Sentenza n. 179 del 1993

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SENTENZA N. 179

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1992 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Longo Adriano contro la s.p.a. Wabco Westinghouse Compagnia Freni, iscritta al n. 683 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.45, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- La Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 20 febbraio 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 secondo comma, 30, 31 secondo comma e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 nella parte in cui non estende al padre lavoratore, in alternativa alla madre, rinunciante, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204.

 

Nell'ordinanza di rinvio si premette che Adriano Longo, dipendente della "Wabco Westinghouse Compagnia Freni" s.p.a., ha instaurato un procedimento civile, chiedendo la condanna della predetta società al pagamento della retribuzione per le due ore di riposo giornaliero usufruite -in alternativa alla moglie, lavoratrice subordinata, che vi aveva rinunciato- per l'allattamento della figlia di età inferiore ad un anno. La domanda, fondata sull'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 è stata rigettata dai magistrati aditi in sede di merito.

 

Il giudice rimettente sostiene, poi, che la disciplina legislativa attuale riconosce senza limiti al lavoratore subordinato -in alternativa alla madre lavoratrice, che vi abbia rinunciato- il diritto all'astensione facoltativa dal lavoro post partum e ad assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni (art. 7 della legge 9 dicembre 1977 n. 903), mentre la sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte ha esteso al padre lavoratore, nel rispetto delle condizioni su indicate, la fruizione dei riposi giornalieri retribuiti solo nell'ipotesi di specifici impedimenti (morte o grave infermità) della madre lavoratrice, sicchè non sarebbe possibile emettere alcuna pronuncia di accoglimento della domanda proposta.

 

La Corte di cassazione rileva, inoltre, che la questione di legittimità costituzionale non è manifestamente infondata.

 

Infatti, ad avviso del giudice a quo, i riposi giornalieri non sono connessi strettamente alle esigenze dell'allattamento naturale ma agli interessi della prole e sono fondati sulla stessa "ratio" sottesa all'astensione facoltativa post partum, secondo quanto rilevato da questa Corte con la sentenza n. 1 del 1987.

 

Del resto, a parere del giudice rimettente, l'attribuzione senza limiti al padre lavoratore del diritto di assistere il bambino malato anche nel primo anno di vita (periodo in cui è riconosciuto pure il diritto ai riposi giornalieri)- in alternativa alla madre lavoratrice rinunciante, prescinde dalle condizioni personali della madre e si basa sulla parificazione dei ruoli nell'assistenza al bambino in momenti di estrema importanza, sicchè appare ingiustificata l'omessa previsione di una identica disciplina legislativa per i riposi giornalieri contemplati dall'art. 10 della legge n. 1204 del 1971.

 

In realtà -ritiene il giudice a quo- il principio di parità, sancito dalla Costituzione, come è stato sostenuto da questa Corte nella sentenza n. 341 del 1991, ha determinato il superamento della separatezza dei ruoli della donna e dell'uomo, nella famiglia e fuori di essa ed una più paritetica partecipazione di entrambi ai compiti di cura, di assistenza e di educazione dei minori.

 

2.- Pertanto, ad avviso del giudice rimettente, essendo scopo attuale dell'istituto dei riposi giornalieri quello di consentire alla madre i "compiti delicati e impegnativi connessi con l'assistenza del bambino nel primo anno di vita", se anche il padre "è idoneo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore" e non sussistono serie concorrenti ragioni di tutela della salute della madre, appare irrazionale che non sia assicurata al bambino, nel primo anno di vita, la presenza del padre durante i riposi giornalieri, qualora la madre lavoratrice vi rinunci.

 

La disciplina legislativa vigente, oltre a contrastare con l'art. 3 della Costituzione, violerebbe, secondo il giudice a quo, l'art. 29, secondo comma, della Costituzione, in relazione al principio di eguaglianza tra i coniugi, l'art. 30 della Costituzione in ordine ai compiti di mantenere, istruire ed educare i figli, l'art. 31, secondo comma, della Costituzione, che pone la tutela del minore quale compito fondamentale dell'ordinamento, e l'art. 37 della Costituzione sotto un duplice profilo: uno relativo alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro e l'altro concernente la speciale adeguata protezione del bambino.

 

3.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi è stata costituzione di parti private, nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.- La questione sottoposta dalla Corte di cassazione all'esame del giudice delle leggi -con ordinanza pervenuta a questa Corte il 12 ottobre 1992- concerne la legittimità costituzionale -con riferimento agli articoli 3, 29, 30 e 31 della Costituzione- dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n.903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui non estende, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.

 

La rilevanza della questione risulta evidente e motivata dall'ordinanza di rimessione, poichè l'oggetto della domanda della parte era appunto il pagamento della retribuzione per le ore di riposo giornaliero usufruite -in alternativa alla moglie, anch'essa lavoratrice subordinata e che vi aveva rinunziato -per l'assistenza alla figlia non maggiore di un anno.

 

2.- La questione è fondata.

 

La giurisprudenza di questa Corte (più avanti citata) ha già avuto diverse occasioni per sottolineare come la normativa degli anni '70 abbia dato sempre maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra uomini e donne, della funzione sociale della maternità, dell'inserimento della donna nel lavoro, e quindi della necessità di interventi della società volti a tutelare la maternità stessa.

 

É stato anche rilevato che, assieme alla tutela della salute e della condizione della madre, la nuova normativa ha preso anche in considerazione i superiori interessi del bambino come oggetto di tutela diretta, quando non prevalente ed esclusiva.

 

Per quanto particolarmente riguarda la fase successiva al parto, il rapporto madre-bambino, visto sotto il profilo dell'attiva ed assidua partecipazione della prima allo sviluppo fisico e psichico del figlio, è stato protetto attraverso una serie di istituti:

 

a) astensione obbligatoria della madre dal lavoro per i primi tre mesi successivi al parto (art. 4 legge 30 dicembre 1971, n.1204), col diritto a percepire una indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione (art. 15 legge citata);

 

b) diritto della lavoratrice di assentarsi per sei mesi, trascorso il periodo di astensione obbligatoria ma entro il primo anno di vita del bambino, con conservazione del posto di lavoro (art. 7, primo comma, legge citata); e corresponsione di una indennità pari al 30% della retribuzione (art. 15, secondo comma);

 

c) diritto della lavoratrice di assentarsi, altresì, durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico (art. 7, secondo comma, legge citata);

 

d) diritto della lavoratrice ad uscire dall'azienda per due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata, di un'ora ciascuno, durante il primo anno di vita del bambino;

 

periodi di riposo considerati come ore lavorative anche agli effetti economici; ma ridotti ad uno solo quando l'orario di lavoro è inferiore a sei ore (art. 10 legge citata);

 

e) l'esercizio di questi diritti e delle modalità di lavoro riservati alle lavoratrici madri, nonchè l'organizzazione ed il finanziamento degli asili-nido sono ulteriormente disciplinati dal d.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 e dalla legge 29 novembre 1977, n. 89l.

 

3.- Nell'ambito della coeva normativa (legge 9 dicembre 1977, n. 903) intesa a realizzare la "parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro", vengono riconosciuti al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario, i diritti -sopra elencati sub b) e c)- di assentarsi dal lavoro ed il corrispondente trattamento economico (previsti dal primo e dal secondo comma dell'art. 7 e dell'art. 15 della citata legge n.1204 del 1971) "in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli sono affidati al solo padre". L'esercizio di questi diritti è subordinato alla rinunzia dell'altro genitore, con relativa dichiarazione del suo datore di lavoro.

 

Da tale disposizione di legge traeva origine una più moderna evoluzione di questo aspetto del diritto di famiglia, nel senso che, pur permanendo la coscienza della funzione sociale della maternità, si è andato sempre più valorizzando il prevalente interesse del bambino e -superandosi una rigida concezione della diversità dei ruoli dei due genitori e dell'assoluta priorità della madre- si sono riconosciuti paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e la reciproca integrazione di essi alla cura dello sviluppo fisico e psichico del loro figlio.

 

La svolta veniva avvertita e favorita da questa Corte con la sentenza 14 gennaio 1987, n. 1, 10 marzo 1988, n. 276, 11 marzo 1988, n. 332, 19 ottobre 1988, n. 972, 8 febbraio 1991, n. 61 e 15 luglio 1991, n. 341.

 

Queste sentenze, infatti, oltre a riconfermare e potenziare i diritti della madre-lavoratrice, elevano ancor più la posizione del bambino quale autonomo titolare di interessi da salvaguardare nell'ambito della legislazione protettiva, e sottolineano che il figlio va tutelato, "non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità". In questo contesto, "anche il padre è idoneo -e quindi tenuto- a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore"; e lo stesso dicasi riguardo alla paternità e maternità legali.

 

4.- Nella delineata ottica della "nuova visione del ruolo dei genitori nella vita familiare, ed in particolare del modo in cui essi debbono con eguali diritti e doveri concorrere all'assistenza alla prole", la citata sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte ha esteso il principio previsto dall'art.7 della legge 903 del 1977 sulla parità di trattamento fra uomini e donne anche ai riposi giornalieri retribuiti, ritenendo che tale diritto va riconosciuto al padre lavoratore, ove l'assistenza della madre al minore sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità.

 

In quella occasione la Corte non potè prendere in considerazione in aggiunta ai casi predetti- impedimenti dovuti ad altre cause, in quanto < < non meglio definite ed emerse in via di mera ipotesi nei giudizi principali>>. Nella presente occasione, invece, a distanza di oltre cinque anni, la questione viene dalla Corte di cassazione prospettata in questa sede in termini più generali in relazione ai cosiddetti "permessi di paternità", ritenendosi "irrazionale che non sia assicurata al bambino la presenza nel primo anno di vita, durante i riposi giornalieri, anche del padre, in sostanza -con l'assenso della madre- di quello dei genitori che a loro giudizio sia meglio in grado via via di assisterlo, per un'atmosfera il più possibile di serenità". Ciò -soggiunge l'ordinanza- "potrebbe garantire meglio l'interesse superiore del bambino, ora anche riconosciuto nella Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia 20 novembre 1989 dell'O.N.U., ratificata in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176". Ma soprattutto, l'ulteriore passo verso questo riconoscimento dei diritti-doveri del padre e della migliore tutela del bambino renderebbe la norma denunziata conforme ai principi contenuti negli artt. 3, 29, 30, 31 e 37 della Costituzione.

 

5.- La questione trova, invero, la sua soluzione nel giusto equilibrio fra i diversi principi costituzionali -contenuti nelle ora citate norme di riferimento- e cioè della tutela della maternità, dell'autonomo interesse del minore, della parità di diritti doveri dei coniugi, nonchè della parità degli uomini e delle donne in materia di lavoro, tenendosi altresì conto della moderna evoluzione della legislazione e della giurisprudenza in tema di rapporti sociali nell'ambito della famiglia.

 

In effetti, la natura e la finalità dell'istituto dei riposi giornalieri, previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per le lavoratrici madri, nonostante il testuale riferimento al "riposo della "madre", non corrispondono più soltanto all'allattamento del neonato e ad altre sue esigenze biologiche, come si è sopra esposto, ma a qualsiasi forma di assistenza del bambino. Secondo l'id quod plerumque accidit può presumersi che nel primo anno di vita l'interesse del figlio esiga maggiormente il rapporto fisico e psicologico con la madre.

 

Ma già la originaria formulazione dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, riconoscendo al padre lavoratore, in alternativa alla madre (sia pure a seguito di rinunzia della stessa), il diritto di assentarsi per sei mesi dal lavoro per assistere il figlio nel primo anno di vita e durante le malattie del bambino di età inferiore a tre anni, ha ribadito non solo il diritto-dovere di entrambi i genitori ad assistere il figlio, pur se di tenera età, ma soprattutto il superamento della concezione di una rigida distinzione dei ruoli e che un equilibrato sviluppo della personalità del bambino esige spesso la assistenza da parte di entrambe le figure genitoriali anche per aspetti di carattere affettivo e relazionale. Il che è stato confermato dai citati precedenti giurisprudenziali di questa Corte, che hanno esteso ad altre ipotesi gli stessi criteri.

 

In coerenza con la ratio di questa evoluzione normativa e giurisprudenziale, ed in conformità dei principi costituzionali sopracennati, può, pertanto, ritenersi che l'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro va inteso nel senso che anche al lavoratore padre spetta, in alternativa alla madre lavoratrice e col suo consenso, il diritto ai periodi di riposo giornaliero alle condizioni previste dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per assistere il figlio nel suo primo anno di vita.

 

La delicata scelta di quel genitore che, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere a tali esigenze, non può che restare affidata all'accordo degli stessi coniugi, in spirito di leale collaborazione e nell'esclusivo interesse del loro figlio (artt. 143 e 144 del codice civile).

 

6.- Nel ritenere opportuno, a questo punto, fare qualche precisazione relativamente all'esercizio dei predetti diritti riconosciuti dalla presente pronuncia, la Corte rileva anzitutto che anche per i periodi di riposo previsti dall'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 valgono alcuni criteri stabiliti dall'art.7 della legge sulla parità (n. 903 del 1977), nel senso che il diritto del padre lavoratore viene riconosciuto sempre che anche la madre sia lavoratrice, e previa presentazione al proprio datore di lavoro sia della dichiarazione di assenso della madre, sia della dichiarazione del datore di lavoro dell'altro genitore, da cui risulti la comunicazione della rinunzia della madre.

 

Inoltre, il diritto ai riposi giornalieri retribuiti non può esercitarsi durante i periodi in cui il padre lavoratore o la madre lavoratrice godano già dei periodi di astensione obbligatoria (art. 4 della legge 1204 del 1971), o di assenza facoltativa (art. 7 stessa legge), o quando, per altre cause, l'obbligo della prestazione lavorativa sia interamente sospeso.

 

Poichè, infine, il rapporto di lavoro deve svolgersi col rispetto da entrambe le parti dei principi di correttezza e buona fede, anche con riguardo ai riposi giornalieri, mentre il datore di lavoro deve considerare la prevalente rilevanza del dovere di assistenza ai figli dei lavoratori, pure questi ultimi devono esercitare il loro diritto compatibilmente con le specifiche esigenze dell'organizzazione aziendale, anche preavvertendo il datore di lavoro, specie nel caso di successive modifiche della scelta del genitore designato alla predetta assistenza.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui non estende, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 21/04/93.