Sentenza n. 257 del 2012

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SENTENZA N. 257

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

- Franco                         GALLO                                              Giudice

- Luigi                            MAZZELLA                                            ”

- Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

- Sabino                         CASSESE                                                ”

- Giuseppe                     TESAURO                                               ”

- Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

- Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

- Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

- Paolo                           GROSSI                                                   ”

- Giorgio                        LATTANZI                                              ”

- Aldo                            CAROSI                                                   ”

- Marta                           CARTABIA                                             ”

- Sergio                          MATTARELLA                                       ”

- Mario Rosario              MORELLI                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 64, comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Modena nel procedimento vertente tra G.G. e l’INPS, con ordinanza del 27 settembre 2011, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto in fatto

1.— Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 27 settembre 2011 (r.o. n. 98 del 2012) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 64, comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 della Costituzione «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici autonome e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che abbiano adottato un minore, prevedono l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».

1.1.— Il rimettente espone che, con ricorso depositato nel giudizio principale, la ricorrente G.G., lavoratrice autonoma, iscritta alla gestione separata – premesso che aveva ottenuto l’affidamento preadottivo del minore K.A., nato il 15 ottobre 2000, con decorrenza 8 aprile 2008, data di ingresso del bambino in Italia, e che aveva ottenuto dall’Istituto nazionale per la previdenza sociale (d’ora in avanti, INPS), a seguito di domanda presentata in data 11 giugno 2008, l’indennità di maternità nella misura di euro 6.415,71, pari a tre mensilità, calcolate sul reddito dichiarato nel periodo di riferimento – ha chiesto l’accertamento del proprio diritto a percepire l’indennità di maternità per adozione internazionale pari a cinque mensilità e la condanna dell’INPS al pagamento delle residue due mensilità, oltre interessi legali.

Il giudice a quo riporta, preliminarmente, il contenuto degli artt. 66, 67, 68 del d.lgs. n. 151 del 2001, concernenti l’indennità di maternità per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole, in caso di gravidanza e in caso di adozione o affidamento.

In particolare, ai sensi del citato art. 66: «1. Alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, e alle imprenditrici agricole a titolo principale, è corrisposta una indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto calcolata ai sensi dell’articolo 68».

L’art. 68, comma 2, stabilisce: «Alle lavoratrici autonome, artigiane ed esercenti attività commerciali è corrisposta, per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi alla stessa data effettiva del parto, una indennità giornaliera pari all’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall’articolo 1 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al secondo comma del medesimo articolo 1».

L’art. 67, concernente le modalità di erogazione dell’indennità, al comma 2, dispone: «In caso di adozione o di affidamento, l’indennità di maternità di cui all’articolo 66 spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che questo non abbia superato i sei anni di età, secondo quanto previsto all’articolo 26, o i 18 anni di età, secondo quanto previsto all’articolo 27».

Il rimettente precisa che, con successivi interventi legislativi, è stata estesa alle lavoratrici iscritte alla gestione separata la tutela relativa alla maternità, già prevista per le lavoratrici dipendenti.

In proposito, richiama l’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), che ha elevato il contributo alla gestione separata dovuto dalle persone non iscritte ad altre forme obbligatorie, tra l’altro, «per il finanziamento dell’onere derivante dall’estensione agli stessi della tutela relativa alla maternità, agli assegni al nucleo familiare e alla malattia in caso di degenza ospedaliera».

Con l’art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), il legislatore ha, poi, stabilito che «La disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si interpreta nel senso che l’estensione ivi prevista della tutela relativa alla maternità e agli assegni al nucleo familiare avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente».

Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 2 (recte: 4) aprile 2002, si è stabilito che «a decorrere dal 1° gennaio 1998, alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto ed i tre mesi successivi alla data stessa».

In caso di adozione o affidamento la suddetta indennità è corrisposta per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso, nella famiglia della lavoratrice, del bambino che, al momento dell’adozione o dell’affidamento, non abbia superato i sei anni di età.

In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale, disciplinati dal Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), e successive modificazioni, l’indennità di cui all’art. 1 spetta, per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia della lavoratrice del minore, anche se quest’ultimo, al momento dell’adozione o dell’affidamento, abbia superato i sei anni e fino al compimento della maggiore età.

Il rimettente riporta, poi, con riferimento alle lavoratrici iscritte alla gestione separata, il dettato dell’art. 64 del d.lgs. n. 151 del 2001, come modificato dall’art. 5 del decreto legislativo 23 aprile 2003, n. 115 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, recante Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) e dall’art. 1, comma 83, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nei termini seguenti: «1. In materia di tutela della maternità, alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, si applicano le disposizioni di cui al comma 16 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni. 2. Ai sensi del comma 12 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternità prevista dalla disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente. A tal fine, si applica il d.m. del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è disciplinata l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22 nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito contributivo, da determinare con il medesimo decreto».

Il Tribunale richiama anche l’art. 5 del decreto ministeriale 12 luglio 2007, ai sensi del quale: «1. Alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata, tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è corrisposta un’indennità di maternità per i periodi di astensione obbligatoria previsti dall’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L’indennità è corrisposta anche per i periodi di divieto anticipato di adibizione al lavoro e per i periodi di interdizione dal lavoro autorizzati ai sensi dell’art. 17 del predetto decreto legislativo n. 151 del 2001. 2. L'indennità di cui al comma 1 spetta alle lavoratrici in favore delle quali, nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile, risultino attribuite almeno tre mensilità della contribuzione dovuta alla gestione separata, maggiorata delle aliquote di cui all’art. 7. 3. L'indennità è corrisposta nella misura prevista dall’art. 4 del decreto 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2002, n. 136, e secondo le modalità ivi previste, previa attestazione di effettiva astensione dal lavoro da parte del lavoratore e del committente e resa nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà».

Il giudice a quo precisa come il trattamento di maternità per le lavoratrici dipendenti sia disciplinato, in caso di gravidanza, dagli artt. 16 e seguenti del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in caso di adozioni e affidamenti, dall’art. 26 del medesimo decreto legislativo.

Riporta, poi, il contenuto del citato art. 26 – nella versione ante sostituzione ai sensi dell’art. 2, comma 452, della legge n. 244 del 2007 – secondo cui «1. Il congedo di maternità di cui alla lettera c), comma 1, dell’articolo 16 può essere richiesto dalla lavoratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto in affidamento un bambino di età non superiore a sei anni all’atto dell’adozione o dell’affidamento. 2. Il congedo deve essere fruito durante i primi tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia della lavoratrice».

Il Tribunale sottolinea come, sulla base dei dati normativi riportati, il trattamento di maternità per le lavoratrici dipendenti, autonome o iscritte alla gestione separata, in caso di adozione o affidamento, avesse contenuto identico.

Richiama, poi, l’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001, come sostituito dall’art. 2, comma 452 della legge n. 244 del 2007, nel seguente tenore: «1. Il congedo di maternità come regolato dal presente Capo spetta, per un periodo massimo di cinque mesi, anche alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. 2. In caso di adozione nazionale, il congedo deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. 3. In caso di adozione internazionale, il congedo può essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva. Ferma restando la durata complessiva del congedo, questo può essere fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. 4. La lavoratrice che, per il periodo di permanenza all’estero di cui al comma 3, non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può fruire di un congedo non retribuito, senza diritto ad indennità. 5. L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione certifica la durata del periodo di permanenza all’estero della lavoratrice».

Il rimettente osserva come, alla luce delle modifiche normative riportate, mentre per le lavoratrici dipendenti, siano esse madri biologiche o adottive, è prevista una identica tutela per la maternità che comprende congedo e relativa indennità per cinque mesi, per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla gestione separata la tutela assume contenuti diversi a seconda che si tratti di madri biologiche o adottive, in quanto per le prime l’indennità ha una durata di cinque mesi e per le seconde è limitata ai tre mesi successivi all’ingresso del minore nella famiglia.

1.2.— Il giudice a quo esclude che sia possibile l’interpretazione degli artt. 67 e 64 del d.lgs. n. 151 del 2001 in senso conforme ai principi costituzionali.

In particolare, a suo avviso, il citato art. 67 del d.lgs. n. 151 del 2001 opera un rinvio ricettizio all’art. 26 del medesimo decreto legislativo, in quanto la norma rinviante ripete all’interno del proprio corpo il contenuto della disciplina della norma richiamata, come era nella formulazione originaria e ciò renderebbe insensibile la disciplina di cui all’art. 67 rispetto alle modifiche apportate all’art. 26.

Il rimettente ritiene, altresì, che l’art. 64 del d.lgs. n. 151 del 2001 non consenta una interpretazione estensiva della tutela per la maternità in favore delle lavoratrici iscritte alla gestione separata che siano genitori adottivi.

Al riguardo, pone in evidenza come l’art. 64 realizzi l’estensione alle lavoratrici autonome della tutela della maternità nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente, attraverso il mero rinvio alle previsioni del decreto ministeriale del 4 aprile 2002 e di un ulteriore decreto destinato a disciplinare «l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22 nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito contributivo, da determinare con il medesimo decreto», poi emanato il 12 luglio 2007.

Il detto art. 64 rinvia in modo specifico alle disposizioni dei decreti ministeriali che dettano una disciplina dettagliata, prevedendo un regime diverso di tutela per le lavoratrici autonome ed iscritte alla gestione separata a seconda che si tratti di madri biologiche o adottive.

In particolare, mentre il d.m. 4 aprile 2002 pone agli artt. 1 e 2 una espressa disciplina differenziata, quello del 12 luglio 2007 fa esclusivo riferimento alle lavoratrici che siano genitori naturali, in quanto richiama, ai fini dell’indennità, le previsioni degli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 151 del 2001, riferite ai periodi di astensione obbligatoria prima e dopo il parto e alla interdizione dal lavoro.

1.3.— In punto di rilevanza, il rimettente osserva che, dall’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale, discenderebbe l’applicazione alla ricorrente della disciplina prevista per le madri biologiche lavoratrici autonome e iscritte alla gestione separata con conseguente diritto a percepire l’indennità di maternità per cinque mesi.

1.4.— Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale degli artt. 67, comma 2, e 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, e 37 Cost.

In primo luogo, le norme censurate risulterebbero in contrasto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio di uguaglianza e parità di trattamento che del principio di ragionevolezza.

Il Tribunale sottolinea come il sistema normativo a tutela della maternità abbia subíto, nel nostro ordinamento, una lunga evoluzione che ha progressivamente valorizzato l’uguaglianza tra i coniugi, nelle varie categorie di lavoratori, nonché tra genitori biologici ed adottivi.

Evidenzia, poi, come, nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale (sentenze nn. 61 e 341 del 1991, nn. 276, 332 e 972 del 1988 e n. 1 del 1987), pur permanendo la coscienza della funzione sociale della maternità, si sia sempre più dato rilievo al prevalente interesse del bambino, elevandosi la posizione di quest’ultimo, quale autonomo titolare di interessi da salvaguardare «non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità» (sentenze n. 104 del 2003 e n. 179 del 1993).

Il giudice a quo pone in rilievo come, mentre nell’ambito del lavoro dipendente il legislatore, attraverso la riformulazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001, ha istituito una completa e piena equiparazione tra madri biologiche e adottive – prevedendo che il congedo di maternità, regolato dagli artt. 16 e seguenti, con il relativo trattamento economico, spetti in entrambi i casi per un periodo massimo di cinque mesi – nell’ambito del lavoro autonomo tale equiparazione non è stata realizzata permanendo un regime differenziato tra madri biologiche e adottive, per cui le prime godono del trattamento di maternità per cinque mesi e le seconde per i tre mesi successivi all’ingresso del bambino in famiglia.

Ad avviso del giudice a quo, tale disciplina determina una duplice disparità di trattamento, nell’ambito del lavoro autonomo, tra madri biologiche e adottive e, nella categoria dei genitori adottivi, a seconda che si tratti di lavoratrici dipendenti o autonome.

In particolare, si sottolinea come, tra le lavoratrici autonome, il legislatore tratti in modo deteriore le madri adottive rispetto a quelle biologiche, concedendo alle seconde un’indennità di maternità per la durata di cinque mesi e alle prime per soli tre mesi.

Inoltre, si rileva come, con riguardo alla categoria dei genitori adottivi, il legislatore tratti in modo deteriore le lavoratrici autonome rispetto a quelle dipendenti, concedendo alle prime l’indennità di maternità per soli tre mesi e alle seconde per cinque mesi, in entrambi i casi a decorrere dall’ingresso del minore in famiglia.

Ad avviso del rimettente, il diverso trattamento ai danni delle madri adottive risulta anche irragionevole, in quanto queste ultime, siano esse lavoratrici dipendenti o autonome, hanno le stesse esigenze in ordine all’inserimento in famiglia del bambino adottato ed in quanto la disparità non può trovare giustificazione nelle differenze esistenti tra lavoro autonomo e dipendente, posto che tali differenze non riguardano il diritto delle madri di assistere il bambino; e, infatti, esse non rilevano ai fini del trattamento della maternità per le madri naturali.

Il Tribunale assume, altresì, il contrasto delle norme censurate con gli artt. 31, secondo comma, e 37 Cost., in quanto realizzano un sistema di protezione della maternità non adeguato in relazione alla categoria delle madri lavoratrici autonome che abbiano adottato un bambino.

Su queste basi argomentative è sollevata la questione di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale degli articoli 64, comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione,

Il rimettente denuncia gli artt. 67, comma 2, e 64, comma 2, «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici autonome e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che abbiano adottato un minore, prevedono l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».

Il giudice a quo è investito di un giudizio proposto da una lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata, che, avendo avuto l’affidamento preadottivo internazionale di un minore e avendo ottenuto dall’INPS l’indennità di maternità pari a tre mensilità, ha chiesto l’accertamento del proprio diritto a riscuotere l’indennità di maternità per cinque mensilità e la condanna dell’INPS al pagamento delle residue due mensilità, oltre interessi legali.

Ad avviso del rimettente, le norme censurate violerebbero, in primo luogo, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento.

Infatti, per le lavoratrici dipendenti il legislatore, attraverso la riformulazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2001 (sostituito dall’art. 2, comma 452, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008»), avrebbe istituito una piena equiparazione tra madri biologiche e adottive, prevedendo che il congedo di maternità, regolato dagli artt. 16 e seguenti, con il relativo trattamento economico, spetti in entrambi i casi per un periodo massimo di cinque mesi. Invece, per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla gestione separata, tale equiparazione non sarebbe stata realizzata, permanendo un regime differenziato tra madri biologiche e adottive, per cui le prime godono del trattamento di maternità per cinque mesi e le seconde per i tre mesi successivi all’ingresso del bambino in famiglia, con conseguente duplice disparità di trattamento, nell’ambito del lavoro autonomo, tra madri biologiche e adottive e, nella categoria dei genitori adottivi, tra lavoratrici dipendenti e autonome.

Il rimettente assume, inoltre, il contrasto con gli artt. 31, secondo comma, e 37 Cost. in quanto le norme denunciate realizzerebbero un sistema di protezione della maternità non adeguato in relazione alla categoria delle madri lavoratrici autonome che abbiano adottato un bambino.

2.― La questione avente ad oggetto l’art. 67, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151 è inammissibile.

La norma censurata così dispone: «In caso di adozione o di affidamento, l’indennità di maternità di cui all'articolo 66 spetta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino nella famiglia a condizione che questo non abbia superato i sei anni di età, secondo quanto previsto all’articolo 26, o i 18 anni di età, secondo quanto previsto all'articolo 27».

Detta norma, collocata nel Capo XI – Lavoratrici autonome – del d.lgs. n. 151 del 2001, disciplina le modalità di erogazione della indennità di maternità, in caso di adozione o di affidamento (preadottivo) nazionale e internazionale, con riguardo alla categoria delle lavoratrici autonome ed imprenditrici agricole.

Nella fattispecie in esame si tratta di una lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico obbligatorio e complementare), rientrante nella previsione della specifica normativa stabilita dall’art. 64 del citato decreto legislativo, disposizione destinata, per l’appunto, a regolare la posizione delle lavoratrici iscritte alla detta gestione separata.

Pertanto, il rimettente non deve fare applicazione del censurato art. 67, comma 2, in ordine al quale, del resto, non si rinviene nell’ordinanza una specifica motivazione diretta a spiegare le ragioni della sua evocazione.

Ne deriva che la questione, proposta con riferimento alla norma da ultimo citata, deve essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza (ex plurimis: ordinanze nn. 143, 181 e 195 del 2011).

3.― La questione avente ad oggetto l’art. 64, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151 è fondata.

Il comma 1 di detta norma stabilisce che «In materia di tutela della maternità, alle lavoratrici di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritte ad altre forme obbligatorie, si applicano le disposizioni di cui al comma 16 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni» (si tratta di norma recante disposizioni in materia di previdenza, assistenza, solidarietà sociale e sanità, con particolare riguardo ai profili contributivi).

Il comma 2 aggiunge che «Ai sensi del comma 12 dell’articolo 80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la tutela della maternità prevista dalla disposizione di cui al comma 16, quarto periodo, dell’art. 59 della legge 27 novembre 1997, n. 449, avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente. A tal fine, si applica il d.m 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è disciplinata l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 7, 17 e 22 nei limiti delle risorse rinvenienti dallo specifico gettito contributivo da determinare con il medesimo decreto».

Il citato d.m. 4 aprile 2002, nell’art. 2, sotto la rubrica «Indennità in caso di adozione o affidamento», al comma 2 dispone che: «In caso di adozione o affidamento preadottivo internazionale, disciplinati dal titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, l’indennità di cui all’art. 1 spetta, per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso nella famiglia della lavoratrice del minore, anche se quest’ultimo, al momento dell’adozione o dell’affidamento, abbia superato i sei anni e fino al compimento della maggiore età. L’Ente autorizzato, che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione, certifica la data di ingresso del minore e l’avvio presso il tribunale italiano delle procedure di conferma della validità dell’adozione o di riconoscimento dell’affidamento preadottivo».

L’art. 1 del detto d.m., richiamato nella disposizione ora trascritta, riguarda l’indennità di maternità spettante alle madri lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).

Come si vede, dal combinato disposto della normativa ora richiamata – e, in particolare, dall’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, e successive modificazioni, in modo espresso integrato dal d.m. 4 aprile 2002 – risulta che, in caso di affidamento preadottivo internazionale (come nella specie), l’indennità di maternità alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 spetta per i tre mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nelle famiglie delle lavoratrici stesse.

Invece, per le lavoratrici dipendenti il congedo di maternità (durante il quale è dovuta la relativa indennità: art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2001 e successive modificazioni) spetta per un periodo di cinque mesi (artt. 16 e seguenti del citato decreto legislativo) e per analogo periodo è riconosciuto anche alle lavoratrici che abbiano adottato un minore, sia in caso di adozione nazionale sia in caso di adozione internazionale (art. 26, commi 1, 2, 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, come sostituito dall’art. 2, comma 452, della legge n. 244 del 2007).

Va notato che l’art. 26 non menziona l’affidamento preadottivo (artt. da 22 a 24 della legge n. 184 del 1983 per l’adozione nazionale e artt. da 29 a 39 della medesima legge per l’adozione internazionale), come faceva, invece, espressamente l’art. 27 del d.lgs. n. 151 del 2001, norma abrogata dall’art. 2, comma 453, della legge n. 244 del 2007; invece prevede (art. 26, comma 6) il caso dell’affidamento non preadottivo (art. 2 della legge n. 184 del 1983), per il quale stabilisce una durata massima del congedo in mesi tre.

Tuttavia, si deve escludere che il mancato richiamo dell’affidamento preadottivo sia conseguenza di una scelta del legislatore (per effetto della quale, peraltro, tale forma di affidamento resterebbe priva di copertura legislativa nella materia in esame), dovendosi piuttosto ritenere che la sua stretta inerenza al provvedimento di adozione (come si evince anche dagli artt. 34, primo comma, 39, primo comma, lettera h, della legge n. 184 del 1983 per l’adozione internazionale) imponga di considerare implicito nella disciplina delle forme di adozione (nazionale e internazionale) anche il richiamo all’affidamento preadottivo. Lo stesso INPS, con circolare del 4 febbraio 2008, n. 16, ha precisato, che, analogamente a quanto previsto in caso di adozione nazionale, la lavoratrice dipendente che adotta un minore straniero ha diritto all’astensione dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi a prescindere dall’età del minore all’atto dell’adozione e che le relative istruzioni si applicano anche laddove, al momento dell’ingresso del minore in Italia, lo stesso si trovi in affidamento preadottivo (art. 35, quarto comma, della legge n. 184 del 1983).

Ciò posto si deve osservare che, come questa Corte ha già affermato, gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati anche alla garanzia del preminente interesse del minore, che va tutelato non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo, collegate allo sviluppo della sua personalità (sentenze n. 385 del 2005 e n. 179 del 1993).

Tale principio è tanto più presente nelle ipotesi di affidamento preadottivo e di adozione, nelle quali l’astensione dal lavoro non è finalizzata solo alla tutela della salute della madre, ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino (sentenza n. 385 del 2005), creando le condizioni di una più intensa presenza degli adottanti, cui spetta (tra l’altro) la responsabilità di gestire la delicata fase dell’ingresso del minore nella sua nuova famiglia.

In questo quadro, non si giustifica, ed appare anzi manifestamente irragionevole, che, con riferimento alla stessa categoria dei genitori adottivi, mentre alle lavoratrici dipendenti, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, spetta un congedo di maternità (con relativa indennità) per un periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione (o affidamento preadottivo) nazionale che internazionale (art. 26, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 151 del 2001), alle lavoratrici iscritte alla gestione separata sia riconosciuta un’indennità di maternità per soli tre mesi. L’irragionevolezza di tale trattamento differenziato è palese, ove si consideri che, in entrambi i casi, si verte in tema di adozione o di affidamento preadottivo.

È vero che tra lavoratrici dipendenti e lavoratrici iscritte alla gestione separata sussistono differenze che rendono le due categorie non omogenee. Nella questione in esame però vengono in rilievo non già tali diversità, bensì la necessità di adeguata assistenza per il minore nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo ingresso nella famiglia stessa, e tale necessità si presenta con connotati identici per entrambe le categorie di lavoratrici.

Ne deriva che la discriminazione sopra riscontrata si rivela anche lesiva del principio di parità di trattamento tra le due figure di lavoratrici sopra indicate che, con riguardo ai rapporti con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonché alle esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l’identità del bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza.

Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, come integrato dal richiamo al d.m. 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi.

Ogni altro profilo rimane assorbito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), come integrato dal richiamo al decreto ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 67, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, sollevata dal Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2012.