SENTENZA N. 36
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 6 agosto 1990, n. 223 recante "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" limitatamente alle seguenti parti: articolo 8, comma 6, limitatamente alle parole: "4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al" ed alle parole: " deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva", iscritto al n. 104 del registro referendum.
Vista l'ordinanza in data 11-13 dicembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l'avvocato Giovanni Motzo per i presentatori Bernardini Rita e Sabatano Mauro.
Ritenuto in fatto
1. -- L'Ufficio centrale del referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 5 gennaio 1996 dai signori Sergio Augusto Stanzani Ghedini, Lorenzo Strik Lievers, Rita Bernardini, Mauro Sabatano, e Fiorella Mancuso, sul seguente quesito:
<<Volete voi che sia abrogata la legge 6 agosto 1990, n. 223, recante "Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato" limitatamente alle seguenti parti: articolo 8, comma 6, limitatamente alle parole: "4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al" ed alle parole: "deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva"?>>.
2. -- L'Ufficio centrale, verificata la regolarità della richiesta, ne ha dichiarato la legittimità con ordinanza del 13 dicembre 1996 nella quale ha ritenuto tuttora vigente la disposizione oggetto del quesito referendario.
3. -- Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte, con decreto del 18 dicembre 1996, ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per la conseguente deliberazione, dandone regolare comunicazione.
4. -- Con memoria depositata nei termini, i promotori del referendum hanno insistito per l'ammissibilità dell'iniziativa rilevando l'assoluta univocità ed inequivocità del quesito referendario. Questo, infatti, nei suoi termini "scheletrici" mira chiaramente a ridurre il tetto del tempo destinabile alle trasmissioni pubblicitarie, consentendo all'elettorato di avere una chiara percezione del significato e delle conseguenze del proprio voto.
Altrettanto chiara è la normativa conseguente alla proposta abrogazione: essa riguarda l'esercizio di poteri politici di indirizzo e garanzia, l'individuazione di obblighi di documentazione contabile nei confronti dell'Autorità pubblica, secondo termini e procedure attualmente vigenti che possono restare invariati.
Né, infine, l'effetto abrogativo può comportare implicazioni di alcun genere con la vigente disciplina comunitaria in materia di cui alla direttiva del Consiglio 89/552-CEE.
Nel merito, rilevano i promotori che il rilievo della missione pubblica conferita alla concessionaria pubblica è tale da esigere che essa venga sottratta - entro certi limiti - ai condizionamenti dipendenti da un accesso, sia pure contenuto, alle risorse private.
Nel chiaro intento di favorire il deflusso di una larga quantità di risorse private dal sistema di finanziamento pubblicitario della concessione pubblica verso l'iniziativa commerciale privata e verso l'editoria in genere, i promotori sono dell'avviso che il servizio pubblico vada alimentato "mediante il canone-imposta, ovvero mediante proventi di carattere anche non impositivo finalizzati al sostegno di attività rispondenti alla missione pubblica, culturali, educative, scientifiche destinate eventualmente ad un pubblico minoritario, indipendentemente e preventivamente programmate". Del resto, le ultime Relazioni annuali del Garante per la radiodiffusione e l'editoria indicano che alla diminuzione delle risorse provenienti dagli introiti pubblicitari potrebbe agevolmente farsi fronte con un aumento del canone attuale non superiore ad un terzo.
5. -- Non v'è stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
6. -- Nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 l'avv. Giovanni Motzo, per i presentatori Rita Bernardini e Mauro Sabatano, ha insistito per l'ammissibilità della richiesta.
Considerato in diritto
1. -- La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe il comma 6 dell'art. 8 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Il quesito è limitato all'abrogazione di alcune parti testuali del comma in oggetto. Ed infatti - mentre il testo del predetto comma 6 così recita: "La trasmissione dei messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può eccedere il 4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva" - la proposta referendaria mira - mediante l'abrogazione delle parole: "4 per cento dell'orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un'eventuale eccedenza, comunque non superiore al" e delle parole: "deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva" - a modificare il testo stesso nei seguenti termini: "La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria pubblica non può eccedere il 2 per cento nel corso di un'ora".
2. -- Ciò premesso, va rilevato che la disposizione oggetto dell'iniziativa referendaria non rientra in alcuna delle categorie di leggi espressamente sottratte al referendum dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione.
In proposito, si deve, in particolare, considerare che tale disposizione non integra la fattispecie di "norme la cui esistenza ed il cui contenuto siano imposti da obblighi assunti dallo Stato italiano per effetto di trattati internazionali che non lascino alcuno spazio per scelte discrezionali riguardanti l'attuazione, sì che l'abrogazione di esse comporti necessariamente una responsabilità dello Stato italiano nei confronti degli altri contraenti per violazione del trattato" (sentenza n. 28 del 1993). E' evidente infatti, in base agli "indici di affollamento" adottati, che la disposizione in oggetto, anche nella formulazione emendata risultante dall'eventuale esito favorevole della votazione referendaria, sarebbe compatibile con le prescrizioni sia della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 89/552/CEE del 3 ottobre 1989, sia della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera del 5 maggio 1989 (resa esecutiva con legge 5 ottobre 1991, n. 327), poiché in entrambi gli atti è riconosciuta agli Stati la facoltà di stabilire regole più rigorose o più dettagliate in materia (cfr. sentenza n. 8 del 1995).
3. -- E' altresì chiaro e non contraddittorio il quesito, che propone, secondo quanto posto in luce anche nella memoria illustrativa dei promotori, di "ridurre al massimo la pubblicità televisiva e radiofonica dalle reti della concessionaria pubblica". Questo scopo invero appare più circoscritto rispetto a quello di "eliminare la pubblicità televisiva e radiofonica dalle reti della concessionaria pubblica", che caratterizzava, secondo i promotori di allora, la domanda referendaria del 1994, incidente, tra l'altro, sulla stessa norma e dichiarata inammissibile dalla Corte, con la sentenza n. 1 del 1995, "in quanto non appare univocamente diretta al fine, propugnato dai promotori, di impedire che le reti della concessionaria pubblica trasmettano messaggi pubblicitari".
4. -- Tutto ciò premesso, nel presente giudizio, la Corte ritiene peraltro che occorra, in relazione alla struttura del quesito, accertare "se non s'impongono altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale ed espressa" (sentenza n. 16 del 1978).
In questa ottica, si rileva che il fine oggettivato nella domanda referendaria appare perseguito in modo inammissibile, in quanto contrario alla logica dell'istituto, giacché si adotta non una proposta referendaria puramente ablativa, bensì innovativa e sostitutiva di norme.
Ed invero, va rilevato che il quesito referendario in esame propone l'eliminazione totale sia della norma relativa al limite dell'orario settimanale, sia delle norme che consentono, entro certi termini, un'eventuale eccedenza oraria ed il connesso periodo di recupero. Contestualmente, si propone anche, attraverso il prospettato ritaglio di parole da cancellare, la sostituzione dell'originario tetto orario del 12 per cento con il nuovo e diverso limite del 2 per cento, che peraltro figura in tutt'altro contesto normativo, inerente alla disciplina delle eventuali eccedenze dal prescritto tetto orario.
Si potrà anche dire che, da un punto di vista strettamente semantico, si determina comunque, attraverso l'ipotizzata "saldatura" tra due frammenti lessicali appartenenti a due norme completamente diverse, un effetto di riduzione quantitativa dell'attuale contenuto dispositivo, ma non si produce certo, come invece richiesto dalla disciplina sul referendum abrogativo, un effetto di ablazione puro e semplice: non si verificherebbe, quindi, il proprium del referendum abrogativo, che è essenziale per l'istituto. In realtà, nel caso di specie, si propone una norma, con un effetto di rideterminazione quantitativa del tetto orario, che sicuramente non deriva dalla fisiologica espansione delle norme residue, o dai consueti criteri di autointegrazione dell'ordinamento, bensì dalla particolare tecnica di ritaglio adottata, che espressamente estrae dal testo il nuovo limite del 2 per cento, in luogo di quello originario del 12 per cento.
In definitiva, l'abrogazione parziale chiesta con il quesito referendario si risolve sostanzialmente in una proposta all'elettore, attraverso l'operazione di ritaglio sulle parole e il conseguente stravolgimento dell'originaria ratio e struttura della disposizione, di introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall'ordinamento, ma anzi del tutto estranea al contesto normativo. Per di più, con effetti di sistema rilevanti, se è vero che la disciplina del limite quantitativo degli introiti pubblicitari della concessionaria pubblica è accuratamente modulata sia in relazione all'ammontare del canone di abbonamento, sia in relazione ai proventi pubblicitari riservati alle altre concessionarie radiotelevisive e, più in generale, agli altri mezzi di comunicazione di massa.
L'individuazione allora, nella struttura del quesito, accanto al profilo di soppressione di mere locuzioni verbali, peraltro inespressive di qualsiasi significato normativo, del profilo di sostituzione della norma abroganda con altra assolutamente diversa, non derivante direttamente dall'estensione di preesistenti norme o dal ricorso a forme autointegrative, ma costruita attraverso la saldatura di frammenti lessicali eterogenei, pone in luce il carattere propositivo del quesito stesso. Ma se così è, si fuoriesce dallo schema tipo dell'abrogazione "parziale", proprio perché non si propone tanto al corpo elettorale una sottrazione di contenuto normativo, ma si propone piuttosto una nuova norma direttamente costruita.
La Corte ritiene che proprio i prospettati caratteri di questa domanda referendaria pongono in risalto che "in tal modo si verrebbero a produrre nell'ordinamento, in caso di approvazione, innovazioni non consentite al referendum abrogativo" (sentenza n. 28 del 1987).
In questo quadro, la particolare struttura della domanda referendaria pone quindi in luce l'impossibilità di ricondurre il referendum in esame entro lo schema dell'art. 75 della Costituzione, che "non implica affatto l'ammissibilità di richieste comunque strutturate, comprese quelle eccedenti i limiti esterni ed estremi delle previsioni costituzionali, che conservino soltanto il nome e non la sostanza del referendum abrogativo" (sentenza n. 16 del 1978).
5. -- Difettano pertanto i presupposti per una pronuncia di ammissibilità della richiesta referendaria al vaglio della Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), richiesta dichiarata legittima con ordinanza in data 11-13 dicembre 1996 dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Piero Alberto CAPOTOSTI
Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997