SENTENZA N. 96
ANNO 2012
Commento alla decisione di
Maurizio Malo
(per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della
legge della Regione Umbria 14 agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività
agrituristiche), promosso dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria
nel procedimento vertente tra la ditta Conforti Aldo e
Visti
gli atti di costituzione della ditta Conforti Aldo, della Comunità montana
Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte e l’atto di intervento della Regione Umbria;
udito
nell’udienza pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi
gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto per la ditta Conforti Aldo, Paola
Manuali per la Regione
Umbria e Roberto Baldoni per la Comunità montana
Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 31 gennaio 2011, il Tribunale amministrativo
regionale dell’Umbria ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 9, secondo
comma, e 41, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14
agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività agrituristiche), nella parte in
cui prevede che possono essere utilizzate per l’attività agrituristica soltanto
le strutture esistenti nell’azienda prima dell’entrata in vigore della legge
medesima.
1.1. – Il rimettente è chiamato a decidere sul ricorso, presentato dalla
ditta Conforti Carlo (rectius: Aldo), nei confronti della Comunità montana
Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte, della Regione Umbria e del Comune di San
Venanzo, per ottenere l’annullamento di due provvedimenti emessi dal dirigente
del Servizio promozione, agricoltura, lavori e patrimonio della indicata
Comunità montana, nonché delle note con le quali i predetti provvedimenti sono
stati comunicati, e di ogni altro atto presupposto, connesso o collegato.
Le determinazioni dirigenziali impugnate (n. 62 e n. 63 del 17 febbraio 2010)
hanno ad oggetto, rispettivamente, il «parere negativo alla richiesta di
estensione dell’autorizzazione per l’esercizio dell’agriturismo alla ditta
Conforti Aldo relativamente al fabbricato costituente ampliamento di una
preesistenza», e la mancata estensione della iscrizione della medesima ditta
nell’albo degli operatori agrituristici per il servizio di alloggio in
riferimento al suddetto fabbricato.
1.2. – Il giudice a quo evidenzia che i provvedimenti di diniego sono
stati adottati in applicazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n.
28 del 1997, giacché l’immobile da utilizzare a scopo agrituristico, «ancorché
assentito […] con permessi di costruire del Comune di San Venanzo n. 167 dell’8
ottobre 2003 e del 10 maggio 2005», non era esistente alla data del 4 settembre
1997, quando è entrata in vigore la legge reg. Umbria n. 28 del 1997.
Il rimettente riferisce inoltre che la parte ricorrente ha formulato
censure di eccesso di potere e violazione di legge, ed ha eccepito, in
subordine, l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale citata,
per l’asserito contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 Cost.
1.3. – Il Tribunale amministrativo dell’Umbria, dopo aver affermato che
«oggetto del contendere sono provvedimenti di natura per così dire
"commerciale”», in quanto non sono in contestazione i permessi di costruire,
espone le ragioni per le quali reputa il ricorso infondato.
Osserva il rimettente che l’art. 3, comma 3, della legge reg. Umbria n. 28
del
Ad avviso del giudice a quo, il
testo della disposizione regionale non lascerebbe spazio ad interpretazioni
estensive: il riferimento alle "strutture esistenti” alla data indicata
varrebbe a identificare unicamente «gli edifici già fisicamente presenti nel
territorio a quella data, quale pacificamente non è il fabbricato in
questione».
Non emergerebbe, peraltro, la denunciata disarmonia tra questa
interpretazione e la normativa regionale in materia di edilizia: per un verso,
infatti, l’art. 35, comma 1, della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005,
n. 11 (Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica
comunale) consente l’ampliamento degli edifici rurali soltanto se esistenti
alla data del 13 novembre 1997 e, per altro verso, l’art. 32, comma 2, lettera c), della medesima legge precisa che
possono considerarsi esistenti gli edifici legittimamente presenti nelle zone
agricole «purché siano stati ultimati i lavori relativi alle strutture alla
data del 13 novembre 1997». Ciò dimostrerebbe che, anche ai fini edilizi,
l’esistenza dell’immobile è collegata al completamento delle opere strutturali.
Infine, secondo il rimettente, nemmeno
sussisterebbe l’asserito deficit
motivazionale dei provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione, essendo
sufficiente il richiamo alla disciplina prevista dall’art. 3, comma 3, della
legge reg. Umbria n. 28 del 1997, per effetto della quale «i provvedimenti in
questione si connotano come vincolati».
Il rimettente ritiene invece condivisibili, «seppur per considerazioni in
larga parte diverse», e in riferimento a parametri parzialmente differenti, i
dubbi di costituzionalità prospettati dalla parte ricorrente.
1.4. – Secondo il Tribunale amministrativo dell’Umbria la disposizione
regionale violerebbe l’art. 3 Cost. per «irrazionalità intrinseca». Essa
avrebbe infatti «congelato» l’esercizio dell’attività di agriturismo nel
territorio regionale alla data del 4 settembre 1997, così impedendo «il
flessibile utilizzo delle aziende agricole in relazione all’andamento del
mercato ed alla necessità di favorire la permanenza sul territorio degli
operatori agricoli, con i correlati benefici per l’economia e, segnatamente,
per l’ambiente». Ciò si porrebbe in aperto conflitto con le finalità dichiarate
dall’art. 1 della medesima legge reg. Umbria n. 28 del 1997, tra le quali, in
particolare, quelle di agevolare la permanenza dei produttori agricoli nelle
zone rurali; di permettere il miglioramento delle condizioni sociali ed
economiche degli operatori del settore, secondo il principio della multifunzionalità
dell’impresa agricola; di contribuire allo sviluppo ed al riequilibrio tra le
diverse realtà del territorio.
1.5. – La disposizione regionale violerebbe inoltre l’art. 41, primo
comma, Cost., avendo introdotto un impedimento ingiustificato all’iniziativa
economica.
A parere del rimettente il limite all’ampliamento dell’attività
agrituristica avrebbe creato, di fatto, «una sorta di oligopolio a favore degli
agriturismi esistenti alla data del 4 settembre 1997», in palese contrasto con
i principi in materia di libertà economica, i quali implicano, nell’attuale
contesto comunitario, lo sviluppo dell’attività economica e della concorrenza.
1.6. – Sono illustrate, infine, le ragioni dell’asserito contrasto della
norma censurata con l’art. 9, secondo comma, Cost.
Il rimettente muove dalla considerazione che l’attività agricola non sia
oggi sufficientemente redditizia, soprattutto nelle zone collinari e montane,
che sono anche, di regola, le zone di maggiore interesse turistico ed
ambientale.
In tale prospettiva sarebbe evidente come la norma regionale censurata,
che impedisce alle imprese agricole l’utilizzo agrituristico delle strutture
realizzate dopo il 1997, finisca per agevolare il fenomeno della
«marginalizzazione» ed il conseguente, progressivo abbandono delle campagne,
vale a dire l’effetto che l’art. 1 della stessa legge reg. Umbria n. 28 del
1997 si propone di contrastare, nella parte in cui individua le finalità della
disciplina dell’agriturismo.
All’abbandono delle campagne, assume ancora il rimettente, seguirà
necessariamente il deterioramento del territorio e degli edifici agricoli, ciò
che contrasta con la tutela del paesaggio e del patrimonio edilizio rurale,
valori entrambi garantiti dall’art. 9, secondo comma, Cost.
1.7. – In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che i provvedimenti
oggetto di impugnazione risultano immuni da vizi, essendo meramente applicativi
della norma regionale censurata.
2. – Con atto depositato il 17 maggio 2011, si è costituita la ditta Conforti
Aldo, ricorrente nel giudizio principale, per chiedere l’accoglimento delle
questioni di legittimità costituzionale.
2.1. – La parte privata svolge argomenti a sostegno delle prospettate
questioni a partire dalla ricostruzione del quadro normativo nel quale si
colloca la disposizione censurata, avuto riguardo sia al riparto di competenze
Stato-Regioni sia alla ratio della
disciplina statale e di quella regionale in materia di agriturismo.
La definizione dell’attività agrituristica è dettata dall’art. 2 della
legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo), secondo il quale
per attività agrituristiche si devono intendere quelle di ricezione e di
ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli «attraverso l’utilizzazione
della propria azienda in rapporto di connessione rispetto all’attività di
coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali».
Sul piano del riparto di competenze,
Ciò posto, la disciplina statale e regionale della materia in esame,
secondo la parte privata, sarebbe volta principalmente a favorire l’attività di
agriturismo, «in quanto funzionale alla prevenzione dell’abbandono delle
campagne».
La legge 5 dicembre 1985, n. 730 (Disciplina dell’agriturismo), indicava
tra le finalità anche la tutela ambientale, la salvaguardia del territorio e
del paesaggio rurale, attraverso una migliore utilizzazione del patrimonio
naturale.
La successiva e vigente legge n. 96 del 2006 non si sarebbe discostata nei
contenuti dalla legge n. 730 del 1985, rafforzando la promozione di forme di
turismo rurale, finalizzate a valorizzare le risorse di ciascun territorio, il
mantenimento di attività remunerative nelle aree rurali, il recupero e la
valorizzazione del patrimonio edilizio rurale.
La legge della Regione Umbria n. 28 del 1997, di cui è censurato l’art. 3,
comma 3, sarebbe a sua volta in linea con la normativa statale, come si
ricaverebbe dall’art. 1 della medesima legge, che indica le finalità generali,
ponendo accanto all’obiettivo economico, quello ambientale e quello
socio-culturale.
2.2. – Procedendo all’esame delle singole questioni, la parte privata ne
rileva la pertinenza al dato della soglia temporale introdotta dalla norma
censurata, in forza della quale l’attività agrituristica è consentita
esclusivamente mediante gli immobili esistenti nell’azienda prima della data di
entrata in vigore della legge regionale n. 28 del 1997.
Tale limite temporale, non rinvenibile né nella legislazione statale né in
quella di altre Regioni, comporterebbe che soltanto in Umbria sia vietato
l’esercizio di attività agrituristica sugli immobili edificati successivamente
alla predetta data.
Sarebbe dunque di tutta evidenza l’irragionevolezza della norma censurata,
la quale, «di fatto, cristallizza l’esercizio dell’attività agrituristica su
fabbricati esistenti, non già al momento dell’istanza autorizzatoria, quanto
piuttosto ad una data arbitrariamente definita». È richiamata giurisprudenza
costituzionale che, secondo la parte, avrebbe rilevato lo sviamento strumentale
della funzione legislativa, con violazione dell’art. 3 Cost., nei casi di
contrasto tra il fine perseguito dal legislatore ed il mezzo utilizzato
(sentenze n. 102
del 1991 e n.
198 del 1986). Sul tema del sindacato di ragionevolezza, quale
«apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la "causa” normativa
che la deve assistere», sono richiamate le sentenze n. 245 del 2007
e n. 89 del 1996.
La difesa della parte privata sottolinea anche l’effetto discriminatorio
che discenderebbe della censurata soglia temporale: il trattamento riservato
agli operatori del settore nella Regione Umbria risulterebbe significativamente
deteriore rispetto a quello degli omologhi che svolgono la propria attività nel
resto del territorio nazionale.
2.3. – La disposizione regionale censurata, sempre secondo la parte
costituita, contrasterebbe con gli artt. 3 e 41, primo comma, Cost. in quanto
precluderebbe l’iniziativa economica ai privati i quali intendano esercitare
l’attività agrituristica utilizzando edifici legittimamente realizzati sul
fondo in epoca successiva al 4 settembre 1997, creando, inoltre, una evidente
disparità di trattamento tra gli operatori interessati.
Come evidenziato anche dal giudice a
quo, si sarebbe creato un oligopolio a favore delle imprese di agriturismo
già esistenti nel 1997, giacché solo ad esse è consentito, di fatto,
l’esercizio della predetta attività. Tale situazione si porrebbe in aperto
contrasto con il principio della libera concorrenza, a sua volta espressione
del principio della libertà d’iniziativa economica che è declinato dalla
giurisprudenza costituzionale come «principio di non discriminazione tra
imprese che agiscono sullo stesso mercato in rapporto di concorrenza» (sono
citate le sentenze n. 64 del 2007
e n. 443 del 1997).
2.4. – A sostegno della censura prospettata in riferimento all’art. 9,
secondo comma, Cost., la parte privata propone argomenti sostanzialmente
coincidenti con quelli svolti dal rimettente.
3. – Con atto depositato il 17 maggio 2011, si è costituita nel giudizio
incidentale
3.1. – La difesa della Comunità montana osserva innanzitutto che la
disciplina dell’agriturismo rientra pacificamente tra quelle attribuite alla
competenza concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alle
quali spetta alle Regioni legiferare nel quadro dei principi fondamentali
fissati dallo Stato.
La normativa statale vigente al momento dell’emanazione della norma
regionale censurata, e cioè la legge n. 730 del 1985, indicava tra le proprie
finalità il migliore utilizzo del patrimonio rurale naturale ed edilizio (art.
1). La stessa legge prevedeva: all’art. 3, primo comma, l’utilizzabilità per
l’attività agrituristica dei «locali siti nell’abitazione dell’imprenditore
agricolo ubicata nel fondo, nonché gli edifici o parte di essi esistenti nel
fondo e non più necessari alla conduzione dello stesso»; all’art. 3, terzo
comma, che «le leggi regionali disciplinano gli interventi per il recupero del
patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini
dell’esercizio di attività agrituristiche»; all’art. 3, quarto comma, che «il
restauro deve essere eseguito nel rispetto delle caratteristiche tipologiche ed
architettoniche degli edifici esistenti e nel rispetto delle caratteristiche
ambientali delle zone interessate». Infine, ai sensi dell’art. 10, quarto
comma, lettera c), della medesima
legge n. 730 del 1985, spettava alle Regioni «la sintetica indicazione del
patrimonio di edilizia rurale esistente suscettibile di utilizzazione
agrituristica».
In sostanza, prosegue
Sarebbe stato fissato così, fin dal 1985, un principio fondamentale della
materia, in base al quale occorre evitare che siano realizzate ex novo strutture destinate
all’esercizio dell’attività agrituristica, dovendo quest’ultima rappresentare
uno dei modi di riqualificazione del patrimonio di edilizia rurale esistente.
La disciplina statale attualmente vigente è contenuta nella legge n. 96
del 2006, che ha abrogato la legge n. 730 del 1985, senza peraltro discostarsi,
per quanto qui interessa, dall’impostazione di quest’ultima.
Tra le finalità dichiarate all’art. 1 della nuova legge vi è quella di
recuperare il patrimonio edilizio rurale, tutelando le peculiarità
paesaggistiche; all’art. 3, comma 1, è previsto che «possono essere utilizzati
per le attività agrituristiche gli edifici o parti di essi già esistenti nel
fondo»; ancora all’art. 3, comma 2, è previsto che «le regioni disciplinano gli
interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso
dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche,
nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche
nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi».
Risulterebbe così confermato il principio fondamentale, vincolante per la
legislazione regionale, secondo cui le attività agrituristiche possono e devono
essere esercitate utilizzando il patrimonio di edilizia rurale esistente – ciò
che non esclude gli edifici aventi diversa destinazione, come gli annessi, né
la stessa abitazione dell’imprenditore agricolo –, mentre non può farsi ricorso
a nuove edificazioni.
Secondo la parte, la sintonia tra la disciplina regionale ed i principi
fondamentali dettati dallo Stato avrebbe dovuto indurre il rimettente a
censurare anche le fonti di rango statale. Mancando tali censure, le questioni
sollevate sarebbero inammissibili.
3.2. – Nel merito, la difesa della Comunità montana osserva come il
limite, posto dalla norma regionale censurata, alla indiscriminata
utilizzabilità di edifici rurali a fini agrituristici trovi ragione e
giustificazione nella pluralità di interessi pubblici coinvolti dalla materia
in esame.
Attraverso la «moratoria temporale» si intenderebbe, innanzitutto,
riqualificare il patrimonio edilizio esistente in ambito rurale, riutilizzando,
previe ristrutturazioni e restauri conservativi, i manufatti esistenti in
condizioni di abbandono, o inutilizzati o, comunque, con destinazione non residenziale.
Ciò non toglie che in futuro, una volta che si sia attinto al patrimonio
rurale esistente, il legislatore regionale possa nuovamente intervenire per
fissare un diverso e più ravvicinato limite temporale entro il quale dovranno
essere stati realizzati i manufatti agricoli da impiegare a fini agrituristici,
con la conseguenza di una necessaria ridefinizione del concetto di «patrimonio
edilizio esistente», utilizzabile per lo svolgimento dell’attività
agrituristica.
In ogni caso, e diversamente da quanto sottinteso dal rimettente,
l’attività agrituristica non sarebbe configurata nell’ordinamento come
indiscriminatamente libera: l’art. 4, comma 1, della legge n. 96 del 2006
dispone che «le regioni, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale
o di parti di esso, dettano criteri, limiti ed obblighi amministrativi per lo
svolgimento dell’attività agrituristica». Tra i limiti in questione, possono
figurare anche quelli diretti a circoscrivere l’utilizzazione del patrimonio
edilizio, ai fini agrituristici, agli immobili già esistenti e funzionalmente
connessi all’esercizio dell’attività agricola in un dato momento. Quest’ultima
limitazione, nella specie, troverebbe giustificazione nelle peculiari
caratteristiche del territorio regionale, allo scopo sia di evitare l’eccessiva
edificazione di ambiti rurali che sovente presentano caratteristiche di
notevole pregio ambientale, sia di recuperare il patrimonio rurale esistente.
3.3. – Quanto alla infondatezza della censura condotta in riferimento all’art.
3 Cost., per l’irragionevolezza intrinseca della disposizione censurata a
fronte delle finalità della legge regionale,
Sarebbe del resto erronea la considerazione del rimettente, secondo cui il
limite temporale fissato dalla norma censurata «congelerebbe l’esercizio
dell’agriturismo al 4 settembre 1997». L’asserito congelamento, invero, non
sarebbe riferibile all’attività agrituristica in sé, essendo possibile iniziare
tale attività o ampliare quella preesistente destinando allo scopo immobili già
presenti nell’azienda agricola.
Analogamente, risulterebbero erronei i rilievi svolti dal rimettente a
proposito del contrasto tra la disposizione regionale e l’art. 41, primo comma,
Cost., giacché la limitazione temporale non riguarderebbe le imprese
agrituristiche esistenti alla data del 4 settembre 1997, bensì gli edifici
esistenti a quella data, sicché non si sarebbe creato alcun oligopolio.
Quanto, infine, al prospettato contrasto con l’art. 9 Cost., la difesa
della Comunità montana ribadisce come il legislatore regionale sia stato
indotto a contingentare – quanto meno fino ad oggi – l’edificazione del territorio
agricolo a fini agrituristici, e a privilegiare il restauro di manufatti già
esistenti, proprio allo scopo di preservare al meglio i valori che il
territorio rurale può esprimere.
4. – Con atto depositato il 16 maggio 2011, è intervenuta nel giudizio
incidentale
4.1. – La difesa regionale osserva come le questioni non possano essere
affrontate senza il previo esame del contenuto della legislazione statale in
materia di agriturismo, in particolare dell’art. 3 della legge n. 96 del 2006,
riguardante i «locali per attività agrituristiche». La disposizione citata
costituisce infatti, per le Regioni, principio fondamentale ai sensi dell’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto attinente al governo del territorio (è
richiamata la sentenza
n. 339 del 2007 della Corte costituzionale).
La difesa regionale osserva come, dal raffronto tra la disciplina statale
previgente e quella attuale, emerga che anche in base alla normativa vigente
l’abitazione dell’imprenditore agricolo, o meglio parte di essa, può essere
utilizzata per l’attività agrituristica.
La mancanza di qualsiasi riferimento all’abitazione rurale
dell’imprenditore agricolo dimostra che l’offerta agrituristica si è affrancata
dalla originaria dimensione familiare della casa rurale, in linea con lo
sviluppo che il settore ha conosciuto negli ultimi anni, e tuttavia la formula
utilizzata dal legislatore statale del 2006 nell’art. 3, comma 1, è comprensiva
di ogni fabbricato sito nel fondo, e dunque anche dell’abitazione
dell’imprenditore agricolo.
Ancora, prosegue la difesa regionale, dall’esame congiunto delle
disposizioni statali succedutesi nel tempo risulta chiaro che sono utilizzabili
per attività agrituristiche gli edifici o parti di essi «già esistenti nel
fondo». Peraltro, ai fini del presente giudizio, rileva solo il dato per cui
gli immobili da destinare all’attività agrituristica devono trovarsi
nell’azienda agricola, essendo escluso che l’imprenditore possa edificare nuovi
fabbricati ad hoc.
Tale interpretazione coincide del resto con uno degli scopi perseguiti da
entrambe le citate leggi statali in materia di agriturismo, e cioè il miglior
utilizzo del patrimonio rurale naturale ed edilizio (art. 1 della legge n. 730
del 1985), ovvero il recupero di tale patrimonio, tutelando le peculiarità
paesaggistiche (art. 1, comma 1, lettera e,
della legge n. 96 del 2006).
4.2. –
La disposizione appena citata, infatti, sarebbe perfettamente adeguata ai
principi sopra indicati, nella parte in cui stabilisce che possono essere
utilizzate per attività agrituristiche «le strutture di cui ai precedenti
commi», se esistenti nell’azienda «prima dell’entrata in vigore della presente
legge».
Con riferimento specifico alla fattispecie oggetto del giudizio
principale, la difesa regionale segnala che è lo stesso rimettente a definire
«nuovo» l’immobile della cui utilizzabilità a fini di agriturismo si discute
(punto 5 dell’ordinanza), ciò che del resto emergerebbe dai documenti in atti.
Il primo permesso di costruire risale all’ottobre del 2003, e nel corso dei
lavori è stato richiesto il permesso di costruire in variante «prima che vi
fosse stata una qualsiasi utilizzazione della porzione di edificio allo scopo
inizialmente ipotizzato».
La situazione contrasterebbe, quindi, non solo con la norma regionale ma
anche con il principio fondamentale posto dall’art. 3 della legge n. 96 del
2006, con la conseguenza che, non avendo il giudice a quo censurato anche la norma statale, le questioni aventi ad
oggetto soltanto la norma regionale sarebbero inammissibili.
4.3. – Nel merito, la difesa regionale si sofferma nuovamente sulla
disciplina statale dell’attività agrituristica, la cui finalità primaria,
secondo quanto indicato all’art. 1 della legge n. 96 del 2006, è di assicurare
sostegno all’agricoltura mediante la promozione di molteplici misure. Tra
queste ultime vi è anche quella, già evidenziata, di recuperare il patrimonio
edilizio rurale, tutelando le peculiarità paesaggistiche (art. 1, comma 1,
lettera e).
Avuto riguardo poi alla natura dell’attività agrituristica,
In realtà, prosegue la difesa regionale, l’agriturismo viene considerato
come una delle forme più significative di gestione alternativa del territorio,
che assicura il rispetto dell’ambiente e, al contempo, favorisce la crescita
economica del settore agricolo. Ma la presenza nell’attività in esame di
interessi diversi, di rilievo costituzionale, tra i quali è necessario trovare
un bilanciamento, non può non riguardare anche l’individuazione degli immobili
da utilizzare per l’esercizio della attività stessa. Ecco quindi che se, da un
lato, l’edilizia rurale riceve dall’agriturismo una importante opportunità di
recupero e di riqualificazione, dall’altro lato occorre impedire che lo
svolgimento di tale attività comporti una eccessiva edificazione nelle
campagne. Inoltre, la disciplina dell’agriturismo deve essere conciliata con le
problematiche legate al tema della concorrenza con altre imprese del settore
turistico, in particolare con quelle che svolgono la loro attività in ambito
rurale, e che non godono delle stesse agevolazioni di cui beneficia l’attività
agrituristica.
4.4. – Procedendo all’esame delle censure prospettate dal rimettente,
Anche la prospettata lesione del principio di libertà di iniziativa
economica risulterebbe basata su una erronea interpretazione della norma
regionale censurata. Per un verso, infatti, gli immobili costruiti ex novo in zona rurale dopo il 1997
possono essere utilizzati per l’esercizio di attività turistica diversa da
quella agrituristica; per altro verso, quest’ultima non può essere considerata
completamente libera, dovendo sottostare ai limiti derivanti sia dalla sua
particolare natura, sia dai fini di utilità sociale di cui al secondo comma
dell’art. 41 Cost., tra i quali la tutela del paesaggio e la valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali di cui esso si compone.
Infine, secondo
5. – In prossimità dell’udienza, tutte le parti hanno depositato memorie,
nelle quali sono richiamati gli argomenti svolti nei rispettivi atti di
costituzione, con osservazioni aggiuntive.
5.1. – Con memoria depositata il 28 febbraio 2012 la ricorrente ditta
Conforti Aldo controdeduce sull’eccezione di inammissibilità delle questioni,
formulata dalle difese della Comunità montana e della Regione Umbria, in
relazione alla pretesa necessità che le censure si estendessero anche alla
norma statale di riferimento.
Invero, secondo la parte privata, la normativa statale e quella regionale
sull’agriturismo conterrebbero una disciplina del tutto differente in relazione
agli immobili ad uso agrituristico: in particolare, nell’art. 3 della legge n.
96 del 2006 la nozione di esistenza degli edifici non sarebbe collegata ad un
riferimento temporale specifico, potendosi intendere che siano utilizzabili a
fini agrituristici tutti gli immobili che "già” insistono sul fondo, purché
legittimamente realizzati in base alle norme urbanistiche ed edilizie vigenti.
A nulla rileverebbe, dunque, la data di edificazione degli edifici ma solo
il diverso rilievo per cui «la presenza di un edificio sul fondo non possa
essere ab origine giustificata
esclusivamente da finalità "agrituristiche” (titolo abilitativo non esistente)
ma, evidentemente, per gli scopi connessi all’esercizio e alla conduzione
dell’attività agricola».
Del resto, osserva la difesa della parte privata, se lo Stato avesse
voluto impedire l’utilizzo a fini agrituristici di edifici realizzati successivamente
ad una certa data, lo avrebbe disposto, mentre così non è, dovendosi escludere
che la locuzione contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006
possa essere interpretata come se l’esistenza degli edifici nel fondo sia
riferita alla data di entrata in vigore della medesima legge statale.
6. – Nella memoria depositata il 28 febbraio 2012,
Sarebbe dunque la pianificazione dell’uso del territorio agricolo ad essere
oggetto della indicata norma, con la finalità del «recupero funzionale del
patrimonio edilizio rurale esistente», evitando che il territorio agricolo
venga sovraccaricato di nuove volumetrie. In questa prospettiva risulterebbe
fuori luogo il richiamo alla legislazione delle altre Regioni in materia di
agriturismo, atteso il pregio ambientale e paesaggistico del contesto agricolo
del territorio dell’Umbria.
7. – Nella memoria depositata il 28 febbraio 2012,
Avuto riguardo al profilo di inammissibilità delle questioni per
irrilevanza, la difesa regionale osserva come, se l’immobile che la parte
ricorrente vorrebbe utilizzare a fini agrituristici costituisce una «nuova
costruzione», realizzata tra il 2003 e il 2005, secondo quanto affermato dallo
stesso rimettente, ne deriva che, pur dopo l’eventuale declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma regionale, l’immobile rimarrebbe non
utilizzabile a tale scopo, stante il disposto dell’art. 3 della legge statale
n. 96 del 2006, che prevede l’utilizzo a fini agrituristici di immobili
«preesistenti», nel senso di «già destinati al servizio dell’attività
agricola».
Come affermato più volte dalla giurisprudenza costituzionale, la questione
è irrilevante quando la fattispecie oggetto del giudizio principale, pur a
seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
censurata, rimanga comunque disciplinata alla stessa maniera, per effetto di
altra disposizione legislativa (sono richiamate le sentenze della Corte
costituzionale n.
199 del 1985, n.
1 del 1977 e n.
122 del 1976).
7. 1. – Nel merito, la difesa regionale richiama nuovamente la disciplina
statale dell’agriturismo e quindi esamina le disposizioni dettate in materia
dalle altre Regioni, osservando come, in riferimento agli immobili da destinare
all’attività agrituristica, le discipline regionali vigenti risultino
diversificate, in coerenza con le peculiarità di ciascun territorio.
Il territorio della Regione Umbria, priva di sbocchi al mare e di grandi
montagne, si caratterizza proprio per il paesaggio rurale, «ricco di edifici
rurali in disuso».
In questo contesto, la «moratoria temporale» introdotta dalla norma
censurata sarebbe finalizzata a riqualificare il patrimonio edilizio esistente
e ad evitare speculazioni e «travisamenti delle stesse finalità proprie delle
leggi sull’agriturismo, attraverso un eccessivo sfruttamento delle capacità
edificatorie del fondo utilizzato, favorito dalle agevolazioni di cui gode
l’esercizio dell’attività agrituristica».
La difesa regionale ribadisce che, in futuro, la scelta potrà essere
rivista nel senso di consentire l’esercizio dell’attività agrituristica in
immobili di più recente costruzione, pur sempre edificati a fini di conduzione
dell’azienda agricola. Peraltro, e conclusivamente,
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria dubita, in
riferimento agli articoli 3, 9, secondo comma, e 41, primo comma, della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della
legge della Regione Umbria 14 agosto 1997, n. 28 (Disciplina delle attività
agrituristiche), nella parte in cui prevede che possono essere utilizzate per
l’attività agrituristica soltanto le strutture esistenti nell’azienda prima
dell’entrata in vigore della legge medesima.
2. – Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di
inammissibilità delle questioni, sollevate dalla Regione Umbria e dalla
Comunità montana Orvietano-Narnese-Amerino-Tuderte.
2.1. – L’eccezione è priva di fondamento in quanto il rimettente ha svolto
argomenti specifici a sostegno dell’asserito contrasto tra la norma regionale
censurata ed i parametri evocati.
2.2. – Ancora,
2.3 – L’eccezione non è fondata.
La norma regionale censurata e la norma statale citata al paragrafo
precedente dettano prescrizioni diverse, anche se non contrastanti, ma anzi
dirette ad un unico fine. La norma statale, che contiene, come sarà specificato
in seguito, un principio fondamentale nella materia «governo del territorio» –
attribuita dal terzo comma dell’art. 117 Cost. alla competenza legislativa
concorrente dello Stato e delle Regioni – limita l’utilizzabilità degli edifici
per attività agrituristiche a quelli «già esistenti» sul fondo, mentre nella
norma regionale è fissato un preciso limite temporale (la data di entrata in
vigore della legge reg. n. 28 del 1997). Il giudice rimettente ritiene, con
motivazione non implausibile, che l’eventuale accoglimento della questione
sollevata inciderebbe, con l’eliminazione del limite temporale, sulla decisione
che lo stesso rimettente è chiamato ad assumere nel giudizio a quo, in relazione al ricorso
presentato da un privato avverso due provvedimenti della Comunità montana
Orvietano-Narnense-Amerino-Tuderte. È evidente come il Tribunale amministrativo
regionale dell’Umbria debba applicare
nel processo principale la norma regionale censurata, mentre resterebbe
comunque a lui affidata la valutazione circa l’applicabilità e la portata della
norma statale di principio, non censurata nel presente giudizio di
costituzionalità, nell’ipotesi che la questione fosse accolta da questa Corte.
2.4. – Infine, nella memoria illustrativa,
L’eccezione è destituita di fondamento, in quanto il giudice a quo, dopo aver dato atto che la parte
ricorrente aveva eccepito l’illegittimità costituzionale della norma regionale,
ha sollevato d’ufficio le questioni, precisando che le ragioni del dubbio di
costituzionalità si fondano su «considerazioni in larga parte diverse» da
quelle svolte dalla parte a sostegno dell’eccezione, come confermato
dall’evocazione di parametri solo in parte coincidenti.
3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3,
della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, sollevata in riferimento all’art. 3
Cost., non è fondata.
3.1. – Questa Corte ha affermato che l’attività agrituristica, pur
rientrando, in via immediata, nelle materie agricoltura e turismo, di
competenza regionale residuale, «interferisce con altre materie attribuite alla
competenza, o esclusiva o concorrente, dello Stato». Di conseguenza, le Regioni
«devono uniformarsi unicamente ai princìpi, contenuti nella legge n. 96 del
2006, i quali siano espressione della potestà legislativa esclusiva o concorrente
dello Stato» (sentenza
n. 339 del 2007).
Come già accennato nel paragrafo 2.3, la disposizione censurata nel
presente giudizio è compresa, in modo prevalente, nella materia «governo del territorio»,
di competenza legislativa concorrente. I limiti alla utilizzabilità per fini
agrituristici dei fabbricati rurali sono infatti posti dalla legge per regolare
in modo razionale l’inserimento nei territori agricoli di attività connesse,
esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, destinate alla ricezione ed
all’ospitalità, «mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse
dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata» (art.
2135 del codice civile). L’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006 – come
pure l’art. 3, primo comma, della precedente legge 5 dicembre 1985, n. 730
(Disciplina dell’agriturismo) – contiene un principio fondamentale, la cui ratio è quella di promuovere l’attività
agrituristica, senza tuttavia consentire edificazioni nuove ed estranee allo
svolgimento delle attività agricole in senso stretto, allo scopo di garantire
il mantenimento della natura peculiare del territorio e preservarlo così dalla
proliferazione di fabbricati sorti in vista soltanto dell’esercizio di attività
ricettive in immobili non facenti parte, ab
origine, dell’azienda agricola.
3.2. – La norma statale sopra citata si limita all’enunciazione di un
principio, destinato a trovare specifiche attuazioni nelle legislazioni delle
diverse Regioni, in conformità alle caratteristiche morfologiche, storiche e
culturali di ciascuna di esse. Tale principio pone un limite rigoroso,
escludendo che possano essere destinati ad attività agrituristiche edifici
costruiti ad hoc, non «già esistenti
sul fondo» prima dell’inizio delle attività medesime. Si vuole in sostanza
prevenire il sorgere ed il moltiplicarsi di attività puramente turistiche, che
finiscano con il prevalere su quelle agricole, in violazione della norma
codicistica prima citata e con l’effetto pratico di uno snaturamento del
territorio, usufruendo peraltro delle agevolazioni fiscali previste per le vere
e proprie attività ricettive connesse al prevalente esercizio dell’impresa
agricola.
3.3. – Le Regioni hanno variamente attuato il principio fondamentale posto
dalla legge statale, che, come già evidenziato, lascia alle stesse la
determinazione delle modalità concrete – da inserire, come prescrizioni, nelle
proprie leggi – volte ad individuare con precisione il limite temporale imposto,
in via generale, dall’art. 3, comma 1, della legge n. 96 del 2006.
La modalità attuativa scelta dalla Regione Umbria consiste nella
fissazione di un limite cronologico certo (la data di entrata in vigore della
legge reg. n. 28 del 1997), allo scopo di consentire e promuovere
l’utilizzazione per attività agrituristiche dell’ingente patrimonio edilizio
esistente nelle campagne umbre, in parte fatiscente e in rovina, il cui
recupero viene incentivato in diversi modi. Il senso dell’indicazione di una data
precisa è quello di bloccare nuove costruzioni, destinate sin dall’inizio a
fini agrituristici, negli stessi territori ove sorgono quelle storiche e già
impiegate nelle attività agricole in senso stretto. La norma è particolarmente
rigorosa, in quanto tende a neutralizzare la costruzione di complessi edilizi
destinati, in tempi relativamente brevi, alla prestazione prevalente di servizi
turistici, che si inserirebbero pertanto in modo forzato nel contesto
territoriale storico delle campagne umbre.
Alla luce di quanto detto sopra, la norma censurata non è manifestamente
irragionevole, in quanto obbedisce ad una scelta di politica legislativa di
particolare rigidità, compatibile tuttavia con la finalità di una razionale
disciplina del territorio agricolo. Né si può dire che la stessa norma produca
un "congelamento” delle attività agrituristiche, giacché il limite temporale in
essa indicato non si riferisce all’ingresso nel mercato di nuovi soggetti o
all’avvio di nuove iniziative in questo campo. La norma in esame prescrive,
piuttosto, che ogni attività di agriturismo, vecchia o nuova, si avvalga di
fabbricati esistenti sui fondi rustici in data anteriore all’entrata in vigore
della legge regionale. Non è impedito in tal modo che nuovi soggetti possano
avviare attività agrituristiche, avvalendosi degli edifici di cui sopra, purché
sia rispettato il criterio di prevalenza dell’attività agricola, ex art. 2135 cod. civ., al quale è
strettamente legato il divieto di adibire ad agriturismo edifici costruiti
appositamente per tale scopo.
3.4. – Il trascorrere del tempo può determinare, ad un certo punto, come
segnalato dal rimettente, la necessità di rivedere il limite, spostandolo
eventualmente in avanti. Tale intervento può essere effettuato però soltanto
dallo stesso legislatore regionale, giacché per stabilire una nuova data,
superando quella oggi fissata, sarebbe necessaria comunque una valutazione
concreta del grado di utilizzazione delle strutture anteriori e delle
condizioni in cui si trovano i territori agricoli dell’Umbria dopo l’avvio e lo
sviluppo delle numerose iniziative in campo agrituristico registratesi negli
ultimi decenni. Se questa valutazione concreta non fosse necessaria, sarebbe
sufficiente la fissazione di un limite temporale unico su scala nazionale.
L’indirizzo del legislatore statale è stato invece diverso, in considerazione
del fatto che le scelte politiche in questo settore sono strettamente legate
alle caratteristiche delle diverse parti del territorio nazionale e non possono
quindi obbedire a decisioni centralizzate e forzosamente uniformi.
Se l’uniformità forzata del limite temporale non può essere frutto di una
scelta legislativa nazionale, valida per tutte le Regioni, a fortiori essa non può discendere da una decisione di questa
Corte, in quanto estranea alla funzione di controllo di legittimità
costituzionale.
4. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3,
della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, proposta con riferimento all’art. 41,
primo comma, Cost., non è fondata.
4.1. – Gli stessi motivi che portano ad escludere la manifesta
irragionevolezza della norma censurata valgono a ritenerla immune dal
denunciato vizio di legittimità costituzionale derivante dalla violazione
dell’art. 41, primo comma, Cost.
L’iniziativa economica privata in campo agrituristico è libera, in quanto
a nessuno è inibito l’accesso a questo settore di attività imprenditoriale,
purché segua determinate modalità, uguali per tutti, ritenute dal legislatore
nazionale e da quello regionale indispensabili a mantenere le attività
agrituristiche nel proprio alveo, senza sovrapposizioni prevaricanti
sull’attività agricola o aggiramenti della prescrizione fondamentale contenuta
nell’art. 2135 cod. civ. È ben possibile, ad esempio, acquisire in proprietà edifici
già esistenti nei fondi agricoli prima della data indicata nella legge
regionale, così come è possibile utilizzare per la prima volta, a fini
agrituristici, fabbricati già posseduti dall’imprenditore agricolo, che voglia
avviare, ex novo, l’attività di cui
sopra. Non v’è quindi un limite all’avvio di nuove iniziative, né alla
concorrenza tra gli imprenditori del settore, ma solo una restrizione nell’uso
di beni immobili, allo scopo di preservare razionalmente il territorio e di
valorizzarne le caratteristiche specifiche, in coerenza con le finalità
perseguite da tutte le leggi in materia di urbanistica.
5. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3,
della legge reg. Umbria n. 28 del 1997, proposta con riferimento all’art. 9 Cost.,
non è fondata.
5.1. – Il rimettente segnala l’ipotetico pericolo che un’eccessiva
restrizione all’uso di fabbricati situati in fondi rustici – anche costruiti
dopo la data indicata dalla norma censurata – possa determinare l’abbandono
degli stessi fondi ed il progressivo spopolamento delle zone collinari
dell’Umbria, che costituiscono gran parte del territorio di questa Regione, con
conseguente compromissione del suo paesaggio.
Tale preoccupazione non solo è legata ad incerte previsioni
economico-sociali, non verificabili nella sede di un giudizio di legittimità
costituzionale, ma contrappone un rischio futuro ipotizzato ad una necessità di
tutela del paesaggio attuale e concreta, giustificata dalla comune esperienza.
Emerge infatti in modo evidente l’interesse primario, sia della comunità
nazionale, sia di quella regionale, a che le campagne non diventino luoghi di
edificazioni massicce, che facciano ad esse perdere la loro intrinseca natura,
per trasformarle in parchi turistici, nei quali l’attività agricola non sarebbe
più reale e operante, ma solo fittizia e subalterna ad attività alberghiere.
Ciò determinerebbe l’alterazione del paesaggio, che deve essere invece tutelato
e mantenuto, pur nella cura e nel rinnovamento delle strutture esistenti, nella
sua essenziale natura agreste.
per questi motivi
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
3, comma 3, della legge della Regione Umbria 14 agosto 1997 n. 28 (Disciplina
delle attività agrituristiche), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9,
secondo comma, e 41, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile
2012.