SENTENZA N. 173
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 7, comma 2, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste del 15 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni per la semplificazione di procedure in materia sanitaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’8-11 luglio 2013, depositato in cancelleria il 10 luglio 2013 ed iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Valle d’Aosta;
udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato in data 8-11 luglio 2013 e depositato il successivo 10 luglio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in via principale gli artt. 5 e 7, comma 2, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 15 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni per la semplificazione di procedure in materia sanitaria).
Il ricorrente osserva che l’art. 5 (che abolisce le certificazioni del veterinario dell’Azienda sanitaria locale (ASL), competente in materia di movimentazione del bestiame ed elimina sia la vigilanza sanitaria dell’ASL sugli allevamenti sia l’obbligo di denuncia di malattia infettiva e diffusiva per alcune malattie degli animali) eccede dalle competenze legislative attribuite alla Regione dall’art. 3, primo comma, lettera l), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), in materia di «igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica», in quanto adotta misure che non sono di mera integrazione o attuazione della normativa statale di riferimento. Secondo l’Avvocatura dello Stato, infatti, la norma censurata interviene in particolare su disposizioni e misure stabilite dal d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320 (Regolamento di polizia veterinaria), e segnatamente sugli artt. 1, 2, 31, 41 e 42, che sono riconducibili alla materia della «profilassi internazionale», riservata alla legislazione statale esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione, al fine di assicurare un’indispensabile uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale (come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 72 del 2013, in cui si evidenzia il coinvolgimento in materia anche di profili riguardanti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, anch’essa riservata alla competenza legislativa dello Stato, in linea con quanto previsto in sede comunitaria e UE).
Quanto poi, all’art. 7, comma 2, della medesima legge regionale, esso prevede che «I vitelli di aziende ubicate nel territorio regionale nei quali l’allevamento è condotto con modalità diverse da quelle indicate al comma 1 possono essere stabulati indifferentemente sia alla posta fissa sia in gruppo». Il ricorrente ne denuncia il contrasto con i princípi fondamentali in materia di tutela della salute di cui al decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 126 (Attuazione della direttiva 2008/119/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli), il quale (nell’Allegato 1, punto 8), stabilisce che «I vitelli non debbono essere legati, ad eccezione di quelli stabulati in gruppo che possono essere legati per un periodo massimo di un’ora al momento della somministrazione di latte e succedanei del latte». Secondo la difesa dello Stato, la disposizione regionale «eccede dalle competenze legislative attribuite alla regione dall’art. 3, comma 1, lettera l), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) in materia di “igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica” – introducendo una norma che non si limita alla mera integrazione ed attuazione di Leggi della Repubblica – e viola altresì l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, derogando i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di tutela della salute».
2.− Si è costituita la Regione autonoma Valle d’Aosta, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, assumendo la prospettazione alternativa dei parametri statutari e costituzionali evocati, la mancanza di argomentazioni circa il rapporto in cui detti parametri si porrebbero, nonché l’errata e generica individuazione di essi.
Nel merito, la resistente deduce la non fondatezza delle censure. Essa, infatti, rileva di essere titolare (in virtù della clausola di favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2010, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione») della competenza in materia di «polizia veterinaria», che le consente di adottare norme di dettaglio in materia di «tutela della salute», oltre che di competenza primaria in materia di «agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna» e di competenza concorrente in materia di «igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica», rispettivamente ai sensi degli artt. 2, comma 1, lettera d), e 3, comma 1, lettera l), dello statuto speciale.
La Regione osserva, altresì, che l’intervento legislativo non si spinge oltre il confine del dettaglio, limitandosi a semplificare specifici adempimenti, in linea con le attuali posizioni scientifiche affermatesi nell’àmbito della prevenzione delle malattie degli animali. Da ciò rileva l’inconferenza del richiamo alla sentenza n. 72 del 2013, poiché le norme in oggetto si limitano alla mera abolizione (per avvertite esigenze di semplificazione) di adempimenti concernenti attività in assenza di malattie infettive e parassitarie diffusive e non contagiose per l’uomo.
Pur ritenendo che tali considerazioni siano di per sé sufficienti ad escludere la lesione degli evocati parametri, la resistente – con specifico riguardo a ciascuna delle singole disposizioni delle lettere da a) ad h) dell’art. 5 – deduce altresì che le scelte del legislatore regionale si pongono (nell’ottica della leale collaborazione, di cui assume la violazione attraverso la presente impugnativa) in linea con gli orientamenti emersi in materia a livello statale (che recepiscono le indicazioni emerse dal «Gruppo di lavoro per la semplificazione delle procedure relativamente alle autorizzazioni, alle certificazioni ed idoneità sanitarie», costituito con decreto del Ministro della salute del 13 ottobre 2004) e comunitario, che non prevedono l’obbligatorietà dei relativi adempimenti, ma il ricorso a «sperimentate, buone pratiche del caso», conformi ad affermazioni «scientificamente consolidate», che rendono gli adempimenti de quibus ormai superati.
Quanto all’art. 7, comma 2, esso è espressione della competenza legislativa primaria della Regione in materia di «zootecnia», ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera d), dello statuto speciale, e si giustifica in rapporto alla particolare realtà montana in cui si collocano gli allevamenti, come confermato dalla nota del Ministero della salute del 23 febbraio 2011, in cui appunto si rileva che, in tale contesto, «l’utilizzo della posta non influenza negativamente il benessere» dei vitelli di razza valdostana.
3.− In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria in cui – anche in risposta alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione resistente – vengono ribadite ed ulteriormente illustrate ragioni del ricorso, con particolare riferimento alla esatta individuazione dei parametri costituzionali posti alla base delle impugnazioni.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 5 e 7, comma 2, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 15 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni per la semplificazione di procedure in materia sanitaria). L’art. 5 abolisce le certificazioni del veterinario dell’Azienda sanitaria locale (ASL) competente in materia di movimentazione del bestiame ed eliminano sia la vigilanza sanitaria dell’ASL sugli allevamenti, sia l’obbligo di denuncia di malattia infettiva e diffusiva per alcune malattie degli animali. A sua volta, il comma 2 dell’art. 7 prevede specifiche modalità di stabulazione dei vitelli destinati alla macellazione.
2.− Preliminarmente, la difesa della Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, deducendo la prospettazione alternativa dei parametri statutari e costituzionali evocati, la carenza di argomentazioni in ordine al rapporto in cui detti parametri si porrebbero e l’errata e generica individuazione degli stessi.
2.1.− Le eccezioni non hanno fondamento.
2.2.− Quanto al primo profilo, va rilevato come (seppure in termini sintetici) il ricorrente abbia esplicitato adeguatamente le proprie censure.
L’Avvocatura, da un lato, deduce che la norma di cui all’art. 5 «eccede le competenze legislative attribuite alla regione dall’art. 3, primo comma, lettera l), dello Statuto speciale valdostano in materia di “igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica”, adottando norme che non sono di mera integrazione o attuazione della normativa statale di riferimento»; e precisa che «Essa interviene in particolare su disposizioni e misure stabilite dal Regolamento di Polizia veterinaria, d.P.R. n. 320 del 1954, e segnatamente sugli artt. 1, 2, 31, 41 e 42 di detto provvedimento, che sono riconducibili alla materia della “profilassi internazionale”, riservata alla legislazione statale esclusiva dall’art. 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione, proprio al fine di assicurare un’indispensabile uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale».
Dall’altro lato (analogamente), essa ritiene che l’art. 7, comma 2, «eccede dalle competenze legislative attribuite alla regione dall’art. 3, comma 1, lettera l), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) in materia di “igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica” – introducendo una norma che non si limita alla mera integrazione ed attuazione di Leggi della Repubblica – e viola altresì l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, derogando i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di tutela della salute».
Siffatte argomentazioni rendono agevolmente comprensibile come il ricorrente lamenti, contestualmente, la violazione (per eccesso) delle competenze legislative attribuite alla Regione dallo statuto speciale e, conseguentemente, dell’assetto competenziale attribuito allo Stato (rispettivamente in via esclusiva e concorrente) dalle norme costituzionali. Non si evidenzia, dunque, alcuna contraddizione nel fatto di citare congiuntamente (senza irrisolte alternatività) sia le specifiche disposizioni statutarie che il ricorrente assume vulnerate, che le disposizioni contenute nell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost. Tale modalità espositiva è, infatti, tesa a porre in evidenza, per entrambe le norme censurate, la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della (inequivoca) richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale delle medesime (sentenze n. 254 e n. 101 del 2010). Sicché, deve ritenersi congruamente chiarito come il ricorrente intenda attribuire (a ciascuna delle norme) altrettanti profili di incostituzionalità, rispetto ai quali il richiamo (oltre che alle norme dello statuto speciale) anche alle disposizioni contenute nella Costituzione trova giustificazione nella considerazione secondo cui lo sconfinamento dai limiti statutari della potestà legislativa regionale deriva (per l’art. 5) dalla affermazione della esclusività e (per l’art. 7, comma 2) della concorrenzialità (quanto all’attribuzione del potere di fissazione dei princípi fondamentali) della competenza statale nelle materie de quibus (sentenze n. 288 e n. 187 del 2013).
2.3.− Da quanto appena esposto si trae la infondatezza anche della collegata altra eccezione di inammissibilità del ricorso (derivante, in tesi, dalla carenza di argomentazioni in ordine al rapporto in cui i menzionati parametri si porrebbero tra loro), in quanto, come visto, la prospettazione delle questioni deve ritenersi operata in maniera congiunta e conseguenziale. La qual cosa permette di cogliere agevolmente quale sia il dedotto rapporto di (in)compatibilità tra le norme censurate ed i parametri (statutari o costituzionali) evocati (da ultimo, sentenze n. 39 e n. 11 del 2014).
2.4.− Infine, altrettanto infondata è l’eccezione di inammissibilità, che (a dire della Regione) deriverebbe dalla pretesa errata individuazione degli evocati parametri, giacché semmai siffatti vizi di motivazione (ove effettivamente configurabili) ridonderebbero quale motivi di rigetto nel merito della relativa questione.
3.− La questione riguardante l’art. 5 è fondata.
3.1.− La norma (sotto la rubrica «Determinazioni in materia di polizia veterinaria») sancisce quanto segue: «1. Sono aboliti gli obblighi e gli adempimenti in materia di polizia veterinaria di seguito elencati: a) visita veterinaria prima del trasferimento di suini nei macelli e negli allevamenti della Regione; b) obbligo di domanda per il trasferimento del bestiame nei pascoli estivi per motivi d’alpeggio di cui all’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320 (Regolamento di polizia veterinaria); c) visita veterinaria per il rilascio della certificazione di cui all’articolo 42 del D.P.R. 320/1954 per i trasferimenti nell’ambito della Regione; d) obbligo di vigilanza annuale in allevamenti bovini e ovi-caprini per encefalopatia spongiforme trasmissibile in assenza di sospetto; e) obbligo di vigilanza nelle manifestazioni zootecniche in assenza di restrizioni per malattie infettive; f) obbligo di visita veterinaria domiciliare sui bovini e gli ovi-caprini deceduti in assenza di denuncia di malattia infettiva e diffusiva dei medesimi e nel caso in cui i suddetti animali siano trasferiti presso uno stabilimento di transito riconosciuto ai sensi del regolamento (CE) n. 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale); g) nulla osta per la macellazione ad uso familiare nelle macellazioni a favore del privato, eseguite nei macelli riconosciuti; h) obbligo di denuncia di malattia infettiva e diffusiva degli animali ai sensi dell’articolo 1 del D.P.R. 320/1954, per le seguenti malattie: 1) influenza dei bovini dovuta ad adenovirus, reovirus, parainfluenza 3, malattia delle mucose virale bovina, rinotracheite infettiva bovina e vulvovaginite pustolosa infettiva; 2) distornatosi dei ruminanti; 3) strongilosi polmonare ed intestinale dei ruminanti; 4) rogna degli equini, dei bovini, dei bufalini, degli ovini e dei caprini; 5) ipodermosi bovina; 6) peste europea e varroasi delle api».
Come affermato dal ricorrente, la norma (nel contesto di un intervento legislativo regionale recante «Disposizioni per la semplificazione di procedure in materia sanitaria»), «provvede a depennare una serie di adempimenti in materia di polizia veterinaria […] abolendo le certificazioni del veterinario dell’ASL competente in materia di movimentazione del bestiame ed eliminando sia la vigilanza sanitaria dell’ASL sugli allevamenti sia l’obbligo di denuncia di malattia infettiva e diffusiva per alcune malattie degli animali».
3.2.− Nella sentenza n. 72 del 2013 (riguardante altra normativa regionale, impugnata nella parte in cui sopprimeva nei fatti la certificazione del veterinario della ASL competente in materia di movimentazione del bestiame, sostituendola con una autocertificazione), questa Corte – richiamate le precedenti sentenze n. 12 del 2004 e n. 406 del 2005, anch’esse in tema di cautele imposte, nella specie, per evitare la diffusione ed il contagio della febbre catarrale dei ruminanti e degli ovini – ha nuovamente ricondotto la disciplina dei controlli veterinari sul bestiame di allevamento nell’àmbito della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «profilassi internazionale», coinvolgente anche i profili riguardanti la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», anch’essa riservata alla competenza legislativa dello Stato. Ed ha rimarcato che «Appare […] fin troppo evidente che la normativa statale che prevede il controllo sanitario della ASL competente sul bestiame in transito […] è destinata ad assicurare, anche in relazione al profilo delle procedure (ad esempio in tema di programmi di prevenzione o di controllo e vigilanza), oltre che a quello strettamente sanzionatorio, una indispensabile uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale, secondo livelli minimi di tutela che necessitano, proprio per le esigenze della profilassi, di una ineludibile omogeneità di criteri e parametri di valutazione»; rammentando in pari tempo che, «in tale quadro di riferimento […], spetta alla competenza del Ministero della salute la cura dei rapporti con l’Organizzazione mondiale della sanità e con altre Agenzie ONU anche per l’attuazione di convenzioni e di programmi sanitari internazionali».
3.3.− Risulta del tutto evidente che anche l’impugnato art. 5 (nell’abolire le predette certificazioni veterinarie, eliminando la relativa vigilanza sanitaria e l’obbligo di denuncia di malattia infettiva e diffusiva per alcune malattie degli animali) abbia l’immediato effetto di limitare (o addirittura di escludere) i necessari controlli (anche periodici) finalizzati a prevenire l’insorgere di sempre possibili epidemie ed epizoozie, mediante la tempestiva individuazione (che si attua proprio attraverso la prevenzione e l’accertamento) e la relativa denuncia delle malattie infettive e diffusive del bestiame, così ponendo a rischio la complessiva opera di profilassi anche a livello europeo.
Pertanto, non può convenirsi con la tesi difensiva secondo la quale il legislatore regionale non avrebbe posto in essere altro che un intervento legislativo diretto a soddisfare avvertite esigenze di mera semplificazione amministrativa, e come tale inidoneo a superare il confine della disciplina di dettaglio, limitandosi a semplificare alcuni adempimenti, in linea con le attuali posizioni scientifiche affermatesi con riferimento specifico alla prevenzione delle malattie degli animali. Al contrario, nel derogare espressamente alla normativa statale di tutela (non solo alle richiamate disposizioni del d.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, recante «Regolamento di polizia veterinaria», ma anche a quelle di cui al R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, recante «Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie» ed al decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 196, recante «Attuazione della direttiva 97/12/CE che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa ai problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina»), esso ha invaso l’àmbito di competenza esclusiva dello Stato in materia di «profilassi internazionale». Competenza questa che, peraltro, oltre a garantire la unitarietà di disciplina sull’intero territorio nazionale, si svolge in coerenza con quanto previsto in sede comunitaria ed eurounitaria (direttiva 21 novembre 1989, n. 89/608/CEE, recante «Direttiva del Consiglio relativa alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle legislazioni veterinaria e zootecnica»; nonché direttiva 17 marzo 1997, n. 97/12/CE, recante «Direttiva del Consiglio che modifica e aggiorna la direttiva 64/432/CEE relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina»).
3.4.− L’affermazione della competenza esclusiva dello Stato a legiferare in materia rende del tutto superfluo l’esame dei motivi che hanno determinato l’intervento legislativo de quo, che secondo la Regione (in un’ottica di leale collaborazione) si porrebbero in linea con gli orientamenti emersi in materia sia a livello statale (in coerenza con le indicazioni emerse dal «Gruppo di lavoro per la semplificazione delle procedure relativamente alle autorizzazioni, alle certificazioni ed idoneità sanitarie», costituito con decreto del Ministro della salute del 13 ottobre 2004), sia eurounitario (che non prevedrebbero l’obbligatorietà dei relativi adempimenti), ovvero di fatto si conformerebbero a «sperimentate, buone pratiche del caso», conformi a prassi «scientificamente consolidate». Queste renderebbero gli adempimenti de quibus ormai superati.
Quanto, poi, alla contestata violazione della leale collaborazione, derivante (per la Regione) dalla avvenuta impugnazione della norma da parte del Presidente del Consiglio (nonostante gli esiti raggiunti dal predetto Gruppo di lavoro), va sottolineato che – ove anche si desse a tale doglianza valenza riconvenzionale e non già mero contenuto di argomentazione difensiva – varrebbe il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il principio di leale collaborazione non opera rispetto a materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato (sentenze n. 273 del 2013 e n. 297 del 2012).
3.5.– Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Valle d’Aosta n. 13 del 2013.
4. − Viceversa, la questione relativa al comma 2 dell’art. 7 non è fondata.
4.1.− La norma regionale prevede che «I vitelli di aziende ubicate nel territorio regionale nei quali l’allevamento è condotto con modalità diverse da quelle indicate al comma 1 [mediante la detenzione del bovino dalla nascita alla macellazione in un luogo chiuso senza possibilità di godere in nessuna fase della loro vita di spazi di libertà da pascolamento] possono essere stabulati indifferentemente sia alla posta fissa sia in gruppo». Secondo il ricorrente, la norma – che dispone in modo diverso rispetto a quanto sancito dal punto 8 dell’Allegato 1 al decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 126, recante «Attuazione della direttiva 2008/119/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli», in base al quale «I vitelli non debbono essere legati, ad eccezione di quelli stabulati in gruppo che possono essere legati per un periodo massimo di un’ora al momento della somministrazione di latte e succedanei del latte» – eccederebbe anch’essa la competenza regionale di cui all’art. 3, primo comma, lettera l), dello statuto speciale, in materia di «igiene sanità, assistenza ospedaliera e profilattica», in quanto introdurrebbe una norma che non si limita alla mera integrazione ed attuazione di leggi della Repubblica; e si porrebbe conseguentemente in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, derogando i princípi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di «tutela della salute».
4.2.− A contestazione della tesi di parte ricorrente, la Regione resistente regionale ha dedotto la riconducibilità della impugnata normativa, riguardante le modalità di stabulazione dei vitelli, alla materia «zootecnia», attribuita dall’art. 2, primo comma, lettera d), dello statuto di autonomia (insieme alla «agricoltura e foreste» ed alla «flora e fauna») alla propria competenza legislativa primaria.
In merito, va rilevato che questa Corte ha chiarito che «il significato corrente del termine “zootecnia” richiama indubbiamente l’attività diretta all’allevamento e allo sfruttamento degli animali “produttivi”, cioè idonei a fornire all’uomo un’utilità di natura economica»; e che «ciò è confermato dal rilievo che l’attività zootecnica è stata sempre considerata, proprio in tema di riparto di competenze tra Stato e regioni, come inscindibile dalla materia dell’“agricoltura”, ed anzi come un settore, un aspetto particolare di questa» (sentenza n. 123 del 1992). Ed ha, viceversa, ritenuto che al paradigma della «tutela della salute», materia ascrivibile alla competenza concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., sono riconducibili gli obiettivi di tutela igienico-sanitaria e di sicurezza veterinaria (sentenza n. 222 del 2003).
Orbene, nella specie, si evidenzia agevolmente la finalità “produttiva” sottesa alla regolamentazione delle condizioni di stabulazione dei vitelli nelle aziende di allevamento per la macellazione, che la norma regionale modula, nel dettaglio, in rapporto alla peculiare «realtà allevatoriale» della Valle d’Aosta (riconosciuta dal parere del Ministero della salute, del 23 febbraio 2011, in cui si sottolinea «che i vitelli di razza valdostana esigono una gestione che deve essere consona alla loro particolare nevrilità e che l’utilizzo della “posta” non influenza negativamente il benessere di questi animali»).
D’altronde, il fine economico-produttivo della disciplina dell’allevamento e della protezione dei vitelli è anche espressamente riconosciuto nei punti 4 e 6 del Considerando della stessa direttiva n. 2008/119/CE (Direttiva del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli), in cui si evidenzia rispettivamente che: «L’allevamento di vitelli costituisce parte integrante dell’agricoltura. Esso rappresenta una fonte di reddito per una parte della popolazione agricola» (punto 4); e che «È quindi indispensabile stabilire le norme minime comuni per la protezione dei vitelli d’allevamento e da ingrasso allo scopo di garantire un razionale sviluppo della produzione» (punto 6).
4.3.− La riconducibilità della disciplina in oggetto alla materia «zootecnia», appartenente alla competenza legislativa regionale primaria – di cui non viene in alcun modo contestato l’esercizio nei limiti previsti dal primo comma dell’art. 2 dello statuto speciale – porta dunque al rigetto della impugnazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 15 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni per la semplificazione di procedure in materia sanitaria);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della medesima legge della Regione autonoma Valle d’Aosta n. 13 del 2013, proposta – in riferimento all’art. 3, primo comma, lettera l), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) ed all’art. 117, terzo comma, della Costituzione – dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2014.