Sentenza n. 50/2000

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SENTENZA N. 50

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, numero 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall’emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a vent’anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;" lettera c): "dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni;", lettera d): "dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.", comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento", comma 4: "La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall’articolo 305, non può superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo 304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall’articolo 303, comma 4,", giudizio iscritto al n. 132 del registro referendum.

Vista l’ordinanza depositata il 13 dicembre 1999 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Frigo per i presentatori Capezzone Daniele, Giustino Mariano e De Lucia Michele e per i promotori Cappato Marco e Della Vedova Benedetto.

Ritenuto in fatto

1. — L’ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare – presentata l’8 marzo 1999 da quattordici cittadini italiani e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 57 del 10 marzo 1999 – sul seguente quesito: "Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, limitatamente a: - articolo 303, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563" e alle parole: "o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni", lettera b): "dall’emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado: 1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a vent’anni, salvo quanto previsto al numero 1); 3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;", lettera c): "dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello: 1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni; 2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni; 3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni", lettera d): "dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4.", comma 2 e comma 3, limitatamente alle parole: "relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento", comma 4: "La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall’articolo 305, non può superare i seguenti termini: a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni."; - articolo 304, comma 6, limitatamente alle parole: "commi 1, 2, e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall’articolo 303, comma 4,"?".

2. — Con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, l’Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato la legittimità della richiesta, stabilendo come denominazione del referendum: "Termini massimi di custodia cautelare: contenimento".

3. — Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, il Presidente ha convocato questa Corte in camera di consiglio per il 13 gennaio 2000, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta referendaria ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4. — I presentatori, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, hanno depositato in data 7 gennaio 2000 una memoria, per sostenere l’ammissibilità della richiesta. Essi hanno precisato che il quesito referendario mira a rendere, attraverso una complessiva semplificazione della disciplina, la durata massima della custodia cautelare insensibile alle vicende del processo penale e a produrre un rilevante abbassamento dei termini massimi di custodia cautelare.

La difesa dei promotori osserva che la attuale previsione di termini di custodia corrispondenti alle varie fasi del processo andrebbe a discapito non solo del principio della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, sancito dall’art. 27 della Costituzione, ma anche dell’esigenza di certezza circa la durata massima della custodia cautelare, espressa dall’art. 13, ultimo comma, della Costituzione.

Nella memoria si rileva che il quesito incide principalmente sull’art. 303 del codice di procedura penale [parte della lettera a) del comma 1; lettere b), c) e d) del comma 1 per intero; l’ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l’intero comma 4], mentre in relazione all’art. 304 dello stesso codice il ritaglio proposto svolgerebbe una mera funzione di "cosmesi normativa", diretta ad eliminare il riferimento alle disposizioni alla cui abrogazione è in via primaria finalizzata la proposta referendaria, con il risultato di lasciare una disciplina autosufficiente del computo dei termini massimi di custodia cautelare.

Il fine della proposta referendaria (e cioè l’impermeabilità del sistema di computo dei termini massimi della custodia cautelare alle vicende processuali e il sensibile contenimento degli stessi) sarebbe raggiunto attraverso la generalizzazione della regola del comma 1, lettera a) dell’art. 303, e attraverso la sua estensione – mediante l’abrogazione (oltre che delle espressioni che ne limitano la portata alla prima fase del giudizio) del comma 4, e delle lettere b), c), e d) del comma 1 dello stesso art. 303 – a tutta la durata del processo penale. Conseguentemente sono colpite dall’iniziativa referendaria parti del comma 2 e del comma 3 dell’art. 303, nonché del comma 6 dell’art. 304, strettamente collegate alle precedenti.

Il risultato di impedire che i termini ricomincino a decorrere nuovamente "all’inizio di ogni stato e grado del procedimento" eviterebbe, secondo i promotori, il prolungamento indefinito della custodia anche quando l’esigenza cautelare derivante dal pericolo di inquinamento delle prove non si giustifichi più, dato il lasso di tempo trascorso dall’inizio delle indagini, mentre alle altre esigenze cautelari, legate al pericolo di reiterazione del reato ed al pericolo di fuga, si potrebbe far fronte con altrettanta efficacia con misure meno afflittive.

La memoria si conclude sottolineando che il quesito, oltre ad essere rispettoso dei limiti contenuti nell’art. 75, secondo comma, della Costituzione, avrebbe anche i necessari requisiti di chiarezza ed intelligibilità, ed evidenziando l’univocità del fine perseguito dai promotori e la "matrice razionalmente unitaria" delle disposizioni di cui si chiede l’abrogazione, tale da non coartare la volontà dell’elettore. Infine, i promotori rilevano che la normativa superstite risulterebbe pienamente autosufficiente e che l’inclusione nel quesito di un frammento normativo dell’art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, che rinvia ai commi dell’art. 303 di cui si chiede l’abrogazione, sarebbe volta a soddisfare esigenze di omogeneità e completezza della proposta referendaria.

Nell’illustrare la memoria nella camera di consiglio del 13 gennaio 2000, i difensori dei promotori hanno ribadito le argomentazioni già svolte, precisando che con il quesito referendario non ci si proporrebbe di vanificare l’istituto della custodia cautelare quanto piuttosto di promuovere l’attuazione del principio di ragionevole durata del processo, reso oggi cogente dal nuovo testo dell’articolo 111 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. — La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe la disciplina dei termini della custodia cautelare. Tale disciplina è attualmente articolata in relazione alle singole fasi e ai diversi gradi del procedimento penale (indagini preliminari, giudizio di primo grado, giudizio di appello, restante corso del procedimento), che vengono assunti autonomamente l’uno dall’altro onde impedire che il termine di custodia cautelare non utilizzato in una fase o in un grado precedente venga economizzato per essere utilizzato nelle fasi o nei gradi successivi. Per la fase delle indagini preliminari, ai fini della durata della custodia cautelare, si ha riguardo all’inizio della esecuzione della misura. Per le fasi che seguono, il momento iniziale è costituito rispettivamente dal rinvio a giudizio per il primo grado, dalla sentenza di primo grado per la fase d’appello e dalla sentenza d’appello per la restante parte del procedimento, ovvero, in tutti i casi, dalla sopravvenuta esecuzione della custodia. La perdita di efficacia è a sua volta collegata alla mancata pronuncia del provvedimento conclusivo della fase o del grado (decreto che dispone il giudizio; sentenza non definitiva; sentenza irrevocabile) entro il termine rispettivamente stabilito.

Quanto all’entità dei termini, essa varia con le fasi e con la gravità dei reati. Per la fase delle indagini preliminari, il termine massimo di custodia è di tre mesi quando si procede per delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, di sei mesi per i delitti puniti con pena superiore nel massimo a sei anni, di un anno se la pena edittale è l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero se si procede per uno dei delitti indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, sempre che la pena prevista sia superiore nel massimo a sei anni (articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.).

Per il giudizio di primo grado, il termine massimo di custodia è di sei mesi per i delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, di un anno se la pena prevista non è superiore nel massimo a venti anni, salve le ipotesi ora menzionate, e di un anno e sei mesi se la pena prevista è l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni (articolo 303, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.).

Per il giudizio di appello, i termini massimi di custodia cautelare sono di nove mesi se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni, di un anno se la condanna alla pena della reclusione non è stata superiore a dieci anni, di un anno e sei mesi se vi è stata condanna all’ergastolo o alla reclusione superiore a dieci anni (articolo 303, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.).

Per il restante corso del procedimento, i termini sono uguali a quelli previsti per il giudizio di appello (articolo 303, comma 1, lettera d), cod. proc. pen.).

Oltre ai termini stabiliti fase per fase, la durata della custodia cautelare incontra limiti che investono globalmente l’intera durata del procedimento e che tengono in vario modo conto degli istituti della proroga (articolo 305 cod. proc. pen.), della sospensione dei termini (articolo 304 cod. proc. pen.) e della cosiddetta "neutralizzazione" di periodi processuali all’interno delle singole fasi (articolo 297, comma 4, cod. proc. pen.). L’articolo 303, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce infatti che la durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall’art. 305, non può superare i due anni quando si procede per un delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni, i quattro anni quando si procede per un delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salva l’ipotesi precedente, e i sei anni quando si procede per un delitto per il quale è previsto l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a venti anni. L’articolo 304, comma 6, cod. proc. pen., pur consentendo il superamento del termine complessivo determinato ai sensi dell’articolo 303, comma 4, introduce un termine che viene denominato "massimo dei massimi", assolutamente invalicabile, stabilendo che "la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall’articolo 303, commi 1, 2 e 3 e i termini aumentati della metà previsti dall’art. 303, comma 4, ovvero, se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza".

Infine, i commi 2 e 3 dell’articolo 303 cod. proc. pen. prevedono il nuovo decorso dei termini stabiliti per ciascuna fase in caso di regresso del procedimento o di rinvio ad altro giudice ovvero nel caso di evasione dell’imputato sottoposto a custodia cautelare.

2. — Il quesito referendario si propone di pervenire ad una disciplina dei termini di durata massima della custodia cautelare nel senso che questa perda efficacia quando dall’inizio della sua esecuzione siano decorsi i seguenti termini: 1) tre mesi allorquando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore a sei anni; 2) sei mesi quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione in misura superiore a sei anni, salvo quanto previsto dal successivo numero 3; 3) un anno quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo. Si perviene a questa disciplina di risulta attraverso il taglio di parti dell’originario testo (articolo 303: parte della lettera a) del comma 1; lettere b), c), e d) del comma 1 per intero; l’ultimo inciso del comma 2; lo stesso inciso del comma 3; l’intero comma 4), così che i termini attualmente previsti per la sola fase delle indagini preliminari divengano i limiti massimi di custodia cautelare per tutta la durata del processo, indipendentemente dalle fasi e dai gradi in cui esso si articola. Il quesito incide anche sul comma 6 dell’articolo 304, nel senso che il limite finale verrebbe fatto consistere esclusivamente nel doppio dei termini previsti dal riformulato articolo 303 o, se più favorevole, nei due terzi del massimo della pena prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza.

Ne risulterebbe altresì, rispetto all’attuale disciplina, un diverso apprezzamento, in riferimento alla durata della custodia cautelare, dei reati per i quali è stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni e di quelli indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. per i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni. In relazione a tali reati, che per la fase delle indagini preliminari il legislatore ha accomunato quanto a gravità, ai fini della determinazione dei termini di custodia cautelare, a quelli per i quali è prevista la pena dell’ergastolo, il quesito referendario propone, attraverso la tecnica del ritaglio, a questi fini, ma per l’intero procedimento, l’assimilazione a tutti gli altri delitti per i quali il massimo edittale è superiore a sei anni.

3. — Il quesito trascende, inammissibilmente, i limiti segnati dall’articolo 75 della Costituzione, che consente il referendum abrogativo totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge, e non il referendum introduttivo di discipline legislative completamente nuove.

L’effetto innovativo sulla disciplina vigente, connaturale alla abrogazione, non conseguirebbe, nella specie, alla fisiologica espansione della sfera di operatività di una norma già presente, dotata, in ipotesi, di un suo ambito di applicazione più circoscritto, riguardante i termini massimi della custodia cautelare riferibili direttamente all’intero procedimento penale, ma alla posizione di un sistema di norme radicalmente nuovo che andrebbe a sostituirsi alle norme da eliminare grazie ad una operazione di taglio di parole o di parti del testo e di ricucitura delle parole o delle parti residue, con sostanziale stravolgimento della struttura delle originarie disposizioni e del loro significato normativo. Alcune parole impiegate dal legislatore per stabilire il limite massimo della custodia cautelare nell’ambito della sola fase delle indagini preliminari verrebbero tenute ferme ("la custodia cautelare perde efficacia quando …"), estrapolandole dal contesto che conferisce ad esse significato; altre parole prive di un autonomo significato ("senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio …") e intere proposizioni [parte del numero 3 dell’articolo 303, comma 1, lettera a); le intere lettere b), c) e d) del medesimo comma] verrebbero eliminate, così che le parole e le proposizioni residue assumerebbero, saldandosi tra loro, un significato totalmente diverso.

Si è qui in presenza non già di un quesito meramente abrogativo ma di un quesito introduttivo, teso a porre, per via referendaria, norme che attualmente non esistono, in quanto in nessun caso nella disciplina vigente i termini massimi di custodia cautelare che risulterebbero dall’abrogazione referendaria sono individuati come tali dal legislatore per l’intero procedimento.

Di fronte a un quesito siffatto, questa Corte non può non sottolineare la differenza dall’ipotesi considerata nella sentenza n. 13 del 1999, con la quale, nonostante la tecnica del ritaglio, non è stato negato il carattere puramente abrogativo del quesito referendario in quanto ordinato a provocare, mediante una soppressione di una parte più o meno estesa del testo, l’espansione di una disciplina già esistente, provvista di un suo proprio ambito di applicazione, ancorché originariamente residuale.

Al caso di specie si attagliano i rilievi già formulati da questa Corte con la sentenza n. 36 del 1997 nei confronti dei quesiti non meramente abrogativi, ma espressivi di una potestà legislativa in positivo, estranea alla configurazione del referendum previsto dell’articolo 75 della Costituzione. E’ agevole individuare nella struttura del quesito, accanto al profilo di soppressione di locuzioni verbali prive in sé di significato normativo, un profilo di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa "non derivante direttamente dall’estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative ma costruita attraverso la saldatura di frammenti lessicali eterogenei". E come nel caso risolto con la sentenza n. 36 del 1997, così nel caso presente non si propone tanto al corpo elettorale una ablazione di contenuti normativi quanto una nuova norma direttamente costruita con una tecnica di tagli e cuciture, per di più necessariamente condizionata dal limite di non poter calibrare la volontà innovativa attraverso l’uso di parole e termini diversi da quelli presenti nel testo.

Si aggiunga che la nuova disciplina che con il quesito si intende porre avrebbe imponenti effetti di sistema, tali da far sì che, quali che siano le finalità che possono essere legittimamente perseguite dal legislatore attraverso l’istituto della carcerazione preventiva previsto dall’articolo 13, ultimo comma, della Costituzione, esse, nel contesto del vigente ordinamento processualpenale, non potrebbero in alcun modo realizzarsi. Basti considerare che nel termine di sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni (ipotesi questa che, a seguito dell’abrogazione referendaria, si riferirebbe anche a reati per i quali è stabilita la pena della reclusione fino a trenta anni, come ad esempio il sequestro di persona a scopo di estorsione o talune ipotesi di omicidio aggravato), o nel termine di un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo, si dovrebbero svolgere il processo di primo grado, quello di appello e il giudizio di legittimità affinché la sentenza definitiva sia pronunciata nei confronti di un imputato in stato di custodia. Senza dire che nei procedimenti a carico dei minorenni, ai sensi dell’articolo 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, gli anzidetti termini sono ridotti della metà per i reati commessi dai minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici.

Né la vanificazione delle finalità della carcerazione preventiva risulterebbe meno evidente a causa della possibilità, che il quesito referendario fa salva, che il termine di custodia cautelare, nelle ipotesi di sospensione previste dall’articolo 304 cod. proc. pen., possa espandersi sino al doppio, termine massimo che comunque potrebbe essere in larga parte consumato già prima dell’inizio del processo a causa delle proroghe concesse, durante le indagini, ai sensi dell’articolo 305, comma 2, cod. proc. pen., non toccato dal quesito referendario.

A una diversa valutazione circa l’ammissibilità della richiesta non inducono le considerazioni svolte nella discussione dalla difesa dei promotori, secondo cui l’intendimento sotteso al quesito non sarebbe la vanificazione dell’istituto della custodia cautelare, ma la promozione del principio di ragionevole durata del processo. Si tratta di un intendimento riformatore che, pur rispondendo a una esigenza generalmente avvertita ed anzi oramai costituzionalmente imposta dal nuovo testo dell’articolo 111, richiederebbe una riforma complessiva del sistema della giustizia penale, non attuabile in via referendaria, tanto meno attraverso l’abrogazione manipolativa della disciplina dei termini della custodia cautelare, che da quel sistema non può restare avulsa.

4. — Sotto un concorrente profilo, il quesito è inammissibile perché privo del carattere di omogeneità, individuato nella giurisprudenza costituzionale, a tutela della libertà di scelta dell’elettore, quale requisito delle richieste di referendum abrogativo. Non risponde ad alcuna necessità logica o giuridica che l’eventuale propensione negli elettori a ridurre anche drasticamente i termini massimi di custodia cautelare significhi altresì, per ciascuno di essi, apprezzare diversamente la gravità di intere categorie di reati, come suppone il quesito referendario là dove propone, attraverso l’abrogazione manipolativa dell’inciso contenuto nell’articolo 303, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. ["o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni"], l’assimilazione di queste ipotesi, quanto alla durata del termine massimo della custodia cautelare, a quelle meno gravemente valutate dal legislatore nel numero 2 del citato articolo 303, comma 1, lettera a).

Le norme che stabiliscono i termini massimi di custodia cautelare e quelle nelle quali si esprime l’apprezzamento del legislatore circa la gravità dei reati, sia pure al fine di calibrare la durata della custodia stessa, corrispondono a scelte potenzialmente autonome sulle quali gli elettori devono essere lasciati liberi di compiere scelte distinte. Fa dunque difetto quella matrice razionalmente unitaria che sola può rendere ammissibile la proposta di un unico quesito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dei commi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 303 e del comma 6 dell’articolo 304 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, "Approvazione del codice di procedura penale", e successive modificazioni, richiesta dichiarata legittima, con ordinanza depositata in data 13 dicembre 1999, dall’Ufficio centrale per il referendum costituto presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.