ORDINANZA N. 161
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo GROSSI Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso nel procedimento vertente tra la M.G. srl e l’Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Campobasso, con ordinanza del 19 giugno 2014, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 giugno 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che, con ordinanza del 19 giugno 2014, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che gli effetti della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato cessino dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, e che tale sentenza − laddove pronunciata in merito all’impugnazione di atti di diniego − non sia provvisoriamente esecutiva;
che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere in ordine al ricorso proposto dalla M.G. srl al fine di ottenere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento, emesso dall’Agenzia delle entrate, di revoca dell’autorizzazione a effettuare operazioni intracomunitarie e di contestuale esclusione della medesima ricorrente dall’archivio V.I.E.S. (VAT information exchange system);
che, pur ravvisando i presupposti per l’accoglimento del ricorso, la Commissione tributaria ritiene che tale decisione «non consentirebbe di rendere giustizia alla ricorrente», poiché l’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che il potere di sospensione dell’atto impugnato cessi con la sentenza di primo grado; e d’altra parte, il successivo art. 68 del medesimo decreto non prevede che la stessa sentenza, ove pronunciata in merito all’impugnazione di atti di diniego, sia provvisoriamente esecutiva;
che, ad avviso del rimettente, tale qualificazione viene riconosciuta alle sole sentenze favorevoli all’ufficio impositore, nonché a quelle che sanciscono l’annullamento di un atto impositivo; viceversa, in caso di accoglimento del ricorso avverso atti di diniego, e quindi in presenza di una decisione favorevole al ricorrente, continuerebbero comunque a prodursi gli effetti sfavorevoli dell’atto impugnato;
che sarebbe illegittima la cessazione − a partire dalla sentenza di primo grado − del potere di sospensione dell’atto impugnato per tutti gli atti non impositivi, e in particolare per gli atti di diniego, poiché tale limitazione impedirebbe – anche in presenza di una pronuncia favorevole alla parte ricorrente – la caducazione degli effetti pregiudizievoli di un provvedimento illegittimo;
che le sentenze di condanna dell’ente impositore sarebbero eseguibili solo dopo il passaggio in giudicato, sia se obbligano l’amministrazione al pagamento di somme, sia se impongono un comportamento diverso; sarebbe infatti esclusa l’applicabilità del principio di immediata esecutività stabilito dall’art. 337 del codice di procedura civile, alla luce del principio generale sancito dall’art. 2909 del codice civile, in base al quale gli effetti della sentenza si producono quando si sia formato il giudicato formale;
che tale disciplina − che riconosce la provvisoria esecutorietà delle sole sentenze di primo grado dalle quali derivi un credito dell’erario – si porrebbe in violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra fisco e contribuente, «non potendo l’esecuzione della sentenza fare leva su un diverso tenore delle statuizioni in essa contenute, laddove il beneficiario delle stesse sia l’ente impositore oppure il contribuente; né d’altro canto tale irrazionale scelta del legislatore fiscale può essere giustificata da un eventuale diverso spessore dei contrapposti interessi che si fronteggiano in giudizio»;
che, d’altra parte, una diversa soluzione sarebbe possibile, ad avviso del giudice a quo, attraverso un’adeguata interpretazione letterale, logica e sistematica dell’art. 30, comma 1, lettera h), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e degli artt. 47 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, anche alla luce dei principi affermati dagli organi di giustizia della Unione europea;
che, in particolare, non sarebbero decisive − ai fini della limitazione del potere di sospensione al solo giudizio di primo grado − né l’indicazione, nella disposizione impugnata, della Commissione tributaria di primo grado (alla quale, per tale sospensiva, non potrebbe non rivolgersi il contribuente in quel grado del giudizio), né la previsione della cessazione degli effetti della sospensione dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, in quanto ciò si riferirebbe alla procedura cautelare nei limiti di quel grado del giudizio;
che, pertanto, tale interpretazione porterebbe ad escludere, ad avviso del giudice a quo, che il potere di sospensione sia normativamente limitato al giudizio di primo grado;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile;
che, in via preliminare, la difesa dello Stato ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice a quo, poiché la controversia oggetto del giudizio principale non avrebbe ad oggetto un tributo, come previsto dall’art. 2 del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, bensì la revoca di un’autorizzazione, inidonea ad incidere sul rapporto d’imposta; pertanto, a fronte dell’esercizio di tale potere dell’amministrazione, la posizione giuridica soggettiva della società ricorrente sarebbe qualificabile in termini di interesse legittimo (ovvero di diritto affievolito, che riceve la stessa tutela) e la Commissione tributaria avrebbe dovuto, pertanto, dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla controversia, in quanto rientrante nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo;
che sotto un diverso profilo, l’Avvocatura generale eccepisce l’inammissibilità della questione relativa all’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto nel caso in esame sarebbe già stata concessa la sospensione cautelare del provvedimento impugnato;
che parimenti inammissibile sarebbe anche la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale disciplina la fase successiva all’emanazione della sentenza e dunque non sarebbe rilevante ai fini della decisione che la Commissione tributaria deve adottare;
che, inoltre, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 sarebbe irrilevante poiché le censure attengono alla mancata previsione dell’immediata esecutorietà delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente; tuttavia, la controversia sottoposta all’esame della Commissione tributaria provinciale non avrebbe ad oggetto il rimborso di somme;
che con memoria depositata il 1° giugno 2015, l’Avvocatura generale dello Stato ha evidenziato che il recente decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), all’art. 22, ha abrogato l’art. 35, comma 7-ter, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), in base al quale era stato adottato il provvedimento impugnato; la difesa erariale ha quindi richiesto che gli atti siano restituiti al giudice a quo, affinché valuti la portata dello ius superveniens, potenzialmente idoneo a provocare una cessazione della materia del contendere nel giudizio principale, da cui potrebbe, in ipotesi, derivare l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale.
Considerato che, con ordinanza del 19 giugno 2014, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui tali disposizioni prevedono, rispettivamente, che gli effetti della sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato cessino dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, e che tale sentenza − laddove pronunciata in merito all’impugnazione di atti di diniego − non sia provvisoriamente esecutiva;
che, in via preliminare, va rilevata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto della motivazione in ordine al requisito della rilevanza, in quanto l’ordinanza di rimessione non contiene indicazioni sufficienti ad una completa ricostruzione dei termini della controversia, né a giustificare la necessità di fare applicazione delle disposizioni della cui legittimità costituzionale dubita;
che, in particolare, non sono state illustrate, neppure sommariamente, le ragioni della ritenuta fondatezza dei motivi di ricorso, nonostante tale valutazione avesse una priorità logica rispetto alla questione di legittimità costituzionale, la quale si riferisce ad una disposizione, l’art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, che presuppone che sia stata risolta in senso positivo la verifica della fondatezza di tali motivi;
che la preliminare valutazione della rilevanza, che è pur sempre rimessa al giudice a quo, nei limiti del carattere plausibile della motivazione a sostegno della stessa, avrebbe richiesto, quindi, la disamina dei motivi a corredo del ricorso, o almeno la delibazione della loro verosimile fondatezza, ancorché nei limiti della cognizione consentita in sede cautelare, in quanto essa integra il requisito del fumus boni iuris, la cui positiva sussistenza è una delle condizioni necessarie per l’esercizio del potere cautelare previsto dall’art. 47 censurato;
che il difetto di informazioni circa il contenuto dei motivi di impugnazione e di quelli a sostegno dell’istanza cautelare, nonché l’omessa indicazione delle ragioni della loro fondatezza, impedisce di valutare la necessità di fare applicazione della disposizione censurata;
che, sotto un diverso profilo, va rilevato che le disposizioni censurate contengono la disciplina degli effetti del provvedimento cautelare di sospensione (art. 47, comma 7) e della decisione che definisce il primo grado del giudizio (art. 68); entrambe hanno, quindi, come riferimento una fase processuale successiva alla decisione che definisce il giudizio di primo grado;
che tuttavia, nel caso in esame, il giudice tributario di primo grado è tenuto a pronunciarsi in ordine alla legittimità del provvedimento impugnato, e non già sugli effetti della futura decisione della controversia, che non è ancora stata pronunciata;
che con riferimento, sia alla cessazione degli effetti della sospensione dell’atto impugnato, sia ai limiti della provvisoria esecutività della sentenza, la censurata carenza di strumenti di tutela in chiave anticipatoria della futura decisione di merito attiene alle fasi del giudizio tributario successive alla conclusione del primo grado ed è in tali fasi che può essere denunciata;
che la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 appare, quindi, del tutto astratta ed ipotetica poiché prematura in tale fase processuale; essa risulta priva di rilevanza ai fini della decisione che il giudice a quo è chiamato a rendere, sia nel provvedere sull’istanza cautelare, sia nel definire il primo grado del giudizio;
che va, infine, rilevato che il giudice a quo, dopo avere richiamato i principi affermati in alcune pronunce degli organi di giustizia comunitari, deduce che sarebbe possibile un’adeguata interpretazione letterale, logica e sistematica dell’art. 30, comma 1, lettera h), della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e degli artt. 47 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; in base a tale interpretazione si potrebbe esclude che il potere di sospensione sia normativamente limitato al giudizio di primo grado;
che, nel richiedere la valutazione di tale opzione ermeneutica, il giudice a quo sottopone a questa Corte un mero dubbio interpretativo, sottraendosi così al proprio potere-dovere di interpretare la legge alla luce dei principî costituzionali;
che ciò evidenzia un uso «improprio e distorto» dell’incidente di costituzionalità, in quanto volto non «alla soluzione di un problema pregiudiziale rispetto alla definizione del thema decidendum del singolo giudizio a quo, quanto piuttosto al fine di tentare di ottenere dalla Corte un avallo interpretativo» (ordinanza n. 322 del 2013; nello stesso senso, ordinanze n. 96 del 2014; n. 126 e n. 26 del 2012; n. 139 del 2011 e n. 219 del 2010);
che, in definitiva, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo è manifestamente inammissibile, sia per l’incompleta descrizione della fattispecie concreta (ex multis, ordinanze n. 52 del 2014; n. 158 del 2013; n. 73 del 2011; n. 96 e n. 22 del 2010), sia perché prematura (ex multis, ordinanze n. 26 del 2012, n. 176 del 2011, n. 363 e n. 96 del 2010), sia perché richiede alla Corte un avallo interpretativo;
che la manifesta inammissibilità della questione non consente di esaminare nel merito la fondatezza delle censure formulate dal rimettente nell’atto introduttivo del presente giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2015.