Sentenza n. 972 del 1988

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SENTENZA N.972

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15 comma 1 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1984 dal Pretore di Siena nel procedimento civile vertente tra Anichini Carla e l'INPS, iscritta al n. 7 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119-bis del 1985.

Visti gli atti di costituzione di Anichini Carla e dell'INPS;

udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avv. Franco Agostini per Anichini Carla e l'avv. Vito Lipari per l'INPS.

 

Considerato in diritto

 

1. - La l. 30 dicembre 1971 n. 1204, prevede, tra le misure protettive a tutela delle lavoratrici madri, il divieto di adibire le medesime lavoratrici, durante il periodo della gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, a lavori pericolosi, faticosi e insalubri, elencati in appositi e separati atti normativi, contestualmente statuendo che esse in tale periodo debbono essere spostate ad altre mansioni (art. 3 commi 1 e 2); lo stesso articolo (comma 3) stabilisce che "le lavoratrici saranno, altresì, spostate ad altre mansioni durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto nei casi in cui l'ispettorato del lavoro accerti che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna".

Il successivo art. 4 reca poi un generale divieto di adibire le donne al lavoro durante i due mesi precedenti la data prevista del parto e i tre mesi successivi, mentre l'art. 5 prevede che l'ispettorato del lavoro possa disporre l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza nel periodo precedente a quello di astensione obbligatoria di due mesi antecedenti al parto, e ciò in talune ipotesi particolari, tra le quali quella in cui la stessa lavoratrice sia addetta a lavorazioni pericolose, faticose o insalubri e non possa essere spostata ad altre mansioni.

L'art. 7 prevede le ipotesi di astensione facoltativa, fruibile nel periodo successivo ai tre mesi post partum. L'art. 15, infine disciplina le indennità giornaliere da corrispondere nei diversi casi di astensione dal lavoro, prevedendo testualmente in particolare (comma 1) "Le lavoratrici hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all'80 % della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli artt. 4 e 5 della presente legge".

Ad avviso del Pretore di Siena, il diritto vantato dalla lavoratrice nel giudizio a quo a percepire l'indennità pari all'80 % della retribuzione anche per il periodo di interdizione disposto dal competente Ispettorato e compreso tra la fine del terzo e la fine del settimo mese successivi al parto non potrebbe essere soddisfatto applicando le ricordate norme legislative: infatti la previsione (art. 15) di tale indennità é limitata, per espresso rinvio, alle sole ipotesi di astensione obbligatoria contemplate, oltre che dall'art. 4, dall'art. 5 il quale come si é visto, limita la propria previsione al caso di interdizione disposta dall'Ispettorato per il periodo precedente i due mesi prima del parto, nulla disponendo per il periodo successivo.

In conseguenza di tale omessa previsione, la indennità in oggetto non potrebbe essere corrisposta per il periodo d'interdizione eccedente i tre mesi di astensione obbligatoria post partum (art. 4 lett. c).

Da tale considerazione il Pretore trae argomento per censurare la previsione dell'art. 15 comma 1 imputando a quest'ultimo - per via del suo riduttivo richiamo agli artt. 4 e 5 - l'esclusione della predetta indennità a favore della lavoratrice. Tale esclusione (che peraltro, più correttamente, dovrebbe farsi risalire alla omessa considerazione del caso di specie tra le ipotesi di astensione obbligatoria effettuata dal richiamato art. 5 a suo avviso contrasterebbe con l'art. 3 Cost. perché parificherebbe, ai fini del trattamento indennitario, l'assenza obbligatoria facoltativa ex art. 7 e non alle ipotesi di assenza obbligatoria.

2. - La questione é fondata.

Non vi é dubbio infatti che l'interdizione dal lavoro disposta dall'Ispettorato competente a favore della lavoratrice madre, che, addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri, non possa essere spostata ad altre mansioni, determini per quest'ultima, per l'intero periodo contemplato dal provvedimento - e dunque anche nel tempo compreso tra la fine del terzo mese e la fine del settimo mese dopo il parto - una vera e propria ipotesi di astensione obbligatoria dal lavoro e non un caso di astensione meramente facoltativa, poiché, ricorrendo le illustrate condizioni, alla medesima lavoratrice é inibito, indipendentemente dalla sua volontà, di svolgere qualsiasi attività lavorativa.

Né l'ipotesi in questione potrebbe fondatamente distinguersi da quelle contemplate dagli artt. 4 e 5 stessa l. n. 1204 del 1971, essendo anch'essa motivata dalla necessità di assicurare adeguata protezione al fondamentale diritto alla salute della madre e del bambino, che, assieme alle più vaste esigenze di tutela di quest'ultimo (v., da ultima sent. n. 332 del 1988) costituisce la ratio della previsione dell'istituto dell'astensione obbligatoria, quali che siano le circostanze capaci, in concreto, di minacciare il godimento del diritto medesimo.

Ciò premesso, non si può sfuggire alla conclusione che sia irrazionalmente discriminatoria la mancata previsione, per l'ipotesi in esame, del diritto al medesimo trattamento indennitario corrisposto per i casi di astensione obbligatoria di cui agli artt. 4 e 5 l. n. 1204 del 1971.

Di conseguenza, la norma impugnata si deve ritenere costituzionalmente illegittima.

Tale conclusione non può evitarsi sostenendo che, nel caso in oggetto, la lavoratrice potrebbe avvalersi della possibilità offerta dall'art. 2110 c.c., sollecitando l'intervento del datore di lavoro previsto per l'ipotesi di carenza di apposita tutela legislativa previdenziale o assistenziale, poiché proprio la mancanza, nella legge, di tale tutela, costituisce la ragione della sua illegittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 comma 1 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui esclude dal diritto all'indennità giornaliera pari all'80 % della retribuzione, per il periodo compreso tra la fine del terzo mese dopo il parto e la fine del settimo mese dopo il parto, la lavoratrice madre addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri che, non potendo essere spostata ad altre mansioni, sia costretta ad assentarsi dal lavoro per avviso del competente Ispettorato del lavoro.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11/10/1988.

 

Francesco SAJA - Ugo SPAGNOLI

 

Depositata in cancelleria il 19/10/1988.