ORDINANZA N. 176
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001 n. 17 (Legge sui masi chiusi), promosso dal Tribunale ordinario di Bolzano, sezione distaccata di Brunico, nel procedimento vertente tra O.M. e B. R. ed altri, con ordinanza dell’8 novembre 2012, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento della Provincia autonoma di Bolzano;
udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio tra coeredi, promosso per far valere il diritto della ricorrente (o di un resistente in riconvenzionale) di assunzione di un maso chiuso e di determinazione del prezzo di assunzione (essendo stata, tra l’altro, eccepita dalle altre resistenti l’improponibilità o l’inammissibilità della domanda, trattandosi di maso chiuso asseritamente già sciolto), il Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Bolzano, sezione distaccata di Brunico, con ordinanza emessa l’8 novembre 2012, ha sollevato, in riferimento gli articoli 3, 24, 42 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), «nella parte in cui non ammette più – una volta introdotto il procedimento per l’assunzione del maso chiuso e per la determinazione del prezzo di assunzione – il ricorso alla commissione dei masi chiusi per chiedere lo scioglimento del maso chiuso o non ammette che siffatta decisione spetti al Giudice investito del procedimento d’assunzione»;
che il rimettente premette che, contrariamente a quanto eccepito, il maso chiuso in oggetto, all’atto della introduzione del giudizio a quo, risulta ancora iscritto come tale nel libro tavolare e rientra, pertanto, nel campo di applicazione della citata legge provinciale n. 17 del 2001, giacché l’efficacia del provvedimento con cui la Commissione provinciale dei masi chiusi aveva acconsentito al suo scioglimento (con delibera n. 1894 del 9 marzo 2009), alla condizione (non verificatasi) dell’aggregazione di una parte di esso a un diverso maso chiuso, si era estinta per non uso da parte dei richiedenti (ai sensi dell’art. 48 della medesima legge provinciale) «poco dopo il deposito in cancelleria della domanda di assunzione e di determinazione del prezzo di assunzione»;
che, ciò premesso in via di fatto, il Tribunale – rilevato che dalla esperita CTU «risulta evidente nel caso concreto che i fondi ancora utilizzati per fini agricoli […] economicamente pesano poco in proporzione all’azienda alberghiera» facente parte del maso chiuso – osserva che lo scioglimento del maso chiuso e l’obbligo della aggregazione dei fondi agricoli di questo con altri masi chiusi rientra nella discrezionalità amministrativa spettante alle locali commissioni e, in sede di ricorso, alla Commissione provinciale; e che pertanto deve escludersi una competenza autonoma e aggiuntiva dell’autorità giudiziaria ordinaria in relazione allo scioglimento, anche qualora nel procedimento di assunzione e di determinazione del relativo prezzo risultasse evidente la mancanza in concreto dei presupposti di idoneità per la permanenza della costituzione del maso chiuso;
che, pertanto, «qualora la pubblica Amministrazione procedesse allo scioglimento con determinazione definitiva nel corso del procedimento, ne conseguirebbe il rigetto delle domande d’assunzione […] per il venir meno dell’oggetto del contendere», in quanto la procedura di assunzione presuppone l’esistenza del maso chiuso (che a sua volta giustifica l’indivisibilità e la prestazione di un conguaglio non corrispondente al valore di mercato agli eredi non assuntori e di privilegio per l’assuntore), dovendosi seguire, in caso contrario, le regole ordinarie della divisione ereditaria (non richiesta da alcuna delle parti, ma) che potrebbe essere azionata in un futuro giudizio, in cui il valore delle singole quote di comproprietà aumenterebbe in senso sostanziale, venendo in considerazione il valore di mercato;
che il rimettente – rilevato che l’istituto del maso chiuso (di competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano, ex art. 8, numero 8, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante «Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige») trova la sua giustificazione economica e sociale (rispetto ai normali rapporti privatistici) nel fatto che con esso si ostacola lo smembramento dei fondi agricoli attraverso la successione ereditaria, «favorendo l’appartenenza sociale della compagine familiare all’esistenza economica dell’azienda agricola» – afferma che, accertata con determinazione della pubblica amministrazione (seppure divenuta successivamente inefficace) l’inesistenza dei presupposti della costituzione di un maso chiuso, l’autorità giudiziaria ordinaria, successivamente adíta, «non può sostituirsi con una sentenza a una competenza (di scioglimento) riservata alla Pubblica Amministrazione»;
che, pertanto – ritenuto che la norma impugnata non possa essere interpretata nel senso del riconoscimento all’autorità giudiziaria ordinaria della facoltà, in caso di mancanza dei presupposti oggettivi della costituzione in maso chiuso, di pronunciarne con sentenza lo scioglimento – essa si porrebbe in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., per ingiustificata disparità di trattamento, «all’interno della stessa categoria dei titolari del medesimo diritto (coeredi di un maso chiuso), tra coloro che sono parti di un procedimento ordinario d’assunzione e determinazione del prezzo d’assunzione e coloro che non sono ancora parti di un siffatto procedimento giudiziale»; nonché per «contrasto con l’indipendenza della determinazione amministrativa e il principio della disapplicazione della determinazione amministrativa illegittima da parte dell’AGO», in quanto la possibilità di uno dei coeredi di fare valere il suo interesse legittimo (allo scioglimento) viene fatta dipendere «dalla rapidità (o lentezza) con cui gli altri coeredi, in particolare il potenziale assuntore, facciano valere il loro diritto» davanti al giudice; b) con l’art. 24 Cost., poiché «condiziona la possibilità di far valere questo interesse legittimo alla pendenza, o meno, di un procedimento giudiziale d’assunzione impedendo, quindi, la facoltà di fare valere tale interesse una volta introdotto da chicchessia un procedimento giudiziale»; e perché «pone la decadenza dalla facoltà di presentare la richiesta in sede amministrativa al di fuori dall’ambito del controllo dell’interessato, non ancorando l’esperibilità dell’iniziativa a un termine fisso […], ma condizionandola all’iniziativa altrui del deposito del ricorso d’assunzione dinanzi all’AGO»; c) con l’art. 42 Cost., in quanto – venuti meno i presupposti della costituzione del bene in maso chiuso e non sussistendo più le giustificazioni delle eccezioni alla disciplina generale del diritto ereditario – «se la possibilità di avanzare la richiesta di scioglimento dipende esclusivamente dalla pendenza, o meno, di un giudizio di assunzione, paiono indirettamente sacrificati il diritto del coerede o quantomeno il valore delle quote dei coeredi non assuntori»; d) con l’art. 97 Cost., giacché l’adozione di una determinazione amministrativa nel caso di specie dipende unicamente dal fatto che una delle parti coinvolte introduca il giudizio di assunzione, privando la P.A. di una competenza propria in ordine all’accertamento della persistenza o meno dei requisiti del maso chiuso; laddove la determinazione amministrativa influisce sul processo solo nel caso di scioglimento del maso e non anche in caso di rigetto della relativa domanda;
che è intervenuta la Provincia autonoma di Bolzano, concludendo per l’inammissibilità e/o l’infondatezza della sollevata questione;
che la Provincia sottolinea di avere introdotto un vero e proprio ordinamento della materia, riguardante gli aspetti sostanziali e processuali, nel cui ámbito la logica sottesa alla norma censurata è quella secondo la quale, sino a quando l’autorità giudiziaria non abbia stabilito chi sia il legittimo assuntore, l’autorità amministrativa non possa pregiudicare tale accertamento;
che (eccepita la ipoteticità della questione) la Provincia osserva, d’altra parte, che il giudice ordinario non potrebbe sostituirsi all’autorità amministrativa e procedere, in assenza di domanda e senza i prescritti pareri delle competenti commissioni, allo scioglimento del maso chiuso; e che, dunque, la limitazione del potere amministrativo durante il giudizio di assunzione risponde all’esigenza di efficienza amministrativa;
che, con riferimento ai parametri evocati ed alle argomentazioni svolte a sostegno delle censure, la Provincia sottolinea che: a) rispetto all’asserita disparità di trattamento tra coeredi di un maso chiuso che siano o no parti di un procedimento giudiziale di assunzione, il differente trattamento corrisponde a due differenti situazioni, ove in un caso il coerede abbia invocato l’autorità giudiziaria e, nell’altro caso, ove nessuno dei coeredi l’abbia fatto; b) quanto alla lesione dell’art. 24 Cost., da un lato, l’impossibilità dello scioglimento del maso in pendenza del giudizio d’assunzione è giustificata dalla finalità di conservare e tutelare il maso chiuso di fronte alle speculazioni dei singoli, e, dall’altro lato, la mancata previsione di un termine di decadenza dalla facoltà di presentare richiesta in sede amministrativa, costituisce una scelta del legislatore non irrazionale, poiché colui che presenta la domanda giudiziale ha un evidente interesse all’assunzione del maso; c) l’art. 42 Cost. non esclude che il legislatore possa prevedere condizioni e limiti, non incongrui e non irragionevoli, al libero godimento della proprietà privata, purché siano preordinati alla tutela di interessi e di altre esigenze sociali parimenti oggetto di protezione costituzionale; d) il favor per il mantenimento del maso chiuso è ragione più che sufficiente per stabilire un divieto temporaneo, fino alla decisione del giudizio di assunzione, del potere decisionale amministrativo su una eventuale domanda di scioglimento, senza che ciò comporti un vulnus al principio di buon andamento della pubblica amministrazione in materia di usi civici.
Considerato che la prospettata questione di legittimità costituzionale presenta diversi profili di inammissibilità;
che il Giudice rimettente (chiamato a pronunciarsi in un giudizio tra coeredi, promosso per far valere il diritto di assunzione di un maso chiuso e di determinazione del prezzo di assunzione) solleva questione di legittimità costituzionale, per violazione degli articoli 3, 24, 42 e 97 della Costituzione, dell’articolo 13, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), secondo il quale «Le domande concernenti lo scioglimento del maso o modifiche alla consistenza del maso non possono più essere presentate dopo la notifica del decreto con il quale il o la giudice, nella procedura per la determinazione dell’assuntore o dell’assuntrice e del prezzo di assunzione del maso, fissa l’udienza di discussione»;
che la norma è censurata «nella parte in cui non ammette più – una volta introdotto il procedimento per l’assunzione del maso chiuso e per la determinazione del prezzo di assunzione – il ricorso alla commissione dei masi chiusi per chiedere lo scioglimento del maso chiuso o non ammette che siffatta decisione spetti al Giudice investito del procedimento d’assunzione»;
che, in particolare, il rimettente – a fronte delle eccezioni mosse dalle parti resistenti, che (tra l’altro) deducono l’improponibilità o inammissibilità della domanda di assunzione, in ragione dell’asserito precedente scioglimento del maso chiuso, pronunciato dalla competente Commissione provinciale – deduce, viceversa, la perdurante esistenza del maso chiuso all’atto della introduzione del giudizio a quo, in ragione del fatto che l’efficacia della richiamata deliberazione n. 1894 del 9 marzo 2009 (con la quale la competente Commissione provinciale aveva acconsentito allo scioglimento, condizionandone l’operatività alla aggregazione di una parte di esso ad un diverso maso chiuso), «non essendosi fatto alcun uso del provvedimento di scioglimento da parte degli originari richiedenti […], si è estinta dopo due anni ai sensi dell’art. 48 comma 1 ultima parte della Legge Provinciale n. 17/2001, quindi poco dopo il deposito in cancelleria della domanda d’assunzione e di determinazione del prezzo d’assunzione»;
che, peraltro, il giudice a quo sostiene, in termini di rilevanza della questione che, «qualora la pubblica Amministrazione procedesse allo scioglimento con determinazione definitiva nel corso del procedimento, ne conseguirebbe il rigetto delle domande d’assunzione […] per il venir meno dell’oggetto del contendere»; e ciò in quanto la procedura di assunzione presuppone l’esistenza del maso chiuso (che a sua volta giustifica l’indivisibilità e la prestazione di un conguaglio non corrispondente al valore di mercato agli eredi non assuntori e di privilegio per l’assuntore), dovendosi seguire, in caso contrario, le regole ordinarie della divisione ereditaria (non richiesta da alcuna delle parti, ma) che potrebbe essere azionata in un futuro giudizio, in cui il valore delle singole quote di comproprietà aumenterebbe in senso sostanziale, venendo in considerazione il valore di mercato;
che, tuttavia, dalla prospettazione in fatto contenuta nell’ordinanza di rimessione, non risulta in alcun modo che, nella pendenza del giudizio a quo (del quale non è dato conoscere la data di proposizione), sia stata avanzata dalle parti (davanti alla competente Commissione ovvero allo stesso giudice) alcuna ulteriore domanda di scioglimento del maso chiuso in contestazione, emergendo viceversa (come anche affermato dal rimettente) che l’unica domanda di scioglimento fosse appunto quella presentata (e accolta condizionatamente, per poi perdere efficacia) prima dell’inizio del giudizio medesimo;
che, dunque, dalla ricostruzione in fatto contenuta nell’ordinanza di rimessione, non si evidenzia in alcun modo che il giudice a quo sia stato chiamato ad applicare la norma censurata (condizione richiesta, invece, dalle sentenze n. 257 e n. 223 del 2012; ordinanza n. 315 del 2012), emergendo viceversa il carattere ipotetico (secondo la definizione data dall’ordinanza n. 26 del 2012) del richiesto scrutinio di costituzionalità, la cui pregiudizialità (e incidenza) rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio risulta allo stato non configurabile, in quanto espressamente condizionata da una ulteriore futura e del tutto eventuale pronuncia di scioglimento del maso chiuso, al momento non richiesta da alcuno;
che altro profilo di inammissibilità della sollevata questione deriva, per tabulas, dal contenuto ancipite del petitum proposto dal rimettente (in base al principio enunciato dalle sentenze n. 328 del 2011 e n. 355 del 2010; ordinanza n. 265 del 2011), che richiede, ad un tempo, due diversi interventi additivi sul testo della norma censurata, evidentemente frutto di due percorsi interpretativi opposti e di un non sciolto dubbio interpretativo, senza che sia dato comprendere se le due ipotesi siano poste tra loro in un rapporto di irrisolta alternatività o di subordinazione;
che, inoltre, la richiesta di affidare la decisione circa lo scioglimento del maso, oltre che alla pubblica amministrazione, anche (o in sostituzione) al giudice investito del procedimento d’assunzione, rende altresì perplessa (oltre che contraddittoria) la motivazione sulla rilevanza, là dove il rimettente sottolinea come la norma impugnata non possa essere interpretata nel senso del riconoscimento all’autorità giudiziaria ordinaria della facoltà, in caso di mancanza dei presupposti oggettivi della costituzione in maso chiuso, di pronunciarne con sentenza lo scioglimento;
che, infine, l’intervento richiesto a questa Corte appare, all’evidenza, caratterizzato da un corposo tasso di manipolatività e creatività (sentenza n. 252 del 2012 e ordinanze n. 304, n. 255 e n. 240 del 2012), peraltro diretto a modificare un istituto processuale, la cui conformazione è riservata alla ampia discrezionalità del legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza (come da ultimo affermato dalle ordinanze n. 240 e n. 174 del 2012);
che, in particolare, va sottolineato che la richiesta del rimettente – la quale trae evidentemente giustificazione dalla asserita preminenza (ovvero pregiudizialità), rispetto alla domanda in sede giurisdizionale di assunzione del maso chiuso, dell’accertamento amministrativo dello scioglimento del medesimo bene, anche se proposta in pendenza di giudizio – rispecchia una concezione eminentemente “soggettivistica” e “privatistica” del maso chiuso, diretta a tutelare i diritti che i singoli possono vantare sui beni facenti parte di esso piuttosto che il mantenimento dei beni in unità economico-sociale tendenzialmente inscindibile;
che, viceversa, questa Corte (a partire dalla sentenza n. 4 del 1956 per arrivare alle più recenti sentenze n. 173 del 2010, n. 405 del 2006) ha ripetutamente giustificato la legittimità del regime (derogatorio di quello civilistico) dettato dalla Provincia autonoma di Bolzano in materia di masi chiusi (di sua competenza legislativa primaria, ai sensi dell’art. 8, numero 8, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante lo «Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»), proprio in ragione del carattere funzionale di questo regime «alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità» (sentenza n. 405 del 2006);
che, pertanto, la ratio giustificatrice della regolamentazione speciale in questione – avente natura «sostanzialmente pubblicistica» (sentenza n. 35 del 1972) – trascende (ovvero non si connota esclusivamente per) la tutela del singolo proprietario e della sua compagine familiare, configurandosi eminentemente quale strumento approntato a garanzia della conservazione dell’istituto in quanto tale, come si è venuto ad evolvere nei secoli, nella specifica realtà territoriale ed economica alto-atesina, dominata da condizioni agronomiche poco felici;
che, appunto, l’intero corpus normativo dettato dalla legge provinciale n. 17 del 2001 risulta teleologicamente connotato dalla predisposizione di mezzi idonei a soddisfare l’esigenza (di interesse pubblico) di conservazione del maso, che rappresenta ancora un attuale strumento di protezione dell’agricoltura nel territorio montano, anche rispetto ad eventuali tentazioni speculative che possano portare di fatto allo svilimento dell’istituto;
che, tra gli altri, anche il momento della divisione della comunione ereditaria – che si fonda sul principio secondo cui «Nella divisione del patrimonio ereditario il maso chiuso, comprese le pertinenze, va considerato unità indivisibile e non può essere assegnato che ad un unico erede o legatario oppure ad un’unica erede o legataria» (art. 11 legge provinciale n. 17 del 2001) – trova nella domanda di assunzione il mezzo capace di evitare la parcellizzazione del bene;
che l’auspicata possibilità di proposizione in sede amministrativa delle domande di scioglimento o modifiche alla consistenza del maso chiuso anche in pendenza del giudizio di assunzione (a prescindere dallo stravolgimento del sistema di preminente tutela di conservazione del maso chiuso, che costituisce ratio e fine della disciplina provinciale in materia) necessiterebbe evidentemente di una rimodulazione del rapporto tra le due contrapposte domande che, per le sue implicazioni di sistema, spetterebbe alla discrezionalità del legislatore;
che, quindi, il petitum richiesto non si configura affatto (non foss’altro che per il suo carattere alternativo) come soluzione costituzionalmente imposta, quantomeno in considerazione della variegata configurabilità delle possibili ricadute di ciascuna delle invocate additive sulla disciplina de qua;
che, per tutte le ragioni esposte, la sollevata questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 42 e 97 della Costituzione, dal Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Bolzano, sezione distaccata di Brunico, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2013.