SENTENZA N. 25
ANNO 2011
Commento alla decisione di
Roberto Pinardi
Ancora sulla "completezza”
delle richieste referendarie
nella Rubrica "Studi e Commenti” di Consulta OnLine
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO
"
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2,
primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l’abrogazione
dell’articolo 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento)
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo 16 gennaio 2008,
n. 4, nel testo risultante dall’articolo 12 del decreto del Presidente della
Repubblica 7 settembre 2010, n. 168, giudizio iscritto al n. 150 registro referendum.
Vista l’ordinanza
del 7 dicembre 2010 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a
legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011 il
Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati
Ugo Mattei per il Comitato referendario Siacquapubblica, Pietro Adami per
l’Associazione nazionale giuristi democratici, Federico Sorrentino per
l’ANFIDA, Associazione nazionale fra gli industriali degli acquedotti, Tommaso
Edoardo Frosini e Giovanni Pitruzzella per il Comitato contro i referendum per
la statalizzazione dell’acqua – AcquaLiberAtutti – , Tommaso Frosini per Fare
Ambiente Movimento ecologista europeo onlus, Massimo Luciani per i presentatori
D’Antonio Luciano, Lutrario Severo e Maggi Andrea e l’avvocato dello Stato
Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — L’Ufficio centrale per il referendum,
costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della legge 25
maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e
sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, con
ordinanza pronunciata il 6 dicembre 2010, pervenuta a questa Corte il
successivo 9 dicembre, ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge, tra
le altre, la richiesta di referendum popolare (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 76 del 1° aprile 2010), promossa da tredici cittadini
italiani, sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogato l’art. 150
(Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto
Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale”, come
modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio
2008?».
Con riferimento a tale richiesta
l’Ufficio ha rilevato che l’art. 150, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, è
stato parzialmente abrogato dall’art. 12, comma 1, lettera b) del
decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento
in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma
dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).
Pertanto, sentito il Comitato promotore,
il quale ha chiesto che si proceda alla modifica del quesito con l’aggiunta
«per come modificato dall’art. 12, comma 1, lett. b) del d.P.R. 7 settembre
2010 n. 168», ha ammesso il quesito stesso nella seguente formulazione: «Volete
voi che sia abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di
affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia
ambientale”, come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4
del 16 gennaio 2008, nel testo risultante dall’art.12 del d. P. R. 7 settembre
2010 n. 168?».
Il referendum, cui è stato
assegnato il numero 2, è stato denominato: «Servizio idrico integrato. Forma di
gestione e procedure di affidamento in materia di risorse idriche.
Abrogazione».
2. — Ricevuta la menzionata ordinanza,
il Presidente della Corte costituzionale ha fissato la data del 12 gennaio 2011
per la deliberazione in camera di consiglio sull’ammissibilità del referendum,
dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del
Consiglio dei ministri, a norma dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352
del 1970.
3. — In data 23 dicembre 2010 tre
presentatori della suddetta richiesta di referendum hanno depositato
memoria di costituzione e deduzioni, esponendo una serie di argomenti a
sostegno dell’ammissibilità della richiesta medesima.
In particolare, dopo avere rimarcato che
la normativa oggetto del quesito non rientra, neppure in via indiretta,
nell’ambito delle leggi per le quali il referendum popolare non è
ammesso, ai sensi dell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, essi
osservano che la normativa de qua non ha rango costituzionale e non si
traduce in norme a contenuto costituzionalmente vincolato, oppure in norme
obbligatorie. Al riguardo, è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 325 del 2010, la quale ha posto in luce che, in materia di servizi
pubblici locali, il legislatore dispone di ampia discrezionalità.
Quanto ai requisiti di omogeneità e
chiarezza del quesito referendario, i promotori rilevano che esso è ammissibile
sia per la sussistenza di una sua «matrice razionalmente unitaria» (è
richiamata la sentenza
n. 16 del 1978), sia per la «chiarezza del suo fine intrinseco» (sentenza n. 29 del
1987).
Tanto dovrebbe desumersi dalla normativa
di risulta, che sarebbe applicabile a seguito dell’auspicato esito positivo
della consultazione popolare.
A tal fine, richiamato il dettato
dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, i presentatori deducono che, dopo il
deposito della richiesta di referendum, è sopravvenuto il d.P.R. n. 168
del 2010 che, all’art. 12, comma 1, lettera b), stabilisce l’abrogazione
dell’«art. 150, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
successive modificazioni, ad eccezione della parte in cui individua la
competenza dell’Autorità d’ambito per l’affidamento e l’aggiudicazione».
Ad avviso dei promotori, l’auspicata
abrogazione dell’art. 150 si risolverebbe nella necessaria applicabilità, alla
gestione del servizio idrico integrato, dell’art. 114 del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali), quale normativa di risulta.
Infatti, andrebbe considerato che il
citato art. 150 rinvia ampiamente all’art. 113 del detto testo unico (TUEL).
Anzi, il contenuto precettivo dell’art. 150 sarebbe limitato e la sua funzione
prevalente (ancorché non esclusiva) sarebbe quella di fonte "rinviante”
all’art. 113 TUEL (fonte "rinviata”).
Stando così le cose, «l’abrogazione
dell’art. 150 non potrebbe certo determinare l’applicabilità dell’art. 113
TUEL. Proprio il fatto che si abroghi la norma rinviante, infatti, ha per
logico e consequenziale effetto che, almeno limitatamente alla fattispecie
coperta dalla norma rinviante, risulti inapplicabile la norma rinviata. Se il
contenuto normativo dell’art. 150 è (anche) il rinvio all’art. 113 TUEL, è
chiaro, l’abrogazione della prima delle due norme non può che avere per effetto
l’inapplicabilità in parte qua della seconda».
In questo quadro, secondo i
presentatori, sembrerebbero applicabili il d.P.R. n. 168 del 2010 o l’art. 23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008. Ma, in realtà, non sarebbe così.
Invero, l’art. 150 rinvia, per la
determinazione delle forme di gestione del servizio idrico integrato, all’art.
113, comma 7, del TUEL. Ma l’art. 12, comma 2, del d.P.R. n. 168 del 2010
stabilisce che «Le leggi, i regolamenti, i decreti, o altri provvedimenti, che
fanno riferimento al comma 7 dell’articolo 113 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, abrogato dal comma 1, lettera
a), si intendono riferiti al comma 1 dell’art. 3 del presente regolamento».
Questa sarebbe, oggi, la norma rinviata. Per conseguenza, varrebbe il medesimo
ragionamento già svolto in riferimento all’art. 113 TUEL: l’abrogazione della
norma rinviante comporterebbe l’inapplicabilità in parte qua (e cioè in
riferimento alla specifica fattispecie che ne costituisce oggetto) della norma
rinviata.
Del pari non applicabile, poi, sarebbe
l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 133 del 2008. Infatti, il d.P.R. n. 168 del 2010 sarebbe
attuativo dell’autorizzazione a delegificare contenuta nel comma 10 di quella
norma. Autorizzando il Governo a delegificare, il citato art. 23-bis si
sarebbe "sostanzialmente svuotato”, in particolare per quanto concerne il
servizio idrico. Invero, nel comma 10 di detta norma, alla lettera d),
si stabiliva che il regolamento delegificante (quello che sarebbe poi stato il
d.P.R. n. 168 del 2010) doveva «armonizzare la nuova disciplina e quella di
settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme
applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici
locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia
elettrica e gas, nonché in materia di acqua».
L’inapplicabilità del d.P.R. n. 168 del
2010, dunque, non potrebbe determinare la reviviscenza della disciplina
dell’art. 23-bis, ormai sostituita (proprio ai sensi della previsione
legislativa ora riportata), da quella regolamentare appunto nello specifico
settore del servizio idrico, del quale l’art. 23-bis non farebbe
menzione se non per autorizzare il Governo alla delegificazione.
In questa condizione di sostanziale
vuoto normativo, che sarebbe generata dall’auspicata abrogazione referendaria,
resterebbe applicabile, per analogia, soltanto una previsione in materia di
servizi locali, cioè l’art. 114 TUEL. Richiamati alcuni profili di tale norma,
i promotori rilevano che, in mancanza di disposizioni relative ai servizi
pubblici di rilevanza economica, solo la disciplina concernente la gestione dei
servizi sociali potrebbe trovare ragionevolmente applicazione, in forza dei comuni
criteri propri dell’interpretazione analogica.
Così ricostruita la normativa di
risulta, la richiesta referendaria in esame sarebbe «caratterizzata da una
limpida chiarezza degli effetti normativi prodotti ed anche dall’univocità del
"fine intrinseco” perseguito». Infatti, l’intento dei promotori sarebbe quello
di «assoggettare lo specifico e affatto peculiare settore del servizio idrico
alla disciplina, specchiatamente pubblicistica, dell’art. 114 TUEL, escludendo
qualunque forma di gestione privata».
La richiesta non risulterebbe
disomogenea, in quanto l’art. 150 sarebbe caratterizzato proprio dall’opposta
scelta di fondo (cioè l’apertura alla gestione privata del servizio idrico),
scelta rispetto alla quale il complesso delle sue disposizioni sarebbe in
sostanza soltanto strumentale.
A tal proposito, si dovrebbe aggiungere
che non sarebbe stato necessario coinvolgere nella richiesta anche l’art. 15,
comma 1-ter, del d.l. n. 135 del 2009, perché, per un verso, esso non
sarebbe in contraddizione con la richiesta stessa (in quanto il soggetto
gestore, ivi contemplato, ben potrebbe essere l’azienda speciale), per l’altro
farebbe esplicito riferimento al servizio idrico, come disciplinato dall’art.
23-bis del d.l. n. 112 del 2008, cioè da una disposizione destinata a
divenire inapplicabile in forza dell’auspicato esito positivo della votazione
referendaria.
Dalle considerazioni ora esposte
emergerebbe anche il pieno rispetto del cosiddetto limite internazionale e
comunitario. Al riguardo, sarebbe sufficiente richiamare ancora la sentenza di questa
Corte n. 325 del 2010, nella quale sarebbe stata messa in luce l’ampiezza
del margine di discrezionalità a disposizione del legislatore nazionale nella
regolazione di tutto quanto attiene alla gestione dei servizi pubblici di
rilevanza economica. Inoltre, nella citata sentenza si legge che «La normativa
comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di
eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio
pubblico da parte dell’ente locale». Ciò starebbe a significare che il
legislatore nazionale ben può isolare un singolo settore e per esso escludere
il ricorso alle procedure concorrenziali e alla gestione privata.
Nella specie, il settore sarebbe quello
del servizio idrico, che gestisce il bene materiale primario per eccellenza,
ossia l’acqua. Sarebbe dunque ragionevole, e comunque rientrerebbe nell’ambito
della discrezionalità riconosciuta agli Stati, riservare il servizio idrico
alla gestione pubblica.
Infine, i rilievi fin qui svolti
avrebbero trattato della richiesta referendaria in epigrafe nella sua distinta
individualità, senza collegarla alle altre richieste di referendum che,
in quanto depositate nella medesima "finestra” temporale, sono oggi sottoposte
allo scrutinio di questa Corte. Ciò perché, ad avviso dei promotori,
l’ammissibilità delle richieste referendarie va verificata esclusivamente con
riguardo al distinto contenuto di ciascuna, «poiché ciascuna ha seguito un
distinto iter e ciascuna è sorretta da distinte manifestazioni di
volontà dei sottoscrittori». Inoltre, tale autonomia permarrebbe anche quando
le richieste riguardino la medesima materia, non essendo possibile alcuna
valutazione di ammissibilità che «possa tenere conto del complesso incastro
delle abrogazioni eventualmente assentite e delle abrogazioni eventualmente
negate dal corpo elettorale».
Tuttavia, "per supremo tuziorismo”,
andrebbe rilevato che le richieste rubricate dall’Ufficio Centrale con i numeri
1, 2 e 3 sono legate da un medesimo intento "politico”, mirando a contenere al
massimo – nel rispetto dei limiti internazionali, comunitari e costituzionali –
gli eccessi delle cosiddette "privatizzazioni”, ora ponendo la gestione diretta
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul medesimo piano della
gestione privata (ciò per la generalità dei servizi: richiesta n. 1), ora
escludendo la gestione privata per il limitato e del tutto peculiare settore
del servizio idrico (richiesta n. 2), ora, sempre in riferimento al solo
servizio idrico, contenendo i profitti della gestione privata (richiesta n. 3).
Anche nella denegata ipotesi che tali richieste fossero vagliate, per il
profilo della loro ammissibilità, come collegate, nessun dubbio
sull’ammissibilità delle stesse potrebbe essere nutrito.
4. — In data 29 dicembre 2010 il
Comitato referendario "Siacquapubblica”, in persona del legale rappresentante pro
tempore, ha depositato memoria ad adiuvandum per l’ammissibilità dei
referendum abrogativi (reg. ref. n. 149, n. 150, n. 151), promossi dal
Forum Italiano per i Movimenti dell’Acqua.
Il citato Comitato, nell’esporre il
quadro politico-culturale d’insieme sotteso ai tre quesiti referendari,
sottolinea come essi costituiscano un essenziale passo politico-istituzionale,
diretto alla difesa di un bene comune fondamentale come l’acqua, contro i gravi
rischi insiti nella privatizzazione.
Ad avviso del suddetto Comitato, il
decreto Ronchi (decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 recante «Disposizioni
urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunità europee», convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166) avrebbe posto le premesse
per una massiccia dismissione del servizio idrico integrato italiano attraverso
l’obbligo d’immissione di esso sul mercato alla data del 31 dicembre 2001.
A seguito del decreto Ronchi l’acqua non
avrebbe potuto più ricevere un regime di tutela particolarmente accentuato in
virtù della sua natura di bene comune, ma al contrario sarebbe stata oggetto,
con gran parte delle infrastrutture per la sua gestione, di un frettoloso
processo di privatizzazione. Il detto provvedimento legislativo avrebbe
introdotto un elemento di sostanziale irreversibilità di un assetto sbilanciato
a favore del privato nella gestione e nel controllo dell’acqua, il più
importante tra i beni comuni. Lo squilibrio tra pubblico e privato da esso
prodotto sarebbe apparso, dunque, in profondo contrasto con la speciale natura
del servizio idrico, non soltanto perché tale servizio avrebbe ad oggetto un
bene comune, ma anche in virtù della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni
in materia di risorse idriche), cosiddetta legge Galli.
Proprio la ricerca, perseguita dalla
legge ora citata (art. 1), del regime più desiderabile per l’acqua, intesa come
bene comune, avrebbe costituito la riduzione ad unità dei quesiti referendari
iscritti ai nn. 149, 150 e 151 del registro referendum.
Il popolo sovrano sarebbe chiamato ad
esprimersi su una questione chiara ed univoca: se si possa continuare nel
presente squilibrio in favore del settore privato for profit nella
gestione del bene comune acqua (votando NO) o se si debba invertire la rotta
(votando SI).
Dopo aver trattato diffusamente del
quesito n. 149, avente ad oggetto l’art. 23-bis della legge n. 133 del
2008, come modificato dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009, sostenendone la
piena ammissibilità, il Comitato afferma che i tre quesiti referendari mirerebbero
a superare l’opzione eccessivamente manichea dello stesso art. 23-bis
(quesito n. 149), ad escludere modelli di gestione fondati su una ratio
incompatibile con la speciale natura dell’acqua (quesito n. 150) e, infine, ad
escludere il profitto tra le motivazioni accettabili per un soggetto che vuole
gestire il servizio idrico integrato (quesito n. 151). A seguito dell’auspicata
abrogazione delle norme di cui ai tre quesiti, emergerebbero con chiarezza i
tratti fondanti di un sistema coerente con il riconoscimento dell’acqua come
bene comune.
Avuto riguardo alla particolare natura
dei beni comuni, compatibile tanto con un regime pubblicistico quanto con uno
privatistico a vocazione pubblicistica, il nostro diritto positivo conoscerebbe
un ricco strumentario di istituti fondamentali, sia di diritto pubblico sia di
diritto privato a dimensione pubblicistica, idonei ad evitare il presunto vuoto
normativo lasciato dall’accoglimento dei quesiti.
Secondo il Comitato esponente, con
l’abrogazione dell’art. 23-bis della legge n. 133 del 2008, si
realizzerebbe anche l’inapplicabilità del d.P.R. n. 168 del 2010 (regolamento
delegato), in quanto verrebbe meno il suo fondamento giuridico, e si avrebbe la
riespansione dell’art. 113 TUEL.
L’abrogazione dell’art. 150 del d.lgs.
n. 152 del 2006 – norma ritenuta speciale in quanto riferita al servizio idrico
integrato, ma che nella sostanza rinvia ad una normativa generale qual è quella
contenuta nell’art. 113 del TUEL – comporterebbe l’abrogazione di tale norma.
In realtà, però, essendo stato parzialmente abrogato l’art. 113 del TUEL dal
d.P.R. n. 168 del 2010, è a quest’ultima norma che, nella sostanza, l’art. 150
del d.lgs. n. 152 del 2006 rinvia. Pertanto, l’abrogazione dell’art. 150
comporterebbe la perdita di efficacia della norma oggetto del rinvio, con la
conseguenza che, in via analogica, resterebbe applicabile l’art. 114 TUEL,
tuttora vigente.
L’abrogazione dell’art. 23-bis della
legge n. 133 del 2008 e dell’art. 150 del d.lgs. n.152 del 2006 non
produrrebbero un vuoto normativo, in quanto sarebbe sempre possibile il ricorso
all’azienda speciale.
Peraltro, ad avviso del suddetto
Comitato, oltre all’azienda speciale sarebbero rinvenibili nel vigente
ordinamento molteplici strumenti sia di diritto pubblico (Consorzi tra Comuni
ai sensi dell’art. 31 del TUEL), sia di diritto privato a dimensione
pubblicistica in grado di colmare ipotetici vuoti normativi. Quali istituti
privatistici privi di scopo di lucro e a vocazione pubblicistica, applicabili
una volta abrogate le norme oggetto di referendum, il Comitato fa
riferimento alle cooperative, a scopo mutualistico alternativo al lucro, alle
associazioni, ai comitati, alle fondazioni.
Infine, l’esponente rileva che l’attuale
instabilità politica non consente di escludere l’ipotesi di un rinvio delle
operazioni referendarie come conseguenza di un eventuale scioglimento delle
Camere. La produzione degli effetti, a data certa, dell’art. 23-bis
della legge n. 133 del 2008, prima della celebrazione del referendum
rischierebbe di vanificare nei fatti, almeno per quanto riguarda il quesito
iscritto al n. 149, l’auspicata sentenza di accoglimento ai sensi dell’art. 75
Cost. Un allineamento temporale, in via interpretativa, dell’art. 23-bis
con slittamento dei suoi effetti a data successiva alla consultazione
referendaria, per quanto non rientrante nei compiti attribuiti dalla
Costituzione alla Corte costituzionale, potrebbe essere auspicabile in coerenza
con l’alta funzione di garanzia costituzionale propria di questa Corte.
5 .— L’associazione «Fare Ambiente» e
l’associazione«Comitato contro i referendum per la statalizzazione
dell’acqua-AcquaLiberAtutti», con atti depositati in data 5 gennaio
2011, si sono costituite nel presente giudizio di ammissibilità, chiedendo a
questa Corte, previa declaratoria di ammissibilità delle memorie di
costituzione e conseguente autorizzazione all'audizione dei difensori, di
dichiarare l’inammissibilità del quesito referendario.
Con atto depositato in data 7 gennaio
2011 si è, altresì, costituita in giudizio l’ associazione nazionale fra gli
industriali degli acquedotti – ANFIDA – chiedendo, anch’essa, di dichiarare
l’inammissibilità del quesito referendario.
In via preliminare, l’associazione «Fare
Ambiente» e l’associazione «Comitato contro i referendum per la statalizzazione
dell’acqua-AcquaLiberAtutti» hanno posto in evidenza come il loro
intervento debba essere ritenuto ammissibile alla luce della giurisprudenza
costante di questa Corte ed, al riguardo, hanno richiamato le sentenze n. 31
e n. 41 del 2000.
Le predette associazioni premettono che
due dei quattro quesiti appaiono strettamente legati fra di loro, al punto che
ove la norma indicata nel primo quesito (art. 23-bis del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 e successive modificazioni) dovesse essere abrogata,
allora si dovrebbe ipotizzare la reviviscenza della normativa da quest’ultimo a
sua volta (implicitamente) abrogata, ovvero l’art. 150 del decreto legislativo
n. 152 del 2006 (c.d. Codice dell'Ambiente), che sarebbe però nuovamente
soggetta ad abrogazione, come previsto nel secondo (e in parte nel quarto)
quesito referendario. L’associazione «Fare Ambiente» pone in evidenza i
seguenti motivi di inammissibilità afferenti il quesito in oggetto.
In primo luogo, poiché esso mira a
chiedere l’abrogazione dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale
sarebbe stato implicitamente abrogato dall’art. 23-bis del d.l. n. 112
del 2008 e potrebbe rivivere giuridicamente soltanto in caso di abrogazione
dell’art. 23-bis, si determinerebbe un «inganno nei riguardi
degli elettori e l’incoerenza sul piano della normativa soggetta ad ablazione
referendaria».
L’inganno consisterebbe nel fatto che
con il quesito in esame si chiederebbe di abrogare una norma che potrebbe
essere valida e, quindi, oggetto di referendum, soltanto nel caso in cui
venisse esclusa la disposizione di cui si chiede l’abrogazione nel quesito n. 1.
L’elettore, inoltre, verrebbe chiamato a pronunciarsi sull’art. 150
del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale essendo stato abrogato è privo di rilievo
giuridico.
Il quesito n. 2, inoltre, incontrerebbe,
ad avviso della citata associazione, il limite della mancanza di omogeneità,
della chiarezza e della matrice razionalmente unitaria; sotto tale profilo il
principale ostacolo all’ammissibilità deriverebbe, come già sopra posto in
evidenza, dall’inefficacia della disciplina in esso inclusa: l’art. 150 del
d.lgs. n. 152 del 2006, pur essendo una disciplina specifica per la gestione
del servizio idrico integrato, è infatti da considerarsi, al momento, una
disciplina implicitamente abrogata dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008.
Il «Comitato contro i referendum per la
statalizzazione dell’acqua-AcquaLiberAtutti», invece, ritiene che il
quesito sarebbe inammissibile dal momento che inciderebbe su «legge a contenuto
comunitariamente vincolato».
In caso di eventuale accoglimento
del quesito n. 2, il difensore del Comitato osserva che l’affidamento e
la gestione del servizio idrico integrato risulterebbe del tutto svincolata da
qualsivoglia disciplina e ciò con evidente violazione del principio di
concorrenza, in quanto gli enti competenti sarebbero sostanzialmente liberi nel
procedere a qualsiasi tipo di affidamento.
Il quesito n. 2, infatti, ad
avviso del predetto Comitato, intende sottoporre ad abrogazione l’art.
150 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale detta le modalità di
scelta della forma di gestione e procedure di affidamento del servizio
idrico integrato.
Dall’eventuale accoglimento dei quesiti
referendari e, dunque, dall’eventuale abrogazione dell’art. 23-bis del
d.l. n. 112 del 2008, e dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, potrebbe
determinarsi un vulnus nel sistema di affidamento del servizio de quo
non risultando in linea con la forte connotazione a tutela della
concorrenza voluta dalle cogenti norme comunitarie.
Ne conseguirebbe l’apertura di una
sicura procedura d’infrazione a carico dell’Italia, come già avvenuto con
riferimento alla normativa previgente a quella in oggetto (il richiamo è alla
"procedura di infrazione 1999/2184 ex art. 226 Trattato. Legislazione in
materia di servizi pubblici locali” trasmessa con nota del 4 luglio 2002,
n. 8622).
Sussisterebbe, dunque, l’inammissibilità
del quesito in base a quanto previsto dall’art. 75 Cost., nella parte in cui
vieta lo svolgimento di referendum abrogativo sulle leggi di
autorizzazione alla ratifica dei Trattati internazionali «e anche sulle altre
disposizioni normative che producano effetti collegati in modo così stretto
all’ambito di operatività di tali leggi tanto da ritenersi implicita nel
sistema la preclusione» (sentenza n. 31 del
2000).
Il quesito sarebbe inammissibile,
inoltre, in quanto incidente su legge a contenuto costituzionalmente vincolato.
In particolare, le norme oggetto dei
quesiti referendari risultano espressione diretta di principi costituzionali
che, in materia di concorrenza nei servizi pubblici locali, possono ritenersi
contenuto sostanzialmente vincolato. Sul punto, il Comitato richiama la
ricostruzione operata proprio dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del
2010, in cui essa ha chiarito come la disciplina posta dall’art. 23-bis d.l.
n. 112 del 2008, e dall’art. 150 d.lgs. n. 156 del 2010, rappresenti
espressione di una potestà normativa, sostanzialmente vincolata, dello Stato.
A sostegno di tale argomentazione,
proprio con specifico riferimento al servizio idrico integrato, il Comitato
rinvia, inoltre, alla già più volte menzionata sentenza n. 325 del
2010.
Altro profilo di inammissibilità
atterrebbe alla carenza di chiarezza ed omogeneità del quesito referendario.
Le stesse modalità di formulazione dei
titoli dei quesiti referendari e le tecniche di persuasione già adottate per la
raccolta delle sottoscrizioni, le quali probabilmente verranno riutilizzate ed
amplificate ove dovesse ammettersi la consultazione referendaria, testimoniano
come l’elettore non abbia, in realtà, espresso liberamente il proprio
convincimento. Sotto tale profilo, con riferimento all’art. 150 del d.lgs. n.
152 del 2006, il Comitato pone in rilievo come lo stesso si appalesi
inammissibile in quanto inutile, superfluo ed ultroneo rispetto alle finalità
perseguite.
L’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006,
la cui abrogazione è richiesta con il quesito in esame, regola le modalità di
gestione del servizio idrico e le procedure per la scelta del soggetto gestore.
Detta norma, al momento, dovrebbe
ritenersi superata dalla disciplina dettata dall’art. 23-bis, d.l. n.
112 del 2008, ma non può sfuggire come il risultato sarebbe del tutto
ininfluente in relazione alle intenzioni perseguite e ciò in quanto l’art. 23-bis,
avendo portata generale, risulterebbe interamente applicabile anche alle
modalità di affidamento dei servizi idrici.
La situazione sarebbe diversa, qualora
l’elettore, pur coartato nella scelta, dovendo decidere di azzerare interamente
la disciplina di affidamento di tutti i servizi pubblici, dovesse votare
positivamente per entrambi i quesiti in esame.
Il citato Comitato ritiene che la
disciplina di affidamento del servizio idrico non contemplerebbe in ogni caso
il ritorno alla gestione totalmente pubblica delle acque ma, al più,
sembrerebbe applicabile l’art. 113 TUEL.
Infine, un ulteriore motivo di
inammissibilità è ravvisato in ragione del cosiddetto vuoto legislativo nella
normativa di risulta. Il quesito, infatti, mirerebbe a chiedere l’abrogazione
dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, come detto sopra, è stato
implicitamente abrogato dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e
potrebbe rivivere giuridicamente solo e soltanto in caso di abrogazione
dell’art. 23-bis.
L’associazione nazionale fra gli
industriali degli acquedotti – ANFIDA –, inoltre, sostiene che il quesito
referendario sia inammissibile in quanto incongruo e inidoneo.
In particolare, essa osserva come la
disposizione oggetto di richiesta referendaria abbia introdotto una disciplina speciale
in materia di affidamento e di gestione del servizio idrico integrato,
rinviando alla disciplina generale dettata, all’epoca della sua entrata in
vigore, dall’art. 113 TUEL e prevedendo alcuni elementi di specialità.
Benché l’art. 150 del d.lgs. n. 152 del
2006 contenesse il rinvio al quinto comma dell’art. 113 TUEL, abrogato
dall'art. 23-bis del d.l. n. 118 del 2008, l’Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha, però, ritenuto che l’art. 150 del d.lgs.
n. 152 del 2006 sia stato abrogato solo in parte.
Da ciò si dovrebbe dedurre che dell’art.
150 del d.lgs. n. 152 del 2006 restino in vigore le sole parti in cui
s’individua la competenza dell’Autorità d’ambito e si prevede che, per il
servizio idrico integrato, l’affidamento in house e l’affidamento
diretto a società miste devono rispettare – oltre ai requisiti previsti dalla
disciplina generale e, quindi, oggi dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008 – anche quello della titolarità delle partecipazioni pubbliche in capo agli
enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale.
La disposizione oggetto di richiesta
referendaria avrebbe, quindi, un contenuto servente alla disciplina generale
sull’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica di cui all’art.
23-bis del d.l. n. 112 del 2008: sarebbe quest’ultimo articolo, infatti,
ad individuare le forme di affidamento del servizio idrico, mentre l’art. 150,
nella parte superstite, detta norme speciali di dettaglio, che restano di per
sé prive di autonoma operatività.
Dunque, il quesito volto alla sua
abrogazione sarebbe infruttuoso e, per tale ragione, inammissibile (al riguardo
è richiamata la sentenza
n. 43 del 2000).
L’abrogazione dell’art. 150, da sola,
non consentirebbe, dunque, di produrre effetti significativi sulla disciplina
dell’affidamento dei servizi idrici e, soprattutto, non consentirebbe di
produrre effetti conformi al risultato prefigurato dai promotori.
Un ulteriore motivo di inammissibilità
consisterebbe nell’inidoneità dello strumento referendario al raggiungimento
dell’obiettivo di "ripubblicizzazione" dei servizi pubblici locali.
L’intento perseguito dai promotori con
la formulazione dei tre quesiti esaminati è quello di portare alla
configurazione di un servizio idrico «strutturalmente e funzionalmente privo
di rilevanza economica», la cui gestione potesse essere affidata
solo ad enti disciplinati dal diritto pubblico (e mai a società, ancorché in
mano pubblica) e fosse assolutamente estranea a logiche tariffarie, ponendosi i
relativi costi "a carico della fiscalità generale” (così si legge
nella Relazione introduttiva ai quesiti referendari).
Pur ammettendo che queste siano le
conseguenze dell’eventuale accoglimento dei tre quesiti si tratterebbe di una
proposta referendaria non puramente ablativa, bensì innovativa.
La proposta sarebbe, pertanto,
inammissibile, posto che l’art. 75 Cost. consente il referendum abrogativo,
totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge e non
invece il referendum introduttivo di discipline legislative
completamente nuove (si vedano, in particolare, le sentenze n. 50 del
2000 e n. 36
del 1997).
Infine si tratterebbe di una proposta
referendaria mediante la quale si vuole produrre l’effetto di una radicale
riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, risultato non
perseguibile con lo strumento referendario.
Quanto alle effettive conseguenze
dell’eventuale accoglimento del secondo quesito, esso inciderebbe in modo
marginale sulla disciplina dell’affidamento e della gestione del servizio
idrico, facendo venir meno essenzialmente la norma che impone, per la
legittimità dell’affidamento in house e dell’affidamento diretto a
società miste, il requisito – ulteriore rispetto a quelli previsti dalla
disciplina generale – della titolarità delle partecipazioni pubbliche in capo
agli enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale.
Al fine di non andare incontro a
sanzioni da parte dell’Unione Europea, la lacuna che si verrebbe a creare con
l’accoglimento dei quesiti referendari dovrebbe essere colmata con
l’applicazione generalizzata del principio della gara ad evidenza pubblica e
con l’applicazione delle norme contenute nel Codice dei contratti.
Se così è, però, l’eventuale
accoglimento dei tre referendum porterebbe ad un esito opposto a quello
desiderato: anziché legittimare l’affidamento diretto dei servizi a soggetti
pubblici, renderebbe obbligatorio – senza eccezione alcuna – il ricorso alla
gara e l’affidamento a privati.
6. — Con atto depositato in data 5
gennaio 2011, l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici è
intervenuta nel giudizio al fine si sostenere l’ammissibilità del quesito
referendario per le considerazioni di seguito indicate.
L’Associazione ritiene che
l’ammissibilità del referendum derivi dalla constatazione che il fine
perseguito dal Comitato promotore è chiaro ed esplicito, in quanto
l’abrogazione referendaria dell’art. 150 d.lgs. n. 152 del 2006, mira a non
permettere che l’Autorità d’ambito possa affidare l’intera gestione del
servizio a soggetti terzi.
In particolare, con l'abrogazione
referendaria si vuole porre una cesura netta e definitiva tra regime dell’acqua
pubblica e regime degli altri servizi pubblici locali; cioè, si vorrebbe che
sia l’Autorità d’ambito a gestire direttamente le risorse idriche. A seguito di
referendum abrogativo dell’art. 150, il modello gestionale dell’acqua
pubblica sarebbe, infatti, quello determinato dall’art. 148 (Autorità d’ambito
territoriale ottimale) del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza
che l’Autorità d’ambito, «dotata di personalità giuridica», potrà gestire il
servizio «in proprio».
Tale conseguenza sarebbe, peraltro,
rispettosa di quanto disposto dal diritto comunitario dal momento che l’Unione
europea interviene unicamente quando l’ente delibera di affidare il servizio ad
un altro soggetto, non interferendo nelle scelte gestionali. Tale principio
risulta sancito dalla Corte di Giustizia UE con la decisione
dell’11gennaio 2005, in causa C – 26/03, Stadt Halle, punto 48.
Il quesito sarebbe, inoltre, idoneo al
raggiungimento del proposito referendario anche nell’ipotesi in cui l’art. 23-bis
permanga nell’ordinamento.
Infatti, venendo meno l’art. 150,
l’Autorità d’ambito recupererebbe tutte le possibili scelte gestionali previste
in generale per la gestione di un servizio pubblico locale (gestione diretta,
affidamento ad un organismo di diritto pubblico, affidamento ad una società cd.
mista o ancora affidando il servizio all’esterno con le forme della procedura
ad evidenza pubblica).
In primo luogo, la detta Autorità non
sarebbe più obbligata ad affidare la "gestione” del servizio; non le sarebbe
impedito di affidare, con gara, parti o porzioni di attività, mantenendo la
titolarità del servizio.
Impedire, dunque, l’affidamento della
"gestione” del servizio non significherebbe assolutamente che debba essere
l’Autorità d’ambito, direttamente, a dover provvedere alle diverse porzioni di
attività, ma comporterebbe soltanto che la titolarità del servizio resti
pubblica.
Lo scopo del referendum sarebbe,
quindi, realizzato in quanto l’obiettivo è proprio quello di «ripubblicizzare»
il servizio di distribuzione dell’acqua, bene comune.
Anche l’art. 23-bis nella ipotesi
di una sua sopravvivenza non si opporrebbe a tale modalità di gestione. Ciò per
varie ragioni.
In primo luogo l’art. 23-bis,
ad avviso dell’Associazione, attiene e regola (modellandosi sul diritto
comunitario) l’affidamento” di servizi pubblici locali e, dunque, non attiene
alla scelta, di pertinenza dell’ente locale, se disporre un affidamento, ovvero
gestire direttamente (in senso proprio) il servizio.
L’art. 23-bis non vieterebbe la
gestione diretta del servizio (diretta in senso proprio), quella che non
avviene attraverso le aziende speciali, gli affidamenti in economia (che sono
pur sempre appalti), le società miste e così via, ma che avviene attraverso il
diretto controllo dell’ente e con suo personale.
In caso di vittoria referendaria,
dunque, anche là dove non fosse abrogato nel contempo l’art. 23-bis, ad
avviso dell’Associazione, il modello previsto da quella norma non sarebbe
comunque applicabile al settore idrico, che resterebbe regolato dal Titolo II
della Sezione III del d.lgs. n. 152 del 2006.
Inoltre, poiché la rilevanza economica di
un servizio è unicamente un criterio politico-discrezionale, non certo
oggettivo, secondo l’Associazione una pronuncia referendaria chiara e netta,
come quella che si propone, avrebbe l’effetto di sancire l’uscita, per effetto
della volontà popolare democraticamente espressa, del servizio di gestione
dell’acqua dai servizi a rilevanza economica.
A seguito dell’abrogazione referendaria
dell’art. 150, venendo meno la possibilità di affidare in toto il servizio
all’esterno (ed anche alle società di diritto privato a capitale pubblico), la
titolarità del servizio resterà ancorata alle Autorità d’ambito, che potrebbero
naturalmente ricorrere ad appalti esterni, mantenendo però il controllo
pubblico sulla gestione e distribuzione di un bene primario qual è l’acqua.
7. — In data 7 gennaio 2011 il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha depositato una memoria nella quale ha formulato alcune
deduzioni volte a sostenere l’inammissibilità del quesito.
Dopo aver riepilogato le modifiche
apportate alla disposizione de qua dal d.P.R. n. 168 del 2010 e
dall’art. 1, comma 1-quinquies, del d.l. n. 2 del 2010, convertito dalla
legge n. 42 del 2010, che ha soppresso le Autorità d’ambito, ritiene che il
quesito non presenti i caratteri di semplicità, chiarezza e completezza, in
quanto non si comprenderebbe «a cosa tenda la richiesta referendaria».
In particolare, la difesa dello Stato
sostiene che «la partecipazione sarebbe fittizia, solo nominale, meramente
rituale (Corte
cost. sentenza n. 27 del 1981)», in quanto, permanendo tutte le altre
disposizioni sull’affidamento del servizio idrico integrato, il risultato del referendum
sarebbe del tutto contraddittorio ed incoerente ed addirittura contrario alle
finalità degli stessi promotori.
Conclusivamente la volontà popolare non
sarebbe messa in condizione di esprimersi in maniera consapevole (è citata la sentenza n. 43 del
2000).
8. — Nella camera di consiglio del 12
gennaio 2011 sono intervenuti, per le rispettive parti assistite come indicate
in epigrafe, gli avvocati Ugo Mattei, Pietro Adami, Federico Sorrentino,
Tommaso Edoardo Frosini, Giovanni Pitruzzella, Massimo Luciani, nonché
l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida.
Considerato in diritto
1. — La richiesta di referendum
abrogativo, dichiarata conforme alle disposizioni di legge dall’Ufficio
centrale per il referendum con ordinanza del 6 dicembre 2010, ha per
oggetto l’articolo 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di
affidamento) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia
ambientale).
Al relativo quesito sono stati assegnati
il n. 2 e il seguente titolo: «Servizio idrico integrato. Forme di gestione e
procedure di affidamento in materia di risorse idriche. Abrogazione».
Successivamente, a seguito di rilievo del detto Ufficio e su conforme richiesta
del Comitato promotore, il quesito è stato così modificato: «Volete voi che sia
abrogato l’art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento)
del Decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale”,
come modificato dall’art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16
gennaio 2008, nel testo risultante dall’art. 12 del d. P. R. 7 settembre 2010
n. 168?».
2. — In via preliminare, si deve
rilevare che, nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011, la Corte costituzionale
ha disposto, come già avvenuto più volte in passato (ex multis: sentenze nn. 16
e 15 del 2008;
n. 45 del 2005),
sia di dar corso all’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti
presentatori del referendum e dal Governo, ai sensi dell’art. 33, terzo
comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti
dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), sia di ammettere
gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dalla
disposizione citata, e tuttavia interessati alla decisione sull’ammissibilità
della richiesta referendaria, come contributi contenenti argomentazioni
ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte.
Tale ammissione, che deve essere qui
confermata, non si traduce però in un diritto di questi soggetti di partecipare
al procedimento – che, comunque, «deve tenersi e concludersi secondo una
scansione temporale definita» (sentenza n. 35 del
2000) – con conseguente facoltà ad illustrare le relative tesi in camera di
consiglio, a differenza di quanto vale per i soggetti espressamente indicati
dall’art. 33 della legge n. 352 del 1970, ossia per i promotori del referendum
e per il Governo.
In ogni caso, è fatta salva la facoltà
della Corte, qualora lo ritenga opportuno, di consentire brevi integrazioni
orali degli scritti pervenuti in camera di consiglio, prima che i soggetti di
cui al citato art. 33 illustrino le rispettive posizioni.
3. — Sempre in premessa, si deve
ribadire che, nell’ambito del presente giudizio, la Corte costituzionale è
chiamata a giudicare della sola ammissibilità della richiesta referendaria e
che tale competenza si atteggia, per giurisprudenza costante, «con
caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi
riservati a questa Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle
controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
con forza di legge» (sentenze nn. 16
e 15 del 2008
e n. 45 del 2005).
Non è quindi in discussione, in questa sede, la valutazione di eventuali profili
di illegittimità costituzionale della normativa oggetto dell’iniziativa
referendaria.
4. — L’art. 150 del d.lgs. n. 152 del
2006, e successive modificazioni, si compone di quattro commi.
Il primo demanda all’Autorità d’ambito,
nel rispetto del piano e del principio di unitarietà della gestione per ciascun
ambito, di deliberare la forma di gestione. Nel testo originale tale forma
andava individuata «fra quelle di cui all’art. 113, comma 5, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267». L’art. 12, comma 1, lettere a) e b),
del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168
(Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a
norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) ha
abrogato, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso,
il detto art. 113, commi 5, 5-bis, 6, 7, 8, 9 (escluso il primo
periodo), 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del detto decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), e successive modificazioni, nonché l’art. 150, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006, e successive modificazioni, «ad eccezione della parte
in cui individua la competenza dell’Autorità d’ambito per l’affidamento e
l’aggiudicazione». Inoltre, il comma 2 del citato art. 12 del d.P.R. n. 168 del
2010 ha stabilito che «Le leggi, i regolamenti, i decreti, o altri
provvedimenti, che fanno riferimento al comma 7 dell’art. 113 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, abrogato dal
comma 1, lettera a), si intendono riferiti al comma 1 dell’art. 3 del presente
regolamento». Quest’ultima norma dispone che «Le procedure competitive ad
evidenza pubblica, di cui all’articolo 23-bis, comma 2, sono indette nel
rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge, ove
esistente, dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa dagli
enti affidanti».
L’art. 150, comma 2, del d.lgs., n. 152
del 2006 stabilisce che l’Autorità d’ambito aggiudica la gestione del servizio
idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni
comunitarie. Nel testo iniziale si richiamavano i criteri di cui all’art. 113,
comma 7, del d.lgs. n. 257 (recte: 267) del 2000, «secondo modalità e
termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare nel rispetto delle competenze regionali in materia».
Stante l’abrogazione della norma da ultimo citata, a seguito del menzionato
regolamento di delegificazione, il richiamo deve ora intendersi all’art. 3,
comma 1, del regolamento stesso, che contempla le procedure competitive ad
evidenza pubblica, di cui all’art. 23-bis, comma 2.
L’art. 150, comma 3, dispone che la
gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e
direttamente da comuni o altri enti compresi nell’ambito territoriale ottimale,
qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche o economiche.
Il testo iniziale rinviava alla
previsione dell’art. 113, comma 5, lettere b) e c) del d.lgs. n.
267 del 2000, ma tale disposizione è stata abrogata a seguito dell’emanazione
del citato regolamento di delegificazione.
Infine, il comma 4 stabilisce che «I
soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su
tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale
ottimale, salvo quanto previsto dall’articolo 148, comma 5».
5. — La richiesta di referendum
popolare per l’abrogazione dell’art.150 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è
inammissibile.
5.1. — Si deve in primo luogo rilevare
che la Corte costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilità, deve
valutare separatamente ciascun quesito referendario dichiarato legittimo
dall’Ufficio centrale per il referendum; ciò anche nel caso in cui sia
stata dichiarata legittima una pluralità di quesiti attinenti alla stessa
materia. Il potere attribuito dalla legge all’Ufficio centrale (e non alla
Corte costituzionale) di "concentrare” le richieste referendarie «che rivelano
uniformità od analogia di materia» e di stabilire la denominazione di ciascuna
richiesta (eventualmente già oggetto di "concentrazione”), nonché la
possibilità che le varie richieste presentate perseguano obiettivi diversi,
dimostrano che la Corte deve valutare ciascun quesito indipendentemente dagli
altri e, in particolare, dagli effetti che l’esito degli altri referendum
potrebbe avere sulla normativa di risulta.
In altri termini, la coerenza di tali
quesiti (la «matrice razionalmente unitaria» richiesta dalla giurisprudenza
costituzionale) va valutata in relazione a ciascuno di essi, e non nel loro complesso,
senza che assuma rilievo l’eventualità che siano stati promossi, in tutto o in
parte, dai medesimi promotori.
In questo quadro deve essere valutato,
in via preliminare, l’obiettivo perseguito mediante il singolo referendum.
La richiesta referendaria è atto privo
di motivazione, sicché l’obiettivo dei sottoscrittori va desunto non da una
loro dichiarazione d’intenti, ma soltanto dalla finalità incorporata nel
quesito, cioè dalla finalità oggettivamente ricavabile dal nesso che viene a
porsi tra le norme di cui si chiede l’abrogazione e quelle che residuerebbero
dopo tale abrogazione. In altri termini, il quesito va interpretato
esclusivamente in base alla sua formulazione ed all’incidenza del referendum
sul quadro normativo di riferimento.
Si deve aggiungere che, in base alla
giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 16 del
1978, il giudizio di ammissibilità del referendum è diretto ad
accertare: a) l’insussistenza dei limiti (indicati o rilevabili in via
sistematica dall’art. 75, secondo comma, Cost.), attinenti alle disposizioni
oggetto del quesito referendario (leggi di autorizzazione alla ratifica di
trattati internazionali; leggi tributarie; leggi di bilancio; leggi di amnistia
e di indulto; leggi costituzionali; leggi a contenuto costituzionalmente
vincolato o costituzionalmente necessarie); b) la sussistenza dei requisiti
concernenti la formulazione del quesito referendario (omogeneità; chiarezza e semplicità;
univocità; completezza; coerenza; idoneità a conseguire il fine perseguito;
rispetto della natura essenzialmente ablativa dell’operazione referendaria).
Da quanto sopra esposto deriva che il
giudizio di ammissibilità ha carattere oggettivo e ad esso è estranea qualsiasi
valutazione di merito, in ordine sia alla normativa oggetto di referendum
sia a quella risultante dall’eventuale abrogazione referendaria (ex plurimis:
sentenza n. 26
del 1981; nello stesso senso, in sostanza, anche le sentenze n. 45 del
2005 e n. 16
del 2008).
Tuttavia ciò non significa che alla
Corte sia inibita l’individuazione della normativa di risulta. Invero, la
stessa Corte ha individuato alcuni limiti e requisiti di ammissibilità del referendum,
che esigono non soltanto di verificare quale possa essere tale normativa ma anche
(in alcuni casi eccezionali) di valutarne la conformità a Costituzione. Tali
sono i casi in cui viene in rilievo il limite di ammissibilità costituito da
leggi a contenuto vincolato, per effetto o di trattati internazionali o di
norme comunitarie o di norme costituzionali, e da leggi costituzionalmente
necessarie.
Tanto premesso per valutare l’idoneità,
la congruità e la chiarezza del quesito referendario in esame è necessario: a)
individuare l’intento con esso perseguito; b) individuare la normativa di
risulta; c) porre a confronto i risultati di cui alle predette indagini.
Orbene, stando al tenore del quesito, il
referendum si propone l’obiettivo – da realizzare attraverso
l’abrogazione dell’art. 150 del codice dell’ambiente – di rendere inapplicabile
al servizio idrico integrato la disciplina concernente le modalità di
affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica
(SPL); disciplina dettata in generale, per quasi tutti i servizi pubblici
locali (ivi compreso il servizio idrico integrato) dall’art. 23-bis del
d. l. n. 112 del 2008. Quest’ultima norma è diretta, nel suo complesso, a
favorire la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica da
parte di soggetti scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica, ammettendo
soltanto in casi eccezionali la gestione in house del servizio pubblico
locale e limitando, quindi, a tali ipotesi eccezionali la gestione diretta del
servizio (senza gara pubblica) da parte dell’ente pubblico.
Ciò posto, si deve osservare che la normativa
di risulta non può mai comportare l’abrogazione delle norme di cui all’art. 23-bis,
limitatamente al settore del servizio idrico integrato.
Infatti, il referendum n. 2 ha
per oggetto soltanto l’art. 150 del codice dell’ambiente, il quale è stato già
in buona parte abrogato, sia in modo espresso, sia per incompatibilità,
dall’art. 23-bis (direttamente e per mezzo del regolamento di
delegificazione autorizzato dallo stesso art. 23-bis). Più precisamente,
l’art. 150 del codice dell’ambiente rinvia all’art. 113 del d.lgs. n. 267 del
2000 (TUEL), il quale, come si è detto, è stato abrogato (in parte) dal citato
art. 23-bis, anche mediante il suddetto regolamento di delegificazione.
Quest’ultimo, poi, ha disposto che il
richiamo al comma 7 dell’art. 113 TUEL (contenuto nell’art. 150) è sostituito
dal richiamo all’art. 3, comma 1, del medesimo regolamento, il quale rinvia
all’art. 23-bis, comma 2, concernente il conferimento della gestione dei
servizi pubblici locali in via ordinaria.
La disposizione da ultimo citata
stabilisce in modo espresso (comma 1, secondo periodo) che le sue norme si
applicano a tutti i settori di SPL (tranne alcuni esclusi, tra cui non è
compreso il servizio idrico), prevalendo sulle normative di settore e, quindi,
anche su quella relativa al servizio idrico.
Ne deriva che l’abrogazione referendaria
dell’art. 150 del Codice dell’ambiente (attualmente consistente, peraltro, in
una mera armonizzazione delle norme sul servizio idrico integrato con quelle,
già autoapplicative, dell’art. 23-bis), in difetto dell’abrogazione di
quest’ultima norma, non è idonea a far venire meno l’applicazione al solo
servizio idrico delle forme di gestione fissate, anche per tale servizio,
proprio dal detto art. 23-bis. In altre parole questo articolo è applicabile
al settore idrico indipendentemente dalla vigenza dell’art. 150 del codice
dell’ambiente.
Per i limiti strutturali suoi propri, lo
strumento referendario applicato a detta norma – in quanto di natura ablativa e
privo, dunque, di efficacia propositiva o additiva – non è in grado
nell’attuale quadro normativo di escludere l’efficacia dell’art. 23-bis per
il solo settore idrico.
Né varrebbe addurre che quest’ultima
norma è, a sua volta, oggetto di altro (e distinto) referendum. Invero,
un giudizio anticipato sulla situazione normativa risultante dall’avvenuta (in
ipotesi) abrogazione referendaria della norma da ultimo citata verterebbe su
norme future e incerte, perciò inidonee a dare fondamento ad una decisione che,
invece, va adottata sulla base del quadro normativo in vigore al momento della
decisione medesima.
In conclusione, alla luce dei rilievi
fin qui esposti il quesito in esame si rivela inidoneo e non coerente (con
conseguente difetto di chiarezza) rispetto al fine, che l’iniziativa
referendaria si propone, di rendere inapplicabile al servizio idrico integrato
la disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei SPL a rilevanza
economica.
Da tanto consegue l’inammissibilità del referendum
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione
dell’articolo 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento)
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
come modificato dall’articolo 2, comma 13, del decreto legislativo 16 gennaio
2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152), nel testo risultante dall’articolo 12 del decreto del
Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis,
comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), richiesta dichiarata
legittima con ordinanza emessa in data 6 dicembre 2010, depositata in data 7
dicembre 2010, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso
la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 12 gennaio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2011.