presenta la domanda deve raggiungere almeno la soglia individuata dalla
normativa provinciale in materia di assistenza come idonea a consentire il
soddisfacimento dei bisogni primari dell’individuo.
Del resto, l’art. 29, comma 3, del
d.lgs. n. 286 del 1998 già prevede la disponibilità di un reddito minimo annuo
e di un alloggio idoneo quali requisiti del ricongiungimento familiare: la
disposizione impugnata ne avrebbe operato solo la parificazione con quelli
richiesti ai residenti nel territorio provinciale.
2.4.– La competenza legislativa statale
esclusiva in materia di immigrazione non sarebbe lesa neanche dall’art. 13,
comma 3, della legge provinciale, il quale si limita a prevedere che la
Provincia promuova, sul proprio territorio, l’attuazione della direttiva
2005/71/CE «per quanto di sua competenza».
La direttiva 2005/71/CE, volta a
disciplinare le condizioni per l’ammissione dei ricercatori dei Paesi terzi
negli Stati membri, presenta, infatti, implicazioni anche con materie di
competenza provinciale legislativa esclusiva – quali l’assistenza e la
beneficenza pubblica, la formazione professionale e l’assistenza scolastica
(art. 8, numeri 25, 27 e 29 dello statuto) – e di competenza legislativa
concorrente – quali l’istruzione e la ricerca scientifica (art. 117, terzo comma,
Cost., applicabile anche alla Provincia autonoma di Bolzano ai sensi dell’art.
10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione»).
2.5.– Quanto, poi, alle censure relative
agli artt. 14, commi 3 e 5, e 16, commi 3 e 4, che prevedono il requisito della
residenza minima quinquennale per l’accesso dei cittadini extracomunitari alle
prestazioni assistenziali per la frequenza di scuole fuori provincia o
università, i vulnera costituzionali denunciati dal ricorrente non
sussisterebbero per le medesime ragioni evidenziate con riguardo alle censure
che investono l’analogo requisito previsto dall’art. 10, comma 2.
Le norme in questione risulterebbero,
d’altra parte, in linea con quanto previsto per i cittadini dell’Unione
europea, per i quali l’accesso alle predette provvidenze, ove frequentino
istituzioni scolastiche o formative professionali (art. 3, comma 1, della legge
provinciale n. 7 del 1974) o atenei (art. 2, comma 1, lettera c, della legge
provinciale n. 9 del 2004) situati al di fuori del territorio provinciale, è
consentito solo se siano in possesso del requisito della residenza in Provincia
di Bolzano.
Inoltre, l’ambito di applicazione delle
disposizioni censurate, limitato sempre e comunque a prestazioni non inferiori
ai livelli essenziali determinati dal legislatore statale, escluderebbe la
configurabilità di una lesione del diritto allo studio, garantito dall’art. 34
Cost., a meno che si voglia sostenere l’inadeguatezza delle prestazioni statali
in materia.
2.6.– Analoghe considerazioni varrebbero
in rapporto al requisito della residenza in Provincia di Bolzano per almeno un
anno, richiesto dall’art. 16, comma 2, per i cittadini dell’Unione europea che
intendano avere accesso alle sovvenzioni per la promozione e l’apprendimento
delle lingue straniere.
Che l’imposizione del requisito in
questione non sia irragionevole risulterebbe del resto «evidente proprio in
ragione della libertà di circolazione e di stabilimento che l’Ordinamento
riconosce ai cittadini comunitari, considerando che la presenza di un dato che
dimostri la presenza di un collegamento non occasionale del cittadino
comunitario con il territorio della Provincia di Bolzano è necessario ove si
tratti di ammettere il medesimo al godimento di benefici a contenuto
economico».
Né la fissazione in un anno del periodo
minimo di residenza contrasterebbe con l’art. 7 del d.lgs. n. 30 del 2007,
attuativo della direttiva 2004/38/CE, che si limiterebbe «a stabilire a quali
condizioni il cittadino dell’Unione europea ha diritto a soggiornare nel
territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi».
2.7.– Infine, la Provincia contesta
l’assunto del ricorrente, secondo cui le disposizioni impugnate che prescrivono
la residenza protratta per un determinato periodo di tempo come requisito di
accesso a prestazioni assistenziali violerebbero gli artt. 16 e 120 Cost.
Dette disposizioni garantiscono infatti,
per quanto detto, a tutti i cittadini, anche di Paesi terzi e di Paesi dell’Unione
europea, i livelli essenziali delle prestazioni sociali validi in tutto il
territorio nazionale, onde non si determinerebbe, nella Provincia di Bolzano,
alcuna situazione di discriminazione o di «"deterioramento” delle ordinarie
condizioni di accoglienza», tale da costituire una «barriera all’ingresso».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri propone questioni di legittimità costituzionale in via principale di
plurime disposizioni della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 ottobre
2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri).
2.– Il ricorrente censura, in primo
luogo, l’art. 6, comma 3, lettera c), della citata legge provinciale, che
include tra i componenti della «Consulta provinciale per l’immigrazione» –
istituita dal comma 1 dello stesso articolo – anche «una persona in veste di
rappresentante unico della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo
per la provincia di Bolzano»; nonché il successivo comma 6, nella parte in cui
prevede che detto rappresentante possa essere sostituito da una persona da esso
delegata.
2.1.– Ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, tali disposizioni, attribuendo unilateralmente funzioni
obbligatorie ad organi statali, violerebbero tanto l’art. 117, secondo comma,
lettera g), della Costituzione, che demanda alla competenza esclusiva dello
Stato la legislazione in materia di «ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»; quanto l’art. 8,
primo comma, numero 1), del d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), che limita la potestà legislativa
della Provincia di Bolzano in materia di organizzazione amministrativa al solo
«ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto».
2.2.– In riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera g), Cost., la questione è fondata.
La normativa impugnata dal Governo,
infatti, nell’inserire tra i membri dell’organo provinciale un rappresentante
della Questura di Bolzano e del Commissariato del Governo per la Provincia di
Bolzano, che partecipi ai lavori direttamente o per mezzo di un delegato,
configura − in forma autoritativa e unilaterale
− nuove e specifiche funzioni a carico di organi o amministrazioni dello
Stato, con conseguente compromissione del parametro invocato (sentenze n. 10 del 2008,
n. 30 del 2006
e n. 134 del
2004).
Né può valere in senso contrario la
circostanza, evidenziata dalla resistente, che la complessità e la delicatezza
delle problematiche legate al fenomeno della immigrazione, rispetto alle quali
la Consulta è chiamata a presentare proposte ed esprimere pareri alla Giunta
provinciale, rendano necessari meccanismi di confronto tra organi statali e
provinciali. Nella specie, le forme di coordinamento che la Provincia avrebbe
inteso realizzare, seppure auspicabili, non trovano «il loro fondamento o il
loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in
accordi tra gli enti interessati», come invece sarebbe necessario alla luce
della giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 30 del 2006
e n. 134 del
2004).
Neppure è conferente l’ulteriore rilievo
della resistente, relativo al fatto che la partecipazione del rappresentante
statale alle attività della Consulta non sarebbe obbligatoria, non essendo
previste conseguenze di tipo sanzionatorio per la sua assenza. Anche se così
fosse – malgrado la formulazione in termini imperativi dell’alinea del comma 3
dell’art. 6 della legge censurata – il rilievo evocherebbe comunque «un profilo
di mero fatto, il quale non incide sul nuovo compito comunque demandato agli
uffici coinvolti (designazione di un rappresentante cui riservare quelle
determinate funzioni) e sulle funzioni attribuite al rappresentante, che
evidentemente prescindono dal relativo concreto esercizio» (sentenza n. 30 del
2006).
Le disposizioni impugnate devono
pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime. Rimangono assorbite
le ulteriori censure.
3.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna, in secondo luogo, l’art. 10, comma 2, ove si prevede che, per
l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale aventi «natura economica», è
richiesto ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea «un periodo
minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia
di Bolzano»; nonché, quanto alla sua ultima parte, l’art. 1, comma 3, lettera
g), secondo periodo – al quale il citato art. 10, comma 2, si correla – ove si
stabilisce, in via generale, che per gli stranieri in questione «l’accesso alle
prestazioni, che vanno oltre le prestazioni essenziali, può essere condizionato
alla residenza, alla dimora stabile e alla relativa durata».
3.1.– Secondo il ricorrente, il
requisito della durata minima della residenza e dimora stabile, e in
particolare della durata quinquennale, violerebbe l’art. 3 Cost., tanto in
riferimento al principio di ragionevolezza che a quello di eguaglianza. Sotto
il primo profilo, in quanto detto criterio sarebbe contraddittorio rispetto
all’affermazione del comma 1 dello stesso art. 10, in forza della quale
l’erogazione delle prestazioni sociali agli stranieri con residenza e dimora
stabile sul territorio provinciale deve avvenire secondo il criterio dell’uguaglianza
degli interventi a parità di bisogno. Sotto il secondo, in quanto creerebbe
ingiustificate disparità di trattamento, non avendo il requisito in questione
alcun collegamento con lo stato di bisogno.
Le norme impugnate lederebbero, altresì,
gli artt. 8, numero 25), e 4 dello statuto, ponendosi in contrasto con i
principi fondamentali dell’assistenza pubblica fissati dall’art. 41 del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e
dall’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2001), che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle
prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini
italiani gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di
soggiorno di durata non inferiore a un anno.
Le medesime disposizioni violerebbero,
ancora, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto il requisito di
durata minima della residenza concorrerebbe a definire il livello essenziale
delle prestazioni sociali; nonché gli artt. 16 e 120 Cost., giacché detto
requisito si tradurrebbe in una «barriera all’ingresso» nel territorio
provinciale per gli stranieri residenti in diverse parti del territorio
nazionale e ivi fruenti di servizi di assistenza.
3.2.– Con riferimento all’art. 3 Cost.,
la questione è fondata.
In tema di accesso degli stranieri alle
prestazioni di assistenza sociale, questa Corte ha già avuto modo di affermare
che mentre la residenza (o, come nella specie, la «dimora stabile»)
costituisce, rispetto ad una provvidenza regionale (nella specie, provinciale),
«un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio» (sentenza n. 432 del
2005), non altrettanto può dirsi quanto alla residenza (o «dimora stabile»)
protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella
specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, non
risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto
«introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari», non
essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza e le
situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in
quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle provvidenze
in questione (sentenza
n. 40 del 2011). Infatti, non è evidentemente possibile presumere, in
termini assoluti, che gli stranieri immigrati nella Provincia da meno di cinque
anni, ma pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, versino in stato di
bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni.
Non rilevano, in senso contrario, le
circostanze – su cui pone l’accento la difesa della Provincia – che il
requisito in questione sia previsto in rapporto a prestazioni di natura
economica eccedenti quelle essenziali, e che la sua introduzione risponda ad
esigenze di risparmio, correlate al decremento delle disponibilità finanziarie
conseguente alle misure statali di contenimento della spesa pubblica. Tanto
l’una che l’altra circostanza non escludono, infatti, «che le scelte connesse
alla individuazione dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in
ragione della limitatezza delle risorse disponibili – debbano essere operate
sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza» (sentenze n. 40 del 2011
e n. 432 del
2005).
A maggior ragione ininfluente è la
possibilità, prefigurata dal comma 3 dell’art. 10, che disposizioni di settore
stabiliscano periodi di residenza e dimora stabile di durata inferiore al
quinquennio per l’erogazione di prestazioni volte al «soddisfacimento di
bisogni fondamentali», tenuto conto della «specifica finalità e natura» delle
prestazioni stesse. Il decremento settoriale (che non equivale a eliminazione)
del periodo minimo richiesto – peraltro meramente discrezionale – non rimuove
il vulnus, e anzi, come nota il ricorrente, è suscettibile di determinare
ulteriori irragionevoli discriminazioni.
Le disposizioni impugnate devono
pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime: integralmente,
quanto all’art. 10, comma 2; limitatamente alle parole «e alla sua durata», quanto
all’art. 1, comma 3, lettera g), secondo periodo.
In via consequenziale, va dichiarata,
altresì, l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 10, poco sopra
citato: la possibilità di deroga, ivi prevista, resta infatti priva di
significato una volta rimossa la disposizione del comma 2, cui essa si
riferisce.
Rimangono assorbite tutte le ulteriori
censure.
4.– Il Governo contesta, altresì, la
legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4, il quale stabilisce che «i
requisiti igienico-sanitari, quelli di idoneità abitativa degli alloggi, nonché
i requisiti inerenti al reddito minimo annuo richiesti, all’atto della domanda,
ai fini del ricongiungimento familiare delle cittadine e dei cittadini
stranieri di Stati non appartenenti all’Unione europea, sono quelli applicati
per le cittadine e i cittadini residenti nel territorio provinciale».
4.1.– A parere dell’Avvocatura dello
Stato, la norma censurata – regolando in via diretta le condizioni per il
ricongiungimento familiare degli stranieri – violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera b), Cost., che attribuisce alla competenza statale esclusiva la
legislazione in materia di immigrazione, nonché gli artt. 8, 9 e 10 dello
statuto, che non includono tale materia fra quelle nelle quali la Provincia di
Bolzano è abilitata a legiferare.
4.2.– In relazione all’art. 117, secondo
comma, lettera b), Cost., la questione è fondata.
In linea di principio, deve essere
riconosciuta la possibilità di interventi legislativi delle Regioni e delle
Province autonome con riguardo al fenomeno dell’immigrazione, del resto
previsti dallo stesso art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, ove si
stabilisce che le disposizioni contenute in tale testo unico costituiscono
principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost., nelle materie di competenza
legislativa delle Regioni, e norme fondamentali di riforma economico-sociale
della Repubblica, nelle materie di competenza delle Regioni a statuto speciale
e delle Province autonome (sentenza n. 300 del
2005).
La potestà legislativa delle Regioni e
delle Province autonome non può, tuttavia, riguardare aspetti che attengono
alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel
territorio nazionale – demandati in via esclusiva alla legislazione statale
dall’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost. – ma altri ambiti, quali, ad
esempio, il diritto allo studio o all’assistenza sociale, nei quali possa
esercitarsi la competenza legislativa delle stesse Regioni o Province autonome
(sentenze n. 299
e n. 134 del 2010,
n. 50 del 2008,
n. 156 del 2006).
Nella specie, non può dubitarsi che la determinazione dei requisiti per il
ricongiungimento familiare attenga alla disciplina del flusso migratorio degli
stranieri nel territorio nazionale. L’istituto del ricongiungimento consente,
infatti, che facciano regolarmente ingresso nel territorio dello Stato
ulteriori cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, oltre al
familiare già soggiornante. Esso trova compiuta disciplina nell’art. 29 del
d.lgs. n. 286 del 1998, che, tra l’altro, impone allo straniero richiedente di
dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti
igienico-sanitari e di idoneità abitativa accertati dai competenti uffici
comunali, e un reddito minimo annuo non inferiore all’importo annuo
dell’assegno sociale, aumentato secondo parametri specificamente indicati.
Legiferare specificamente su tali
requisiti, seppure solo per equipararli a quanto richiesto per gli altri
residenti nella Provincia di Bolzano, si risolve, pertanto, nel regolare
indebitamente un aspetto significativo del ricongiungimento, con conseguente
lesione del parametro invocato.
La disposizione impugnata deve essere
quindi dichiarata costituzionalmente illegittima. Rimangono assorbite le
ulteriori censure, riferite ai parametri statutari.
5.– È impugnato, ancora, l’art. 13,
comma 3, con riguardo alla disposizione del secondo periodo, in forza della
quale «la Provincia promuove, per quanto di sua competenza, l’attuazione sul
suo territorio della direttiva 2005/71/CE relativa alla procedura per
l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, la
relativa stipula di convenzioni di accoglienza e la conseguente parità di
trattamento».
5.1.– A parere del ricorrente, anche
tale disposizione sarebbe lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera b),
Cost., investendo materia attinente al fenomeno migratorio.
5.2.– La questione è fondata.
La direttiva 2005/71/CE disciplina «le
condizioni per l’ammissione dei ricercatori dei paesi terzi negli Stati membri per
una durata superiore a tre mesi al fine di svolgervi un progetto di ricerca
nell’ambito di una convenzione di accoglienza con un istituto di ricerca» (art.
l), e prevede, tra l’altro, che gli istituti di ricerca che desiderano
accogliere un ricercatore «devono essere preventivamente autorizzati a tal fine
dallo Stato membro interessato» (art. 5) e stipulare successivamente «con il
ricercatore una convenzione di accoglienza» (art. 6).
Lo Stato ha dato attuazione alla
direttiva con il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 17 (Attuazione della direttiva
2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione
di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica), il cui art. 1 ha
inserito nel titolo III del d.lgs. n. 286 del 1998, disciplinante l’ingresso
per motivi di lavoro, l’art. 27-ter, che, tra l’altro, consente l’immigrazione
temporanea di ricercatori qualificati, in sovrannumero rispetto alle quote
massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro
subordinato, previste dall’art. 3, comma 4, dello stesso decreto legislativo.
La normativa dell’Unione e dello Stato
prefigura, quindi, una particolare procedura di immigrazione, mediante rilascio
di uno speciale permesso di soggiorno riservato ai soli ricercatori scientifici
di Paesi terzi. La materia, con tutta evidenza, rientra nella politica, di
esclusiva competenza statale, di programmazione dei flussi.
Stante l’inesistenza in materia di
competenze legislative della Provincia di Bolzano, l’illegittimità
dell’intervento normativo attuato non è esclusa – come prospettato dalla
resistente – dalla clausola «per quanto di sua competenza», contenuta nella
disposizione impugnata.
Detta disposizione deve essere pertanto
dichiarata costituzionalmente illegittima.
6.– Il Presidente del Consiglio censura,
inoltre, i commi 3 e 5 dell’art. 14, che richiedono, per i cittadini di Paesi
non appartenenti all’Unione europea, un periodo minimo di cinque anni di
residenza ininterrotta nel territorio provinciale ai fini dell’accesso, rispettivamente,
alle «agevolazioni per la frequenza di una scuola fuori della provincia di
Bolzano», e alle «prestazioni di natura economica per il diritto allo studio
universitario». Sono impugnati, correlativamente, anche i commi 3 e 4 dell’art.
16, nella parte in cui – aggiungendo, rispettivamente, la lettera e) all’art.
3, comma 1, della legge provinciale 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza
scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio) e la lettera e)
all’art. 2, comma 1, della legge provinciale 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto
allo studio universitario) – includono tra gli aventi diritti alle provvidenze
considerate anche gli stranieri, ma solo se residenti nella Provincia da almeno
cinque anni.
6.1.– Secondo il ricorrente, sarebbero
ravvisabili, in rapporto a tali disposizioni, i medesimi profili di violazione
degli artt. 3, 16 e 120 Cost. evidenziati con riferimento all’art. 10, comma 2,
della legge provinciale, oltre che la violazione dell’art. 34 Cost., che
garantisce il diritto allo studio.
6.2.– In riferimento agli artt. 3 e 34
Cost., la questione è fondata.
L’art. 14 della legge provinciale, sotto
la rubrica «diritto allo studio», riconosce, al comma 2, «a tutti i cittadini
stranieri presenti sul territorio provinciale e iscritti in una scuola in
provincia di Bolzano l’accesso alle misure e alle agevolazioni dell’assistenza
scolastica previste dalla normativa di settore». Analogo accesso generalizzato
alle misure di assistenza è garantito dal comma 4 agli «studenti stranieri
residenti in provincia e iscritti all’università».
Nelle norme oggetto di impugnazione, per
quanto riguarda la frequenza di una scuola fuori della Provincia (comma 3) e le
«prestazioni di natura economica» di supporto agli studenti universitari (comma
5), l’accesso alle prestazioni è, tuttavia, condizionato, con riferimento ai
soli cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, al requisito della
residenza quinquennale ininterrotta nel territorio provinciale.
Analogamente a quanto disposto all’art.
10, comma 2, con generico riferimento alle prestazioni assistenziali di natura
economica, il legislatore provinciale ha dunque utilizzato il dato della
residenza qualificata per diversificare l’accesso degli stranieri alle
prestazioni eccedenti i limiti dell’essenziale destinate al sostegno allo
studio, sia scolastico che universitario.
Anche in questo caso, per le ragioni
precedentemente indicate, il criterio utilizzato contrasta con i principi di
ragionevolezza e di eguaglianza, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
Le misure di sostegno in questione
trovano, d’altro canto, il loro fondamento nell’art. 34 Cost., che, per
assicurare a tutti il diritto allo studio, sancisce che «i capaci e meritevoli,
anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi», prevedendo, altresì, che le borse di studio, gli assegni alle famiglie
e le altre provvidenze necessarie per rendere «effettivo questo diritto» siano
attribuite per concorso.
Se la necessità del concorso rende legittima
la previsione di forme di graduazione tra gli aventi diritto, esse devono
tuttavia sempre avere un nesso con il bisogno e la meritevolezza
dello studente: il che non può dirsi per la durata della residenza in
Provincia.
Le disposizioni impugnate devono essere,
dunque, dichiarate costituzionalmente illegittime: nella loro interezza, quanto
ai commi 3 e 5 dell’art. 14; limitatamente al riferimento alla durata
quinquennale della residenza, quanto alle disposizioni introdotte dai commi 3 e
4 dell’art. 16. Restano assorbite le ulteriori censure.
7.– Il Presidente del Consiglio
contesta, infine, la legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, della
legge provinciale n. 12 del 2011, che, sostituendo il comma 1 dell’art. 2 della
legge provinciale 13 marzo 1987, n. 5 (Incentivazione della conoscenza delle
lingue), prevede che i cittadini dell’Unione europea, che abbiano assolto
l’obbligo scolastico, possono usufruire delle sovvenzioni previste per
l’apprendimento delle lingue straniere solo se residenti ininterrottamente per
un anno nella Provincia di Bolzano.
7.1.– A parere del ricorrente, la
disposizione violerebbe il primo comma dell’art. 117 Cost., nella parte in cui
stabilisce che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario». In
assenza di analoga limitazione per i cittadini italiani, il requisito della
durata minima della residenza comporterebbe, infatti, un trattamento
differenziato per il cittadino dell’Unione europea, in contrasto con i principi
di non discriminazione e di libera circolazione delle persone all’interno
dell’Unione stessa (artt. 18 e 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea).
Sarebbero, inoltre, nuovamente violati
gli artt. 3, 16 e 120 Cost.
7.2.– In riferimento all’art. 3 Cost.,
la questione è fondata.
L’art. 16, comma 2, introduce solo per i
cittadini dell’Unione europea il requisito della residenza minima annuale nella
Provincia di Bolzano per ottenere le sovvenzioni per i corsi di apprendimento
delle lingue straniere.
Il canone di selezione previsto per
diversificare l’accesso alle prestazioni risulta, anche in questo caso,
incompatibile con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, dato che la
mera durata della residenza non può essere ritenuta una circostanza idonea a
differenziare in modo ragionevole le posizioni dei potenziali interessati alla
provvidenza in questione.
La disposizione impugnata deve pertanto
essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui esige il
requisito in discorso. Rimangono assorbite le ulteriori censure.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 3, lettera c), e 6,
limitatamente al riferimento alla lettera «c)», della legge della Provincia
autonoma di Bolzano 28 ottobre 2011, n. 12 (Integrazione delle cittadine e dei
cittadini stranieri);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, lettera g), secondo
periodo, limitatamente alle parole «e alla relativa durata», e dell’art. 10,
comma 2, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;
3) dichiara,
in applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 3, della legge prov.
Bolzano n. 12 del 2011;
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4, della legge prov.
Bolzano n. 12 del 2011;
5) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 3, secondo periodo,
della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011;
6) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 3 e 5, della legge prov.
Bolzano n. 12 del 2011;
7) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, lettera e), della
legge della Provincia autonoma di Bolzano 31 agosto 1974, n. 7 (Assistenza
scolastica. Provvidenze per assicurare il diritto allo studio), lettera
aggiunta dall’articolo 16, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 12 del 2011,
limitatamente alle parole «da almeno cinque anni»;
8) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera e), della
legge della Provincia autonoma di Bolzano 30 novembre 2004, n. 9 (Diritto allo
studio universitario), lettera aggiunta dall’articolo 16, comma 4, della legge
prov. Bolzano n. 12 del 2011, limitatamente alle parole «da cinque anni»;
9) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 13 marzo 1987, n. 5 (Incentivazione della
conoscenza delle lingue), come sostituito dall’articolo 16, comma 2, della
legge prov. Bolzano n. 12 del 2011, limitatamente alle parole
«ininterrottamente per un anno».
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2013.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio
2013.